Proprio Come Mr Darcy!
«Ognuno di noi scrive una storia: mesta o lieta, modificando a proprio piacimento il finale. In tal modo, cerchiamo di evadere da una realtà intrappolata in una gabbia; realizzata dalle angustie e dal timore di agire. Ma, a oggi, vi chiedo miei amati lettori; esiste veramente una morale che si evince dalla vostra vita?»
La maggior parte delle fiabe aveva come protagonista il cattivo: un animale scostante e solitario, difficile da domare, che celava le vesti del principe azzurro.
Ma nella mia di storia non c'era posto per la giovane fanciulla che avrebbe scalfito il cuore del suo bel tenebroso: Adam, per me, non era né il malvagio né il buono del racconto.
Era il costruttore per eccellenza dei suoi burattini, colui che manipolava senza farsi manovrare.
Mi chiesi, allora, come facesse ad avere un cuore di vetro, e un'anima di legno, dura e impenetrabile. I cuori delle persone somigliavano a degli ingranaggi in funzione; attivi il più delle volte per ricercare una metà con cui incastrarsi. Erano in grado di fondersi anche senza l'aiuto di un forno metallurgico.
Nonostante ciò, era affascinante come il suo fosse ricoperto da spine che, con molte probabilità, lo ferivano per ricordargli quotidianamente che fosse ancora vivo.
Ad ogni modo, era indiscutibile come quell'organo che pompava, fracassando le pareti toraciche, fosse capace di spingersi fin dove gli occhi non erano in grado di arrivare e la ragione taceva.
Osservai, in silenzio, la porzione di pizza ancora intatta.
Avevo lo stomaco in subbuglio e la testa di piombo.
Passai, rapidamente, lo sguardo ai due che conversavano con tranquillità, oscillando tra il sorriso sulle labbra di mia madre agli occhi sereni di Richard.
Com'era possibile che si comportasse come se nulla fosse successo? Insomma, suo figlio se n'era appena andato al di sotto di un cielo brontolante.
Constatai che, da quando avevamo messo piede in questa città, il tempo fosse, il più delle volte, imbrunito. E quasi mi venne da ridere dato che, da alcuni siti di internet, si leggeva fosse una delle città statunitense con il maggior numero di giornate soleggiate.
«Tesoro, c'è qualcosa che non va?»
Si drizzò con la schiena, osservando il mio piatto ancora pieno.
Negai con la testa. Non avevo bisogno che si preoccupasse delle rotelle scheggiate, innescate da molto nella mia testa.
«Scusatemi... devo usare il bagno» farfugliai, distratta, placando il mio tumulto.
«Oh, certo... è al piano di sopra. La prima porta sulla sinistra, non puoi confonderti!»
Mi sorrise, sincero, con la bocca impastata di mozzarella.
Annuii ripiegando il tovagliolo di stoffa al lato delle posate in argento. Mi alzai con la fretta di scappare e mi incamminai su per le scale, rivestite da una semplice moquette celeste, simile a un cielo cristallino. Il corridoio era decisamente piccolo, ospitava solo quattro camere. Lo sguardo, poi, cadde su una piccola e massiccia cordicella che pendeva dal soffitto latteo; si trattava, senza alcun dubbio, di una botola. Mi morsi il labbro cercando di reprimere la maledetta curiosità. Ebbene sì, uno dei miei peggiori difetti era l'attrazione, calamitante, per i guai. Indugiai appena sulla maniglia opaca, collegai il cervello solo quando i miei piedi si arrestarono al di sotto di essa.
Mi alzai in punta di piedi; con la mano, sudaticcia e tremante, tirai la fune. Pensai che da un momento all'altro il cuore mi schizzasse dal petto, il nodo alla gola e la tensione aumentarono sproporzionatamente alla fuoriuscita di una scaletta di legno.
Questa, cara mia, si chiama nel mio dizionario: violazione di privacy. Sei totalmente sicura di quello che fai? Potresti trovare delle ragnatele o peggio un cadavere. E sappiamo quanto tu sia fifona, Yala.
Scossi la testa, ormai in cima mi aiutai a farmi luce con la torcia del cellulare. Le particelle di polvere svolazzavano con ritegno, illuminate dalla fioca traiettoria del fascio di luce. Mi accorsi di un piccolo interruttore sul lato sinistro e lo pigiai terrorizzata.
Dopo una prima intermittenza, un neon illuminò quella che era a tutti gli effetti una... stanza!
Era davvero graziosa e confortevole: al centro, giaceva, completamente in ordine, un letto abbigliato da una coperta antracite. All'angolo di una scrivania, del medesimo colore, costellata da una pila di libri, una meravigliosa chitarra se ne stava in piedi. Non era affatto impolverata: faceva pensare che fosse utilizzata. Le pareti chiare erano, a differenza del resto della casa, decorate da alcuni poster: ne riconobbi uno degli ABBA (li ascoltavo da bambina ogni volta che mio padre mi portava fuori). Un lampo lumeggiò con prepotenza, dalla piccola finestra ovale, ravvivando una piccola libreria lievemente scalfita. Mi portai una mano al petto, i temporali solitamente non mi spaventavano; ma in questo momento sembrava tutto più amplificato. Arrancai, evitando di sporcare il tappeto tenue. I testi, per la maggioranza dei classici, erano disposti in ordine alfabetico. Uno in particolare mostrava delle pagine ingiallite e consumate. Lo presi tra le mani, si trattava del romanzo di Jane Austen: Orgoglio e Pregiudizio. Lo conoscevo bene, lo avevo letto un paio di volte. Lo aprii inebriandomi dell'odore della carta. Notai che molte frasi erano sottolineate a matita, ma una no... anzi, era ben marcata da un evidenziatore rosa: "Ho lottato, ma invano. Non serve a nulla. Non posso reprimere i miei sentimenti. Vi prego, permettetemi di dirvi con quanto ardore vi ammiro e vi amo."
Fu la prima dichiarazione di Darcy per Elizabeth.
Avrei voluto cercare degli indizi che mi ricollegassero in qualche modo a quella ragazza misteriosa, ma la voce di mia madre si propagò dal fondo delle scale.
Mi agitai. Chiusi in fretta il libro rimettendolo al suo posto, ma qualcosa cadde da alcune pagine. Si trattava di una fotografia e, con frenesia, la infilai in tasca. Frettolosamente scesi dalla soffitta richiudendo con cura la botola.
«Tutto bene, Yala?» Fece capolinea mia madre marciando verso di me.
Annuii con un cenno di testa. Regolarizzai il mio respiro in silenzio.
«Sarà meglio sbrigarsi... i notiziari hanno parlato di una bufera in arrivo. D'altronde, devo spiegarti ancora il motivo per il quale siamo qui.»
Mi diede le spalle.
La seguii in silenzio.
La tavola era rimasta così come l'avevo lasciata, con la differenza che i loro piatti erano vuoti. Richard oltre a essere indaffarato a riordinare la cucina, era concentrato ad addensare della cioccolata in un pentolino.
«Io... non ho molta fame!» dissi, impacciata, porgendo il piatto pieno all'uomo che mi dava le spalle.
«Sei sicura? Non vuoi assaggiare nemmeno la torta di tua madre? Ha un profumino invitante, mi ha anche consigliato di accompagnarla con della glassa al cioccolato. Per fortuna che in dispensa ho sempre qualcosa di riserva» finì il suo discorso, leccando un po' dal bordo del cucchiaio.
Poteva sembrare una persona amorevole a differenza di come l'avevo immaginato.
Mi chiesi, allora, dove fosse la madre di Adam e se avesse dei fratelli.
«Chi è Rose?» chiesi, sfacciata, sviando la conversazione.
Il suo viso impallidì rimanendo con le mani a mezz'aria. Forse, non si aspettava di certo una simile domanda, e soprattutto da parte mia. Cercò di rimuginare una possibile risposta.
«Priyala, non essere scortese...»
«Tranquilla Idris, ci sono abituato.»
La interruppe, calmo, sfilandosi il grembiule. Gonfiò appena le labbra prima di iniziare a parlare.
«Rose era una donna meravigliosa e premurosa. C'eravamo conosciuti in un bar al college; lei era lì che tranquillamente sedeva dietro al bancone sorseggiando una tazza di cioccolata calda, e l'adorava, più di qualsiasi altra cosa al mondo. Me la ricordo: indossava una camicetta a quadri e dei jeans chiari, i suoi lunghi capelli corvino erano sciolti in delle morbide onde.
Fu un vero colpo di fulmine.
Ma era anche una ragazza testarda e restia a una relazione. Mi diceva che voleva essere libera come il vento, e indomabile come un cavallo selvaggio. Non mi feci spaventare, anzi, ci provai più volte, finché un giorno mi disse finalmente che era innamorata di me. E così... finimmo col sposarci, eravamo perdutamente persi l'uno per l'altra. Nacquero, poi, i nostri due figli: Blake, e dopo qualche anno Adam», fece una breve pausa, rivolgendo un'occhiata a mia madre. «Sai, Yala... ho perso mia moglie troppo presto. Un giorno, mentre il cielo piangeva a dirotto, io e Rose eravamo impegnati a litigare. A dire il vero era la prima volta che discutevo con lei, e fu strano. Quel pomeriggio Adam rimase a scuola per una recita... le avevo detto di non guidare; che saremmo andati tutti insieme come una famiglia, ma fece di testa sua...» sospirò, pesantemente, dalla bocca.
«Quella è stata l'ultima volta che l'ho vista.
Ed è stato anche l'ultimo ricordo che ho di lei; della sua pelle lucida, e del suo profumo a vaniglia che riempiva ogni angolo di questa casa. Un'auto le aveva tagliato la strada; e la nostra macchina impattò, capovolgendosi su sé stessa. Quando arrivai le gambe non furono in grado di sostenere il mio peso, il corpo di Rose giaceva inerme nella sacca. In quell'istante morii con lei. Mi dissero che mio figlio era in gravi condizioni; da allora, fino a oggi, è ricoverato al Grace Hospital di Seattle.
È affetto da un'amnesia lacunare e ha perso l'uso delle gambe...»
Si fermò, gli occhi lucidi minacciarono di far fuoriuscire delle lacrime.
«Per questo andremo a Seattle... ci sarà un convegno con una squadra di specialisti per discutere dei progressi di una nuova cura sperimentale» aggiunse Idris regalandogli una pacca affettuosa sulla spalla.
«Partiremo per le vacanze natalizie. Vorremmo che tu e Adam vivreste insieme per quel periodo.»
Un momento... cosa?
«Come, scusa? No... non se ne parla affatto!» dissi sulla difensiva sorvolando il discorso martoriante di Richard.
«Ti prego, ho bisogno di qualcuno che lo tenga d'occhio...»
«E avete pensato a me? Cosa sono... la sua babysitter? Mi sembra che sia cresciuto per questo, no?» Lo interruppi, arrabbiata, fulminandoli. «Cosa vi fa pensare che lui sia d'accordo, se non ci avete fatto caso, se n'è persino andato!»
«Perché...» si grattò la nuca imbarazzato.
«Lo sapeva, e non ha avuto nulla in contrario.»
Cosa? Stava parlando della stessa persona che era uscita infuriata un attimo fa?
Sei tu la stramba.
Hai l'occasione di condividere una casa con il ragazzo più sexy che tu abbia mai conosciuto. Invece, cosa fai? Sei lì a lagnarti.
Povera sciocca.
«Tu sei d'accordo?» chiesi, frastornata, alla donna che mi aveva messa al mondo.
«Mi preoccuperei di meno sapendoti con Adam. È un ragazzo rispettoso, sono sicura che vi troverete bene insieme. Ti prego, Yala... almeno pensaci.»
Si chinò cingendomi in un abbraccio.
Buttai fuori un respiro forzato.
Tutta quella situazione era assurda.
Forse saremmo finiti, con molte probabilità, a ucciderci a vicenda.
O magari no, piccola mia.
Aggrottai le sopracciglia sbuffando arrendevolmente. Desiderai soltanto che il vento cancellasse i pensieri e i ricordi di quel bacio.
Sarebbero stati: giorni di fuoco, nonostante il gelo; e notti di tensione, nonostante la quiete.
E io, mi sentii inghiottire in un vortice di non ritorno.
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