L'incontro
«Lungo la scalata alla vita si incontrano due porte: una rossa e una bianca. L'una rappresenta tutto ciò che è il peccato mentre l'altra tutto ciò che è casto.
Allora, quale scegli di aprire?»
L'acqua stillava dal rubinetto malmesso con tale frenesia tanto da negarsi una qualsiasi forma di pausa. Le braccia erano tese e la schiena pulsava per il dolore, a stento riuscivo a sentirlo, ne ero orribilmente abituata. I brividi scossero agevolmente l'andatura mentre gli occhi inespressivi fissavano le gambe che si appesantivano secondo dopo secondo. Alzai di poco lo sguardo verso lo specchio: rifletteva un viso martoriato da un'altra notte in bianco. Le occhiaie violacee contornavano gli occhi lumeggiati dai raggi solari che filtravano tra le piccole finestre gialle. Il cielo era fosco proprio come la massa grigia che mi angustiava la testa. Le parole di Adam erano come lame: recidevano con grazia e raffinatezza ogni fibra del mio corpo, e il punto era che aveva ragione.
Costantemente ci sforziamo di scrivere una storia che modifichiamo in base agli eventi della giornata: gioiosi o tristi che siano. In questo modo creiamo il presente, come una pagina vuota che si colora di inchiostro.
D'altronde, non sarebbe vantaggioso se la vita leggesse ciò che abbiamo scritto?
Già... se non fosse il destino a decidere per noi. Si trattava di un racconto scritto e che aspettava solo il momento giusto per essere stampato.
Persi ancora qualche istante a osservarmi prima di percepire delle dita appoggiarsi delicatamente sulle nocche infreddolite e ruvide a causa delle ragadi.
Avrei dovuto indossare dei guanti o applicarci qualche crema ma ero troppo pigra per farlo.
«Stai bene?» chiese Lucy spostandomi una ciocca di capelli.
Mi concentrai sulle sue fossette che risplendevano su un viso avvenente, e annuii con sicurezza. Ero incantata dalla leggerezza che mostrava nonostante l'uragano dentro di sé.
«Non sapevo ti piacesse cantare... io vorrei diventare una pittrice, così da girare le mostra di tutta Europa.»
Sorrise sfilandosi la cartella dalle spalle. Con agitazione prese un foglio da un album da disegno e me lo porse con timidezza.
«Questo... è un regalo da parte mia. Spero ti piaccia, angel!»
Le dita sfiorarono il tessuto ruvido del carboncino. Era dipinta una ragazza: mostrava con fermezza il profilo mentre con la coda degli occhi si osservava la punta delle ali candide. Il vestito dello stesso colore sembrava ondeggiare a causa del vento, e i capelli scuri fluttuavano nell'aria. Tutto intorno era nero, persino le colline e gli alberi, ma non lei. Brillava di un bianco così acceso da prevaricare sull'oscurità che la circondava. Era uno dei ritratti più belli che avessi mai visto e senza esitare le gettai le braccia al collo, stringendola con forza al petto stremato dalla grinta dei miei battiti.
«Grazie... è meraviglioso!» soffiai tra i suoi capelli che odoravano di lavanda.
Non c'era bisogno di aggiungere altro.
Il trillo della campanella, purtroppo, mise fine a quella conversazione. Con poca voglia mi distaccai dal suo corpo.
Raccogliemmo le nostre cose e con determinazione varcammo la soglia dei bagni salutandoci. I corridoi erano affollati e il chiacchiericcio sempre più estenuante.
Quel suono segnò la fine delle ore, ma non per me.
Il laboratorio di musica si svolgeva dopo le lezioni per diversi motivi, uno tra i tanti, riguardava la nascita del primogenito del professore Ramirez: un uomo dai tratti giovanili se non per i capelli lattei che lo facevano sembrare una persona di mezza età. Seguii il percorso indicatomi dalla segnaletica, oramai era diventato semplice orientarmi tra i corridoi. Mi strinsi lievemente nella giacchetta di jeans, il venticello di dicembre era molto più umido e forte. Camminai fino a piantare la suola delle scarpe davanti a una porta di legno: laboratorio creativo di musica e spettacolo, si leggeva.
E me le ricordai.
Le sue mani che baciavano sinuosamente i tasti del pianoforte a coda, la sua postura rigida a dimostrare la rabbia e al tempo stesso la famelicità di aggrapparsene per non crollare. Presi un respiro profondo; con le mani tremanti cercai di abbassare la maniglia ma, per fortuna, qualcuno mi precedette.
«Tu devi essere Priyala, piacere di conoscerti. Sono il professore Santiago Ramirez, ma puoi chiamarmi Iago!» pronunciò marcando l'accento spagnolo.
Oltre ai capelli bianchi anche la barba rasata era dello stesso colore. Due occhi celesti, brillanti come il cielo, squadravano la mia figura. Si fece di lato per farmi passare ed era proprio come la rammentavo, solo più calda e colorata. Le pareti erano state tinteggiate di un azzurro chiaro, riuscivo a sentirne, ancora, l'odore fresco della pittura. Ai piedi del pianoforte giaceva un tappeto bianco che divergeva con il grigio del pavimento in legno scricchiolante. L'aula non era particolarmente popolata, riconobbi soltanto due ragazze del mio corso di storia: le sorelle Morris. Mentre i ragazzi erano impegnati ad accordare delle chitarre nuove, le ragazze sistemavano degli spartiti sui leggii che davano le spalle alle scritte variopinte.
«Come sapete ci saranno più ore di pratica: le lezioni di canto si svolgeranno con costanza ogni lunedì mentre quelle di strumento e recitazione nelle altre giornate stabilite.»
Ci richiamò all'attenzione sorseggiando dell'acqua.
"È fondamentale l'idratazione... la buona riuscita di un'esibizione sta proprio nel liquido contenuto in questa bottiglietta!"
pronunciò a un mucchio di ragazzetti ammucchiati nell'auditorium.
«Molto bene... tramite i fogli che avete compilato, leggerò le vostre preferenze.
Per lo spettacolo di fine anno ci saranno giorni in cui proveremo tutti insieme. Ci sono domande?» chiese sfilandosi degli occhiali scuri che aveva adoperato all'occorrenza per leggere.
«Che spettacolo andrà in scena?» domandò un ragazzo a pochi passi da me. Il piercing al sopracciglio e i capelli rasati gli conferivano un aspetto burbero. Era alto e slanciato. Osservava meticolosamente, con i suoi occhi verdi, la figura un po' paffuta del professore.
«Giusta osservazione Oliver, porteremo il musical: la Bella e la Bestia. Ci saranno, a breve, dei provini per assegnare i ruoli da protagonisti e quelli secondari» spiegò nell'esatto momento in cui la porta si aprì, mostrando l'ultima persona che mai avrei immaginato di vedere.
Adam se ne stava lì fasciato da un maglione bianco che gli aderiva perfettamente al petto, e dei jeans neri strappati alle ginocchia. I capelli spettinati gli ricadevano in modo ribelle sul viso lievemente tumefatto, con gli occhi vagava per la stanza in cerca di qualcosa. Quando incontrò il mio sguardo li socchiuse in due fessure. Li puntai, senza capire, verso la punta dei piedi con il cuore che palpitava senza darmi tregua.
Cosa ne hai fatto della Yala spavalda?
Era andata a farsi benedire, e sapevo che questo non mi avrebbe portato da nessuna parte. Con passo deciso si sedette su una sedia dietro la mia. Mi inebriai del suo profumo. Percepii appena il fiato solleticarmi l'incavo del collo, scoperto dal maglione senape con la stampa di un orsetto. I muscoli tesi non mi aiutavano a rilassarmi nemmeno quando mi sfiorò i capelli con il suo braccio.
«Non pensavo di trovarla in questo corso, signor Hill... sono sicuro che ci regalerà grandi soddisfazioni.»
Iago interruppe il brusio di sottofondo.
«A dire la verità... ne ero all'oscuro fino a poco fa, professor Ramirez!» disse con un tono marcato e irritato guadagnandosi gli sguardi dei presenti.
«Direi che la prima lezione introduttiva possa terminare. Troverete in bacheca i nomi dei ragazzi selezionati per i rispettivi indirizzi» il professore chinò il capo blaterando qualcosa di incomprensibile mentre dei ragazzi gli si avvicinarono per parlargli.
Adam era ancora lì con il braccio appoggiato sul bordo della sedia.
Ero convinta che mi stesse fissando.
«Sei stata tu a iscrivermi?» sussurrò in modo che lo potessi sentire. «Non ti hanno insegnato a non giocare con il fuoco?»
Mi girai di scatto ritrovandomi a un palmo dal suo viso. I lividi erano gonfi e violacei, sulle labbra era appena vedibile un taglio rossastro. Era strano come riuscisse a farmi passare da uno stato all'altro, avrei voluto prendere a pugni quel viso così dannatamente perfetto.
«Non so di cosa tu stia parlando. La vita non gira tutta intorno a te, Hill!» raccolsi le mie cose avviandomi verso l'uscita dell'aula.
Una mano mi afferrò per il polso costringendomi a fermarmi, non c'era bisogno che mi girassi per capire di chi si trattasse.
La presa era salda, ma non tanto da farmi male.
«Sei l'unica che mi ha visto suonare... non tollero chi mente.»
Sentenziò seguito da una risatina nevrotica.
«Ti ascolti quando parli? Perché avrei dovuto iscriverti se nemmeno riusciamo ad avere una conversazione come due persone normali?» gli puntai uno sguardo colmo di rabbia strattonandomi dalla sua presa.
Come osava?
Sei un insolente, arrogante, narcisista.
«Sei solo uno sbruffone, viziato e...»
Avanzò verso di me fronteggiandomi con la sua stazza. Averlo a pochi centimetri dal mio corpo mi mandava il cervello in pappa. Mi scostò una ciocca di capelli, nel farlo le dita gelide mi sfiorarono la guancia bollente.
«E cosa? Lo so che muori dalla voglia di baciarmi, Priya» mi fissò le labbra giocherellando con l'anellino sulla bocca.
Riprenditi o gli sporcherai gli anfibi di saliva!
Ero sul punto di mollargli uno schiaffo quando vedemmo qualcuno correre verso di noi: si trattava di Mattew. Era talmente sudato che oltre ai rivoli che gli colavano dalla fronte anche i vestiti gli si erano appiccicati, senza dargli l'opportunità di muoversi liberamente.
«Eccoti, finalmente! Jessica mi ha detto che ti avrei trovato qui, e non in presidenza. Dobbiamo sbrigarci o faremo tardi... oh, ciao Priyala» mi salutò sbrigativamente riportando l'attenzione al ragazzo che mi affiancava.
Era fasciato da una polo grigia e dei pantaloni di tuta dello stesso colore. Aveva un aspetto più ripulito: con la barba tagliata e i capelli rasati.
Anche lui era molto attraente ma non quanto Adam.
All'improvviso dei tuoni si propagarono nell'aria, e i lampi illuminarono le vetrate della scuola. La pioggia si scagliò violentemente contro di esse, mi schiaffeggiai la fronte per aver lasciato l'ombrello a casa.
Quel pomeriggio le corse degli autobus erano state cancellate.
Avrei provato a contattare Lucy se solo la carica del telefono non mi avesse abbandonata.
Scartai l'idea di avvisare mia madre, era in ospedale per il turno di notte.
Come sempre il Karma era dalla mia parte.
«Qualcosa non va?»
«Oh, no... è solo che ho dimenticato l'ombrello e devo trovare un modo per tornare a casa!» dissi sbrigativa mentre cercavo il caricatore, ero sicuro di averlo preso.
Mattew guardò dapprima l'orologio e poi si riconcentrò su di me.
«Puoi venire con noi...»
«Non se ne parla, sa benissimo badare a sé stessa» lo fulminò Adam.
«Ma è nuova, sola e... sai benissimo che si caccerebbe in qualche guaio. Tu devi restare concentrato, amico!»
Concentrato?
Mi rivolse uno sguardo studiato e inviperito. Era esattamente come un animale durante la caccia: studiava dettagliatamente le mosse della sua preda che ignara finiva nella sua trappola.
Ed era così che mi faceva sentire: ingabbiata e con l'unico organo che batteva al centro del petto come chiara dimostrazione che ero ancora viva.
«Vediamo di muoverci o sarò felice di lasciarvi entrambi qui» latrò voltandoci le spalle.
Il moro mi sorrise e mi fece cenno di seguirli.
Scartai l'idea di aspettare che qualcuno notasse la mia assenza.
D'altronde, cosa avrei potuto fare?
Titubante li seguii fino a raggiungere la portiera di una Porsche Cayenne blu cobalto. I vestiti si erano leggermente bagnati a differenza dei capelli che gocciolavano con più frequenza. I sedili di pelle luccicavano e un odore di vaniglia mi solleticò le narici. Un borsone nero giaceva ordinatamente al mio fianco; mi chiesi se non fosse tutto un piano per porre fine alla mia vita, in fondo se ne sentivano di storie simili.
"Scomparsa una ragazza di soli diciotto anni. Alcuni passanti hanno confermato di averla vista salire a bordo di un'auto blu cobalto. Purtroppo, le sfavorevoli condizioni meteorologiche non hanno facilitato l'identificazione del numero di targa del veicolo. Abbiamo mosso le migliori squadre di ricerca per ritrovarla, questo è tutto dall'USA News. "
Cosa sei ora, Agata Christie?
Scossi la testa cancellando un eventuale scenario di morte. La pioggia cantava con frenesia sul parabrezza e i tergicristalli facevano fatica a stargli dietro. Adam strinse saldamente il volante mentre alzò di poco il volume della radio sussurrando qualcosa di incomprensibile al moro che annuì mollandogli una pacca sulla spalla. Mi chiesi come si conoscessero, la verità era che sapevo ben poco di quel ragazzo che senza chiedere il permesso stava entrando, a poco a poco, nella mia vita. Dopo quelle che sembravano delle ore interminabili l'auto si fermò nei pressi di un molo. Un ponticello di legno conduceva dritto al faro che illuminava le onde in tempesta. Il cielo era ricoperto ancora da un manto grigio scuro, ma al momento decise di regalarci una tregua.
Il cartello ci dava il benvenuto a Baton Rouge: dove i grattacieli e i negozi sembravano prendere vita con i loro colori sgargianti e le foglie che li rivestivano per evitare che prendessero freddo.
Chiusi gli occhi permettendo alla brezza marina di carezzarmi il viso tagliandolo appena.
«Che ci facciamo qui?» tentennai oscillando lo sguardo tra i due ragazzi che si parlavano in silenzio.
Lasciai alla mente l'idea di convincersi che fosse il vento l'unico artefice della mia pelle d'oca, e non le occhiate fugaci che mi riservavano quegli occhi di ghiaccio.
«Oh, questo lo devi chiedere a lui!» si voltò verso l'altro incenerendolo. «Cerca di non combinare casini, non voglio problemi.» Tuonò appoggiandosi la tracolla sulla spalla.
Poi senza dire nulla varcò la soglia di quello che aveva tutto l'aspetto di un bar: Victor's Club, si leggeva da un'insegna sbiadita. Un odore acre di fumo e alcool mi stuzzicò le narici.
Lottai con tutta me stessa per reprimere dei conati, tuttavia, nonostante la puzza nauseabonda, dovevo ammettere che era davvero carino.
I tavoli bianchi enfatizzavano il colore blu elettrico delle pareti riempite da un numero spropositato di poster di varie band del posto.
Il resto del locale era occupato da una serie di tavoli da biliardo, flipper e tiri a bersaglio.
Dei ragazzi, probabilmente della nostra età, barcollavano da una parte all'altra senza ritegno.
«Come vi conoscete?» chiesi a Matt che intanto aveva ordinato due birre. Non ne amavo il sapore amaro e aspro, ma decisi comunque di mandarlo giù.
«Siamo amici da quando eravamo piccoli.
Sai... era un bambino vivace, e profondamente buono. Era il mio porto sicuro!» si scoprì il braccio sinistro mostrandomi un piccolo faro.
«Non è assurdo? Mi ricorda costantemente di non spegnere la luce che porto dentro.
E ora tocca a me fargli ritrovare la sua strada... di questo sono sicuro che sarà lui a parlartene, Yala» sorrise.
«Sarà meglio andare o ci perderemo lo spettacolo, cerca di starmi accanto.»
Mi fece l'occhiolino.
Cosa nascondi Adam Hill?
Più confusa che mai mi limitai a fargli un accenno di consenso.
Avevo bisogno di risposte a domande che probabilmente sarebbero rimaste solo nella mia mente, o forse no.
Eravamo arrivati sul retro del locale e stavo per chiedergli cosa stessimo facendo quando aprì una porta logora e scricchiolante: un ring apparì al centro della stanza. Era circondato da una miriade di persone estremamente accollate ed eccitate: c'era chi gridava dei nomi, chi scommetteva e chi addirittura si concedeva a delle effusioni di troppo.
Poi d'un colpo le luci soffuse si spensero e si riaccesero poco dopo mostrando la figura di un signore, basso e paffuto, al centro del ring.
Dai lineamenti dava l'impressione di un uomo adulto, si sistemò gli occhiali sottili sulla punta del naso mentre qualcun altro gli fece un cenno col capo.
«Signori e signore, placate la vostra sete di bramosia, e auguriamoci che vinca il migliore. Accogliamo con grande piacere: il nostro Iceman e il mostro più temuto. Ricordatevi una sola regola: non ci sono limiti!» urlò sovrastando lo schiamazzo collettivo.
In cosa mi stavo cacciando?
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