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                          Zeus

Seduto sul mio trono d’oro, osservo il consiglio degli Dei radunarsi nella sala principale del palazzo.
Ogni giorno si discute del destino dell’universo, della giustizia e delle pene da infliggere ai mortali, ma oggi non riesco a trovare interesse per queste questioni.

La noia mi assale come un predatore invisibile e i miei pensieri vagano oltre i discorsi solenni. Nella mia mente, sono consapevole del mio ruolo: Zeus, Re e Padre degli Dèi, signore del cielo e dominatore del fato.
Con un solo gesto posso spezzare la volontà di un uomo o piegare la natura al mio volere.
Eppure, non sono libero.
Neppure io.

Il mio sguardo si perde nel vasto salone finché non la vedo.
Una serva.
È una giovane mortale, minuta ma aggraziata, intenta a lucidare la mia statua.
Le sue mani scorrono con delicatezza sui miei riccioli scolpiti, sul mio torace, sulle pieghe marmoree della mia veste divina.
L’innocenza del suo gesto fa contrasto con il pensiero oscuro che si insinua nella mia mente.

Mi alzo dal trono senza fare rumore, scendendo i gradini.
Lei non mi vede, non subito.
Quando infine si accorge della mia presenza, sussulta e abbassa lo sguardo.
“Perdonatemi, mio signore" mormora, portandosi una mano alla bocca.

“Seguimi” ordino con voce ferma, indicando una porta laterale.

Non protesta, non osa nemmeno guardarmi negli occhi.
La conduco in una stanza che riconosco immediatamente dall’odore metallico e pungente: la sala delle armi di Ares.
Non importa.
Nessuno osa entrare qui senza il mio permesso, neppure mio figlio.

Chiudo la porta dietro di noi e la fisso.
La luce filtra debolmente dalle fessure, illuminando il suo volto.
Due occhi grandi, quasi ingenui, incrociano i miei per un istante prima che lei abbassi nuovamente lo sguardo.
Il silenzio è rotto solo dal suono dei suoi respiri nervosi.

La mia posizione mi dà tutto ciò che desidero. Nessuno mi dice di no.
Nessuno può opporsi al volere di Zeus.

Mi avvicino.
Lei trema leggermente quando le sfioro il mento, costringendola a guardarmi.
“Non temere” mormoro, anche se so che il timore è inevitabile.

La trascino nel vortice dei miei desideri, come ho fatto con ninfe, mortali e dee prima di lei.
La mia volontà è legge, il mio piacere una condanna.
Ignoro i suoi gemiti soffocati, i suoi occhi velati di lacrime.

“Fa silenzio” ordino con una voce che non ammette repliche.

Mentre il mio corpo reclama il suo dominio, un pensiero fugace attraversa la mia mente: Afrodite.
La dea della bellezza, promessa sposa di Ares, è l’unica creatura che potrebbe saziarmi davvero. Ma la prudenza, o forse l’ipocrisia, mi trattiene. Non posso rischiare di infrangere apertamente un’alleanza divina.

Quando il mio desiderio si placa, la lascio andare.
La serva si riveste in silenzio, con mani tremanti, e si allontana senza osare guardarmi.
Il rumore dei suoi passi si perde nel corridoio, lasciandomi solo.

Per un momento, un’ombra di rimorso sfiora la mia coscienza, ma la scaccio con un sorso di vino.
Sono Zeus.
Sono il Re.
E tutto ciò che voglio mi appartiene.

Vorrei ringraziare CristinaGelsomini per l'aiuto.

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