L'altra Faccia Del Cuore
Adam's Pov
«I cuori sono ingranaggi disinnescati dal cervello ma rabberciati dall'amore. E a te che leggi, mio lettore, penseresti davvero che questo sentimento sia la soluzione ai problemi? O è solo una semplice diceria detta e ridetta?»
Ogni cosa al mondo ha un doppio lato. Pensiamo, ad esempio, alle stelle che illuminano il cielo durante le notti più fredde. Da un lato, il gracile bagliore lunare – occultato dalla nebbia ispida e fitta – le intimidisce per metà finendo, così, per mostrarci una piccola parte di loro. E questo, alla vista di un buon uomo che le osserva con gli occhioni stanchi e infossati, appare come una seconda faccia. Crede, difatti, che l'altra parte sia riservata per qualcosa di più profondo.
Ma se vi dicessi che anche il cuore ha una doppia faccia, una benevola e l'altra crudele, ci credereste? Da un lato, tutti siamo a conoscenza della sua rilevanza: essendo un organo vitale ha il compito di pompare per secondi, minuti e ore senza fermarsi mai; o la nostra vita cesserebbe.
Ma cosa cela veramente?
A volte, rischiamo di essere ingannati da qualcuno che all'apparenza appare puro, ma che nel profondo nasconde un'anima subdola e malvagia. E questi individui, se possono essere definiti in quanto tali, assumono il potere: il controllo delle azioni. È come crescersi all'interno un figlio che non vedrà mai la luce del giorno, in quanto osculato dalle tenebre che lo attanagliano. È forse il famoso alter ego che tutti sappiamo di avere? Lo stesso dottor Jekyll, un uomo onesto e generoso, spinto dal desiderio umano di liberare la sua aggressività, decide di compiere un esperimento su sé stesso: grazie a una pozione riesce a trasformarsi nello spietato Hyde, privandosi di qualsiasi scrupolo morale.
E allora, è possibile che l'uomo si spinga a tutto questo pur di appagare la noia che lo divora?
~•~•~•~•~
I lunghi capelli neri le cadevano dritti come delle soffici setole. Dal suo viso serafico traspariva preoccupazione, tanto che il suo sguardo parve impietrirsi. La scrutai a fondo: le mani fremevano e le gambe mostravano un senso di cedimento.
In quel momento, sembrava che il mio corpo si nutrisse dell'ansia che cresceva nelle sue viscere. Somigliavo a un animale famelico pronto ad affilare gli artigli per impossessarsi della sua preda. Appariva, al disotto del mio sguardo infuocato, come un grazioso agnellino; e di questo ne desideravo in abbondanza... come un vero e proprio peccatore.
I suoi occhi erano fissi sul mio corpo, attenti a scrutare un mio movimento. I miei, invece, scesero sulle sue labbra secche che di tanto in tanto venivano umidite dalla saliva. Dovetti reprimere il desiderio di affogarne all'interno i miei istinti animaleschi e di strapparle a morsi quella tenera boccuccia. Priyala era la raffigurazione perfetta di un angelo contaminato dal peccato e la sua bellezza era come un proiettile sparato a chilometri di distanza: ti avrebbe colpito anche senza prendere la mira. Le avrei afferrato le sue teneri ali e ci avrei fatto un vestito su misura per il mio corpo. Desiderai strapparle l'anima affinché la mia si sarebbe cibata del bene.
Ma era uno sbaglio... io lo ero.
Come lo era anche la voglia matta di spingerla al muro per marchiarla ancora una volta con la mia bocca da diavolo.
«Cosa ti è successo, eh?» Mi eressi col busto. «Qualcuno ti ha morso la lingua, Yala?»
Lei era ancora lì: con la mano a mezz'aria e il corpo immobile come una statua. Con le altre dita libere reggeva un pacchetto azzurrino con un fiocchetto dorato.
«I-io non so di cosa parli.»
Oh, certo che lo sai, angel. Non avresti dovuto violare i miei spazi. Ti punirò e tu non avrai modo di liberarti. Sei in trappola, agnellino.
«No? E allora come mai fai a sapere che questa è la mia stanza? Non mi risulta di averti fatto da guida per un tour della casa.»
La osservai boccheggiare e approfittai di quel momento per avvicinarmi a lei, con il libro stretto tra le grosse dita. Profumava di fiori freschi e di salsedine, un mix capace di mandarti i recettori del cervello in tilt. Nelle sue iridi verdi, irradiate di luce benevola, ci lessi il terrore di cui avevo bisogno. I suoi piedi, immobilizzati sul gradino della scala, erano saldi in quella posizione. Allora mi inginocchiai. I nostri visi erano così vicini tanto da sentire il suo fiato increspare il mio e i suoi battiti diffondersi nella stanza.
Tutto era in silenzio se non per delle sensazioni che tradivano la quiete.
«Un giorno mi sono accorto che mancava qualcosa in una di queste pagine. E allora mi sono detto: chi sarà stato... mio padre o forse Emily? Poi ho pensato a lungo e l'unico volto che mi veniva in mente era il tuo!» Piantai i miei cristalli gelidi nei suoi occhi sgranati dalla paura.
«Mi dispiace. Non sarei dovuta entrare... sono mortificata!» Abbassò lo sguardo verso la tasca dei suoi jeans. Con un movimento delicato fece uscire da lì la piccola pellicola e me la allungò con timidezza. Per un istante mi sembrò di vederla. Mi passarono per la mente dei piccoli ricordi: le sue iridi che baciavano il mio corpo, i suoi capelli mossi che stuzzicavano le mie braccia e il suo profumo paradisiaco che addomesticava i miei fedeli demoni. Lei era lì, proprio di fronte a me. Tuttavia una voce che non era la sua cancellò ogni traccia del suo viso celestiale.
«Sono consapevole di essere stata sfacciata, ma non è nulla in confronto al tuo atteggiamento. Hai scelto di farti valutare per il ruolo nello spettacolo ed esattamente per cosa? Ah, sì... perché non puoi permettere che qualcun altro mi baci!» Marcò le ultime parole con asprezza. «Nonostante questo, ho voluto farti un regalo», poggiò quel pacchetto ai miei piedi, «sei libero di accettarlo o meno.»
«Cosa ti aspetti? che ti ringrazi?»
Le mie gambe si stavano a poco a poco irrigidendo a causa della mia posizione, ma non me ne curai.
«Oh, no di certo. Un tuo ringraziamento è improbabile tanto quanto l'ascesa della pioggia nei mesi aridi. Ho pensato che tutti meritino un pensiero, così da sentirsi meno soli. Con questo non voglio scusarmi per la mia irruzione.» Si fermò per un istante, come se stesse cercando le giuste parole da dirmi. «Ti reputi un mostro, no? E forse lo sei; tuttavia, lo percepisco: c'è qualcosa qui, proprio sotto la mia mano!»
Feci scendere lo sguardo nel punto da lei indicatomi. Il mio cuore fu agitato da un groviglio insormontabile, le afferrai bruscamente il polso e le conficcai gli artigli nella pelle delicata.
«Perché ti ostini a cercare del buono in me, eh?» Ringhiai a denti stretti.
Fatti odiare, Adam.
«Perché tu non sei malvagio. Hai solo un cuore occultato e un'anima logorata dal dolore!»
Una risatina maligna dipinse un sorriso velenoso sul mio viso.
«Tu non hai idea di cosa ho fatto. Tieni ben a mente, piccola, che i mostri non muoiono mai.» Mi avvicinai fino a figgere le mie iridi taglienti nelle sue delicate e incandescenti. «Faresti bene a disprezzarmi o rischieresti di farti male.»
Un lieve sussulto le uscì involontariamente dalle labbra. «I-io ti odio, Adam.»
Ascoltai quelle semplici parole e ne fui attratto. Dovetti reprimere la voglia incontrollata di zittirla.
«Sii convincente, Yala. Ho bisogno che tu lo sia!»
«Ti detesto con tutta me stessa, ma...», schiuse la linea che le serrava la bocca, «... sei al tempo stesso il male che mi rende...»
Non la lasciai finire: era diventato troppo per me. Tappai con irruenza le sue parole, che finirono per morirle in gola. Con le dita strette saldamente sul suo polso, la attirai vicino al mio petto. Sentii la mancanza di quel gesto divampare da ogni cellula del mio corpo, che parve infuocarsi al di sotto di quella movenza. L'adrenalina prese possesso delle mie azioni, che poi scaricai con prepotenza sulla sua bocca morbida e delicata come una rosa. La mia lingua passò ad accarezzarle il labbro inferiore fino a incontrare la sua con maestria. Le poggiai una mano tra i capelli e la spinsi ancora di più verso di me, senza degnarmi di un minimo di controllo. Avvertii l'urgenza di ascoltare, per l'ultima volta, quel cuore aggrovigliato che, forse, era in grado di battere. Priyala ansimò e quel gesto mi fece eccitare ancora di più. Spinsi con più foga la lingua nella sua bocca e me ne appropriai come se fosse un oggetto di mia proprietà. Con le mani scesi fino a incontrare la sua schiena e ne sollevai un piccolo pezzo di stoffa, le scoprii un lembo di cute e vi ci appoggiai le mie dita gelide. Un sussulto accompagnò i nostri ansimi e un gemito le uscì con vergogna. Stavolta fu lei a infilarmi le dita tra i capelli per incoraggiarmi a darle di più. Lo sentivo dal modo in cui si agitava al disotto del mio tocco.
«Adam...» mugolò staccandosi da me.
Ma non glielo consentii: ne desideravo ancora. Incastrai nuovamente le nostre labbra palpitante, fino a impossessarmi dei suoi ansimi.
Con lei era tutto imprevedibile, proprio come una corsa contro il tempo. E mentre le nostre bocche erano affamate, come per chi non mangia per giorni interi, i nostri respiri si concatenarono. Sembrava che il tempo si fosse frizzato fino a quando una voce non pronunciò il suo nome spezzando l'elettricità di quel momento. Yala si scostò con rapidità, toccandosi le labbra gonfie dal piacere. Le gote erano rosse per l'imbarazzo e gli occhi sgranati. Mi rivolse una rapida occhiata prima di dileguarsi in fretta, lasciando una scia di profumo.
E allora, sulla mia bocca ci congelai il sapore della sua.
Che diavolo ti prende? Vuoi commettere lo stesso errore?
Smisi di osservare il punto in cui si trovava e recuperai la pellicola che mi era caduta.
Come avevo fatto a dimenticarla?
Scaricai la mia rabbia sferrando un pugno sul pavimento.
Due anni prima...
Alzai il viso verso l'alto: le nuvole erano chiare e le striature celesti del cielo lievemente sfumate. Gli uccelli cinguettavano in tranquillità, gli alberi venivano scossi di tanto in tanto dal vento – ricreando delle ombre morbide e sinuose – e l'aria sembrava, per assurdo, più limpida. Poteva essere il ritratto perfetto dell'Eden, ma con delle stonature: noi figli bramiamo il peccato e ardiamo la lussuria. Si trattava di un semplice ciclo di vita: nasciamo, cresciamo, pecchiamo e moriamo. Con questo, non intendevo dire che tutti maturano come dei frutti putridi della Terra. C'è la probabilità che anche il prodotto più buono e delicato possa essere contaminato, un po' come accade quando si lascia una mela ammuffita in un recipiente con altri frutti: inevitabilmente finiscono con l'avariarsi. I miei occhi, a quel punto, si fusero con il resto dell'etere e i demoni che popolavano il mio cervello mi concedettero una tregua. I palmi delle mani erano infiacchiti dal peso della testa, le braccia mi facevano male e la schiena pulsava per lo spasimo. Ero steso sul prato verde da più di un'ora, con la Tulane Medical Center a pochi passi da me. Non ebbi il coraggio di entrare, incontrarlo significava, per me, ricevere un pugno in pieno viso: non ero bravo a incassarli, almeno non da lui. Quella mattina, mio padre fu avvertito di un'altra crisi; la quinta della giornata. Erano sempre più durature e irrefrenabili, tanto da non lasciargli una via di scampo. Era come se avesse un ordigno, incastonato nel cervello, che aspettava solo il momento di esplodere.
Ognuno di noi aveva una storia, precisamente un passato con cui fare i conti e un presente in cui sopravvivere.
Mio fratello, ad esempio, era il punto debole della mia misera vita.
Dovevo aiutarlo: avrei fatto qualsiasi cosa per lui.
Sei il cuore incontaminato che si agita nel mio petto e lo spirito pacifico che alberga nella parte più radicata della mia testa.
Questo lo so.
Deve solo venire fuori, Blake.
Da quel giorno, avevo provato ad abbassare delle maniglie inamovibili, per serrare le porte dell'inferno. Nonostante ciò, fallii: si era compiuta la mia ascesa dagli inferi e non c'era nessuno che fosse in grado di evitare la mia distruzione.
Doveva andare così.
Un movimento d'aria spostò i capelli nocciola, leggermente mossi, sulla fronte corrucciata. Era da tempo ormai che avevano perso il loro colore naturale: le tinte avevano contribuito a schiarirli sempre di più.
Non potevo somigliarle.
Lei era un fiore prezioso della natura e io un figlio che meritava una sorte diversa.
Perché la colpa era solo mia.
Con rabbia e frustrazione sferrai più di un colpo secco nel terreno. Anelavo il dolore perché era in grado di azzerare tutto quello che mi circondava: era capace di spegnermi.
A un tratto, però, sentii un sussulto appena percettibile. Drizzai il busto e con lo sguardo notai una ragazza a pochi metri da me. Reggeva tra le mani minute dei fiori d'iperico di colore giallognolo e con lo stelo di un verde da far invidia al tappeto di foglioline che si estendeva sotto il mio corpo. Mi osservava con sguardo inquisitorio ma illuminato, al tempo stesso, dal suo colorito ceruleo. I lunghi capelli del colore dell'ebano ricadevano in sinuose onde che le titillavano la spalla, coperta dalla stoffa di un vestitino a fiori. Ai lati della frangetta, tra i capelli, era adornato un piccolo fiorellino dai petali bianchi: una margherita. Quella ragazza apparve ai miei occhi come un angelo spedito sulla Terra con lo scopo di adempiere una missione.
«Non trovi sia scortese fissare una persona per tutto questo tempo?» Le domandai sollevandomi da terra. Una fitta, che mi irradiò la colonna vertebrale, mi costrinse a piegarmi su me stesso. Dei lividi grossolani erano nascosti dalla t-shirt bianca mentre un piccolo ematoma ravvivava lo strato di pelle più in basso per fortuna si trattava di macchie colorate non visibili ai suoi occhi.
«T-tutto bene?» La sua voce si incrinò e questo contribuì a tradire la sua espressione perfetta. D'altro canto, il timbro era piacevolmente armonioso e per niente snervante come quello di Jennifer.
Non risposi; al contrario mi alzai scrollandomi da dosso piccoli ciuffi di erba per poi voltarmi di spalle.
Le avrei dovuto dire qualcosa? Ero maleducato?
Da quando ti importa di come appari?
Le mie domande furono zittite nuovamente dal suono prodotto dalle sue corde vocali. «Ne vuoi un po'? Ho fiori a sufficienza per l'unguento e, se non li usassi tutti, rischierebbero di appassire.»
«Perché dovrei volere degli stupidi fiori?»
«Perché la tua presenza qui sta a significare che lì dentro c'è qualcuno che ami. E questi non sono degli stupidi fiori... loro sono speciali.»
«Cos'hanno di così peculiare?» A quel punto mi girai a guardala: era concentrata a separarli in due mazzetti; in effetti c'è n'erano troppi. Le sue movenze erano garbate e sul suo viso era dipinto un sorriso tanto genuino da incantarmi.
«Beh, oltre alla vasta gamma di proprietà benefiche, la vera magia sta nel colore: riesce a regalarti un sorriso anche quando questo viene spento dal cordoglio. Dovresti provare, sai? Sono sicura che, a chiunque si trovi lì, gli farà piacere riceverli.»
Rimasi interdetto dalla tranquillità che sembrò riverberarsi sul mio corpo. Alle mie orecchie sopraggiunse la flemma delle sue parole e la sua profonda beltà. Di una cosa potevo essere certo: quella ragazza era particolarmente affascinante. Poi, come un fulmine a ciel sereno, si udì in lontananza un lieve chiacchiericcio. Tuttavia, in mezzo a quel brusio, il timbro di una ragazza era ben marcato.
«Deve essere mia sorella.» Si affrettò a legare i restanti fiori con un elastico che portava al polso. Con titubanza marciò nella mia direzione, e da questa distanza ravvicinata, potei inebriarmi della sua fragranza al miele.
«Tieni, prendili senza fare cerimonie. Io ora devo andare!»
Me li allungò, girandosi poi di spalle.
«Aspetta», la richiamai, «non so nemmeno come ti chiami!»
Lei si rivoltò ancora una volta verso di me. Alcune ciocche di capelli le finirono sulle ciglia lunghe e nere a causa del vento che ci rallegrava la cute.
«Non te lo dirò. Consideralo come un modo per rivedermi!» Pronunciò sorridendo prima di sparire dalla mia vista.
Le mie labbra si incurvarono in un sorriso. Fissai i fiori che reggevo tra le mani e mi chiesi, allora, se l'avrei rincontrata di nuovo sperando che sarebbe stato così: avrei tanto voluto rivedere il mare limpido nei suoi occhi.
E allora consentii al vento di cullarmi, ai capelli di spettinarmi i pensieri e al cuore di battere senza stancarsi mai.
Mi sentii libero.
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