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capitolo 25

Aprii gli occhi non appena sentii Rubrick muoversi.
Non avevo dormito quella notte, l'unico lusso che mi ero concesso era stato quello di cadere in un dormiveglia leggero.
Avevo più che altro riflettuto, e mi ero finalmente deciso a ritornare a casa.
Dal punto in cui mi ero sistemato per riposare osservai il risveglio dei due umani.
Rubrick fu il primo ad alzarsi, sbsdigliando in modo rumoroso, e sua madre aprì gli occhi poco dopo. Ero soddisfatto di me, avevo fatto davvero un lavoro eccellente con lei, l'avevo guarita in modo impeccabile, e ora sembrava pure avere un po' più di colorito rispetto alla sera prima.
- Buongiorno - dissi facendo sobbalzare entrambi, - Dormito bene? - chiesi, e ricevetti una risposta affermativa.
- Sembra che la mamma stia bene! - esclamò dopo qualche istante Rubrick, fissando a bocca aperta prima me e poi sua mamma. Ci aveva messo un po' a notare la differenza della donna nell'aspetto.
- Mamma, come stai? - chiese spostando la sua attenzione lontano da me. - Bene amore mio, sto bene... - sussurrò l'umana, altrettanto incredula per la sua miracolosa guarigione.
- Dottore... vi sono e vi sarò eternamente grata- disse poi di nuovo rivolta a me.
Io scossi la testa, - É merito di vostro figlio, che mi ha trovato. Io ho semplicemente fatto il mio dovere. Sono felice che stiate bene- dissi.
Rubrick aiutò sua madre ad alzarsi con occhi eccitati e commossi.
Io mi rallegrai per quella scena e mi dimenticai per un attimo di tutto. Vissi il momento.
Non mi resi conto di quando gli occhi della donna attraversarono i miei e non mi accorsi del suo sguardo di terrore.
Mi ero scordato dei miei occhi arcobaleno, inconfondibili.
- Tu... - disse la donna rimase immobile e sconvolta e io realizzai in quel momento che aveva capito chi ero. Rubrick ci osservava senza capire, a quanto pare non era a conoscenza del particolare delle mie iridi.
- Sono io - dissi senza cerimonie, era inutile mentire sulla mia identità, lei sbiancò e cominciò a tremare, ma con un enorme forza e con grande controllo riuscì a spingere fuori dalla capanna suo figlio, lo mandò a prendere dell'acqua. Ammirai quel suo tentativo di proteggere il ragazzino da me, ma ero allo stesso tempo dispiaciuto e tristemente divertito. Avrei potuto uccidere entrambi in quel momento se avessi voluto... in effetti, avrei potuto far saltare in aria la terra già da un po'.
Lasciai che Rubrick si fosse allontanato e mi preparai a fronteggiare la donna in preda allo shock.
- Tu... voi... il Dio degli Dei... - ferneticò con il labbro tremante. Io rimasi silenzioso e immobile, lasciai che si riprendesse.
- Come mai siete qui? - chiese l'umana troppo incredula per farsi prendere dal terrore.
Le sorrisi, - Sono venuto a vedere il disastro che ho combinato... E se posso rimediare- le risposi, lasciandola ancora più incredula.
Decisi poi che per me era giunta l'ora di andare, il sole era sorto da poco e sarebbe stato piacevole partire con la luce di un nuovo giorno alle spalle.
La mamma di Rubrick non parlò né si mosse quando mi alzai, ma continuò a fissare un punto indefinito del pavimento, poi però si riscosse.
- Aspettate!- esclamò facendomi girare, - Io... Io credo... che sia giusto ringraziarvi...- disse incerta, - Non so per quale motivo voi abbiate voluto aiutarci, ma d'ora in avanti pregherò perché possiate essere buono con gli altri come lo siete stato con mio figlio e con me- disse e nei suoi occhi lessi una certa sicurezza, quella donna aveva reagito nel modo meno prevedibile. Sembrava davvero convinta che io avrei potuto essere buono, non aveva avuto paura. Le sorrisi, - Ascolterò le tue preghiere- risposi e poi uscii.

Ripercorsi le vie scure della città con animo rilassato, nonostante avessi un po' il rimpianto di non aver salutato Rubrick, quel ragazzino ribelle.
Quando giunsi di nuovo nella piazza centrale, la ritrovai affollata e chiassosa come il giorno precedente, o forse più. Era arrivata una colorata carovana di mercanti nomadi che aveva portato un po' di novità ed entusiasmo tra la gente. Sorrisi osservando i mortali che si affannavano per raggiungere i carri su cui erano state allestite bancarelle provvisorie, intorno alle quali erano nati vivaci botta e risposta tra venditori e clienti, scambi di merci, di galline e di attrezzi.
Vidi bambinetti correre tra le gambe degli uomini in una corsa tra le gonne delle madri, non sembrava che l'animo di questi umani fosse stato scalfito; era una bella giornata.
Mi diressi verso la parte opposta della città rispetto al punto da cui ero giunto. Una volta uscito, sarei tornato alla forma di vento e me ne sarei andato.
- Vecchio! - sentii gridare alle mie spalle.
Mi voltai e vidi Rubrick arrivare di corsa rosso in volto e imbronciato, - Ragazzino... Non mi chiamare Vecchio- gli rammentai, ma lui sembrò non recepire nemmeno una parola.
- Non mi avete aspettato, volevo salutarvi... e ringraziarvi- disse abbassando la testa, - Avete salvato la mamma... Io vi ringrazio- io gli sorrisi in risposta, - Ora mi hai salutato. Torna a casa da tua mamma-. Rubrick scosse la testa, -Avrei una richiesta. Dottore, vi prego, portatemi con voi, insegnatemi la vostra arte- disse quasi implorante.
Non sapevo cosa rispondere, non potevo certo portarmelo dietro. - Rubrick, la mia è un'arte che non si può insegnare, non ti porterò con me per questo, ma anche perché ora tua madre ha ancora bisogno di te. La guerra non è ancora finita, benché si sia fermata. Potrebbe ricominciare da un momento all'altro, devi stare insieme alla tua famiglia- dissi severamente.
Il ragazzino alzò la testa di scatto, - Portatemi con voi! - esclamò stringendo i pugni, venendomi incontro.
Io mi allontanai, incamminandomi verso le mura, mi dispiaceva lasciarlo indietro, quei due giorni ero stato bene con lui, ma avevo già la mia ragazza ribelle a cui tornare, non avevo bisogno di un'altra peste umana. - Dottore! - mi chiamò ancora da lontano, dal fondo della via. Mi girai un'ultima volta, - Torna a casa Rubrick. Torna da tua madre. Forse, un giorno, ci rivedremo- gli gridai e poi svoltai l'angolo, sparendo alla sua vista.
Le mura mi si pararono di fronte così di colpo che quasi non me ne accorsi. Cercai una breccia, uscii, e mi ritrovai di nuovo nel bosco.
Presi un respiro profondo e pensai al viaggio di ritorno che mi aspettava, pensai a Dunkelheit, ai miei Dei.
Non appena fossi tornato avrei dichiarato finita la guerra e averei parlato con la regina, l'avrei liberata, seppur a malincuore.
Cercai una radura e presi la forma del vento.
Feci un ultimo giro della terra e poi me ne andai.

Mentre mi allontanavo da Fidiven riacquistai la mia vera forma. Guardandomi mi accorsi che le mie aure erano diventate molto simili, di un caldo arancione. Non mi era mai successo prima, ma mi sentivo bene, sorrisi dirigendomi verso casa.

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