Lontani ma vicini
Quell'odio-amore esternato dall'arazzo💫
"Sei quel nodo in gola
che non scende più
E tu, e tu
Mi manchi
Ora capisco
che vuol dire
Averti accanto
prima di dormire"
-Andrea Bocelli
«Signore, posso fare qualcosa?», l'elfo sfregó le piccole mani ruvide e rugose tra di loro, ai suoi servizi.
L'uomo rivolse un'occhiata non pacifica alla creaturina la quale, intimorito, se ne andó.
Non lo faceva sentire meglio, essere burbero.
Non l'aiutava a far di lui un Malfoy rispettabile e temuto. Non faceva di lui una persona buona e magari non voleva neanche esserlo perché è tutto più complicato quando le aspettative altrui ti pressano, quando qualcosa schiaccia i tuoi preziosi piani futuri e programmati pezzo per pezzo.
Disegnó qualche cerchio sul tavolo di legno mogano antico e inficcó le unghie, imprecando per essersi impiantato una scheggia. Sentiva la gola bruciare, segno dell'alcol in circolo. Portó le mani sulla barba folta, cresciuta da quando Hermione se n'è andata. Non aveva più lo stimolo di apparire un po' più giovane, dopo che la mancanza dell'altra era scontata. Si alzava la mattina, apriva il frigo, escludeva ciò che lei non mangiava e, per ripicca, lo prendeva lui.
Come bambini; sì, perché siamo tutti un po' bambini in amore.
Tolse le lenzuola sporche e vi entró comunque. Odiava la sporcizia, sopratutto se emanata da quel che lo riguardava, ma aveva fatto nascere un qualcosa di nuovo in negativo.
Non sapeva studiarlo bene, né dargli nome, però sapeva di non star bene con sé stesso.
Si giró a destra, a sinistra, a testa in giù, a gambe all'aria, ma Morfeo non ne voleva sapere.
Strinse a sé un cuscino, dove era ancora vivo l'odore di lei, e lasció che le narici ne catturassero gelosamente il profumo.
Le palpebre si abbassarono, mentre i piedi freddi cercavano il contatto di qualcuno che non c'era.
Astoria Grengrass avanzava verso Draco, vestita di bianco e con i capelli incorniciati da fiori puri e primaverili.
Non era invecchiata, dall'ultima volta che l'aveva vista.
Forse perché era passato poco più di un anno, forse perché chi muore rimane uguale.
Aveva gli occhi contornati da eyelyner, per rimettere in risalto gli occhi.
I capelli scuri erano sciolti, a cadere sulla schiena, liberi.
Le mani rilassate, cercavano il soffio del vento, quando si avvicinava al marito.
«Io non voglio perderti. Non voglio che a causa di quel maledetto rosso tu mi lasci.
Lui non perde mai... mentre io ho sempre perso. A scuola ero bravo solo a Quidditch e pozioni, nelle altre materie avevo la sufficienza a mala pena, così mi sono trovato a fare l’infermiere quando avrei voluto fare l’avvocato. Ero arrogante con tutti e avevo la scuola contro. Ho imparato a trattenere le lacrime e a mettere una maschera, poi ho incontrato astoria e....dopo pochi mesi che ci siamo sposati lei è morta. Credevo di aver perso le forze, ma poi ti ho incontrata e non ho più capito un cazzo. Io per te ucciderei, Hermione, diventerei un assassino, solo per te».
Aveva detto ad Astoria, quasi stesse delirando.
Ma lei sapeva, lei sapeva eccome.
«Ciao Draco», disse solo, sorridendo.
«Astoria, io... perché ti vedo? Sono morto?»
«Stai solo dormendo. Non ho molto tempo a disposizione, ma quel che ho da dirti è di assoluta importanza quindi ti prego di ascoltarmi».
«Non farmi la morale, perfavore».
«Tua madre ti ha lasciato l'arazzo. Devi guardare attentamente, è importante».
«Astoria? Astoria non ti vedo più!»
L'esile figura era sparita in un soffio, viveva nel ricordo di chi l'aveva incontrata con un briciolo di sentimento e rimpianto per non averle potuto parlare come si deve.
«AMICO, SVEGLIATI!»
Si alzó di fretta, sbattendo la testa contro quella del ragazzo scuro di pelle.
«AHI! MA SEI IDIOTA?! COME TI È VENUTO IN MENTE DI STRATTORNARMI?!», si sistemó la camicia, massaggiandosi poi la testa, dolorante.
«Non che a me abbia fatto piacere», mugugnó Blaise, tra sé e sé, «Ti senti bene?»
Una fitta colpí il sistema nervoso del povero Malfoy, la quale lanció a vuoto un cuscino.
L'arazzo.
L'arazzo di tua madre.
Come poteva essersene dimenticato?
Si maledicé, bramando la voglia di farsi male.
Si rivolse al cielo e ringrazió, come un troglodita, la madre di suo figlio.
«No. Ho una cosa da fare», annunció, allontanandosi ad ampie falcate verso la soffitta.
Nel frattempo, la Granger, saliva le scale cona stessa leggerezza di chi scala l'Everest.
Era quasi giunta alla meta, mentre guardava Hogwarts con la scintilla di chi la vede per la prima volta. Percorreva la scalinata per il semplice gusto di avere consapevolezza di essere a casa.
Quella scuola che tanto amava, quella scuola che l'aveva tanto accompagnata nel lungo e turbolento percorso della vita.
Sorrise, quando le scale cambiarono direzione, come quando ore prima aveva sorriso nel sentire il fischio di quell'Hogwarts Express.
Conosceva chiaramente a memoria ogni passo, ma la nostalgia era tale da farle giocare brutti scherzi.
Aveva convocato la McGrannit che l'aveva accolta piacevolmente, quella donna era rimasta identica, immortale. Severa, ma dolce a modo suo. Le offrì i suoi biscotti che lei non poté non accettare. Ne gustó il sapore, mentre raffioravano ricordi nel notare l'ufficio identico a come l'aveva lasciato.
«È strano vederla qui, da sola», sistemó gli occhiali sulla punta del naso, per non rimanere con le mani in mano.
Lei riconobbe un certo senso di malinconia in quella frase che non diede per scontato.
«Sono qui per vedere una persona».
L'anziana preside la condusse verso l'aula, un senso di dolore era nell'aria.
Gli anni erano volati, non era più una studentessa, non era più l'undicenne o la diciannovenne, era una donna a tutti gli effetti. Aveva lasciato quel luogo senza un cenno di saluto, ma un modo per ri-salutarlo lo aveva trovato.
Non era un addio, era un arrivederci.
Perché, comunque fosse stato, Hogwarts, sarebbe sempre stata casa sua.
E mai, dico mai, si sarebbe stancata della familiarità delle antiche mura di quel castello.
Immaginava facce conosciute attraversare quel corridoio, si immaginava nell'allacciarsi la cravatta rossa-oro stretta fino alla fine, i calderoni esplosi, le risate complici, i pianti di gruppo.
«Eccoci qui. La mia guida termina esattamente ora», non le rivolse un occhiata da quella da vecchia megera. Ebbe allora la conferma di non essere più una bambina a cui fornire istruzioni. Era cresciuta, era andata avanti senza averne avuto modo di rendersene conto. Rimase impalata, finché non vide qualcuno fare capolino.
«Ti ho trovato, Scorpius», riprese fiato.
«Sí? Chi è lei?», un ragazzino impacciato arrivava poco più che alla vita di Hermione, la squadrava almeno quanto lei lo mangiasse con lo sguardo. I capelli biondi platino, gli occhi azzurri, la corporatura mingherlina, i lineamenti naturali, il ghigno contraddistinto la colpirono nell'angolo remoto del cuore.
«C'è più di lui in te di quanto pensassi», fu ciò che la sua voce esprimette a stento.
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