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⁸⁰. 𝘋𝘦𝘷𝘪𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦

Quando Xander era sgusciato nella stanza per la fisioterapia, Eddie si era sentito pervadere solo da uno strisciante senso d'errore. Come se di fronte a lui ci fosse stato non solo qualcosa di inaspettato, quanto piuttosto di profondamente sbagliato.

Per un po' si fece giostrare dallo stupore, lasciando che l'uomo procedesse a legargli con cura le imbracature. Si trattenne dal chiedere alcunché, assaporando il silenzio tombale che si era addensato nella stanza, nullificando ogni pensiero.

– Dov'è Saryu? – chiese infine. Ancora una volta, si curò troppo tardi di non aver chiamato la dottoressa Kumar per cognome.

Vide Xander rivolgergli un'occhiata indecifrabile, scorgendola nello specchio che avevano di fronte. Gli parve di coglierlo vacillare, come un'esausta radice sul ciglio di un burrone.

– Oggi la sostituisco io – rispose, stringendo uno dei legacci attorno al suo busto con più forza del dovuto.

Eddie sentì l'aria strozzarsi nei polmoni, ma si costrinse a non emettere alcun suono.

"Oggi". Nonostante tutto, quella parola non riuscì affatto ad attenuare le sue ansie. Nella sua mente si riaffacciò il ricordo dello sguardo di Jonas, quando aveva visto Saryu abbracciarlo. Uno sguardo che aveva cantato una muta vittoria, avvinghiandola alla mal celata compassione dimostrata dalla sua collega.

Eddie appoggiò i piedi sul tappeto mobile, accorgendosi solo di sfuggita di quanto fossero più saldi del previsto.

– Quando tornerà? – chiese, prima di riuscire a fermarsi.

Xander stette in silenzio, facendo rimbalzare lo sguardo su qualunque cosa non fosse lui.

Non tornerà.

Lesse quelle due parole nei colpevoli occhi castani dell'uomo, notandoli velarsi di un certo rammarico. Prima ancora di riuscire a razionalizzarlo, sentì una sensazione sconosciuta farsi strada nel petto. Un groviglio di disperazione, euforia e acredine sfumate assieme, come nel quadro dipinto da un folle. Non tornerà, si disse ancora una volta, sentendo una risata alienante spaccargli le viscere, accompagnando i conati.

Non tornerà perché l'hanno uccisa. E l'hanno uccisa perché ti ha aiutato.

Eddie sollevò lo sguardo sullo specchio, rimanendo turbato dalla propria stessa paura.

E adesso uccideranno anche te.

Poco prima che potesse accasciarsi al suolo, distrutto da quell'idea, sentì la mano di Xander posarsi saldamente sulla sua spalla, trattenendo anche la sua psiche. Eddie staccò gli occhi dal proprio viso, rivolgendoli invece a quello dell'uomo dietro di lui, scrutandolo davvero forse per la prima volta. Il suo volto appariva leggermente corrucciato, uno sguardo che mal si addiceva alla sua mastodontica figura.

No, ragionò, sentendo la propria coscienza rimproverarlo, colorandosi del tono sprezzante della voce di Rein. No che non ti uccideranno, stupido.

Era vero. Quella parte della sua mente che aveva parlato con la voce del LaBo aveva ragione. Anche se era consapevole di aver dato a Iris ciò che voleva, lasciando che lei lo violasse come non era mai stato violato, probabilmente non aveva ancora smesso di essere utile per il Progetto. Ormai conosceva la dottoressa Svart abbastanza bene da sapere che, se l'avesse davvero considerato inservibile, non si sarebbe mai impegnata a tenerlo in vita, né tantomeno a fargli seguire delle sessioni di fisioterapia.

Eddie si lasciò riallineare da quel pensiero, riprendendo a camminare sul posto. Osservò Xander con la coda dell'occhio, pensando a come la sua presenza non fosse altro che la prova che Iris non aveva finito con lui. Si sentì invadere da un sottile filo d'energia, simile a una marionetta sbilenca strattonata verso l'alto. Il chirurgo sembrò ignorare il tumulto che si stava consumando all'interno della sua mente, e continuò a registrare i suoi progressi con ostentata indifferenza.

Iris gli aveva creato un vuoto attorno, lasciandolo a sgualcire come un fiore nel deserto. Ma, se c'era una cosa che la Chiesa del Giudizio aveva trasmesso ai LaBo, era la capacità di cavarsela da soli. Il Regime li aveva privati di ogni tipo di affetto e di ogni possibile aiuto. Li aveva costretti a sostenere la loro decadente società, sfruttandoli e torcendoli come fragili elastici, sin quando non ci sarebbe più stato bisogno di loro.

Ci hanno voluti forti per servirli, disse ancora Rein, sussurrando dai filamenti di un ricordo. Ma quella forza che ci hanno imposto rimane nostra.

Eddie si perse in quella fantasia, socchiudendo gli occhi per materializzare il ragazzo davanti a sé, più che per aiutarsi con l'equilibrio. Se lo figurò sorridere spavaldo, porgendogli l'uncino di metallo che aveva sottratto con estrema fatica alla rete del materasso. Immaginò le sue dita sottili schiudergli le mani ruvide, posandogli quella piccola arma al centro dei palmi. Aveva sfiorato le mani di Rein una sola volta, il giorno del disastro, eppure la sua memoria tattile aveva marchiato a fuoco ogni loro rilievo, ogni loro valle.

C'è sempre almeno un'opzione, gli disse Rein, tranquillo.

Per fare cosa? Si scoprì a rispondergli.

Ma è ovvio, disse il ragazzo. Per uscire dal gioco.

Eddie si bloccò a metà di quel pensiero. Uscire dal gioco. Ormai non voleva altro. La prigionia l'aveva stremato, e ciò che Iris gli aveva fatto fare gli aveva cauterizzato ogni traccia d'orgoglio, dimostrandogli quanto la donna potesse disporre della sua vita a proprio piacimento. La scomparsa di Saryu non era che la goccia giunta a far traboccare il vaso, la miccia pronta a farlo esplodere come una supernova.

Tuttavia, non avrebbe seguito le orme di Rein, non del tutto. Il disprezzo per Iris glielo impediva, frapponendosi tra lui e il proprio annichilimento come uno spesso muro di fango. No: ciò che voleva non era l'autodistruzione, ma il suo contrario. Avrebbe distrutto la dottoressa Svart, come lei aveva distrutto tutti loro. Avrebbe smontato tutto ciò in cui credeva, pezzo dopo pezzo. Prima ancora di sottrarsi dal Progetto, avrebbe sottratto il Progetto dal mondo.

Sotto i colpi di quei pensieri, Eddie si sentì deragliare verso il sin troppo conosciuto binario del proprio odio. Cercò di plasmarlo, di saggiarne la viscosità. Lo sentì insinuarsi nella sua pelle, consumando la fiammella della sua coscienza. Come in una muta lotta, percepì quella luce dibattersi, implorarlo di mantenere la presa. Sino a quando, una scintilla alla volta, non si spense del tutto.

Non sarò solo io ad affondare, pensò. Sarà l'intera nave.

Eddie chiuse gli occhi, osservando le piccole venature rosse delle proprie palpebre illuminarsi di riflesso al bianco che lo attorniava. Probabilmente Xander avrebbe preso quel gesto come una regressione, ma la cosa sarebbe andata solo a suo favore. Conosceva il proprio corpo meglio di chiunque altro, e non aveva bisogno dei macchinari per sapere quanto la sua stabilità stesse migliorando. E così, in uno sprazzo di rinnovata lucidità, si costrinse persino a fingere un leggero disequilibrio. Meglio che non sappiano che fra poco riuscirò a camminare di nuovo.

Il resto della sessione di fisioterapia procedette senza intoppi. Xander si congedò da lui dandogli una lieve pacca sulla spalla, che ora, a mente finalmente rischiarata, riusciva a vedere per ciò che era davvero: un simbolo di dubbio, di ripensamento. Anche lui non è d'accordo con ciò che hanno fatto a Saryu. Forse quella goccia di compassione sarebbe stata un'altra freccia per il suo arco.

Quando il chirurgo lo depositò nuovamente in camera sua, Eddie fece forza sulle braccia per liberarsi dalla sedia a rotelle, traslando pesantemente il proprio corpo verso il letto candido. Salutò la telecamera con un'occhiata storta, simulando una nota sofferente nella propria espressione. Una volta sdraiatosi, lasciò che un tremore continuo e soffuso gli sconquassasse il corpo, sperando che le lenzuola non restituissero quegli spasmi di sentimenti contrastanti allo sguardo di Iris.

Il primo passo per realizzare il suo nuovo piano sarebbe stato riavvicinarsi alla dottoressa Svart, per poi spingerla a farlo parlare di persona con Eve. E, per riuscirci, avrebbe fatto l'accondiscendente, ammantandosi di vergogna e di mortificazione. Avrebbe tentato il tutto e per tutto, sfruttando la propria posizione di cavia dell'umanità. Mentendo e manipolando, proprio come Rein. Se contrastare Iris non era servito a nulla, allora l'avrebbe assecondata.

Dopo quello che gli parve un tempo interminabile, slittò fuori dalle coperte, trascinandosi goffamente sul pavimento. Mosse tre gattoni sbilenchi, sino a sedersi di fronte al vetro che lo separava da Eve, e che, da quando lei aveva ricordato il proprio vero nome, ne celava ostinatamente l'immagine, acuendo la sua solitudine. Posando le dita sulla superficie gelida, pensò agli occhi grigi della ragazza, nascosti davanti a lui, e a quelli neri di Iris, nascosti sopra di lui. E fu verso la telecamera nell'angolo che decise infine di rivolgersi.

Eddie si schiarì la voce, spezzando la calma irreale in cui era immerso.

– So che mi stai guardando – disse, immobile. – Ho deciso di collaborare.

***

Iris aveva ancora addosso gli stessi vestiti del giorno precedente, e il suo sguardo era ricolmo di un sentimento che Eddie non sapeva come interpretare. Aveva le unghie spezzate sulle punte, e sembrava quasi che avesse cercato di nascondere le sue spesse occhiaie con qualche strato di trucco di troppo.

La osservò in silenzio, senza scomporsi. Una volta smesso di temerla, era incredibile quanto quella donna riuscisse ad apparire vulnerabile. Nonostante quell'impressione, sapeva bene che avrebbe dovuto essere estremamente cauto con lei. Rimaneva comunque l'affilata imitazione di un essere umano.

– È ridicolo – esordì Iris, sbuffando. – Non ti aspetterai che io ti creda.

Eddie sollevò il viso sul suo, cercando di tenerle testa. – Non me lo aspetto. Ma è la verità.

La dottoressa Svart fece roteare una penna tra i ramoscelli delle sue dita, pensosa. Era la prima volta che lo visitava nella sua camera, da quando si trovava all'interno del Laboratorio. L'effetto era tanto straniante, quanto naturale: in fondo, lei riteneva che ogni cosa lì dentro le appartenesse. Compresa la sua vita.

– Perché? – gli chiese la donna, scrutandolo. – Perché vuoi collaborare proprio adesso?

Eddie stette in silenzio, ponderando i pensieri. Sapeva di non poterla convincere immediatamente, ma sapeva anche che da quella prima risposta sarebbe dipeso sin troppo.

– Per via di quello che è successo – disse, remissivo. Almeno questa non è del tutto una bugia.

– Parli di quello che hai fatto a Eve? – rispose lei, tagliente. Lui si morse l'interno della guancia, trattenendo l'impulso di rinfacciarle ancora una volta come tutti i dolori di Eve non fossero che causa sua.

– Sì – ribatté, impassibile. – Non volevo che arrivasse a farsi del male, quando le ho detto quelle cose. Ho fatto un errore.

Iris lo scandagliò coi suoi occhi inchiostrati, saggiando il peso delle sue parole. Eddie, al contrario, mantenne lo sguardo basso, impedendole di scorgere le scintille di rabbia che lo animavano.

– Mi fa piacere che tu te ne sia pentito – disse la donna, sogghignando. – Ma dovrai fare ben altro per convincermi della tua sincerità. Potresti avere in mente qualsiasi cosa. Una fuga, per esempio.

Iris si intrecciò le mani in grembo, permettendogli di scorgere delle lievi ferite deturparle i polpastrelli, come se avesse tirato le pellicine sino a farsi sanguinare la pelle. Quella vista gli ricordò le cicatrici di Florian, e la cosa non fece altro che aumentare la sua rabbia.

– Dove vuoi che vada? – le chiese, spavaldo. – Sono geolocalizzato, ricordi? Sei stata proprio tu a volerlo. Inoltre, non riesco a camminare, e questo Laboratorio è iper sorvegliato. Non posso fare assolutamente nulla.

Eddie strinse i pugni, lasciando che un barlume di sdegno trasparisse all'esterno. Seppur quelle parole facessero parte del suo piano per convincere Iris, era innegabile che, in parte, corrispondessero alla verità.

– Quindi è per questo che vuoi collaborare? – chiese lei, sollevando un sopracciglio. – Perché sai che non riuscirai a uscire da qui?

Lui si compresse su se stesso, leggermente spiazzato da quella domanda. Non fa nulla, disse la voce di Rein. Volgila a tuo favore.

– Sì – disse, assecondando l'istinto. – Avete costruito la mia vita mattone per mattone, senza il mio consenso. Resistere è inutile, ormai l'ho capito. Ma, finché sarò qui, vorrei almeno essere trattato come un essere umano.

Iris osservò il suo sguardo colorarsi di vergogna, la stessa che aveva provato il giorno prima, quando lei gli aveva portato via la dignità. Odiò ammettere quanto quello sguardo non fosse del tutto menzognero. Credi questo, Iris. Credi pure che io collabori per farti stringere attorno a me una prigione dorata.

– Allora è per questo. Beh, dopo quello che hai fatto a Eve, non pensare che per me sarà facile mostrarti compassione e cortesia. Se tu dovessi scoperchiare ulteriormente la sua Zona Oscura, i danni sarebbero irreparabili.

Lui colse un'apertura. – Allora mettimi alla prova – disse. – Lasciami parlare con lei. Tornerò sui miei passi, le dirò che mi sono sbagliato.

– Questo non posso farlo – ribatté, acida. – Non ancora, perlomeno.

Eddie trattenne il fiato. "Non ancora".

– Che significa? – chiese, col cuore in gola.

Iris sbuffò, stizzita da quella domanda. – Significa che, da quando avete parlato ieri, non fa che chiedere di te.

Lui rimase interdetto, valutando con cura quelle parole. Non aveva affatto considerato che anche Iris potesse avere interesse a fargli riallacciare i rapporti con Eve, né che Eve potesse voler avere dei contatti con lui. L'idea che l'avvicinamento potesse provenire anche dall'altro lato gli provocò un breve senso di trionfo, così come la realizzazione che, per la prima volta, Iris stesse esternando un qualcosa che non aveva previsto nei comportamenti della ragazza.

– Per favore – sospirò, a mezza voce. – Lascia che io le parli. Lascia che io ripari ai miei errori. – Sentì quanto il suo tono trasudasse sofferenza, e si scoprì a non doversi neanche sforzare per simularla. – Se è vero che lei dovrà portare in grembo i miei figli, voglio che abbia un bel ricordo di me... Qualunque cosa mi debba accadere dopo.

Di colpo, vide Iris sgranare gli occhi. Probabilmente la donna non si aspettava che lui avesse già compreso che, una volta divenuto inutile, lei lo avrebbe eliminato dal Progetto, eliminandolo anche dal mondo. Forse vedere le proprie carte venire scoperte in quel modo l'avrebbe messa in allerta, ma in quel momento decise di non curarsene, continuando invece il proprio discorso.

Strinse le lenzuola, sentendo i muscoli delle braccia gonfiarsi di bile. – Non voglio essere la persona che l'ha trascinata sul fondo di un baratro. Voglio solo capirla, essere qualcosa di bello per lei. Lascia che l'aiuti. Ti supplico.

Iris scollò lo sguardo dai suoi occhi sinceri, e per un istante parve nascondersi dietro ai suoi capelli neri, a tratti striati da qualche ciocca bianca. Eddie la osservò senza perdere un battito, tenendo l'intero corpo in tensione, e pensando alla maglia di ferro nascosta a qualche metro da loro, tra il materasso e la trabacca. Sentì quella piccola arma pulsare e contorcersi, chiamandolo con la sua voce affilata.

La dottoressa Svart emise un breve sospiro, sollevandosi dalla sedia. Il camice ondeggiò dietro di lei, accompagnandola fuori dalla porta.

– E va bene, Edin. Ci penserò.

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