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Capitolo 12

Dunkelheit, dopo l'incontro con la Dea Madre, dopo aver giurato sulla tomba della sua famiglia, aveva fatto sellare nuovamente il suo destriero e aveva galoppato alla volta della Montagna Sacra.
Prima di abbandonare la reggia aveva incrociato Aldebar, il suo generale.
Non si erano mai detti molte parole perchè non erano necessarie, si capivano al volo, con un'occhiata, andavano daccordo su tutto, si sostenevano a vicenda, si rispettavano.
La regina pensava di amare il generale e il generale amava la regina. Una sera d'estate lui le aveva dichiarato il suo amore con un bacio e lei aveva ricambiato.
Era stato il primo e l'ultimo.
Una storia tra loro due non sarebbe mai stata possibile; li divideva una distanza sociale invalicabile.
Loro ne erano consapevoli, così avevano messo da parte il loro sentimento per un fine più grande.
Solo se avessero vinto la guerra, chissà, se fossero sopravvissuti, forse, avrebbero potuto provarci.
Ma la guerra non era ancora finita.

Dunkelheit aveva un piano e il generale l'aveva capito. La regina sapeva che lui l'avrebbe assecondata e appoggiata sempre. Il generale non aveva fatto domande, era salito sul suo cavallo e l'aveva seguita, come un'ombra silenziosa. Avevano raggiunto la montagna nella giornata e una volta cominciata la salita avevano avvertito una fresca brezza avvolgerli e guidarli là dove la Dea li stava aspettando.
Fidiven aveva assunto delle sembianze quasi umane, sembrava uno spirito poiché il suo corpo era diafano, composto di aria, ma racchiudeva in sé una bellezza disarmante, tanto che entrambi i mortali avevano dovuto distogliere lo sguardo.
Quando la Dea aveva parlato l'aveva fatto con dolcezza e grande saggezza, la regina non si era aspettata tutta quella calma da parte della Dea dei Venti. E in seguito aveva avuto modo di scoprire che effettivamente era una divinità tutt'altro che tranquilla.
Insieme, avevano ultimato il piano nei dettagli, in un clima stranamente quieto, senza la tensione o il disagio che la presenza di una Dea avrebbe potuto incutere.
Erano stati soddisfatti e avevano avuto quasi la certezza della riuscita della loro strategia, erano stati quasi sicuri che avrebbe funzionato. Ma avevano sottovalutato il potere del Dio degli Dei e avevano fallito miseramente. L'intero esercito, alle porte bronzee del Palazzo Celeste, era stato distrutto dal Dio. Nessuno era scampato a quella strage. Nessuno, tranne la regina.

Dunkelheit si sarebbe per sempre portata nel cuore il ricordo di quel giorno. Aveva sacrificato la vita di centinaia di uomini, aveva causato la loro morte e aveva privato il suo popolo di padri, fratelli, figli, mariti. Era stata lei a guidarli, li aveva guidati verso la morte e non se lo sarebbe mai perdonata.
Ciò che ricordava con maggior chiarezza era l'immagine del Dio che arrivava in cielo, volando avvolto da ali di aura rosso cremisi. Era stata una visione terribile e magnifica allo stesso tempo ma non aveva fatto in tempo a vedere altro perché il Dio aveva cominciato a illuminarsi fino ad emanare una luce accecante.
Aveva avuto paura perché aveva capito cosa stava per succedere, e si era preparata al peggio. Aveva accettato l'idea di morire molto tempo prima, le dispiaceva solo sapere che sarebbe morta per mano dello stesso assassino che aveva ucciso la sua famiglia. Aveva avvertito l'esplosione un attimo prima che si liberasse.

In pochi istanti erano successe una miriade di cose.
La Regina degli Uomini aveva guardato verso la testa dell'esercito, là dove c'era il suo generale Aldebar. Aveva intravisto la sua sagoma ergersi possente per fronteggiare il nemico e la morte coraggiosamente. Aveva desiderato di raggiungerlo, di poter baciare le sue labbra un'ultima volta. L'aveva visto dare ordini ai suoi uomini con una sicurezza ed una velocità impressionante.
Un primo soldato l'aveva raggiunta, poi un altro e un altro ancora. Tutti i soldati le si erano stretti intorno per farle da scudo e lei aveva capito: Aldebar l'avrebbe protetta, con il suo corpo e quello dei suoi soldati. Dunkelheit aveva provato ad opporsi, aveva tentato disperatamente di uscire da quella gabbia di protezione, urlando, piangendo, menando fendenti sui suoi stessi soldati.
Aldebar aveva incrociato il suo sguardo e lei l'aveva fissato. Aldebar era rimasto fermo, consapevole e rilassato: le era sembrato quasi felice. Ma c'erano delle delicate linee argentate che scorrevano lungo le sue guance che pulivano la polvere dal suo volto. Nei suoi ultimi momenti, il suo generale stava piangendo... per lui, per lei, per loro, per gli il popolo degli uomini.
La regina aveva vissuto quegli istanti prima dell'esplosione fissando con occhi colmi di lacrime gli occhi sereni e lucidi dell'uomo che amava. Aveva sentito lo scoppio e aveva visto la luce.
Tutti i soldati si erano stretti intorno a lei, su tutti i lati, quasi soffocandola. Si era rannicchiata ed era rimasta immobile. Per molto tempo dopo l'attimo della deflagrazione non aveva osato nemmeno respirare, aveva aspettato e, aspettando, aveva pianto silenziosa fino a quando aveva terminato le lacrime. Aveva sopra di sé cumuli di cenere e uomini carbonizzati ma non se n'era resa conto.
Si sentiva stordita, sorda per l'esplosione, cieca per la luce e per le lacrime, immobilizzata dal dolore.
Nella mente aveva l'immagine fissa di Aldebar.
Le aveva sorriso un attimo prima che la ricoprissero del tutto, prima di andarsene le aveva lasciato un ultimo regalo, ma se n'era andato e lei non aveva potuto impedirlo. Era questa la consapevolezza che di più la scioccava. Il suo generale non c'era più, era stato polverizzato. Lei era rimasta viva, ed era rimasta sola.

Qualcuno l'aveva raccolta, l'aveva trasportata in un luogo caldo e accogliente, ma lei non aveva capito dove fosse perché vedeva tutto sfocato; sapeva solo che quel luogo odorava di spezie. Dopo, l'avevano riportata all'aperto, su una terrazza.
Quando si era ripresa, davanti a sé aveva visto un uomo, un uomo dai capelli rossi e aveva capito chi era: il Dio degli Dei. Nelle sue vesti mortali, la creatura che le aveva portavo via ogni cosa le era di fronte e le stava parlando, nonostante lei non riuscisse a sentire una parola. Non ci era voluto molto perché quel mostro la facesse portare nelle prigioni.
Quando era rimasta sola non aveva avuto né il coraggio né la forza di muoversi dalla posizione in cui il carceriere l'aveva lasciata. Aveva fissato il vuoto, senza provare nulla, desiderando la morte per sfuggire alla prigionia. Nessuno venne però a prendere la sua anima. Le sue preghiere rimasero inascoltate. Aveva  capito di aver perso tutto per davvero.

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