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⁹⁸. 𝘈𝘴𝘵𝘳𝘰

La corteccia verde e marrone della quercia si espandeva in tante piccole tegole, incastrate fittamente l'una dentro l'altra. Eddie osservava le nuvole rincorrersi veloci, allungandosi e contraendosi nel cielo primaverile. La calma della montagna gli premeva addosso, nullificando qualsiasi suono. Sopra di lui c'erano strati e strati di foglie verdastre, che lasciavano traspirare la luce a turno. Suo malgrado, la fronda sulla quale aveva poggiato la schiena stava iniziando a diventare scomoda, facendolo quasi pentire di essersi arrampicato sin lì per riposare.

Portò una mano a schermarsi dalla luce del Sole, soffocando uno starnuto sul nascere. La pelle del palmo era piena di tagli ed escoriazioni: il risultato del lavoro che aveva svolto sino a mezz'ora prima. Eddie soffiò via un sospiro rassegnato. Mi sgriderà di nuovo.

- Ehi.

Una voce sottile lo distrasse, facendogli ruotare leggermente il viso. I suoi capelli grattarono sulla corteccia, già abbastanza lunghi da essere raccolti in una piccola coda.

Eve stava poggiata alla base dell'albero, con indosso un abito azzurro che le si gonfiava sull'addome. In grembo stringeva uno spesso blocco da disegno consumato per metà.

Eddie scese dal ramo con un balzo. Si acciambellò a gambe incrociate di fronte a lei, affondando le dita tra i fili d'erba. Li strinse con avidità, memore del tempo in cui poteva incontrarli solo sottoforma di pixel.

- Hai preso l'album - esordì, incuriosito. - Ti è tornato in mente qualcos'altro?

Eve scosse il capo, lasciando che i suoi capelli oscillassero assieme a lei. Qualche giorno prima era finalmente riuscito ad accorciarglieli, convincendola che così sarebbe stato più facile intrecciarli con i fiori. Quella sera Florian lo aveva stretto in un abbraccio inaspettato. Quando gli aveva chiesto spiegazioni, l'uomo lo aveva ringraziato per la delicatezza che le riservava, e gli aveva rivolto delle semplici, tristi parole: "le sei rimasto solo tu".

Non avrebbe voluto che fosse così. Eppure, Eve ancora non riusciva a farsi chiamare "Nadine" da loro, e aveva dovuto imparare a conoscere daccapo la versione adulta di suo fratello. In tre mesi, Eddie era stato davvero il suo unico appiglio alla realtà. I membri del Progetto erano morti, e il suo corpo lottava in tutti i modi per sostenere quella gravidanza, assecondando la sua decisione di proseguirla. L'unica cosa che erano riusciti a fare per lei era stata proteggerla dal mondo.

Dopo la morte di Abramizde le sommosse erano andate avanti per settimane. Fomentati dalle rivelazioni di Krassner, la metà dei Sorveglianti della capitale si erano uniti alle insurrezioni, dando manforte ai cittadini. I Caschi Rossi rimasti devoti alla Chiesa, però, si erano rivoltati contro i loro ex-colleghi, causando una guerriglia urbana senza esclusione di colpi.

Il loro gruppo aveva dapprima deciso di rifugiarsi tra i cunicoli del Lethe, approfittando dell'aiuto degli ex-Risveglisti fedeli a Liese, a Klaus e agli altri membri del Consiglio. Vivere in superficie era escluso, dal momento che una ragazza incinta non sarebbe di certo passata inosservata. Per il resto del mondo i due ragazzi fertili erano periti nell'incendio del Laboratorio, appiccato qualche tempo prima dagli stessi cittadini del Lethe. Tuttavia, sapevano che i rivoltosi non si sarebbero arresi facilmente, e che avrebbero continuato a cercarli ovunque. Nonostante Eddie ora fosse sterile, c'era sempre il rischio che qualcuno li rapisse per verificarlo.

E così, una mattina, Klaus gli aveva fornito un furgone pieno zeppo di cibo e suppellettili, confermandogli come nessuno dei caselli che circondavano Malthesia fosse più attivo. Finalmente, dopo quasi due decenni, la Chiesa non sarebbe più riuscita a tenere i cittadini confinati negli agglomerati urbani, né li avrebbe più costretti a far parte della sua tetra e cigolante macchina produttiva.

Florian si era affrettato a caricare lui ed Eve nel retro del furgone, ringraziando tutti. Dopodiché, aveva guidato lontano dalla capitale, senza voltarsi indietro.

Avevano trovato quella baita malridotta quasi per caso, scandagliando i villaggi abbandonati riportati sulla mappa di Klaus. Era una catapecchia di legno e mattoni, con una veranda mangiata dai tarli e un caminetto di pietra ultimato per metà. Un piccolo giardino di alberi ed erbacce la circondava come una giungla, e attorno a essa non sembrava esserci anima viva per chilometri.

Quando l'aveva vista per la prima volta, non avrebbe mai pensato che sarebbe diventata la loro nuova casa. Certo, il lavoro da fare sembrava infinito, e ancora non erano riusciti a farci arrivare la corrente elettrica. Eppure, lì Eve aveva ricominciato a sorridere, e lo sforzo fisico unito alla visione di tutta quella natura riuscivano a distrarli dal rispettivo dolore.

Gli unici a sapere di quel nascondiglio erano Klaus, Liese ed Elsinore. Li andavano a trovare ogni due settimane, aiutandoli con la ristrutturazione o recapitandogli cibo e notizie. Elsinore era persino rimasta con loro per dieci giorni di fila, stringendo una sincera amicizia con Eve, che andava al di là del suono delle loro mute parole. Vedere Eve apprendere il linguaggio dei segni era stato rinfrancante come respirare.

Benché le avessero proposto di rimanere con loro, tuttavia, Elsinore era dovuta tornare a Malthesia, per aiutare il suo gruppo a soppiantare definitivamente la Chiesa. A quanto pareva, anche il Ministro dell'Interno era perito nelle sommosse, ucciso da chissà chi. Liese e gli altri avevano deciso di incunearsi in quel vuoto di potere, approfittando del fatto che i loro volti comparissero all'interno del video che aveva avviato le rivolte. Gli ex-Risveglisti speravano di guadagnarsi la fiducia dei malthesiani anche grazie alla diffusione della cura per il morbo di Met, essendo i cittadini per la maggior parte anziani.

Nonostante tutto, però, la strada era ancora lunga, e anche oltreoceano la situazione era incandescente. Dopo quasi vent'anni di dittatura, sembrava strano pensare di essere liberi dal controllo dei Sorveglianti, dalla preoccupazione di essere Allineati o dallo spettro incombente delle Conclusioni. "È solo che si sono disabituati all'indipendenza", gli aveva confessato Liese, una volta. "Ne hanno dimenticato il sapore".

Perso in quei pensieri, Eddie osservò la propria mano ancora affondata nell'erba, con le vene in rilievo. Non ci aveva messo molto a recuperare la sua forma fisica, soprattutto considerata la mole di lavoro da fare. Persino Florian aveva iniziato a mettere su qualche muscolo, sebbene per la maggior parte del tempo ridessero insieme della sua goffaggine nel tagliare la legna o nel riparare il tetto.

Quelle scenette riuscivano a strappare una risata anche a Eve, spesso intenta a disegnare da qualche parte sul prato. Da quando aveva interrotto completamente i suoi cicli di RA, avevano iniziato a tornarle in mente sempre più dettagli della sua vita; sia di quella con Florian, sia dei suoi primi anni nel Laboratorio. E così aveva iniziato a riempire il suo blocco da disegno di ricordi traslucidi, documentando il suo passato una pagina alla volta, in maniera diversa dall'eterno presente dei fogli volanti che le fornivano nella Stanza Bianca.

- Quindi niente di nuovo? - le chiese un'altra volta, indicando il blocchetto nero.

Eve scosse ancora la testa. - Niente, dal sogno di ieri. Quello con "Rein".

Eddie portò le mani a stropicciarsi gli occhi. Erano stati loro a dire a Eve il soprannome del figlio di Iris, dal momento che lei, nonostante gli anni nel Laboratorio, sembrava conoscerlo ben poco. Probabilmente la dottoressa Svart considerava la sua "cavia" troppo preziosa per farla interagire con lui.

- Ti manca tanto? - gli chiese a un tratto la ragazza, con la luce del Sole a rischiarare i suoi occhi grigi.

Eddie annuì, incapace di rispondere. Quando le aveva confessato di aver amato quel ragazzo, si era aspettato una reazione sorpresa, persino gelosa. Eve invece si era detta solo felice, e una parte di lui ne era stata scioccamente sollevata.

- Mi dispiace - continuò lei, mogia. - Non volevo rattristarti.

- Non fa nulla. Ormai è passato.

La ragazza soppesò il suo sorriso gentile. Picchiettò debolmente sul ritaglio d'erba accanto a sé, facendogli cenno di raggiungerla.

Eddie si accomodò vicino a lei, poggiando la schiena sul tronco per rilassarsi. Tuttavia, Eve gli afferrò le mani di colpo, voltandole verso l'alto. Lui fece una smorfia, pronto a essere rimproverato per le escoriazioni.

- Senti - disse invece lei, avvicinandogli un palmo al suo grembo. Eddie rimase interdetto per un attimo, prima di poggiare le dita ad aderire bene al suo vestito, che formava una piccola curva sulla pancia. Sentì qualcosa agitarsi sotto la sua pelle, pulsando a brevi intervalli sino ad arrestarsi del tutto. Alzò uno sguardo allarmato su di lei, incontrando il suo volto tranquillo.

- Ti... Ti sta facendo male? - le chiese, accarezzandole la pancia.

- Un po' - ammise lei, arricciando il naso. - Ma è un dolore bello.

Lui non ribatté nulla, chiedendosi malinconico se quella risposta fosse dovuta all'indottrinamento subito nella Stanza Bianca. Eve scivolò con la testa sulla sua spalla, accucciando le ginocchia al petto.

- Davvero non vuoi sapere di che sesso sia? - le domandò.

- No. Non è importante.

Eddie contrasse la mascella. Ancora non le avevano detto che, se si fosse trattato di un maschio, avrebbero dovuto sterilizzare uno dei due, per evitare che il mondo architettasse strani progetti per loro. Tuttavia, per il momento avevano deciso di non renderla partecipe di quell'oscuro risvolto.

- Oggi arriva Elsi, lo sai? - esordì, cercando di cambiare discorso.

- Sì - rispose Eve, con un lampo di colore nella voce. - Verrà con Liese?

- Già. E con Klaus.

Eve sbuffò. - Non mi piace quando mi visita.

Eddie le lisciò una ciocca di capelli, cercando di rassicurarla. - Devi lasciarglielo fare, se vuoi che il bambino stia bene. Klaus era un dottore, prima dell'Espiazione. Siamo stati molto fortunati.

La ragazza si produsse in un'ultima smorfia di protesta, rassegnandosi. Stettero in silenzio per un po', godendosi lo spettacolo offerto dal microcosmo del cortile. Ancora non riusciva a credere di essersi perso quel verde accecante per i diciotto anni della sua vita.

Un rumore si fece strada tra i tenui fruscii del vento, richiamandoli. Non lontano da loro, notarono un camioncino sconosciuto calcare lo sterrato, procedendo a passo d'uomo verso la baita. Eddie si sollevò dal prato, con una punta d'ansia nel petto. I suoi muscoli si contrassero di colpo, e si parò inconsciamente davanti a Eve, salvo rilassarsi quando scorse il volto allegro di Klaus fare capolino da uno dei finestrini.

L'uomo parcheggiò di fronte a un cespuglio di ortensie, balzando fuori dal posto del conducente. Liese ed Elsinore scesero poco dopo, appesantite da alcune buste di tessuto. Eve corse verso la ragazza, gettandole le braccia al collo, e lei posò il suo carico, prendendosi quell'abbraccio entusiasta con un sorriso.

- Fa' piano - le scrisse in linguaggio dei segni, scostandosi un po'. - Non dovresti correre così.

Eve continuò a stringerla forte, sovrastandola con la sua altezza. - Scusa.

- Evie - si avvicinò Liese, carezzandole il capo. - Hai tagliato i capelli?

Lei li sfiorò timidamente. - Me li ha tagliati Eddie. Sono belli?

- Bellissimi - mimò Elsinore, stringendola ancora a sé.

Eddie sorrise di quella scena, prima di spostarsi a salutare Klaus. Nonostante avesse più di settant'anni, la sua stretta gli fece comunque scricchiolare le ossa della mano.

- Bentornati - gli disse infine, fissando il piccolo furgone grigio. - Per un momento ho temuto che qualcun altro ci avesse trovati. Come mai non siete venuti con la solita auto?

Klaus si aprì in un ghigno furbo. Il Sole di maggio fece scintillare il suo occhio di vetro, e si riflesse sulla cicatrice che gli arrossava il cranio. - Lo vedrai.

Intanto, da una finestra della veranda si era affacciato anche Florian, come al solito indaffarato in cucina. Salutò il gruppo con una mano sporca di farina, ed Eddie vide il suo volto barbuto aprirsi in un sorriso. Nonostante gli avesse detto come tutta quella barba lo facesse assomigliare a un orso, lui insisteva a non tagliarla, sospettava Eddie solo per scherzare con Eve, che spesso si avvicinava a tirargliela per gioco.

Quando anche Ian giunse nel cortile, il gruppo lo salutò calorosamente. Eve fece sfiorare il proprio grembo anche a loro, sperando che il bambino si facesse sentire un'altra volta. Lui e Ian aiutarono gli ospiti a scaricare qualche scatolone, posando tutto sulle scale di legno della veranda.

- Mi spiace portarvi sempre le stesse cose - disse Liese, rimasta in disparte assieme a Eve. - Purtroppo non sono molti gli alimenti in grado di conservarsi senza corrente.

- Non devi preoccuparti. Ci fate già sin troppi doni - la rassicurò Ian, con la fronte imperlata di sudore.

- A proposito di doni - spuntò Klaus, esibendosi ancora una volta in un ghigno. - Ho qualcosa per voi.

L'uomo fece il giro del furgone, quatto. Loro lo seguirono incuriositi, attratti come api sul miele. Klaus aprì le doppie porte del camioncino, svelando un oggetto laccato di nero alto sino al tettuccio, che scintillava leggero raccogliendo la luce esterna.

- Il pianoforte del Lethe - sussurrò Ian, in contemplazione.

- Proprio lui - rise l'uomo, stampandogli una pacca sulla spalla. - Lì sotto non lo suonava più nessuno, e così ho pensato di portartelo. L'ultima ottava è ancora andata, ma per il resto funziona perfettamente.

Florian li strinse tutti in un abbraccio sbilenco, felice come un bambino. Si voltò verso Klaus, ancora incredulo. - Come... Come hai fatto a portarlo via?

- Con tanto olio di gomito - disse l'omone, incrociando le braccia. - E sfruttando l'entrata senza scale. Ma per fortuna Seth e gli altri mi hanno dato una mano.

- Seth? - chiese Ian, sgranando gli occhi. - Siete riusciti a rintracciare il gruppo del raid?

- Solo alcuni - rispose Liese. - Di mia nipote e di Yae non c'è ancora traccia. Jay e Dev invece stanno bene, e hanno creato un'associazione di LaBo. Senza la Chiesa, molti di loro non sapevano dove andare. Inoltre, alcuni dei ragazzini rapiti da Oliver desiderano ritrovare i propri genitori biologici, e anche Seth presto partirà per farlo.

Ian annuì gravemente. - Mi sembra giusto. Spero davvero che ci riescano.

- E tu? - chiese Klaus, con un cipiglio curioso. - Non vorresti ritrovare qualche caro disperso?

Eddie ci mise alcuni secondi a capire che si stesse rivolgendo a lui. Si grattò leggermente il naso, sbirciando Florian con la coda dell'occhio.

- No. Ho l'unico genitore che desidero - mormorò, arrossendo. - Anche se effettivamente c'è una persona che vorrei rivedere.

Klaus inclinò il capo, e lui si affrettò a continuare.

- Mi hai detto che li avete... Prelevati tutti, prima di incendiare il Laboratorio. Vorrei solo ringraziare Saryu un'ultima volta.

Elsinore gli mimò una risposta. - Sì, l'abbiamo fatto. Le sue spoglie si trovano a Marwoleth, insieme a quelle di Iris, di mio padre e di... Willas.

Il suo sguardo color autunno si adombrò, e Ian riprese la parola. - Lo immaginavo. Ma tornare a Malthesia è ancora troppo pericoloso... Daremmo troppo nell'occhio.

Eddie registrò il suo volto esitante, ricordando come una volta gli avesse espresso la volontà di recarsi in città per mettersi alla ricerca di Dianne, anche se poi aveva desistito subito, adducendo la motivazione di volersi occupare di Eve. Tuttavia, sospettava che una parte di lui temesse solo di scoprire di aver inventato davvero l'esistenza della donna. Dal canto suo, aveva riflettuto molte volte su quanto, oltre che per salutare Saryu, avrebbe voluto recarsi a Marwoleth per cercare la lapide di Rein, anche se non aveva idea di dove Iris l'avesse seppellito.

- Potremmo provarci un po' alla volta - annunciò Klaus, allargando le braccia. - Eddie può venire, se vuole. La situazione in città si è calmata, un'incursione di qualche ora non sarà pericolosa. L'unico problema è che io dovrei visitare Evie, e non basterebbe il tempo per andare e tornare di nuovo.

- Non c'è problema - ribatté lui, indicando il furgone. - Posso andare anche da solo. Non dovrebbe essere difficile, da guidare.

Ian gli si avvicinò, preoccupato. - Non è quello il punto, Eddie. La strada è molto lunga, e tu l'hai vista una volta sola, tre mesi fa. Se tu non dovessi tornare entro stasera, Eve...

- Sarò qui entro cena. Non la farò preoccupare, te lo prometto - gli disse, determinato. - E poi, ricordo perfettamente tutto il percorso.

Florian sussurrò un'altra protesta, e Klaus scosse la testa mormorando qualcosa sui LaBo e sulla loro dannata memoria. Non ci volle molto prima che i preparativi si concretizzassero, e lui salisse a bordo del furgone con uno zaino pieno di viveri e di strani arnesi per difendersi. Sperando di non doverne usare nessuno, salutò tutti calorosamente, mettendosi alla guida in quel mattino soleggiato.

***

Ci aveva messo tre ore per raggiungere la soglia di Malthesia, e aveva passato buona parte del pomeriggio a vagare per la zona A, sentendosi di nuovo lo stesso ragazzino che se n'era andato in giro con una maschera antigas dopo l'Incidente di ottobre.

Aveva oltrepassato il bar Hub24, fissando poi tristemente la loro vecchia casa. Nonostante sapessero che in quella situazione nessuno l'avrebbe mai acquistata, avevano comunque chiesto a Elsinore di affiggervi un cartello di vendita. Davanti al palazzo aveva intravisto un Quadrante spento, che ciondolava da un lampione come una foglia d'edera troppo cresciuta. Non era riuscito a incontrare molte persone, ma aveva constatato sorpreso come il passaggio delle rivolte risultasse visibile e allo stesso tempo attenuato. Tra le botteghe incendiate, alcune erano di nuovo aperte e funzionanti, con delle file di anziani ad attendere all'esterno. In quella città priva di macchie di verde, aveva scoperto un luccichio nuovo illuminare le persone, distinguendole dai volti di zombie che aveva potuto osservare sette mesi prima.

Un tramonto pallido era sceso a colorare la tela del cielo, rendendo il mondo simile a un rosato guscio di conchiglia. Eddie puntò lo sguardo sui numeri e sulle lettere olografiche che sormontavano le sezioni di Marwoleth, cercando di orientarsi alla buona. Com'era prevedibile, non aveva trovato custodi o Levatrici, e quindi non era riuscito a farsi consegnare alcuna mappa. Raggiunse la sezione S23 dopo sin troppo tempo, strizzando gli occhi per cercare il nome di Saryu. Quella zona sembrava essere un po' più ordinata delle altre, e c'erano addirittura delle zolle di terreno sintetico a punteggiarla. Fu su una di esse che riuscì a scorgere il nome della dottoressa, inciso su una lapide grezza incastonata nell'erbetta. Di fronte alla pietra grigia, tuttavia, notò una figura nascosta dalla penombra, seduta a gambe incrociate sulla zolla.

Eddie si avvicinò, mormorando un "buonasera" per segnalare la propria presenza. La sagoma si voltò, rivelando il viso contrariato di una donna sulla trentina. La sconosciuta lo squadrò da capo a piedi, prima di spostare di nuovo lo sguardo sulla lapide di Saryu.

Lui aggrottò la fronte. Posò il suo mazzo di fiori sintetici accanto alla pietra, silenzioso. Avrebbe voluto raccoglierne qualcuno in montagna, ma Ian gli aveva detto che sarebbe parso sospetto. Fece un sospiro leggero, prima di accomodarsi a sua volta. La donna continuò a esaminarlo con la coda dell'occhio, guardinga.

- La conosceva? - le chiese infine, senza voltarsi.

La sconosciuta tacque, ignorandolo di proposito. Infine assentì leggermente, facendo ondeggiare il suo caschetto di ricci arruffati.

- Sì. Era la mia psicologa.

- Capisco - le rispose, non sapendo cos'altro dire. Piantò gli occhi sui fiori finti, trovando i loro colori sin troppo sgargianti.

- Sembra che non siano venute molte persone a trovarla -, continuò.

La donna sbuffò. - Sarei venuta prima, se la Chiesa non me lo avesse impedito.

Eddie spiò il suo volto risentito, con una punta di curiosità addosso. - Cosa le è successo? - domandò, prima di pentirsene. - Se posso chiedere.

La donna lo scrutò coi suoi occhi blu mare. - Non darmi del "lei" - smozzicò. In qualche modo sembrò valutarlo.

- Mi avevano imprigionata senza motivo. Ma alla fine sono riuscita a scappare.

Eddie si lasciò bruciare dalla scintilla d'orgoglio che la pervase. Per un momento si domandò se dovesse crederle o meno; tuttavia, considerando ciò che Iris e la Chiesa avevano fatto a lui, non era poi una storia tanto inverosimile.

- Mi dispiace - mormorò, tenue. - Per fortuna che è riuscita... Che sei riuscita a dargli del filo da torcere.

La donna fece un sorriso amaro, abbandonando la sua espressione corrucciata. - Già. Anche se mi hanno portato via più di quanto io abbia fatto con loro.

Eddie accolse la sua smorfia sofferente come un masso nel petto. Pensò brevemente a cosa ribattere, salvo poi vederla sollevarsi in piedi, scrollandosi qualche filo d'erba finta dai jeans. Sentì una certa delusione: non gli sarebbe dispiaciuto parlare ancora un po', scambiarsi qualche ricordo di Saryu con una persona che le aveva voluto bene.

La sconosciuta mosse un passo fuori dalla zolla di terra. Lui concluse che sarebbe stato scortese cercare di trattenerla, e si rassegnò all'idea di lasciarla andare. Portò di nuovo lo sguardo sulla lapide, osservando le incisioni floreali che contornavano le date di Saryu. 2039-2091. Pensare che la donna che tanto aveva fatto per loro ora fosse solo un nome inciso sulla pietra lo fece sentire sin troppo a disagio.

- Ascolta - esordì a un tratto la sconosciuta, bloccandosi dietro di lui. - Tu sei un LaBo?

Eddie voltò il viso, stranito. - Sì. Sono del '73.

Lei parve riflettere un istante. - Studiavate astronomia, in Accademia?

- Certo. La studiavamo.

La donna indicò un punto nel basso orizzonte. - Allora dimmi come si chiama quella stella rossa.

Eddie si sollevò, cercando di seguire la traiettoria del suo indice. Il suo sguardo valicò l'accozzaglia di rimasugli religiosi di Marwoleth, piantandosi in alto. Squadrò il cielo scolorito dal tramonto, nel quale avevano iniziato a fare capolino alcuni punti luminosi, accendendosi come lampadine avvitate in sequenza.

- Quella è Antares - disse a mezza voce, trattenendo un sorriso. Peccato che Ian non abbia più il telescopio. - Fa parte dello Scorpione.

La sconosciuta annuì. - Questo lo so -, disse. Il suo tono si attenuò in un sussurro malinconico. - Era la sua preferita.

Lui si immobilizzò. Osservò di nuovo la figura della donna, come se la stesse vedendo davvero per la prima volta. Un flebile sospetto gli fece fremere il respiro, e per qualche motivo sentì il suo corpo farsi più pesante.

- Di chi... Di chi stai parlando?

La sconosciuta gli rivolse un'occhiataccia, come se lui avesse sbirciato qualcosa di segreto.

- Di nessuno che sia più in vita - sputò. - Arrivederci, LaBo.

Eddie sollevò una mano verso di lei, in automatico. - Aspetta. Dimmi almeno il tuo nome - pregò. - Io... Io mi chiamo Eddie.

La donna si voltò verso di lui al rallentatore.

- Eddie - ripeté, in un bisbiglio. - Eddie Mazur?

Il cuore gli mancò un battito. - Sì.

Non dissero altro. Si fronteggiarono a lungo, come incantati. I bulbi dei lampioni di Marwoleth avevano iniziato ad accendersi di soppiatto, contrastando sul cielo notturno come lanterne infuocate.

- Dianne - disse infine la donna, gettando fuori il suo nome in un fiato. Eddie ebbe l'impressione che non si presentasse in quel modo da molto tempo.

Si ritrovò a sorridere involontariamente, e una parte di lui avrebbe solo voluto stringerla in un abbraccio. Sentì gli occhi farsi acquosi, e fu sorpreso di notare la stessa cosa anche nello sguardo di lei.

- Vieni con me, Dianne - rispose, porgendole una mano. - Vorrei farti incontrare una persona.

***

La baita era immersa in un buio spesso come inchiostro. Gli unici bagliori che ne segnalavano la presenza erano quelli delle grezze lampade a olio che aveva costruito tempo prima, che oscillavano leggere sulla trave della veranda e illuminavano il vialetto fino alle scale di legno.

Eddie non fece in tempo a parcheggiare, che vide l'allampanata figura di Florian sollevarsi dalla panchina accanto alla porta, affacciandosi dalla ringhiera.

- Tu. Avevi detto "per cena" - iniziò, agitando debolmente un paio di cesoie ancora chiuse. Eddie rise all'idea che Ian avesse finto di potare le piante, probabilmente solo per aspettarlo all'esterno.

- Ci hai fatti preoccupare tantissimo. La prossima volta che vorrai scendere in città, ti ci farò scendere a calci nel...

Lo sportello del passeggero si richiuse con un colpo. Dianne ciondolò imbarazzata accanto al furgone, piantando il suo sguardo blu sulla veranda. Per un momento, su quella montagna non ci furono altri suoni al di fuori del vento leggero di maggio, che li avviluppava attutendo i loro battiti privi di Quadranti.

- Di... - mormorò Ian, paralizzato sulle scale.

Lei non rispose nulla. Eddie la vide sparire di scatto dal selciato, lanciandosi a correre verso la baita. Corse, e corse, come se ne andasse della sua stessa vita. Florian lasciò cadere le cesoie in un tonfo, e se la ritrovò avvinghiata addosso. Dianne cominciò a tempestarlo di pugni sul petto, feroce e viva come un cuore pulsante.

- Stronzo... Stronzo... - iniziò a cantilenare, in lacrime. Lui perse l'equilibrio e caddero entrambi a terra, picchiando coi gomiti sul pavimento. Florian allargò le braccia attorno a lei, interdetto. La carezzò piano, tastandole la schiena come se avesse avuto paura di rovinarla. Come se avesse temuto di disintegrarla tra le proprie dita. Infine serrò le braccia sul suo corpo, attirandolo a sé, incastonandoselo dentro.

Dianne gli artigliò i capelli, incurante dei singhiozzi che le spezzavano il fiato. - Mi avevano detto che eri m-morto.

Ian fece la stessa cosa, affondando le dita tra i suoi ricci. - Mi avevano detto che non esistevi.

Lei si aprì in una risata leggera, tremando nell'incavo del suo collo. - Touché.

Eddie si avvicinò alle scale, incrociando le braccia soddisfatto. Li osservò continuare a tremare l'uno stretto all'altra, incapaci di staccarsi o di proferire altre parole. Intanto, dalla porta della baita avevano iniziato a fuoriuscire il resto dei loro ospiti. Vide Eve sgranare gli occhi, e correre a nascondersi timidamente dietro la figura di Liese.

Dianne alzò il viso su di loro, notando immediatamente la ragazza incinta. Posò uno sguardo allibito su Florian, senza smettere di passargli le dita sul viso.

- Ma che cazzo...?

Ian sorrise, luminoso. - È una lunga storia -, disse semplicemente. Ancora spalmato per terra, le afferrò una mano con delicatezza, posandole un piccolo bacio sul dorso.

- Che ne diresti di rimanere per cena?





Angolino

Come sono cheesy, oh mio dio... Ma, "sti cazzi" (come direbbe Dianne).

Per quanto riguarda il resto... Sì, lo so, Dianne è salita in auto con un ragazzino sconosciuto e ben piazzato, e ha viaggiato con lui per tre ore verso una montagna buia... So che se ne fotte del buon senso, ma questo sarebbe troppo anche per lei! C'è una spiegazione, ma piazzarla in questo contesto sarebbe stato anticlimatico, quindi verrà detta nel capitolo 99. Cercherò di pubblicare un po' più in fretta (anche perché non vedo l'ora di finire anche qui). Stay tuned ;-)

Bonus:

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