Capitolo 7
Mi svegliai fresco come una rosa e il mio senso di onnipotenza si era ripreso dalla defaiance del giorno prima. Ora avevo di nuovo una voglia matta di affondare la mia spada nella carne di qualcuno. Ma avevo anche un altro oggetto di interesse ad aspettarmi nelle segrete e decisi che quel giorno mi sarei dedicato alla nuova prigioniera.
Abbandonai le mie stanze a grandi passi e mi stupii che per il castello non ci fossero che le guardie. Mi strinsi nelle spalle, senza curarmi oltre di quella anomalia pensando anzi che così non avrei dovuto dare spiegazioni a nessuno.
Raggiunsi i sotterranei e fui colpito dalla ventata di aria fredda e umida che usciva dai bui cunicoli scavati nella roccia. Mi addentrai nei sotterranei e raggiunsi la cella dell'umana. Entrai e la vidi: un grumo di vestiti raggomitolati in un angolo. I soldati l'avevano privata dell'armatura e le avevano lasciato addosso solo la tunica e le brache stracciate e sporche. Nella piccola stanza buia aleggiava l'odore del sangue e della muffa. Storsi il naso infastidito. Non avevo nessuna intenzione di rimanere lì più a lungo del necessario. Perciò, con poca grazia trascinai l'esile corpo della giovane in una stanza più grande e illuminata, più vicina alla superficie.
La gettai sul pavimento e la guardai con un ghigno dipinto in volto, non aveva avuto nemmeno il tempo di capire cosa stesse accadendo.
Era debole, ne ero consapevole, e per questo sapevo fino a che punto avrei potuto spingermi. Non l'avrei uccisa, non quel giorno.
Mi avvicinai minaccioso ma non volendo fare tutto da solo, cercai un modo per far sì che reagisse, che parlasse, che facesse anche solo un minimo gesto che potesse giustificare una violenza. Ma quella ragazza, da bravo soldato, rimaneva accasciata in silenzio, con gli occhi verdi socchiusi e il respiro accelerato. Stava soffrendo, ma continuava a comportarsi come una bambola inanimata, il che, mi infastidiva. Non era divertente.
- Allora, Jahira...come ti trovi a Palazzo? La permanenza è gradevole? - la schernii, ma non sortì nessun effetto. Ciò che dicevo sembrava non scalfirla. Mi irritai, ma mi imposi di mantenere la calma.
- Sarebbe più facile per te parlare di tua spontanea volontà. Non mi sembrerebbe cortese obbligarti con la forza a rispondermi. Non c'è bisogno che mi riveli niente di particolare... per ora- dissi in un sorriso, abbassandomi alla sua altezza.
- Da dove vieni? - chiesi. Le afferrai una ciocca di capelli e la obbligai a fissarmi negli occhi. I miei terribili occhi scrutarono i suoi ma non videro nessuna traccia di paura.
Jahira non stava morendo dal terrore, i suoi occhi infatti mi sfidavano irriverenti, aveva la faccia tesa per il dolore alla radice dei capelli e aveva le labbra socchiuse, screpolate e mute e io mi soffermai un po' troppo a studiarla. Quando me ne accorsi la colpii facendola ricadere a terra supina - Perché non parli stupida umana? Perché osi sfidarmi? Piegati al mio volere! - ringhiai in preda all'ira. La donna mi fissò in ginocchio e capii che piuttosto di parlare sarebbe morta. Le avrei fatto solo un favore uccidendola ma la tentazione di farlo era forte e il mio corpo rabbrividiva di eccitazione solo al pensiero delle migliaia di torture che avrei potuto infliggerle prima di privarla della vita.
La colpii.
Sadico, infierii sul suo corpo.
- Stupida umana! Avrei dovuto sterminare subito tutti quelli come te- sibilai ad un tratto.
Jahira non si muoveva più, non tentava nemmeno di proteggersi.
Decisi di fermarmi, mi ero sfogato abbastanza. Mi chinai vicino al suo orecchio e le sussurrai poche chiare parole.
- Mentre tu marcirai qui, la tua regina verrà catturata e uccisa e il tuo popolo sarà sterminato. Lo farò, prima o dopo, questo dipende da te. Se deciderai di rivolgermi la parola, potrebbe anche esserci l'eventualità che io riconsideri il valore della vostra specie e vi salvi. Mettiamola così: tu hai in mano il destino dei tuoi simili-. Sperai che le mie parole sortissero qualche effetto ma l'unica reazione che ricevetti fu un sospiro. Meglio di niente.
Decisi che forse sarebbe stato meglio riportarla nella sua cella e di lasciarla a riflettere. Sarei tornato a prenderla e l'avrei interrogata di nuovo dopo qualche giorno di isolamento. Magari nel frattempo avrei mandato Aliah a curarla, perché la donna soldato era davvero messa male e non volevo rischiare di farla morire prima del tempo.
Mi riscossi quando Jahira rotolò su se stessa cercando di alzarsi. L'anticipai e la raccolsi tra le braccia. Non per pietà. Certo, avrei potuto trascinarla per i capelli lungo il tragitto, ma mi riservavo il meglio per più avanti. Ora probabilmente non sarebbe sopravvissuta a molto più di qualche colpo ben assestato. Le avrei concesso un po' di tempo per rimettersi, dopotutto, ero un dio gentiluomo.
Jahira tentò di opporsi ma quando fu lontana dal terreno si abbandonò completamente a me. In questo gesto lessi, oltre a una buona dose di incoscienza, anche un minuscolo atto di fiducia.
Mi sorpresi di quanto la ragazza fosse sottile e leggera. Le mie braccia erano il doppio delle sue, senza essere troppo imponenti, e le avvolgevano tutta la schiena senza sforzo. Mi sembrava di trasportare una bambina. Quando giunsi alla cella ebbi la cura di adagiarla a terra con leggerezza, senza lanciarla cadere come avevo pensato di fare.
Mi allontanai quasi a malincuore. Il mio essere voleva scoprire cosa la mente di quella donna celasse.
Tornai in superficie e i miei occhi si adattarono subito alla luce del primo pomeriggio. Mi accorsi quindi solo in quel momento di essere stato chiuso nelle prigioni per tutta la mattina.
Sospirai pensando alla montagna di lavoro che dovevo svolgere in qualità di divinità creatrice e mi venne l'infantile voglia di tornare nei sotterranei e nascondermi.
Purtroppo Arsiel mi vide da lontano e mi raggiunse prima che potessi dileguarmi.
-Mio Signore- mi salutò con voce sensuale e facendo una riverenza. Aveva il corpo viola ricoperto di un sottile abito dorato. I capelli svolazzanti, quella mattina, erano di color cobalto e si attorcigliavano alle corna bovine che le crescevano dalle tempie candide e decorate da arzigogoli dorati. Ne aveva due paia e mi avevano sempre colpito molto per la loro rara bellezza.
La dea delle passioni si mosse con grazia verso di me e io la cinsi con un braccio.
-Mia Dea- la salutai e le baciai le corna e la fronte come, sapevo, le piaceva, ma poi mi staccai e mi allontanai di qualche passo. Aumentando la distanza.
- Devo andare- dissi chiaro e nel tono era facile leggere il mio rifiuto. Non avevo voglia della sua compagnia, non volevo aver niente a che fare con i miei doveri né mi sarei permesso di dimenticare la realtà dissolvendomi nei piaceri di Arsiel.
Volevo tornare da Jahira e studiarla e farle domande.
La Dea della Passione cercò inutilmente di trattenermi, ma mi allontanai a passo svelto dalle segrete e da lei, lasciandola sola in mezzo al cortile. I suoi occhi scontenti incollati sulla mia schiena.
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