2. Saltzman
Mi sveglio con il suono fastidioso della sveglia che sembra urlare 'è il tuo primo giorno di scuola a Mystic Falls, congratulazioni, la tua vita è ufficialmente finita'.
La spengo con uno schiaffo e mi giro nel letto, cercando di convincermi che questo sia solo un brutto sogno.
Non funziona.
Non c'è nulla di peggio che il primo giorno in una nuova scuola, se poi questa scuola si trova a Mystic Falls, beh, il disastro è assicurato.
Faccio un respiro profondo e mi trascino fuori dalle coperte, i piedi freddi sul pavimento di legno scricchiolante.
Un rapido sguardo allo specchio mi ricorda che, anche se ho ereditato qualcosa di buono da mia madre – tipo i capelli scuri e gli occhi profondi – nessuno potrà mai notare questi dettagli quando hai l'aria di qualcuno che non dorme bene da un'eternità.
Scendo le scale e trovo papà in cucina, già vestito e pronto per la sua prima giornata da insegnante di storia.
Sta cercando di sembrare rilassato, ma posso vedere il nervosismo nel modo in cui si muove, versando il caffè con troppa attenzione, come se fosse la cosa più importante del mondo.
“Buongiorno, Tess” mi saluta con un sorriso.
Troppo entusiasta per l’ora del mattino.
“Mh,” mugugno, afferrando una tazza di caffè senza zucchero “Sembri pronto a vincere un Oscar per la miglior performance da insegnante di storia che finge di non sapere nulla del sovrannaturale.”
Alza gli occhi al cielo “Non siamo qui per quel motivo, te l’ho già detto.”
Annuisco lentamente, sorseggiando il caffè “Giusto, certo. E io sono la figlia di Steven Spielberg.”
Papà scuote la testa, ma non può fare a meno di sorridere.
È abituato alla mia ironia.
Alla fine, sa che ho ragione, anche se non vuole ammetterlo.
Afferra una fetta di pane tostato e me la porge.
“Dovresti mangiare qualcosa. Oggi è il tuo primo giorno di scuola, ti serve energia.”
“Papà, odio deluderti, ma non importa quanta energia io possa accumulare con questa colazione. Il primo giorno sarà comunque un disastro.”
“Un po’ di ottimismo non ti farebbe male, sai?”
“Il mio ottimismo si è perso da qualche parte tra il cartello di Benvenuti a Mystic Falls e la consapevolezza che frequenterò una scuola piena di... cose”
“Cose?” chiede lui, sollevando un sopracciglio.
“Sì, cose. Vampiri, streghe, licantropi, demoni, qualunque cosa si nasconda in questa città. Mystic Falls è praticamente il set di un film horror senza budget”
Papà fa un sorriso forzato e torna a bere il suo caffè.
Sa che ho ragione, ma preferisce non discuterne alle otto del mattino.
Forse lo farà quando sarà pronto a confessare che è anche lui terrorizzato dall’idea di essere finito nel nido di ogni creatura soprannaturale possibile.
Magari per la cena, o mai, a quanto pare.
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La scuola sembra ancora peggio di come l’avevo immaginata.
Ha quel classico stile americano da film anni ‘90: corridoi lunghi, armadietti dipinti di blu e gruppi di ragazzi che si affollano a chiacchierare, ridere, flirtare.
È un cliché perfetto.
Io sono lì, in piedi, con il mio zaino di pelle consumato e il viso stanco, sentendomi completamente fuori posto.
Cerco di orientarmi con la mappa della scuola, ma finisce che vado a sbattere contro qualcuno.
Perfetto.
Non bastava il trauma di essere qui, ora devo anche fare la figura della nuova che non sa dove andare.
“Hey, tutto bene?” La voce che mi parla è dolce, quasi troppo gentile per essere vera.
Mi giro e vedo una ragazza dai capelli castani e gli occhi grandi.
Ha l’aria di qualcuno che è sempre amichevole con tutti, una di quelle persone che brillano di positività anche quando fuori piove.
Indossa jeans e una maglietta semplice, ma ha una grazia naturale che la fa sembrare uscita da una pubblicità.
“Sì, sì,” mormoro, cercando di non sembrare un completo disastro “Sono solo... persa.”
Sorride, illuminando letteralmente il corridoio “Beh, posso aiutarti! Io sono Elena, piacere di conoscerti.”
Piacere di conoscerti?
Ma che è, il primo giorno all’asilo?
Cerco di non essere troppo acida e le stringo la mano.
“Tess. Nuova. Confusa.”
Lei ride “Non preoccuparti, succede a tutti. Mystic Falls High può sembrare un po’... opprimente all’inizio.”
Opprimente non è la parola che avrei usato, ma non è del tutto sbagliata.
La seguo mentre mi guida attraverso il labirinto di corridoi.
“Quindi, vieni da fuori città?” chiede lei, cercando di mantenere una conversazione.
Annuisco, cercando di non sembrare troppo scocciata “Sì, ci siamo trasferiti da poco.
Mio padre è il nuovo insegnante di storia.”
“Oh, wow!” esclama con entusiasmo “Deve essere interessante avere un papà che insegna nella tua stessa scuola.”
Faccio un sorriso tirato “Sì, fantastico. Non vedo l’ora.”
Elena ridacchia e capisco che probabilmente trova carino il mio sarcasmo.
Deve essere davvero una brava persona, se riesce a sopportarmi così bene.
O magari finge.
Tutti fingono che io piaccia alla gente.
Mentre ci avviciniamo alle aule, noto una figura alta e affascinante all’altro capo del corridoio.
Sembra uscito da un catalogo di moda: capelli scuri, sguardo intenso e abiti che gridano mistero pericoloso.
Lo osservo mentre passa accanto a me, il suo sguardo incrocia il mio solo per un istante, ma basta per farmi capire che non è solo un semplice studente.
“Chi è quello?” chiedo sottovoce a Elena.
Lei segue il mio sguardo e il suo viso si illumina in modo strano “Oh, quello è Stefan"
"Si... Uhm... Capisco"
Lei ride di nuovo, ma stavolta c’è qualcosa di più nei suoi occhi.
“Diciamo che Stefan è... speciale.”
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Non ci metto molto a capire che Mystic Falls High è il tipico liceo di provincia.
Quello dove tutti si conoscono da anni e sanno tutto di tutti.
Il posto perfetto per chi, come me, preferisce rimanere inosservato.
Dico sul serio: potrei tranquillamente essere un’ombra sui muri, e non mi lamenterei affatto.
Purtroppo, però, il destino ha altri piani per me.
O meglio, papà ha altri piani per me.
Sono seduta in classe, cercando di non dare troppo nell’occhio, ma è difficile quando il tuo cognome è lo stesso di quello dell’insegnante.
Soprattutto quando quell’insegnante è tuo padre.
La lezione di storia sta per cominciare e, già solo per il fatto che questo è il suo debutto mi sento come se avessi un cartello lampeggiante sopra la testa che dice 'guarda qui, c’è la figlia del prof!' .
Elena è seduta accanto a me, come se fosse tutto normale.
Sembra sinceramente una di quelle persone che non fanno differenze tra i nuovi arrivati e i veterani del posto.
O forse no.
Lei e Stefan sono incollati l’uno all’altra, come la coppia perfetta uscita da un film.
È piuttosto irritante, ma lo fanno sembrare così naturale che è difficile non provare un pizzico di invidia.
Stefan, appunto.
Da quando l’ho visto nel corridoio, non riesco a togliermi dalla testa quella strana sensazione.
Non è solo affascinante.
C’è qualcosa in lui che... non so, mi fa venire in mente le storie sui vampiri che ho letto da bambina.
Non che io creda davvero ai vampiri - lo faccio solo per non far credere a papà di essere pazzo -, ma Mystic Falls mi fa mettere in dubbio un sacco di cose.
Forse è solo il mio modo di sopravvivere alla noia.
“Il tuo primo giorno non sta andando male, vero?” Elena mi sorride mentre sistema i suoi appunti.
“Dipende,” rispondo, cercando di sembrare più tranquilla di quanto mi senta “Non è ancora successo niente di catastrofico, ma la giornata è lunga.”
Lei ridacchia “Dai, vedrai che andrà bene. Mystic Falls può sembrare strana all’inizio, ma ci si abitua.”
Non ne sono convinta.
Proprio in quel momento, la porta si apre e mio padre entra in classe, con l’aria sicura e quel sorriso di chi crede di essere amichevole ma finisce per sembrare semplicemente... troppo entusiasta.
“Buongiorno, ragazzi... Allora” dice papà, posizionandosi davanti alla lavagna e scrivendo Alaric Saltzman con il gessetto “Alaric Saltzman, lo so é un nome strano, da dove 'viene questo?' vi starete chiedendo. Saltzman é di origine tedesca. La mia famiglia emigrò nel 1755 in Texas... Io, tuttavia, sono nato e cresciuto a Boston” guarda la classe "Ora, Alaric è il nome del mio bisnonno defunto che non potrò mai ringraziare abbastanza. A voi verrà da pronunciarlo Al-alarick ma è Alaric... Potete chiamarmi Rick e beh, sono il vostro nuovo insegnante di storia"
Perfetto.
Ecco l’inizio del mio incubo personale.
Le chiacchiere tra i ragazzi si placano rapidamente, ma riesco comunque a percepire gli sguardi puntati su di me.
Tutti hanno capito chi sono.
La figlia del prof.
Non esattamente il modo migliore per volare sotto il radar.
Decido di evitare il contatto visivo con chiunque e abbassare la testa sui miei quaderni, sperando che il pavimento mi risucchi.
“Prima di tutto” continua papà, guardandosi intorno come se fosse davvero emozionato di essere qui “so che arrivare in una nuova scuola può essere difficile. Quindi, vi prometto che non sarà una lezione troppo pesante oggi. Cominceremo con qualcosa di leggero.”
Oh, certo.
Iniziamo con qualcosa di “leggero”.
Magari un quiz a sorpresa o un discorso imbarazzante sui giorni gloriosi dell’antica Grecia.
Lui è bravo a far sembrare tutto peggio di quello che è.
Mentre parla, noto Elena scambiarsi uno sguardo affettuoso con Stefan, e il mio cervello inizia a formulare ipotesi su di loro.
Se stanno già insieme – e non posso credere che lo siano da molto – allora qualcosa di molto intenso deve essere successo in un tempo relativamente breve.
Voglio dire, nessuno si guarda così a meno che non ci sia sotto qualcosa di grosso.
O forse è solo la mia mente che tende a drammatizzare tutto come se la mia vita fosse un film.
“Ok, ragazzi” dice papà, interrompendo il flusso dei miei pensieri “Qualcuno di voi sa dirmi chi era il primo governatore coloniale della Virginia?”
Ovviamente, nessuno alza la mano.
O meglio, nessuno tranne Stefan.
E questo mi sorprende.
“John Smith” risponde con sicurezza, la sua voce profonda che si diffonde nell’aula.
Papà annuisce, visibilmente compiaciuto “Esatto, John Smith. Uno degli uomini più influenti della colonia, anche se il suo nome è più associato alla leggenda di Pocahontas.”
Tutto scorre in modo quasi troppo normale, finché papà non mi lancia uno sguardo furtivo dalla cattedra.
So esattamente cosa sta per succedere.
Lo sento, e non posso fare nulla per impedirlo.
"E ora... Perché non facciamo un piccolo test sulle sue conoscenze storiche? Partiamo da te? Tess?” chiede papà con un sorriso che vorrei cancellare dal suo volto con una gomma gigante.
Tutti gli sguardi si voltano verso di me.
Posso quasi sentire il silenzio calare nella stanza come una cappa.
Perfetto.
Ottimo, davvero.
“Ah... davvero?” riesco solo a mormorare, cercando disperatamente di pensare a un modo per tirarmi fuori da questa situazione.
Papà ride nervosamente, cercando di far sembrare la cosa più leggera “Ma certo, Non sarà difficile. Solo una semplice domanda... vediamo...” Si gratta il mento, come se stesse cercando di essere equo “Chi ha redatto la Dichiarazione di Indipendenza?”
Thomas Jefferson.
È una domanda facilissima.
Lo so benissimo, ma il fatto che la chieda a me, davanti a tutta la classe, mi manda fuori di testa.
“Thomas Jefferson” rispondo, cercando di non far trasparire il fastidio dalla mia voce.
“Esatto!” esclama lui, come se fosse fiero di me.
E forse lo è davvero, ma in questo momento lo trovo solo insopportabile.
Tutti in aula mi fissano, alcuni ridacchiano tra loro.
Stefan mi lancia un’occhiata di comprensione, mentre Elena mi sorride rassicurante, come a dire che tutto questo è normale.
"Tu... Forbes giusto? Caroline? Sai dirmi in che anno è stato il primo allunaggio?"
"Uhm..."
"Sedici luglio del '69" risponde Stefan.
Alaric continua a far domande come se fosse normale.
Ma non è normale.
Nulla di tutto questo è normale.
Mi appoggio allo schienale della sedia, cercando di ignorare il calore che sento salire alle guance.
Grazie, papà.
La mia giornata non poteva iniziare meglio di così.
Quando la campanella suona, mi sembra una liberazione.
Raccolgo le mie cose il più velocemente possibile, pronta a scappare dall’aula.
“Tess!” Papà mi chiama mentre mi sto avviando alla porta.
Sospiro, facendo un mezzo giro per affrontarlo.
“Sì?”
“Volevo solo dirti che te la sei cavata bene” dice, sinceramente convinto di aver fatto qualcosa di utile.
“Grazie, ma non c’era bisogno di mettermi in imbarazzo davanti a tutti”
Lui sembra per un attimo dispiaciuto, ma si riprende subito “Non era mia intenzione. Voglio solo che tu ti senta a tuo agio qui.”
“Certo. Come no” Non c’è tempo per altre parole.
Esco dalla classe, ignorando gli sguardi curiosi dei compagni.
---
Sono nella mia stanza, con le gambe incrociate sul letto e il mio viso immerso tra le pagine di Dieci piccoli indiani di Agatha Christie.
È uno di quei libri che ho già letto almeno un paio di volte, ma ogni volta mi affascina come la prima.
Non c'è niente di meglio che un buon vecchio mistero per evadere dalla realtà.
Per un attimo, riesco persino a dimenticare che mio padre è l’insegnante di storia nella mia scuola.
Mentre scorro gli eventi dell’isolamento sull’isola e della tensione che cresce tra i personaggi – tutti destinati a un tragico finale – sento un leggero bussare alla porta.
Papà non aspetta nemmeno che gli dia il permesso di entrare, come se stesse varcando la soglia di una tenda da campeggio e non quella della mia camera.
“Cosa leggi?” mi chiede, la voce carica di curiosità, come se non fosse già ovvio.
Alzo gli occhi dal libro con un sospiro, chiudendo il volume tra le mani per mostrarglielo “Dieci piccoli indiani. Sai, quel classico in cui tutti muoiono in modo orribile.”
Papà annuisce, come se fosse davvero interessato, anche se so benissimo che non lo è.
È uno di quei lettori occasionali, quelli che dicono di leggere per piacere, ma che si fermano ai titoli che pensano di dover leggere, tipo Il Grande Gatsby o Moby Dick, senza mai finirli davvero.
“Riassumimi la trama” dice, sedendosi sulla sedia accanto al letto.
Probabilmente si aspetta una risposta veloce, tipo 'È una storia di omicidi su un’isola' .
Ma io non sono mai stata brava a fare riassunti brevi.
E poi, se c’è una cosa che so fare, è raccontare storie.
“Ok,” comincio, preparandomi mentalmente a fargli una lezione in stile Saltzman “Ci sono dieci persone invitate su un’isola, tutte con dei segreti orribili. Ognuno di loro è colpevole di qualcosa – omicidi, tradimenti, inganni. Vengono tutti accusati da una voce registrata e poi, uno alla volta, cominciano a morire seguendo lo schema di una filastrocca macabra. Ogni morte è un omicidio perfettamente orchestrato, e alla fine non resta più nessuno. E ovviamente, il colpevole è una sorpresa.”
Papà alza un sopracciglio “Quindi... nessuno sopravvive?”
“No. È questo il bello. Nessuno è innocente e nessuno scappa dal proprio destino”
Mi fermo, lasciando che il significato delle mie parole rimanga sospeso nell’aria.
La tragedia è sempre stata il mio genere preferito, e forse c'è qualcosa di profondamente confortante nell’idea che alla fine tutti ottengano ciò che meritano, in un modo o nell'altro.
Anche se, vivendo a Mystic Falls, comincio a pensare che l’idea di giustizia sia più un'illusione che altro.
Papà rimane in silenzio per un attimo, come se stesse riflettendo su quello che ho detto, ma poi cambia argomento con la delicatezza di un elefante in una cristalleria.
“Senti,” dice, grattandosi la nuca “c’è una festa tra un paio di giorni. Siamo stati invitati.”
Rimango immobile, fissandolo come se mi avesse appena chiesto di partecipare a una maratona notturna in mezzo al bosco.
Una festa?
In mezzo a tutta quella gente, con i loro segreti e i loro sorrisi falsi?
Sembra una trappola.
“Una festa?” ripeto, cercando di non sembrare troppo allarmata “E chi ci ha invitati?”
Papà fa spallucce, come se non fosse poi così importante “Gli organizzatori, immagino. Una cosa del genere serve a farci integrare nella comunità. Potrebbe essere divertente.”
Divertente?
Non so cosa ci sia di divertente nel mescolarsi a sconosciuti, soprattutto se si tratta di gente che probabilmente nasconde più cose di quanto vorrei scoprire.
La mia mente vaga immediatamente verso Elena e Stefan.
Saranno sicuramente lì, con i loro segreti che fluttuano nell’aria come fumo.
E poi chissà quanti altri personaggi usciranno fuori.
Vampiri?
Streghe?
Un circo ambulante?
Cerco di pensare a una scusa per non andarci, ma il suo sguardo mi fa capire che, in fondo, non ho molte possibilità di evitare questa situazione.
Dopotutto, siamo “nuovi in città”, e papà sembra determinato a farci entrare nelle grazie della comunità.
Sospiro e abbasso lo sguardo sul libro, sapendo già che non vincerò questa battaglia.
“Se proprio devo andare...” comincio, e lui annuisce prima ancora che io finisca la frase.
Decido di usare una citazione, giusto per rendere il mio consenso meno banale.
“Ok, ci andrò” dico con un mezzo sorriso “ma solo perché, come dice Holden Caulfield, ‘odio i film, come odio le feste, ma vado lo stesso, tanto per dare un’occhiata’.”
Papà sorride, anche se so che non ha idea di chi sia Holden Caulfield.
Spero che abbia capito il tono sarcastico.
“Bene,” dice, alzandosi dalla sedia, visibilmente sollevato per avermi convinta “Sarà una buona occasione per conoscere altre persone. E chissà, magari ti divertirai.”
“Oh sì, certo” rispondo, rimettendomi comoda sul letto e riaprendo il libro “perché niente urla divertimento più di una festa in una città infestata da cose”
Lui scuote la testa, ma so che un po’ del mio sarcasmo lo diverte.
Mi lancia un’ultima occhiata prima di uscire dalla stanza, lasciandomi di nuovo sola con i miei pensieri e i miei misteri di carta.
Torno a immergermi tra le righe del libro, ma non riesco a concentrarmi.
Il pensiero della festa mi ronza in testa, e non in senso positivo.
So che qualcosa succederà, lo sento.
Mystic Falls non è il genere di città in cui le cose vanno semplicemente bene.
C'è sempre un colpo di scena dietro l’angolo, come nei libri gialli.
Solo che qui non c’è nessun detective a risolvere il mistero.
Solo persone normali, intrappolate in una tela molto più grande e oscura di loro.
E, purtroppo, anch'io faccio parte di questa storia adesso.
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