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Capitolo 10

Jahira mi aveva messo nell'angolo. Più parti di me erano in conflitto. Chi era quella donna? Quali oscuri poteri stava esercitando su di me per farmi sentire così? Sapevo che avrei rischiato guarendola ma non pensavo che avrebbe fatto crollare così la mia personalità. Per la prima volta non sapevo chi ero. Distruttore o Creatore? Stavo perdendo la mia identità un poco alla volta.
Tutto era degenerato con l'ascesa della regina degli uomini, e poi, l'arrivo di quella prigioniera mi aveva destabilizzato ulteriormente. Avrei fatto meglio ad ucciderla subito. Ora sapevo che non ci sarei più riuscito.
Avevo desiderato così tanto che mi parlasse che mi ero dimenticato perché lo volessi. Avevo passato tre giorni a tentare di strapparle un verso e solo oggi che l'avevo guarita aveva pronunciato la parola che mai mi sarei aspettato di sentire. Mi convinsi che doveva averlo fatto apposta, che si fosse accorta del mio attimo di debolezza e che l'avesse usato per indebolirmi ancora di più.
Era la soluzione più sensata. Non si era mai sentito di una vittima che ringraziava il proprio carnefice.

La prigioniera era ancora in piedi di fronte a me, immobile. Mi accorsi che io invece ero indietreggato fino alla parete. La mia aura rossa era flebile e combatteva con una seconda aura dorata. Le conoscevo bene entrambe; erano le mie due essenze: male e bene, distruzione e creazione.
Non sapevo perché quella dorata, che doveva essere sopita, si stesse risvegliando. Non era più sotto il mio controllo, niente in quel momento lo era. Mi passai una mano sul volto e pensai a tutti gli dei celesti, a tutto ciò che avevo creato e distrutto, a tutto ciò che era avvenuto fino a quel momento. Lì in quella stanza cercai di riordinare i miei pensieri andando con ordine, sapevo che se fossi uscito non avrei trovato un modo per metterli a posto, sapevo che Jahira con la sua presenza mi manteneva lucido, anche se non sapevo spiegarmi perché.
Ripercorsi la mia eternità dal vuoto alla creazione, dalla creazione alla guerra contro gli uomini.
La guerra. Ero stato così bene in guerra.
Avevo uno scopo, non avevo obblighi o limiti, amavo il senso di Potenza che mi conferiva il prevalere sull'Altro. Eppure dopo aver ucciso l'ultimo re tutto era cambiato. Ricordavo con estrema chiarezza quel giorno, con estrema lucidità mi ricordavo tutti i tragici, terribili istanti che avevano composto il fatidico gesto che mi avrebbe rovinato. In quel momento aveva agito guidato dalla foga, dalla sete di sangue e come un vigliacco avevo ucciso il vecchio e saggio re degli uomini.
Disarmato, era venuto per concedere la sua resa, quello che volevo. Ma al tempo non ero ancora pronto, in realtà, non avevo ancora ucciso abbastanza. Così l'avevo fatto tacere.
Il silenzio che era calato sul mondo nell'istante stesso in cui Darjetso aveva raccolto la sua anima sarebbe rimasto per sempre nella mia anima. Quel silenzio mi aveva reso sordo ed odiavo il silenzio perché mi ricordava quel giorno, quel momento in cui avevo realizzato che il dolore più grande non si esprime a parole.
Per cancellare quel ricordo, avevo continuato a uccidere, avevo tentato disperatamente di dimenticare e riempire quel silenzio con le urla di altri e per un po' ci ero riuscito. Poi era arrivata la Regina con la sua tattica silenziosa e schiva. Poi era arrivata Jahira con il suo mutismo e tutto era riaffiorato. Mi strinsi la testa tra le mani sentendo di essere sul punto di esplodere. Che cosa avevo fatto? Che cosa stavo facendo? Cosa stavo diventando? Che razza di Dio ero?
Mi accucciai a terra colto da un senso di vertigini. Sentii la prigioniera muoversi. La sentii e poi la vidi afferrare uno degli strumenti di tortura sottile e affilato. La fissai negli occhi e vidi forza e debolezza, odio e pena, coraggio e paura e mi ricordai infine lo sguardo del re degli uomini  uguale.
Realizzai in pochi istanti che la Regina era di fronte a me, in carne e ossa, rinvigorita dalla mia cura, armata, con l'intento di uccidere.
In un attimo tutte le mie preoccupazioni furono spazzate via. Avevo già la chiave e non me n'ero nemmeno accorto. Sentii la mia aura dorata tornare in fondo alla mia essenza e il bagliore vermiglio del mio corpo divenne quasi accecante. Riacquistai il mio sguardo sicuro, beffardo e presuntuoso.
- Ma quale onore...- sibilai tra i denti. Jahira, o meglio, la Regina si lanciò all'attacco e io balzai in piedi. Non mi sarei fatto incastrare così.
Tutto, come al loro primo incontro sulla terrazza, avvenne in pochi istanti. Mi aspettavo un attacco diretto invece la giovane donna mi scansò, puntando alla porta. Sorrisi intuendo le sue intenzioni, patetiche e raggiunsi il suo fianco.
- Dove credi di andare?- le chiesi e lei, fulminea, mi colpì con l'attrezzo che aveva rubato. Sentii un po' della mia essenza divina sgorgare da un taglio sulla guancia e il mio cuore accelerò e i miei occhi si accesero di follia. Afferrai la donna per la vita e la schiantai contro una parete delle segrete.
- Davvero ammirevole.. Non avrei mai pensato di avere a che fare con te. Se solo il tuo sguardo non ti avesse tradita...- le feci notare sarcastico. Bisognava riconoscerlo, era stata brava, mi aveva ingannato.
La regina degli uomini si appiattì contro il muro cercando di riprendere fiato.
- Mostro...- sibilò e mi stupii che avesse deciso di parlare per poter esprimere un così banale insulto.
- Sono molto peggio- la corressi e la colpii. La giovane rimase immobile ai miei piedi, senza la forza di resistere: un cumulo di carne, ossa e sangue.
-Assas...sino...- biascicò ad un tratto. Mi fermai per ammirare il mio operato.
- Non ho sentito bene- le dissi con un ghigno. Avevo perso tutto l'interesse che avevo per la donna che avevo creduto chiamarsi Jahira. Non mi faceva più pena, non mi sembrava più così fragile.
Eppure alcune ombre sul suo viso non erano cambiate, i suoi occhi non erano cambiati, le sue labbra erano rimaste sottili anche se tumefatte.
Scossi la testa, non mi avrebbe ingannato una seconda volta. La ragazza chiuse le palpebre annullando così l'ultima barriera che aveva a difenderla dalla mia violenza.
Ricominciai a colpirla e immaginai che il mondo intero lo stesse vedendo, che stesse vedendo me, il glorioso Dio Originale, schiacciare come un insetto la grande regina degli uomini. Tutti mi avrebbero temuto e rispettato, tutti si sarebbero piegati al mio volere. Mi fermai solo quando vidi il vecchio Morte, non più tanto vecchio, avanzare verso di me.
-Mio Signore... lo spirito della prigioniera reclama il mio servizio. Lasciate che la accompagni nell'altro mondo- disse con un tono cerimonioso. Scossi la testa e guardai la chiazza rossa che si apriva ai miei piedi. La guardai con disprezzo, poi guardai la Regina e risi, una risata da folle, malsana.
- No. Non ti permetterò di portarla via...- dissi tra una risata e l'altra.
Tornai improvvisamente serio e continuai con un sibilo.
- Non ha ancora sofferto abbastanza...-.
Morte sospirò e come sempre obbedì. Chinando il capo, si immerse di nuovo nelle ombre, lasciandomi solo.

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