Capitolo 12*
Capitolo 12*
Le sue mani erano ovunque, come la sua bocca. I suoi gesti non erano per niente gentili, erano ruvidi e freddi, pieni di passione e di rabbia a differenza della prima volta che li avevo potuti percepire e assaporare in tutta la loro dolcezza.
Mi tirava i capelli, mi sbatteva contro i muri di uno di quei tanti edifici abbandonati che c'erano lì intorno, perché non avevamo saputo aspettare; non avevamo voluto saperne di tornare a quella sorta di chiesa sconsacrata, visto che a casa mia c'erano i nostri fratelli che ero sicuro stessero intrattenendo il loro tempo esattamente come noi stavamo facendo in quel momento.
Quando ero tornato da Città di Sopra non mi era sfuggito lo sguardo di quei due e benché Samael cercasse di evitare il suo sguardo, alla fine si accorgeva di ogni gesto di Andrey: ogni più piccolo movimento che malizioso gli dava alla testa.
Mi graffiò la schiena, mi morse una spalla, mi fece alzare una gamba per metterla intorno alla sua vita e mi strappò i vestiti; baciava ogni cosa tranne che la mia bocca, sembrava la stesse evitando come la peste, nonostante io ogni volta cercassi di congiungerle ancora come poco prima.
Per non rimanere passivo, a subire quelle sue splendide torture iniziai ad artigliargli la maglietta, per poi scendere sotto di essa e assaporare di nuovo le emozioni tattili che potevo provare solo facendo scorrere i miei palmi sulla sua pelle.
Fremevo, come poteva fare solo una falena al tremore di una fiammella, anche se era conscia che quella luce danzante l'avrebbe inevitabilmente bruciata.
Gli leccai il collo, risalii e umettai anche quella cicatrice argentea che aveva su quel viso da angelo dannato e di cui spesso mi dimenticavo.
I suoi occhi erano gelidi, fissi su di me, come sempre non esalava nessun suono di piacere o disgusto; era come sempre il solito glaciale Neon, il re delle maschere di ferro e di gelo; uno zar siberiano magari.
Riuscivo a vederlo seduto su un trono, non sfarzoso e fatto di oro, ma fatto di materiale povero e duro come lui.
Io avevo fiducia in lui, non sapevo perché ma me lo sentivo dentro che sarebbe stata lui quella luce in fondo al tunnel che ci avrebbe tirato fuori da quella situazione che sembrava disperata.
I miei pensieri verso il futuro durarono poco, si infransero come se fossero aria, come se fossero nulla mentre la sua mano andò a giocare in mezzo alle mie gambe, così rude da strapparmi un gemito di appagamento e dolore insieme.
«Lo hai voluto tu.» mi ricordò con voce tagliente, con un piccolo ghigno a inarcare le sue labbra strafottenti, mentre continuava a pompare con quella dannata mano, che mi faceva vedere le stelle e allo stesso tempo le fiamme dell'inferno.
«Non mi sono affatto lamentato, Neon.» sussurrai lascivo il suo nome, al suo orecchio, mordendolo e poi graffiandolo sulla schiena; buttando indietro la testa quando iniziò ad aumentare la velocità, provocandomi brividi lungo la spina dorsale e facendomi mancare la vista per quelli che mi sembrarono gli attimi più fulgidi della mia vita.
Sapevo che quello era solo l'inizio, ma poterlo riavere tra le mie braccia per me era come un sogno; anche se fosse stato solo sesso, anche se non fosse stato nulla, avrei potuto riavere il suo liquido scorrermi di nuovo dentro.
L'amore era davvero strano, come poteva lambire e far impazzire così una persona? Farlo scendere fino ai più vili compromessi e regalare le poesie più belle del mondo? Essere puro e allo stesso tempo lordo, sporco come fango?
Gemetti frustrato quando smise di darmi piacere e prese sotto le ginocchia, per indurmi ad alzarmi e a farmi cingere la sua vita, dopo essersi calato appena i pantaloni, facendo uscire la sua calda e svettante erezione.
Urlai di dolore, quando mi penetrò in modo rude, senza prepararmi. Mi sembrò di essere spaccato, in due e mi aggrappai a lui intrecciando anche le mie braccia intorno al suo collo e le mani gli tiravano i morbidi capelli scuri.
Faceva male, il dolore era lancinante e allo stesso tempo il piacere assordante, poiché colpiva quel punto dentro di me che mi faceva sognare. Non c'era nulla di dolce, eppure in qualche modo non mi importava, perché lui era dentro di me e mi stava prendendo, sebbene con rabbia, mi stava lambendo.
Forse non mi avrebbe baciato, tuttavia le sue labbra mi stavano suggendo il collo e lasciando tanti piccoli marchi rossi di possessione, succhiotti lucidi che avrei mostrato con orgoglio, senza il minimo imbarazzo.
«Neon.» gemetti e a qual punto smise di spingere e mi accarezzò la schiena. Mi feci più vicino, lo strinsi meglio, artigliando la sua maglietta stropicciandola sotto le mie dita.
«Non osare farlo mai più.» ringhiò, mordendomi e tirando un capezzolo.
Così glaciale, così possessivo. Sorrisi, spingendomi con il bacino verso di lui nonostante il dolore.
Volevo mi facesse male, gli avrei permesso ogni cosa tranne che lasciarmi. Forse ero pazzo, masochista o qualsiasi altra cosa avreste potuto pensare, ma in quel momento mi sentivo al sicuro anche nel dolore.
«Fermo.» mi sussurrò soffiando sul mio bottoncino di carne, che si inturgidì, provocandomi anche un brivido lungo la schiena «O ti farò ancora male.».
«Non mi importa. Fammi tuo.» Gli accarezzai il viso e sorrisi, rubandogli un bacio che lui ricambiò facendo danzare languide le nostre lingue, fino a non avere più fiato e anche allora non ci fermammo, continuammo a far incontrare le nostre bocche, scambiandoci le reciproche salive. Nel frattempo lui continuava a spingere in me e io a un certo punto senza neppure accorgermene gli strappai il retro della maglietta, mentre il suo profumo inconfondibile mi entrava nelle narici e mi faceva perdere la testa.
«Non era una regola di voi Nephilim non entrare in contatto con il nemico?» sussurrò roco al mio orecchio, facendomi venire per la seconda volta.
La sua voce, così fredda e allo stesso tempo calda, le sue mani che mi stringevano le natiche fino a lasciare il segno e il suo profumo così invitante e prepotente a causa dei feromoni rilasciati durante l'amplesso per me furono troppo.
Gridai il suo nome, riversandomi tra i nostri addomi, mentre lui continuava a spingere e spingere, divaricandomi, dividendomi in due e amandomi in modo dolce e brutale.
«Sei difficile da soddisfare questa volta.» annaspai, guardandolo.
Lui si umettò le labbra «Se sei stanco la finiamo qui.» la sua era una sfida e io non mi sarei ritirato.
Gli tirai una ciocca di capelli neri e poi lasciai la presa intorno alla sua vita, per scendere. Lui mi assecondò, sgusciando fuori da me; sentii un senso di abbandono, ma sapevo che sarebbe durato poco.
Mi girai e mi piagai in avanti divaricando le mie natiche, mettendo a nudo la parte più intima di me stesso. Era una posa imbarazzante, ma volevo farlo impazzire, volevo donargli un piacere tale da non fargli desiderare mai nessun altro oltre me.
L'amore era distruzione, egoismo e peccato. Niente di buono sarebbe potuto nascere da esso, come non avrebbe mai potuto generare niente di male.
L'amore era qualcosa di a sé stante, che non poteva essere comprato o compreso. Era l'unica emozione che umani, demoni, angeli e fantasmi invisibili e dimenticati come noi potevamo condividere insieme alla sete di potere.
L'amore era ciò che ci accumunava, che ci univa e che ci portava sulla strada della pazzia, della perversione e della completezza. Era l'unica emozione che nessuno ci avrebbe mai potuto togliere, perché ogni essere era come programmato ad amare qualcosa, che questa fosse carnale o materiale.
Percepii immediatamente le mie mani sui suoi fianchi, le sue labbra sulla mia schiena e poi la sua staffa iniziare a trafiggermi di nuovo, penetrando attraverso il mio stretto anello di muscoli.
«Matar.» soffiò, leccandomi il retro di un orecchio.
Il mio respiro era franto, mentre gemevo senza ritegno.
Mi faceva male ovunque, ma non importava. Fino a che mi avrebbe dato se stesso e anche solo una piccola stilla di piacere da lui mi sarei fatto fare qualunque cosa; anche la più sordida.
Mi sarei perso, annullato; mi sarei inchinato e avrei abbaiato. Ma non glielo avrei mai detto, perché sapevo che in fondo lui voleva qualcuno che gli tenesse testa e io ero abbastanza tenace e caparbio da rimanere al suo fianco e farlo, anche nel sottomettermi.
Forse ero contraddittorio, ma quale persona è unica e coerente con se stessa davvero?
Spinse di nuovo dentro di me, accarezzò le mie carni e io accarezzai lui con esse, stringendo i muscoli, dandogli piacere.
Alla fine venne dentro di me, riempiendomi, mentre io venivo per la terza volta insieme a lui, baciandolo, facendomi male artigliando il muro che era davanti a me.
«Nessuna regola vieta di andare a letto con il nemico.» sussurrai una volta che uscì da me e mi fece girare, per aiutare a sorreggermi. Le mie gambe tremavano, la testa pulsava; probabilmente presto sarei svenuto.
«Ci sono andato giù pesante questa volta.» mi accarezzò i capelli, mentre mi stringeva a sé.
Io scossi la testa e sorrisi contro il suo petto, dove la maglietta ancora lo fasciava. Era irritante, ma non avevo la forza necessaria per togliergliela.
«Eri geloso.» sapevo che era un sogno. Lui non mi avrebbe mai potuto amare; entrambi eravamo troppo diversi; ambedue non avevamo futuro.
Io ero un Nephilim, lui una cellula. Nemici mortali, veleno del nostro veleno. Distanti come sole e luna.
«Forse.» concesse, prendendomi in braccio, mentre tutto intorno a me si faceva buio.
Quando mi svegliai la prima cosa che percepii fu una sensazione di calore e morbidezza sopra e sotto di me.
Aprii piano gli occhi, sbattendoli un paio di volte e sorridendo, nel vedere come prima cosa il viso rilassato di Neon che dormiva al mio fianco, completamente nudo con un braccio poggiato sopra al mio stomaco.
Non eravamo più in quell'edificio abbandonato, ma non riconoscevo neppure quel luogo; da come era affrescato però doveva essere una delle stanze che si celavano dietro quella porta oltre il quale non ero mai andato nella chiesa sconsacrata in cui viveva.
Le pareti erano di un chiaro azzurrino, a differenza della navata il soffitto era basso e per niente affrescato; c'erano molte cose ammassate, però a riempire quella stanza: libri, carte, medicine, erbe, ampolle e chissà che altro. Non avrei mai detto che Neon potesse essere così disordinato, ma forse lo era solo a causa di forze maggiori, come la mancanza di scaffali o armadi.
Tornai a guardare lui, osservando quel viso bellissimo dai tratti graffianti, con i capelli neri arruffati, le ciglia lunghe, la bocca leggermente socchiusa e quella cicatrice che coronava semplicemente la sua bellezza, invece che sminuirla. Non gli avevo mai chiesto come se la fosse fatta, se fosse stato qualcuno dei suoi o dei miei, ma mi era semplicemente sembrato inutile chiederglielo fino a quel momento. In fondo, quanti misteri ancora attorniavano Neon?
Chi era veramente? Perché volevano ucciderlo? Cosa volevano dire quei tatuaggi che non avrebbero mai dovuto esistere sulla sua pelle? Come se li era fatti?
Grugnai infastidito, provando così un forte desiderio di fargli male, di morderlo.
Scostai dolcemente il suo braccio e poi altrettanto delicatamente mi sedetti su di lui, sulla sua schiena, poiché era girato prono sul letto.
Finalmente ora che potevo vederla meglio lasciai che le mie mani scivolassero su di essa, su quei tatuaggi che mi facevano eccitare solo vedendoli. Mi facevo pena da solo, sembrava un malato di lussuria, ma era più forte di me.
Lui mi faceva impazzire.
Delle ali su una scapola, un serpente attorcigliato a una mela sulla base, lì dove poggiava l'osso sacro, e poi qualche altra frase cilindrica.
Arrabbiato per la mia ignoranza gli morsi la spalla, ma invece che svegliarlo di soprassalto la sua mano andò ad accarezzarmi i capelli.
«Sei ancora affamato?» chiese con voce soffocata.
«Cosa vogliono dire?» chiesi leccandogli la spalla dove avevo lasciato il segno dei miei denti leggermente più appuntiti di quelli di un essere umano.
«Scegli quale vuoi sapere. Te ne dirò uno solo.» concesse, continuando ad accarezzare i miei capelli che ormai erano tornati del loro colore naturale e solo le punte erano ancora leggermente colorate.
Ci pensai su per un momento, pensai a tutti quei disegni che contornavano la sua pelle a quei misteri che vi dovevano essere stati incisi dietro a quei disegni che non riuscivo a comprendere e che mi facevano impazzire ed innamorare sempre più profondamente di lui.
Pensai al crocefisso, alla farfalla, al serpente con la mela, alle scritte, agli anelli, al ragno e al tramonto con l'uccello. Ogni figura era diversa, profonda e bellissima.
«Allora...» mi morsi il labbro accarezzando il serpente «Questo?» chiesi.
Lui sorrise malizioso, prendendomi la mano e portandosela davanti alla bocca. Iniziò a baciare ogni dito e percepii il cuore iniziare a martellare all'interno del mio petto, mentre le guance mi si arrossarono inevitabilmente, quando leccò le mie dita.
«Il serpente con la mela significa tentazione. Deriva dalla storia di Adamo ed Eva.» rispose semplicemente, tirandomi poi verso il materasso prima di sovrastarmi.
«E tu sei la mia tentazione Matar.» sussurrò prima di baciarmi «Non riesco a saziarmi.» sussurrò poi sul mio collo.
Chiusi gli occhi e sospirai pesantemente, posando le mani sulla sua schiena «Nemmeno io.» rivelai, guardandolo poi negli occhi perdendomi in essi e in un'altra ora di passione per la prima volta in un letto.
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