Capitolo 11
Uscii dalle segrete a passo di marcia seguito da Morte e Aliah che trasportava il corpo della Regina.
Nell'incoerente follia in cui ero scivolato giurai davanti all'assemblea che avrei tenuto in vita quella donna fino a quando non avrei fatto sparire dalla faccia della terra ogni suo simile. Giurai che l'avrei legata a me e lo feci: creai un legame indissolubile tra me e l'umana. Qualcosa che mai avevo fatto prima di quel momento in cui ogni stralcio di razionalità sembrava essermi sfuggito.
Ordinai che nessuno interferisse e che nessuno osasse sfiorare la prigioniera. La Regina degli Uomini sarebbe stata esclusivamente mia, la mia preda.
Tutti mi obbedirono, come sempre, spaventati dal mio comportamento insolito ed incontrollato. La mia aura rossa più intensa del solito si diramata nell'aria cercando spazio, frustando con i suoi tentacoli chiunque mi si avvicinasse.
Sapevo di dovermi riprendere, di dovermi placare. Dovevo isolarmi, almeno per un po', e trovare una distrazione. Avrei pensato dopo a tutto il resto.
Ordinai alla Dea della Medicina di guarire la ragazza unana e di portarla nelle mie stanze. Così avevo deciso: avrei vissuto con quella donna vicino affinché mi ricordasse le mie debolezze e alimentasse il mio odio nei confronti della sua razza. Avrebbe fatto da valvola di sfogo per il mio animo agitato e forse mi avrebbe aiutato a capire per quale motivo stessi perdendo il controllo così velocemente.
La guerra con gli uomini oramai non era più una guerra fatta per gioco, era diventata una questione personale.
Ed io avrei vinto. Come sempre.
Sciolta l'assemblea mi diressi verso la mia stanza come una furia. Volevo che quel periodo di sconvolgimenti finisse, volevo dormire e dimenticare tutto per un po', quegli ultimi giorni erano stati più lunghi dell'eternità.
Quando però giunsi alla porta della camera più interna mi dovetti fermare e prendere una grande boccata d'aria per abbassare il calore dell'aura rossa. Non sarebbe stato facile resistere all'impulso di uccidere la donna una volta varcata la soglia che ci separava.
Sentivo ribollire la mia essenza nelle vene. Aspettai ancora un secondo e poi spalancai la porta. Nella penombra della stanza schiarita solo dal sole di tardo pomeriggio cercai la mia nemica e la vidi, là dove il sole era più forte, là dove la luce illuminava ancora i granelli di polvere che danzavano nell'aria.
La Regina degli Uomini era seduta vicino al davanzale, incatenata a una delle colonne che sostenevano il soffitto della stanza, e guardava fuori. Il sole le baciava la pelle pallida e tirata sul suo corpo scarno. Pensai che fosse proprio come un fiore: fragile, alla costante ricerca della luce.
Mi bloccai e rimasi ad osservarla mentre lei era ignara della mia presenza e notai di lei tutta la grazia e la regalità della postura che nel buio delle segrete mi era sfuggita. Scossi la testa e repressi la voglia di cancellare la sua esistenza.
Mi confondeva, mi rendeva debole. In sua presenza tutto era più complicato.
Feci qualche passo nella stanza e sorrisi divertito vedendola sobbalzare.
- Bentornata nelle mie stanze. Sta diventando un'abitudine per me riceverti qui piuttosto che in altri posti...- dissi ironico, alludendo al nostro primo incontro e la regina chinò appena il capo in segno di assenso, poi tornò a guardare fuori.
- Voi mi offendete con il vostro silenzio, vostra maestà.- aggiunsi sarcastico cercando di indurla a rispondere.
- Posso almeno avere il piacere di conoscere il vostro nome? Dal momento che, presumo, Jahira non sia il vostro...- dissi rompendo nuovamente il silenzio. La giovane donna tornò a osservarmi e poco dopo si alzò in piedi.
- Il mio nome è Dunkelheit- pronunciò con voce ferma fissandomi negli occhi e a testa alta e mi venne di nuovo voglia di colpirla. Mi indispettiva il fatto che, nonostante la situazione disperata, continuasse a non avere paura di me. Come era possibile? Che cosa l'aveva temprata fino a quel punto? Il suo cuore doveva essere di pietra e la sua mente di ferro. Non aveva rispetto per il suo corpo ma mai avrebbe ceduto la sua anima, di questo ne ero certo.
- Ebbene, Dunkelheit...- dissi masticando quel nome a fatica perché, con una sorta di ironia, mi ero reso conto che aveva il nome di un fiore. Tutto di lei gridava debolezza sebbene in realtà fosse la forza ciò che la distingueva.
Sospirai. In quel giorno erano già successe un troppe cose, la voglia di parlare, così come quella di sfogarmi sull'umana svanirono così improvvisamente come erano cresciute. Volevo dormire e rilassarmi, volevo smettere di pensare. La regina tornò a sedersi e si richiuse nel suo mutismo e io decisi di ignorarla. Mi diressi verso la sala da bagno dove mi spogliai e mi lavai tutta la stanchezza di dosso. Così però, non riuscii a sfuggire ai miei pensieri.
Riflettevo e cercavo di capire cosa ci fosse che non andava in me... ero certo che qualcosa stesse cambiando. Ma di cosa si trattasse, ancora non lo sapevo. Questa fu la conclusione a cui giunsi, per l'ennesima volta. Fu frustrante.
Quando tornai in camera trovai Dunkelheit sdraiata sul pavimento, addormentata. Non mi fece per niente tenerezza, né tantomeno pena, e il fatto di averla lì tra i piedi mi fece rimpiangere la mia decisione di legarmi a lei. Ma oramai quel che era stato fatto era fatto.
Per un istante pensai di chiamare con me Arsiel, ma poi mi resi conto che non era lei di cui avevo bisogno. Non avevo bisogno di altre "passioni" per distrarmi. Mi coricai quindi a letto e rimasi a lungo sveglio a fissare il soffitto e ad ascoltare il respiro lento della donna a pochi passi da me. Era leggero e rilassante.
Una sensazione strana alla bocca dello stomaco si propagò in tutto il corpo e mi trovò impreparato. Era una sensazione che non avevo mai provato prima. Fui tentato di riacquistare la mia forma e abbandonare quel corpo umano dai capelli rossi, ma non lo feci poiché quella sensazione mi faceva stare bene.
Mi rivoltai tra le coperte e alla fine cedetti e la guardai, guardai Dunkelheit. Anche nel sonno manteneva la sua dura compostezza eppure perdeva un po' della sua odiosa aura regale e tornava quasi a essere una semplice ragazza.
Era proprio un'umana, probabilmente la migliore. Era davvero lei l'incarnazione del mio opposto, era lei la nemica che avevo desiderato per tanto tempo. Ma quella sensazione di caldo che mi avvolgeva mentre la guardavo non aveva niente a che fare con l'odio. C'era davvero qualcosa che stava cambiando in me e la cosa mi piaceva e mi infastidiva allo stesso tempo.
Ascoltai il respiro della ragazza e accarezzai con lo sguardo la sua figura fino quasi all'alba.
Quando i primi raggi del sole scivolarono nella stanza e colpirono il mio fiore, sull'onda dei suoi respiri, mi addormentai.
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