Capitolo 0: 15 maggio 1989
Detesto le storie che cominciano con il protagonista che presenta sé stesso al lettore, le detesto dal profondo del cuore, ma questa è una storia piena di cose che detesto e non trovo modo migliore di cominciarla se non con:
Io sono Valeria.
E tu sei nel mio diario, nella mia storia, nella mia testa, nel mio vaso di Pandora.
Preparati mio caro sventurato lettore perché non sarà una bella storia quella che stai per leggere, ma servirà per spiegarti come sono arrivata a questo punto e perché sono ciò che sono.
Quindi mettiti comodo e preparati ad apprezzare la normalità della tua vita.
Sono nata il 15 maggio del 1989 in una città della Campania, dopo trentasei lunghissime e dolorosissime ore di travaglio, alle 10 e qualcosa del mattino e dopo nove mesi di mal di schiena lancinante e continue nausee, in cui mia madre non sopportava neanche l'odore dei mobili che c'erano in casa.
Sin da subito, quindi, si è capito che il rapporto con lei sarebbe iniziato con il piede sbagliato e che sarebbe stato caratterizzato da un imperituro alternarsi di amore e odio. Sono sicura che quel giorno mi abbia maledetta in tutte le lingue a lei conosciute e forse anche in qualcuna a lei ignota, eppure ... appena mi vide fu la prima a innamorarsi dei miei occhi grigio azzurri, così diversi dai suoi color cioccolato.
Era il sogno della sua vita, che io fossi tutto ciò che lei non era mai stata, che io riuscissi in tutto ciò in cui lei aveva fallito, che io fossi ciò che non aveva potuto essere. Tuttora mi chiedo se avesse voluto una figlia o solamente rinascere. Ero perfetta, ero esattamente come lei mi voleva: capelli biondi, occhi chiari, pelle diafana, sguardo vispo e intelligente ... la bambina più bella di tutto il reparto, il suo capolavoro, uno dei suoi successi, colei che sarebbe diventata perfetta, a sua immagine e somiglianza.
Infatti, la prima cosa che fece non appena fu in grado di farlo, fu litigare con i miei nonni paterni, che prontamente insinuarono l'impossibilità per me di mantenere quei tratti di cui lei andava così fiera e che aveva desiderato che possedessi per tutta la gravidanza.
"I bambini così piccoli sono tutti biondi e con gli occhi azzurri," aveva insinuato mia nonna, "ma vedrai che si scuriranno con il tempo, proprio come è accaduto con mio figlio e con te. Nessuno di voi due è biondo e con gli occhi chiari, lei non può averli."
Eh, cara nonna, se solo avessi studiato Darwin avresti saputo che le leggi della genetica e il risentimento di mia madre sono in grado di consentire questo e altro.
Nonostante mia nonna, ho mantenuto quei tratti, per la grande soddisfazione di mia madre.
E mentre io cercavo di capire cosa diavolo fosse accaduto e perché mi avessero strappata dalla comodità e tranquillità della mia precedente dimora, mia madre, giovane ventitreenne piena di energie, stava già litigando con la povera infermiera di turno quel giorno.
Sosteneva che il mio ficcarmi qualunque cosa in bocca, con solo poche ore di vita alle spalle, non fosse disappunto, ma fame. Dal canto suo, la povera malcapitata cercava di spiegarle che i bambini non nascono affamati.
Non so chi delle due alla fine l'abbia spuntata, ma conoscendola credo si tratti di mia madre. Fatto sta che al fastidio della nascita si è unito quel fastidioso insieme di rumori, litigi e imperativi che, sono certa, mi abbiano fatto rimpiangere ancora di più il cambio di residenza.
Le cose peggiorarono notevolmente quando tornammo a casa. Sin dal mio primo respiro ho capito di essere una persona abitudinaria, affezionata alla propria routine, e in meno di una settimana avevo cambiato casa già due volte e continuavo a vedere volti sfocati sempre diversi che si affacciavano in quella odiosa culla e altre urla di mia madre che ammoniva tutti di non toccarmi e di non avvicinarsi.
Credo sia stata lei a trasmettermi la repulsione per la socialità e per i contatti umani. Mi sono nutrita di negatività sin da subito, visto che a mia madre presto mancò il latte e questo la rese ancora più nervosa.
Ammetto che forse la mia insonnia e il mio continuo pianto non abbiano aiutato poi molto a preservare il suo equilibrio mentale. Si sentiva sola, non sapeva bene cosa fare e come comportarsi con me, era spaventata e stanca, ma io avevo solo pochi giorni, insomma non poteva pretendere certo che fossi io a capire lei, neanche capivo me stessa ancora!
Sapevo solo che il posto in cui ero non mi piaceva, mi toccavano continuamente, mia madre gridava, c'erano solo estranei intorno a me, il cuscino si faceva continuamente caldo e nessuno me lo girava, non sapevo come farmi capire e manifestare il mio disagio ... e poi mi sentivo sola ... credo di essermi sempre sentita sola.
Poche settimane prima ero in un posto bellissimo, senza rumore, senza ansia, senza sbalzi termici, non conoscevo la fame e la sete, nè le coliche, non mi infastidivano i denti ... la la cosa più bella era ascoltare sempre quel battito ritmico. Il cuore di mia madre. Quel battito era così forte, equilibrato, regolare, era così rassicurante. Ero legata a lei direttamente con il cuore e poi d'improvviso quel cuore ha accelerato e io non l'ho più sentito. sono venuta al mondo e non c'era più battito. Sono nata, ma la vita non era come me l'aspettavo e a me quel battito mancava sempre di più.
"Non prenderla in braccio altrimenti non si abitua mai."
E più lei mi ignorava più io piangevo e urlavo il mio dissenso per le sue scelte. Mi era stato imposto tutto: il nome, i geni, le tutine, la culla, la nascita, tutto, persino il distacco da quel cuore di cui avevo morbosamente bisogno.
Ogni tanto mia madre mi prendeva per sfinimento e allora mi calmavo. Tutto era al suo posto. Certo non era il posto caldo e sicuro in cui ero prima, ma almeno c'era il suono del suo cuore e almeno per un pò potevo trovare pace e smettere di sentirmi sola e incompresa.
In realtà lei non capiva affatto questi miei pensieri e dopo alcuni giorni in cui mi rifiutavo di dormire lei e mio padre iniziarono a litigare.
Papà stava attraversando un brutto periodo, aveva ventiquattro anni e l'azienda di famiglia in cui lavorava da quando aveva quattordici anni era fallita, non avevamo un soldo e mia madre aveva lasciato gli studi per sposarsi e avere me. Papà si alzava tutti i giorni alle quattro del mattino e andava a scaricare i camion per cercare di portare a casa qualcosa e darci di che vivere e non poteva perdere quelle poche ore di sonno che aveva.
Mia madre dal canto suo combatteva con frustrazione, stanchezza, solitudine, incomprensione e un principio di depressione e non ne poteva più di continuare a perdere il sonno a causa mia.
Mi dispiace di aver creato loro tutti quei problemi, ma in quel momento i miei sembravano tanto più grandi dei loro che non potevo e non ero in grado di curarmene.
Venne il loro soccorso la nonna paterna che per un giorno e una notte di occupò di me dando loro la possibilità di dormire.
Fu rigenerante, ma dopo poco il problema tornò a presentarsi e le cose tra i miei iniziarono a incrinarsi sempre più. Mio padre se la prendeva con me perché non stavo zitta e più lui urlava più urlava mia madre e più lo facevo io in reazione.
Per tenermi lontana da mio padre e dal suo malumore mamma si chiudeva con me in una stanza, all'altro polo della casa e cercava di non fare nessun rumore, sforzandosi di tenermi in braccio e passeggiare tutta la notte.
"Resisti, deve arrivare a sei mesi, poi vedrai che si calmerà."
Non mi conoscevano bene.
Non piangevo certo per età, piangevo per disagio e il disagio non passa così da solo, con il tempo. Mia madre a un certo punto pensò che il gas della cucina potesse essere un ottimo calmante, visto che nè le camomille, nè le gocce avevano sortito effetto.
Mi sono sempre chiesto, almeno dacché ne avessi memoria, perché sono nata. Insomma non ero il frutto dell'unico tentativo dei miei genitori, quindi perché proprio io e non un altro dei miei potenziali mancati fratelli e sorelle? Il fato, il destino, Dio, o chicchessia, ha deciso che tra tutti proprio io meritassi una possibilità di vivere, ma perché? Magari a loro le cose sarebbero andate meglio, magari non avrebbero pianto e sofferto di insonnia, magari sarebbero stati belli e di successo ... e invece loro non ce l'hanno fatta e io sì e non riesco a non chiedermi quale sia il motivo della mia vita e quale sia il posto che dovrei occupare nel mondo.
Quel giorno mia madre non andò fino in fondo con i suoi propositi, ma avrebbe potuto. Di nuovo, chi decide della vita di tutti noi ha stabilito che dovessi avere una possibilità.
Ancora mi chiedo se abbia fatto bene.
Per evitare l'infanticidio, mia madre si diede una missione: fare di me qualcosa che la rendesse fiera e non che le rovinasse la vita.
Credo che l'ansia sia stato uno dei primi sentimenti con cui ho fatto conoscenza. Dovevo fare le cose prima e meglio dei miei coetanei, per cui, vestita con la moda improponibile della fine degli anni '80 io e mia madre lavoravamo sulle mie competenze e capacità. Dovevo essere la migliore, avevo ancora il pannolino, ma già dovevo essere perfetta. Iniziò a convincermi già allora che se non fossi stata perfetta non avrei potuto meritare il suo amore.
Ho imparato a parlare a soli sei mesi. Bhè, parlare, diciamo che mi facevo capire, ma nel mio vocabolario, oltre a mamma, papà, no, sì, cacca e pipì, sfoggiavo anche "pesto" (questo) e "pello" (quello), cillì (uccellino), "bau" (cane), "mao" (gatto), "popotema" (ippopotamo), "parmacotto" (sì lo so, ero un mito), "zia befana" (zia Stefania) e "mago merluzzo" (mia madre mi sottoponeva parole randomiche da memorizzare).
Per me cantava in francese, cosicché diventassi brava in lingue e apprendessi senza sforzo l'accento e mi recitava poesie e teoremi di geometria e matematica affinchè li assorbissi.
Non sarei mai potuta diventare una bambina felice, era evidente.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro