². 𝘊𝘰-𝘢𝘣𝘪𝘵𝘢𝘯𝘵𝘪
Il palazzo in cui abitava era un fabbricato semivuoto dedicato una volta ad alloggiare gli studenti. Da qualche decennio avevano invece preso a sistemarvisi dotti di ogni disciplina teorica, e lui si sentiva una sorta di "infiltrato".
La sua casa era al terzo piano e affacciava sia sulla strada che sul cortile interno. In tutto non occupava neanche settanta metri quadrati, ma a lui andava bene così. Nonostante accumulasse diversi oggetti d'epoca, gli piaceva vivere in uno spazio piccolo. Inoltre, da cinque anni a quella parte riusciva finalmente a far quadrare le spese, grazie alla messa in affitto della sua camera in più.
Florian salì le scale e infilò la tessera di riconoscimento nel pesante portone di legno.
Nonostante l'ascensore funzionasse perfettamente, decise di fare due passi a piedi, per evitare ancora una volta di essere rimproverato dal suo co-abitante per il proprio scarso impegno nell'attività fisica. Dopo aver strisciato nuovamente l'ID entrò in casa, dove fu accolto da un rumore di trapano elettrico.
– Che combini? – domandò Florian, facendo capolino dalla porta della cucina. Gli risposero solo altri rumori.
– Che stai facendo? – chiese con più forza.
La testa bionda con i capelli raccolti a coda di cavallo si girò, rivelando una maschera di ferro con delle finestrelle per gli occhi, che mandavano lampi azzurri dal di sotto. Il ragazzo fermò l'apparecchio e si tolse la protezione dal viso, scoprendo una fronte imperlata di sudore.
– Sto aggiustando il tuo videolettore.
– Credo che tu stia finendo di romperlo – rispose Florian. – E comunque funzionava.
– Lo so, infatti l'ho rotto io.
Florian sospirò. – Fammi indovinare. Ci hai messo la musicassetta piccola.
– Ero sovrappensiero – rispose il ragazzo, sulla difensiva. – E poi non sapevo che quella piccola non la leggesse. Se tu usassi la tecnologia delle persone normali... Questo ha almeno duecento anni – continuò, sventolando lievemente l'oggetto che teneva in mano.
Florian sbuffò e si mise a frugare nello scaffale accanto alla porta. Gli lanciò una scatoletta nera, che fu prontamente afferrata. – Duecento anni, che esagerazione. È questo che devi usare, Eddie, questo...
Eddie si rigirò il walkman tra le mani, iniziando a studiare l'oggetto e soprattutto a resistere alla voglia di smontarlo interamente. Si grattò la testa con le dita affusolate, mentre Florian toglieva il cappotto e passava in rassegna la cucina.
Notò che il co-abitante aveva lavato i piatti del pranzo, ma decise di non ringraziarlo per evitare di essere tacciato di paternalismo. Il trattamento "alla pari" era una condizione espressamente richiesta da Eddie sul contratto di locazione, e Florian faceva del suo meglio per rispettarla.
Tempo prima il ragazzo lo aveva rimproverato perché insisteva a fare la spesa per entrambi, nonostante il ristorante in cui Eddie lavorava lo pagasse meno di 600 dollari. Dopo molte discussioni, tuttavia, Ian era riuscito a spuntarla. Considerava l'aiuto economico una sorta di "ringraziamento" per avere intorno qualcuno che gli facesse dimenticare di sé stesso per qualche ora al giorno.
– Oggi ti hanno mandato via prima – disse al ragazzo, facendo più una constatazione che una domanda.
– Già. Tu invece sei in ritardo – rispose Eddie.
– Mi hanno fermato i Sorveglianti.
– Sempre il solito Willas?
– No, c'era un collega nuovo con lui.
– Capisco. Nessun problema per la tua... Condizione, vero? – continuò Eddie, evitando di guardarlo in viso e arrendendosi alla voglia di smontare il walkman.
I suoi muscoli guizzarono velocemente mentre staccava le placchette di plastica col cacciavite. Il ragazzo aveva delle braccia scolpite nel marmo, e non aveva esitato a riempire la casa di attrezzi da ginnastica di vario genere. Aveva persino rimediato un vecchio sacco da boxe, che se ne stava ammaccato al centro della sua camera.
– Per fortuna no. Posso cavarmela – rispose Florian, accennando un sorriso stanco. – Piuttosto, tu perché sei tornato prima? – chiese infine, sviando il discorso. Non gli piaceva discutere del suo status di Attenzionato, soprattutto perché era stato proprio Eddie, anni prima, ad attirare l'occhio dei Sorveglianti su di lui. Florian sapeva quanto il ragazzo si sentisse in colpa per questo, ed evitava l'argomento ogni volta che gli era possibile.
– Mi hanno congedato per "permettermi di festeggiare a pieno regime", e anche per "avere il tempo di rendermi un soggetto presentabile", o almeno così ha detto il mio capo – rispose Eddie, alzando le spalle.
Florian accennò un altro sorriso, che si spense subito dopo aver ricordato quale fosse la ricorrenza da festeggiare. Non gli era successo di pensarci per tutta la giornata, e sentì come se una bolla di ansia gli stesse crollando addosso dal soffitto. Sospirò, gettandosi sul divanetto che avevano piazzato in cucina per degli ospiti inesistenti.
– Quindi non va neanche a te – disse Eddie lanciandogli il walkman, che per fortuna fu afferrato al volo.
– Molto. Ma la partecipazione è obbligatoria. E anche se non lo fosse, se non scannerizzassimo la ID come partecipanti ci farebbero tante di quelle domande da sommergerci sino al prossimo Anniversario dell'Espiazione. E se c'è una cosa che odio...
– ...Sono le domande inutili – Terminò Eddie. Guardò Florian di sottecchi, con una punta di compassione. Sembrò esitare un momento, prima di fargli la domanda che probabilmente si stava tenendo dentro da un po'.
– L'hai vista anche oggi, vero? – gli chiese, in un fiato.
– Mmh – mugugnò Florian, fissando il soffitto.
Eddie mollò il cacciavite con cui stava giocando e prese un respiro. – Hai bisogno di una persona che ti gironzoli attorno anche in biblioteca, Ian. Un collaboratore, un'androide, chiunque.
Florian non rispose, continuando a fissare il soffitto con uno sguardo assente. Ricordò quando, molto tempo prima, Eddie lo aveva sorpreso a parlare da solo. Ricordò la sua confusione, e le spiegazioni che aveva dovuto dargli. Si costrinse a scacciare quel pensiero dalla testa, imbarazzato.
– E hai anche bisogno di tagliare i capelli. Non ti si vede la faccia – aggiunse Eddie, sdrammatizzando.
– Da che pulpito – gli rispose sorridendo, spostando finalmente lo sguardo dal soffitto. – Vatti a cambiare, sembri un meccanico. E anche i tuoi capelli hanno bisogno di una sistemata. Non avrei mai dovuto farti vedere quei giornali.
Qualche anno prima, Eddie aveva iniziato a farsi crescere i capelli per assomigliare ai musicisti che gli aveva mostrato Ian su delle vecchie riviste di musica metal. Nessuno gli aveva specificato che avrebbe attraversato una fase di fastidioso mullet, né che i suoi capelli sarebbero stati lisci come spaghetti e non vaporosi come quelli del bassista ritratto in foto. Perlomeno Eddie era riuscito a mutuare il suo soprannome dalla mascotte della band.
Il ragazzo iniziò a sistemarsi i capelli davanti allo specchio, fischiettando una canzone. Legò la chioma in uno stretto chignon, dal quale continuarono comunque a fuoriuscire fili di capelli dorati.
– Senti, Ian... Non è che strisceresti tu la mia carta ID? Lo sai che per me è un evento infinitamente seccante...
Florian non poté fare a meno di notare che Eddie non assumeva quasi mai quel tono supplichevole. Gli celò che avrebbe voluto fargli a sua volta la stessa richiesta. Tuttavia, nonostante sapesse cosa quel giorno significasse per i giovani come lui, si trovò a dover rifiutare come sempre.
– Lo so... Ma ormai tutti sanno chi sei. Fai uno sforzo, ignorali e vedrai che andrà tutto bene. Dovrebbe essere una giornata felice. – Tuttavia lui stesso non ne era molto convinto.
Poco prima delle venti i due si riversarono in strada, aprendo i loro ombrelli ad aria compressa sotto la pioggia sferzante.
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