capitolo 20
Mi svegliai stanco e malinconico.
Fuori dal tempio la città distrutta lanciava il suo muto grido disperato e non mi permetteva di dormire tranquillo.
La giornata era una di quelle tristi e grigie, una sottilissima pioggia batteva come un ago affilato sulla terra martoriata, bagnando i resti della capitale.
Mi alzai e mi diressi verso l'ingresso del tempio. Mi appoggiai a una delle colonne del pronao coperto e stesi una mano verso l'esterno.
Accolsi con un lieve sorriso di sollievo la sensazione di freschezza che le goccioline di pioggia mi procuravano sulla mano.
Uscii allo scoperto e lasciai che l'acqua mi bagnasse completamente, alzai il volto e lo esposi alla pioggia. Avrei voluto che potesse purificarmi, lavare via tutte le mie colpe.
Rimasi immobile a lungo, avvertivo che sotto la pioggia le mie due essenze si stavano equilibrando, le avvertivo muoversi e plasmarsi l'una sull'altra, in armonia, senza i soliti conflitti. Provai un forte senso di pace; era da molto tempo che non succedeva.
Ad un certo punto del giorno smise di piovere. Appena me ne accorsi mi sbloccai e sciolsi il mio corpo dalla posizione immobile che fino a quel momento avevo tenuto.
Decisi di avventurarmi di nuovo per le strade deserte e distrutte.
Per molto tempo feci scivolare il mio sguardo sulle rovine, accarezzando gli scheletri delle case e soffiando aliti di vita sulle poche piante rimaste.
Risalii la cittadella verso il Pantheon. Arrivai quasi in cima e raggiunsi un grande spiazzo ai piedi del tempio. Era una sorta di terrazzo e dalla balaustra era possibile osservare tutta la città. Ricordavo questo posto, quando ero venuto il panorama era bello da mozzare il fiato, ora era celato dalle nuvole basse e dense.
Mi aggirai per lo spiazzo pensieroso. Avrei voluto fare qualcosa per quella terra...
Ad un tratto notai tra due rocce qualcosa che attirò la mia attenzione e accese il mio entusiasmo.
In centro alla piazza, tra due blocchi della pavimentazione, un minuscolo germoglio aveva trovato la forza per nascere.
Lo osservai da vicino; il suo tenero verde, le sue sottili foglioline, il suo stelo così estremamente fragile, ma altrettanto forte.
Lo sfiorai con un dito e presi la mia decisione: avrei donato a quel mondo un albero.
Soffiai sul germoglio e questo subito cominciò a crescere.
Soffiai a lungo fino a quando il germoglio non fu un alberello dal tronco sottile.
Osservai il risultato ma non ero ancora soddisfatto. Non avrei creato un albero qualunque, sarebbe stato un albero che avrebbe a sua volta donato la vita.
Abbracciai il tronco dell'albero e lasciai che la mia aura d'oro lo avvolgesse. L'albero crebbe, la sua chioma si aprì e si ricoprì di verdi foglie. Lasciai che crescesse fino a sovrastare il Pantheon, tutti l'avrebbero visto da lontano, sarebbe stato il simbolo della città e l'avrebbe protetta e nutrita. Guardai soddisfatto il risultato; l'albero sembrava quasi vivo, pulsava e emanava energia e già in quel momento la terra intorno a lui si stava colorando.
Sorrisi felice di aver fatto finalmente qualcosa di buono e per un momento i miei pensieri volarono a Dunkelheit, chissà cosa avrebbe pensato.
Scossi la testa cercando di scacciare l'immagine della ragazza.
Mi allontanai dal gigantesco albero e ridiscesi verso il tempio delle tre sorelle.
Quando arrivai a destinazione le nuvole si erano alzate e il sole scaldava la capitale che riluceva bagnata come se fosse stata ricoperta di argento. La guardai con occhi diversi, avevo la speranza che si sarebbe risollevata.
Le tre sorelle mi attendevano sulla soglia del loro tempio e mi stavano osservando stupite e addirittura quasi commosse. Opulenza mi sorrise con gli occhi lucidi e Festa e Ricchezza seguirono il suo esempio.
- Nostro Signore... abbiamo visto il dono che ci avete fatto e vi siamo grate e debitrici - disse Ricchezza inchinandosi. Io annuii, - Era il minimo che potessi fare - risposi.
Non mi sbilanciai nè nel tono né nell'atteggiamento, non permisi loro di vedere quanto ciò che avevo fatto mi stesse rendendo felice, tuttavia non negai loro un sorriso.
Le tre dee si inchinarono e chiesero se avessi voluto fermarmi ancora, ma per me era ora di andare ormai.
Negai il loro invito e mi assicurai che l'albero stesse bene e stesse svolgendo le sue funzioni, già gran parte della cittadella era rifiorita.
Mentre mi allontanavo immaginai a quali magnifici progetti avrei potuto attuare una volta terminata la guerra.
La guerra... cosa avevo intenzione di fare? Dovevo finirla, questo era certo.
Come mi sarei comportato con gli uomini? Avrei potuto permettermi di lasciarli vivere in pace sul loro pianeta o mi avrebbero creato problemi? E Dunkelheit? Con lei che cosa avrei dovuto fare?
Mentre camminavo pensavo alla regina degli uomini che avevo lasciato da sola a palazzo.
Mi accorsi di essere quasi preoccupato per lei e la cosa non mi stupì come avrebbe dovuto.
Era cambiato qualcosa in quelle ultime settimane. In me qualcosa aveva smesso di funzionare o al contrario aveva ricominciato a farlo... ma forse la realtà è che non è nessuno dei due casi. Quello che provavo per Dunkelheit era qualcosa di sconvolgente e nuovo per me, totalmente sconosciuto, spaventoso.
Mi accorsi che i miei pensieri mi avevano condotto in ambiti che mi stavano confondendo e su una via che mi stava portando attraverso l'Universo, verso i suoi confini.
Viaggiai a lungo verso la terra, era lì che sentivo di dover andare.
Mi fermai in ogni pianeta che incontrai e cercai di rimediare alla distruzione che avevo causato.
Arrivai in vista della terra dopo non so più quanti giorni di viaggio.
Fidiven la avvolgeva ancora con i suoi venti protettivi, l'Esercito Celeste era già rientrato in gran parte ed erano rimasti solo alcuni avamposti.
Il Sole stava tramontando in lontananza e io lo osservavo dalla Luna, quando fu buio mi staccai dal satellite e poiché la mia veste era scura e si mimetizzava nel vuoto, fu facile per me avvicinarmi di più a Terra.
Dovevo trovare un modo per superare la barriera.
Ciò a cui pensai fu di una banalità tale che se ci avessi pensato prima avrei probabilmente evitato moltissimi problemi. Mi trasformai in vento, dopotutto Fidiven era me e io ero lei.
Mi infiltrai senza difficoltà nella corrente della dea e nonostante un paio di sbandamenti riuscii a passare dall'altro lato.
Volevo vedere il popolo che per anni era stato il mio nemico, non l'avevo mai studiato per quello che era, l'avevo sempre e solo visto per la funzione che gli avevo attribuito; il nemico da sterminare.
Scesi sulla terra e la percorsi in tutta la sua superficie. Osservai le città distrutte, le carcasse delle navi nei porti bruciati e gli scheletri delle case abbandonate.
Atterrai riprendendo la mia forma di giovane dai capelli rossi poco lontano da un villaggio.
Da lì avrei cominciato il mio viaggio nel mondo degli uomini.
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