Capitolo 5
La donna giaceva a terra immobile sotto il mio sguardo attonito. Tutto mi sarei aspettato tranne quello. Da quando in qua le donne combattevano? Cosa potevo farmene di una femmina debole?
Raccolsi il corpo leggero ed esausto della ragazza in un moto di magnanimità e la portai nelle mie stanze dove la adagiai su un divano. Le allentai appena le corde che le immobilizzavano le braccia ma non mi spinsi fino a toglierle del tutto poiché, come avevo avuto modo di scoprire prima, nonostante la debolezza, era in grado di gettatarsi su di me con uno sguardo omicida negli occhi senza troppe esitazioni.
Dopo averla sistemata, mi sedetti su una poltrona e cominciai ad osservarla: era strana. Il sangue e la sporcizia che ancora la coprivano mal celavano la carnagione pallida, la sottile armatura rendeva piatte le forme che già di loro erano quasi inesistenti, il viso era spigoloso e severo, la bocca sottile, il naso piccolo e dritto e gli occhi, in quel momento chiusi, erano riparati da lunghe ciglia scure. Ciò che più mi stupiva nell'aspetto particolare della donna erano i capelli: corti. Non avevo mai visto una femmina con i capelli corti. Mai. Era davvero strano.
Arsiel, Fidiven, Aliah tutte le Dee avevano lunghi capelli dai diversi colori, e spesso passavano le giornate ad acconciarli.
Una donna soldato con i capelli corti mi destabilizzava.
Girai intorno al divano e scrutai l'umana come per cercare di leggerle nel pensiero, ma alla fine solo una domanda mi ronzava insistente nella testa: chi era?
Prima che la donna riprendesse i sensi ci volle buona parte della notte. Quando si svegliò, io ero ancora intento a fissarla, e in realtà, non avevo smesso nemmeno un minuto.
Non avevo mangiato, né parlato con nessuno, avevo solo fatto chiamare Allalah perché finisse di curarla.
La prima cosa che vidi quando si svegliò furono i suoi occhi, di un verde intenso. Erano grandi e dilatati, un po' per il buio e un po' per la paura. Mi attirarono come calamite e la prima cosa che feci fu distogliere lo sguardo.
- Ben svegliata- dissi nella sua direzione e la vidi sussultare.
- Dormito bene? - chiesi ironicamente.
La giovane non rispose e rimase sdraiata a fissare il soffitto.
- Come ti chiami?- chiesi ma non ottenni nulla.
- Da dove vieni? - aggiunsi ma di nuovo non ricevetti risposta. Cominciai ad innervosirmi.
- Non hai intenzione di rispondere? - chiesi quindi in un sibilo, ma la ragazza non spostò lo sguardo nemmeno per un istante né mosse le labbra. Mi alzai, arrabbiato per l'offesa che mi recava negandomi una risposta, la raggiunsi e mi avvicinai a pochi centimetri dal suo volto. Nel buio, i suoi occhi sembravano due fari accesi e dovetti fare un grande sforzo per non cadere nella tentazione di rimanere a fissarli per i successivi 500 anni.
Soffiai minaccioso e sussurai: - Ti conviene rispondermi. Non ci metto niente a tornare ai confini dell'universo e a sterminare tutti i tuoi compagni-.
La ragazza si irrigidì.
-Allora, qual'è il tuo nome? - domandai per l'ennesima volta.
La donna ci mise un po' per decidersi a rispondere, ma alla fine una sola parola riverberò nel silenzio assoluto della stanza.
- Jahira.- disse in un sussurro, piegando la testa sconfitta. Era evidente che fosse esausta, nonostante avesse già dormito ore quel pomeriggio, così decisi che un interrogatorio a quell'ora sarebbe servito a poco. Chiamai un soldato della ronda e gli affidai la ragazza da portare in una cella.
Non avrei preteso altro da lei, per il momento. Mi basta il nome, pensai mentre la vedevo sparire oltre la porta.
Quando fui di nuovo solo, mi sedetti, improvvisamente svuotato di tutta la mia forza. Sempre più spesso venivo colto da questi momenti di debolezza che in alcun modo potevo permettermi. Dovevo trovare un modo per riprendermi il prima possibile oppure avrei rischiato davvero la mia posizione.
Mi alzai, passeggiai per la stanza senza fare niente per un po' e poi decisi di cambiarmi per l'ennesima volta. Mi tolsi la tunica che era sporca della cenere e del sangue del soldato e mi infilai un paio di morbidi pantaloni. Rimasi a torso nudo insensibile all'aria fresca della sera. Uscii dalle mie stanze quando ormai si era già fatto buio e il castello si stava lentamente spegnendo.
Tutti gli Dei, come avevo ordinato, erano tornati alle loro terre. Solo i principali membri del consiglio abitavano con me. Arsiel probabilmente era già a letto, Morte aveva del lavoro da finire con le anime degli uomini e Atmek era sicuramente a festeggiare nella Guardia con i suoi soldati la "vittoria" di quel giorno.
Tornai alla Torre Nord.
Il guardiano mi salutò con un muto inchino e io come al solito lo ignorai. Mi diressi verso il parapetto e scrutai il Creato: la guerra l'aveva devastato.
Avevo distrutto intere razze, spezzato discendenze, mi ero macchiato di delitti orribili, avevo, a volte, addirittura riassorbito in me Dei e Dee che avevo creato.
Avevo ucciso i miei figli.
Avevo ucciso me stesso.
Come quella lontana mattina in cui mi ero svegliato con la voglia di uccidere, quella fredda notte cominciò a spegnersi la mia sete guerriera.
Sospirai e mi chiesi come stesse la prigioniera nelle segrete.
Per un attimo avevo creduto di aver catturato la regina, ma l'aspetto della donna non aveva nulla di ciò che i bardi umani narravano. Non era regale, non era bella né aveva l'aria di essere intelligente. Non era lei la regina di sicuro e un po' mi dispiaceva. Mi sarebbe piaciuto averla per le mani: la mia rovina. Avrei voluto farle patire le pene dell'inferno uccidendola lentamente dopo aver sterminato i suoi simili.
A quei pensieri sorrisi e una scintilla mi accese gli occhi policromi. Avrei avuto modo di sfogarmi sulla mia nuova preda in ogni caso. In attesa di catturare la Regina, avrei dedicato tutte le mie attenzioni a Jahira.
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