Capitolo 26
- Dalai... Io vado un po' fuori- disse la regina degli uomini che non ne poteva più di stare al chiuso. Erano passate tre settimane da quando era rimasta da sola, e poco più di due mesi da quando aveva lasciato la terra con l'aiuto di Fidiven.
Si era ristabilita completamente e aveva avuto modo di esplorare tutto il palazzo, dalle cucine alla Torre Nord. Voleva uscire in giardino, fare un po' di moto, allenarsi.
Nella sua reggia era solita esercitarsi ogni giorno con la spada, e andava a cavallo spesso. Lì erano attività che non poteva svolgere.
Però c'erano i giardini, magnifici, che erano enormi e piacevoli da visitare perché erano quasi sempre deserti.
La serva la aiutò a vestirsi per uscire informandosi sulle sue condizioni di salute. - Sto bene Dalai, orami mi sono completamente ripresa- la informai per l'ennesima volta.
Tra di loro non era cambiato nulla da quando avevano parlato del Dio degli Dei, ma dentro di lei, Dunkelheit aveva continuato a pensarci.
Uscì e per fortuna non incontrò nessuno. Diversamente dai primi giorni, l'eccitazione e la tensione delle divinità per il presunto imminente ritorno del loro Signore era svanita. Pochi si aspettavano un suo ritorno a breve ormai, Darjetso le aveva detto che il Dio degli Dei avrebbe potuto stare via mesi, anni o addirittura secoli. Tuttavia era convinto che sarebbe tornato prima, per lei.
Pensando ai numerosi colloqui con il Dio della Morte raggiunse uno dei viali del giardino che più le piacevano. Era una lunga via sterrata, fiancheggiata da filari di enormi alberi frondosi ai piedi dei quali, della tenera erba curata si stendeva come un tappeto. Grandi aiuole fiorite si alternavano a cespugli e alberelli sottili, laghetti e torrentelli scorrevano e irrigavano tutto il giardino, e ogni poche centinaia di iarde il sentiero diventava un ponticello di pietra o di legno, ricoperto di rampicanti o di muschio. Ne aveva trovato uno, di ponte, che le era piaciuto molto e sul quale amava fernarsi per guardare l'acqua che scorreva placida sotto di lei.
Si alzò le gonne, che come sempre trovava scomode, e si tolse le scarpe, abbandonando poi il sentiero e avventurandosi per il prato.
Guardò il cielo. Era un'altra giornata di sole, calda, ma piacevole. Una lieve brezza le accarezzava la pelle là dove il vestito la lasciava scoperta e rendeva l'aria fresca.
Camminò per un'ora o poco più, poi si fermò in un angolo del giardino che l'aveva attirata. Era un luogo raccolto, al limitare del muro.
Un laghetto coperto di ninfee faceva da sfondo a un piccolo gazebo bianco e semi arrugginito, riparato da due salici piangenti.
Andò a sedersi sul prato vicino all'acqua e si sporse. Il suo riflesso le tornò diverso da come lo vedeva di solito: aveva le guance rosse, i capelli, ormai quasi a caschetto, spettinati, non aveva trucco e i suoi occhi risultavano ugualmente grandi e luminosi, contornati dalle sue lunghe ciglia.
Si vide sorridere e per la prima volta da quando era diventata regina, si sentì in pace con se stessa. Per un fugace istante riuscì a svuotare la testa e ad essere felice.
Si godette il sole per un bel po' assaporando l'aria che in quell'angolo di giardino era quasi primaverile.
Fissò l'acqua e le venne voglia di tuffarsi.
Si guardò intorno circospetta ma poi si convinse che non sarebbe arrivato nessuno e che avrebbe potuto immergersi per un po'.
Si sfilò il lungo vestito con qualche difficoltà, ma poi, finalmente, riuscì a rimanere solo in biancheria, leggera e sottile.
Fece un primo passo e rabbrividì quando l'acqua fredda le solleticò le caviglie. Le venne da ridere, e si sentì come dovevano sentirsi le ragazze della sua età, come le giovani donne che vedeva passeggiare per la Capitale, spensierata.
Fece qualche passo trattenendo gridolini di sorpresa quando le onde leggere dell'acqua le sfioravano a tradimento parti del corpo ancora asciutte.
Si immerse anche con la testa e rimase sotto per qualche istante godendosi il silenzio morbido del laghetto.
Riemerse e nuotò un po' a pancia in su, fissando il cielo azzurro.
Ripensò al cielo di Terra e ripensò al suo popolo che età stata costretta ad abbandonare. Tra poco sarebbe tornata indietro, sarebbe tornata per porre rimedio alla guerra che il Dio degli Dei aveva causato. Si rattristò al pensiero di quelle numerose famiglie a cui avrebbe dovuto dire che i loro uomini erano morti, che solo lei si era salvata.
Uscì dall'acqua e si asciugò un po' con il vestito, poi ci si sdraiò sopra aspettando che il sole finisse di asciugarla.
Si addormentò in quell'angolo di giardino e si risvegliò a pomeriggio inoltrato. Sole stava calando oltre il muro e illuminava gli alberi e il palazzo con i suoi raggi dorati.
Dunkelheit si stropicciò gli occhi e sospirò, doveva tornare a Palazzo.
Si alzò e si rivestì in fretta senza legarsi i capelli o stringere bene i lacci dell'abito, rimase scalza e si incamminò.
Gli uccellini le facevano compagnia con il loro canto e la guidarono fino alla strada, al viale alberato.
Si fermò ancora un po' sul ponte; voleva godersi gli ultimi raggi prima di tornare a rinchiudersi delle stanze del Dio degli Dei.
- Buonasera... - disse una voce dietro di lei.
Sobbalzò per lo spavento e dovette coprirsi la bocca con la mano per non urlare.
Dietro di lei era comparso un uomo, un vecchio.
Lo fissò stranita e lo studiò, sembrava un mendicante.
Che cosa ci faceva lì? Da dove era comparso? Cosa voleva?
- Buona..sera... - disse incerta, - Posso aiutarvi in qualche modo? - chiese senza saper bene che fare, torturandosi le mani nervosa.
- Non mi riconosci? - chiese con un sorriso il vecchio alzando gli occhi, che la folgorarono.
- Tu... sei tornato? - disse, con voce tremante e impaurita, la regina degli uomini, di fronte al Dio degli Dei.
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