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Capitolo 4 - Intenzionale

Guardare l'alba quel giorno mi regalò senza alcun dubbio una sensazione diversa dal solito.

Non so se mi sentii in quel modo a causa della consapevolezza che presto mi sarei ritrovata al cospetto della mia ossessione, guardando quegli occhi che erano stati gli ultimi a vedere la mia luce rossa spegnersi definitivamente, inebriandomi dell'odore di distruzione che avrei percepito a infiltrarmi nel suo mondo. O ancora, se a farmi percepire quell'aurora differente, fu semplicemente lo scroscio costante che mi accompagnò nella mia quotidiana osservazione del fenomeno naturale più intenso che un qualche dio avesse creato.

Quel che è certo è che mi riaddormentai con il sorriso sulle labbra, sfregando con amore il retro del mio avambraccio sinistro.

Forse era davvero troppo presto per giocarmi quella carta, ma in fondo, se ancora il fato non ci aveva messi sulla stessa strada, sarei stata io a fare in modo che ciò avvenisse.

«Dawn», sentii urlare.

«Aiutami», proseguì.

Aprii gli occhi.

Ancora sorridevo.

Non mi servii neppure un istante per chiedermi chi fosse a invocare con tanta fretta il mio nome, né tanto meno mi domandai perché vi fosse tanto spavento nel tono di chi lo stava pronunciando.

Mi alzai e mi recai direttamente in cucina.

Spostai con la pianta del piede un quantitativo sempre maggiore d'acqua, fino ad arrivare ad avere le caviglie completamente sommerse nei pressi del punto in cui Cece sostava, bagnata da capo a piedi.

Un tubo rotto del lavabo schizzava acqua direttamente sul suo volto e lei sembrava congelata nella sua posizione.

Grondava, eppure non sapeva cosa fare per evitare che ciò continuasse ad accadere.

«Oh!», esclamai, fingendo che per me fosse una sorpresa ritrovarmi in una situazione simile, del tutto inattesa, «chiudo il rubinetto centrale», affermai, cercando il più rapidamente possibile la valvola da stringere per far cessare la fuoriuscita del liquido.

Erano almeno due ore che il processo di allagamento era cominciato. Non credevo che sarebbe passato così tanto tempo prima che lei se ne sarebbe resa conto.

Riuscii nel mio intento di far finire ciò a cui io stessa avevo dato un inizio. Per il mio operato ottenni persino in cambio un abbraccio asfissiante, capace di farmi tremare le ossa e bagnarmi dalla testa ai piedi.

«Un disastro, è tutto un disastro», ripeté in modo cantilenante, aggrappandosi alle mie spalle.

«Come togliamo da qui dentro tutta quest'acqua?», percepii in lei una disperazione inconsolabile.

«Possiamo chiamare qualcuno che se ne occupi, non saremmo in grado di farlo noi alla svelta. Dobbiamo salvaguardare i mobili al più presto, rischiamo che si gonfino tutti i rivestimenti», le consigliai, malgrado sapessi perfettamente che avremmo potuto farcela benissimo da sole.

«Lo faresti al posto mio?», rividi nei suoi occhi un briciolo di speranza.

Stavo giocando con la sua inesperienza e sapevo perfettamente che avrei ottenuto ciò che volevo senza che si opponesse minimamente.

«Certo», la rassicurai, accarezzandole il volto. «Chiamerò anche un idraulico per sistemare il danno, nel frattempo non penso potremo utilizzare l'impianto idraulico in nessuna stanza della casa», non ero così sicura che fosse così, ma ero consapevole che lei non avrebbe mai potuto obiettare a ciò che dicevo.

«Forse sarebbe meglio chiamare Jim», portò le mani alla testa, sedendosi su una delle sedie che praticamente fluttuava attorno al tavolo.

«Non preoccuparti», finsi di avere tutta la situazione sotto controllo, «faccio due telefonate e ci dimenticheremo persino che tutto ciò sia accaduto», sorrisi.

«Mi dispiace Dawn... non sai quanto. Il tuo primo giorno qui, rovinato in questo modo.» 

Ero sicura che presto sarebbe scoppiata in lacrime. Se solo avesse saputo che si stava scusando con l'artefice di ciò che era accaduto, chissà cosa avrebbe pensato di me.

«Non è colpa tua», scossi la testa, «faccio una ricerca su internet e contatto subito chi possa occuparsi del danno.»

«Devo andare a lezione», si lamentò, «dovevo farmi lo shampoo... non posso uscire in queste condizioni», toccò i suoi capelli, additandoli come sporchi. A me sembravano perfetti, ma non volli dire nulla. Non avevo certo potuto prevedere che Cece mi avrebbe condotto nella tana del lupo ancor prima di quanto mi aspettassi. Per quanto mesi fa avessi programmato di allagare il nostro appartamento, sicuramente non avrei potuto immaginare che l'impellenza di una doccia mi avrebbe condotta nel posto in cui più volevo andare.

«Anche io in realtà... senza acqua è un problema», l'assecondai.

«Tu potresti andare da Big, ma io davvero non saprei come aggirare questo problema», decisi di consigliarle direttamente io come agire.

«Hai ragione!», annuì, «non c'è problema... puoi venire con me. I ragazzi han- ehm- sono stati impegnati fino a tardi stanotte, però io ho le chiavi. Non si accorgeranno nemmeno della nostra presenza», si avviò senza aggiungere altro verso la sua camera per prendere quanto le serviva per lavarsi e cambiarsi.

Io feci lo stesso, saltellando felice, nella pozza d'acqua più grande che io avessi mai visto formarsi in un interno.

Se loro non si accorgeranno di me, io al contrario, fisserò nella mia mente ogni cosa.

Se c'è qualcosa che è rimasta impenetrabile negli ultimi due anni è proprio quella casa.

Oggi finalmente scoprirò cosa c'è dietro quella porta.

Oggi il caos entrerà ufficialmente nel suo mondo.

***

Cece era una pessima guidatrice.

Non ne ero a conoscenza.

Mi pentii di non aver approfondito anche quell'aspetto.

Rischiammo almeno cinque incidenti stradali di grave entità.

Un numero spropositato, considerando che l'appartamento che dividevamo distava soltanto cinque minuti d'auto dalla villetta indipendente dove vivevano il suo ragazzo e i suoi due amici.

Pensai a quanto in passato avessi sottovalutato la complessità che sarebbe derivata dall'essere ventiquattro ore su ventiquattro in sua compagnia. Non che Cece non fosse una ragazza gradevole, tutt'altro, passare del tempo con lei si stava rivelando talmente tanto piacevole da farmi desiderare che lei non fosse colpevole quanto altri del crimine che io imputavo loro, d'altra parte, però, starle accanto era un continuo assalto alla mia incolumità. La mia esistenza era senz'altro in pericolo con lei nei paraggi, che fosse stato un muro preso in pieno o un altro modo, stavo iniziando a temere che molto presto sarei morta a causa sua. In effetti mi domandavo, più la guardavo non rispettare segnali stradali, come potesse svolgere un'attività lavorativa come la sua. 

Non aveva mai perso la "merce"? Non era mai stata perquisita all'improvviso? Né interrogata? Impossibile che non avesse vuotato il sacco alla prima difficoltà.

«Siamo arrivate», premette all'improvviso il pedale del freno, facendomi sbattere la fronte sul cruscotto.

Anche quello non sembrò sconvolgerla minimamente, afferrò dal sedile posteriore la sua borsetta, e vi estrasse un mazzo di chiavi.

Le gambe tremarono quando poggiai i piedi sull'erba giallognola del prato di quell'abitazione.

L'avevo guardata su Google Maps talmente tante volte da averne fissato nella mente ogni dettaglio, mai ovviamente avevo potuto scorgere cosa vi fosse al di là di quella porta in legno.

Man mano l'uscio mi veniva svelato, più le palpitazioni si facevano forti.

All'ingresso era appesa al contrario un'enorme tela, uno squarcio centrale divideva a metà l'ombra stilizzata di un uomo. A firma del quadro: una costellazione.

Dovemmo scansare diverse scarpe spaiate, cartoni contenenti resti di pizza geologicamente datati e persino dei pantaloni ricoperti di uno strano liquido rosa. Il pavimento era sporco, così come ogni angolo di quell'abitazione.

Non mi meravigliai conoscendo chi vi dimorava.

Tutti i ripiani, le pareti e persino gli angoli dimenticati di quelle stanze erano ornati da opere d'arte che recavano la stessa firma. Finanche delle statuette, apparentemente votive, erano state imbrattate da quegli stessi punti luminosi. Riconoscevo il suo tocco, sebbene non avessi mai visto nessuna di quelle opere.

«Per fare prima puoi usare il bagno in camera di King. Non si sveglia neppure con le cannonate, posso assicurartelo», mi indicò una porta socchiusa, risvegliandomi da quella tranche causata dall'osservazione di quegli oggetti.

Non feci in tempo a domandarle nient'altro che Cece sparì nella camera da letto a fianco a quella che mi aveva indicato.

Guardai con rammarico l'imbocco delle scale che portavano nel seminterrato e pregai che presto sarebbe arrivato il momento di visitare anche quel piano che per me era l'obiettivo più importante.

Strinsi tra le mani la borsa di tela in cui avevo inserito il mio cambio, l'accappatoio e tutti i miei prodotti per il bagno, presi un respiro profondo e mi convinsi ad entrare.

Un raggio di luce accompagnò il mio ingresso nella camera, illuminando parte del letto dove una figura maschile stava senz'altro dormendo. Le lenzuola coprivano a stento il suo corpo parzialmente nudo, mentre la fodera inferiore più che servire al suo scopo, pareva utile soltanto a circumnavigare il perimetro dei suoi arti.

Russava così profondamente che non si accorse neppure per un istante che vi fosse una persona sconosciuta che stesse improvvisamente disturbando la sua privacy.

Non riuscivo a vederlo in volto, visto il modo in cui stava riposando, poggiando direttamente la faccia a contatto con il cuscino.

Non avevo bisogno di guardarlo per conoscere ogni millimetro di lui.

Avrei potuto descrivere perfettamente persino la sua espressione.

Ero in grado di stabilire quale smorfia stesse assumendo in quell'istante.

Dei tre inquilini di quella casa, lui era senza dubbio il più attraente, ma al tempo stesso il più problematico.

L'avevo sempre considerato l'anello debole della catena, e sapevo che tra tutti avrei dovuto iniziare a creare un rapporto più stretto proprio con lui. Infatti, considerando la sua tendenza a perdere il controllo, sarei riuscita sicuramente ad avvicinarlo nel momento giusto per farmi raccontare più di quanto avrebbe potuto mai dirmi chiunque altro di loro.

Sfiorai con l'indice i residui di polverina bianca dimenticati sul suo comodino. Mi dispiacque vedere un ragazzo della mia età ridotto in quel modo. Raccolsi un bel po' di mozziconi di sigarette abbandonati pericolosamente sul tappeto e chiusi il tappo di una bottiglia di liquore lasciata a gocciolare, per quel poco che vi era rimasto dentro, direttamente sul pavimento.

Spinsi con qualche difficoltà la porta a soffietto del bagno e mi chiusi al suo interno.

Mi preparai il più lentamente possibile, confidando in una fuga di Cece e di un mio conseguente abbandono in quella casa. Più rimanevo lì dentro e più avevo la possibilità di aggiungere tasselli importanti a quanto desideravo scoprire più di ogni altra cosa.

Quando uscii, mi ritrovai a pochi centimetri dal mio volto due occhi eterocromatici confusi.

«Ero così fuori di testa ieri notte da non ricordarmi di essere venuto a letto con te?», King faceva fatica a tenere le palpebre aperte e a stare in piedi. Il suo odore era estremamente acre e in contrasto con la sua bellezza principesca.

«Ehm, no», risposi imbarazzata, «sono Dawn, la nuova coinquilina di Boobs», il modo in cui le sue iridi mi fissavano mi fece dimenticare cosa avrei dovuto dirgli.

«E quindi?», c'era sospetto nel suo tono della voce.

«Si è rotto un tubo e non potevamo fare la doccia a casa nostra. Lei mi ha detto di farla qui», potevo essere sicura di me quanto volevo sulla carta, ma quando mi trovavo in determinate situazioni mi capitava ancora che la lingua si incollasse al palato senza che io riuscissi a proferire parola.

«Tu puoi fare tutto quello che desideri... mi casa es tu casa», si morse il labbro inferiore, riproducendo un'espressione felice in contrasto con il suo aspetto stanco e provato.

Più lo guardavo e più avevo la certezza che lui fosse un angelo caduto dagli inferi.

Era incredibile quanto potesse essere attraente anche in quello stato pietoso.

«Beh, io vado», lo salutai con un movimento della mano estremamente imbarazzante.

«Io sono Nick, the King... se hai bisogno di un'altra doccia o di qualcos'altro sai dove trovarmi.»

Alzai gli occhi al cielo.

Avevo sottovalutato il suo modo di essere, ma purtroppo restava comunque lui il primo inquilino di quella casa al quale avrei dovuto aggrapparmi per insinuarmi sempre di più nelle loro vite. Cece era il trampolino di lancio, King poteva essere un ulteriore modo per arrivare al mio obiettivo.

«Ce ne hai messo di tempo!», Cece sbuffò non appena mi vide varcare la soglia del salotto.

Era seduta su un divano scuro, con diverse macchie non identificate, che seppur spazioso abbastanza per far accomodare più di cinque persone, aveva scelto di occupare soltanto per un piccolo spazio. Infatti, lei e Big erano avvinghiati l'uno all'altro accanto al bracciolo.

«Buongiorno Big», salutai in maniera educata.

Lui ricambiò con un grugnito.

Non era un uomo di molte parole, a differenza del suo amico.

«L'hai portato il casco?», domandò all'improvviso, facendomi aggrottare le sopracciglia.

«Ti sarai accorta delle opinabili qualità di guidatrice di Boobs», scoppiò a ridere inaspettatamente. 

Mi stranii, non credevo conoscesse l'ironia.

Presi un respiro profondo, mimando con lo sguardo tutte le emozioni che avevo provato nel viaggiare con Cece alla guida.

Non serviva parlare, aveva perfettamente capito cosa volessi dire.

«Mi sono soltanto chiesta se vi fossero volanti della polizia a Providence... sai com'è... i semafori hanno tre colori diversi... ma forse qui il rosso vuol dire qualcosa di diverso rispetto alle mie zone», ripensai a tutte le infrazioni che aveva collezionato in un così breve tratto di strada.

«Di solito anche quando mi beccano, si concentrano sulle mie tette... dovrà pur servire a qualcosa avere mal di schiena tutti i giorni pur di tenerle su», aspirò da una sigaretta, passando il fumo al suo ragazzo direttamente con un bacio.

Finsi che ciò che facessero fosse del tutto normale.

«Anche perché se dovessero fermarti, la tua guida sarebbe l'ultimo dei tuoi problemi vis-», lei lo zittì, mordendogli le labbra con gli incisivi.

Adoravo il fatto che Cece continuasse a credere che io non sapessi già quello che facevano. Decisi comunque di fingermi ingenua fino a quando non sarebbe stata lei a parlarmene.

«Adesso possiamo andare», si alzò di scatto, afferrandomi per il braccio e trascinandomi fuori.

«Sono in ritardo», imprecò, guardando l'orario sul cellulare.

«Guido io!», le rubai le chiavi, correndo al volante.

Lei non si lamentò, accettando di buon grado la mia decisione.

Quantomeno era consapevole dei propri limiti.

Arrivate a destinazione, Cece iniziò ad aumentare il passo. Non parve proprio felice che io e lei avessimo la stessa destinazione.

Potevo immaginare cosa avesse di così urgente da fare e provai a ipotizzare quanto tempo ancora ci avrebbe messo per dirmi la verità. Non poteva certo pensare di condividere la casa con me senza rivelarmi quale fosse il misterioso lavoro che svolgeva.

«Ti occupi tu di tutto?», si riferì alla questione dell'appartamento.

«Sì, contatto subito qualcuno», confermai.

«Non azzardarti a spendere un solo dollaro», mi minacciò, estraendo in modo impacciato un paio di banconote dalla sua borsetta.

Le presi senza neppure provare a propormi di pagare la metà.

Quel danno l'avevo provocato io, ma non potevo pensare di iniziare la mia avventura alla Brown spendendo già un capitale. Doveva per forza occuparsene lei, altrimenti sarei stata sommersa dai debiti ancor prima di arrivare a una settimana di permanenza.

«Dove stai andando?», mi domandò, visto che continuavo a camminarle accanto malgrado il suo evidente fastidio.

«Ho un appuntamento per colazione», tagliai corto.

«Ma è solo il tuo secondo giorno», mi diede uno schiaffetto sulla pancia.

Lei non poteva saperlo, ma a causa di ciò vidi le stelle.

Strinsi i denti, e infilzai i palmi con le unghie.

«Sono solo due compagni di corso», pronunciai a stento, mentre tentavo di tossire per coprire le smorfie di dolore.

«Sarà... non me la conti giusta», mi fece l'occhiolino, accelerando il passo. Mi lasciò indietro, entrando nel mio stesso edificio ma avvicinandosi immediatamente a un tipo losco seduto da solo a un tavolo.

Dall'altra parte della sala riconobbi Hailey e Wes.

«Scusate il ritardo», arrivai alle loro spalle.

«Buongiorno», mi salutarono calorosamente entrambi.

«Ti ho preso già qualcosa», Wes mi porse un piatto pieno di brioche e muffin.

«Nel dubbio, ha comprato metà caffetteria», l'amica gli diede una pacca sulla spalla, iniziando a ridere.

Osservai tutto, scannerizzando con gli occhi ogni prodotto, riconoscendovi immediatamente gli ingredienti utilizzati.

«Sono intollerante al lattosio», annunciai.

Era impossibile, il più delle volte, che io riuscissi a consumare una colazione dolce senza che quel problema venisse fuori.

Non era l'unico cibo che mi era impedito di consumare, ma quell'intolleranze era la sola che potevo condividere con gli altri. Altre questioni, invece, dovevano essere assolutamente tenute segrete.

C'era un motivo ben preciso se, una volta raggiunta Providence, avevo dovuto eliminare ogni accorgimento sull'alimentazione...

«No, caspita», pronunciò dispiaciuta Ley, mentre addentava alla velocità della luce uno dei dolcetti che avrebbe dovuto essere mio, «siamo in ritardo», constatò tra un boccone e l'altro.

«Mi dispiace molto Dawn, avrei dovuto chiedere prima di acquistare qualcosa», Wes si alzò pronto a rimediare.

«No, tranquillo... Hailey ha ragione. Dobbiamo andare. Poi, non ho neppure fame», invece ne avevo, eccome. Ma era meglio non esagerare.

Ci avviammo tutti e tre verso il dipartimento della nostra facoltà, là dove si sarebbe tenuta la prima lezione del corso di scrittura creativa. Uno di quelli che la Dawn che mostravo agli altri attendeva con più gioia, ma che in realtà la vera me odiava con tutta se stessa.

Non ero capace di mettere insieme due parole di senso compiuto, figuriamoci esercitarmi nella scrittura di racconti e di romanzi.

Quei due condivisero senza filtri molte cose di loro e altrettante vollero sapere di me. Malgrado tutte le bugie che fui costretta a dover dire loro, mi ritrovai ad aprirmi come non avevo fatto da tempo con nessun altro. Da quando ogni cosa era cambiata, non avevo più avuto nessun amico. Tutti quelli che avevo, prima che tutto mutasse inesorabilmente, li avevo allontanati. Non volevo che nessuno potesse distrarmi nel percorso che a tutti i costi avrei dovuto portare a termine. Non mi ero dovuta impegnare soltanto per ottenere l'ammissione alla Brown, avevo dovuto coltivare dentro di me un odio profondo, unico sentimento che mi avrebbe permesso di sopravvivere al dolore che mi ero trovata ad affrontare.

Parlai molto della mia famiglia, dei genitori e del fratello che non avevo. Ma, al tempo stesso, descrissi loro nei minimi dettagli quello che era stato il mio percorso per arrivare a quell'università, tutti i corsi extra-scolastici e le squadre nerd in cui ero dovuta entrare. Condivisi storie della me del passato, menzionando amori ormai finiti e bravate adolescenziali.

Ero così felice di poter dire in parte la verità, perché almeno con loro due, pur dovendo tenere segrete molte cose, avevo la libertà di condividerne molte altre.

Le ore volarono.

Il giorno venne sostituito dalla notte.

Ed io passai la prima giornata normale, in compagnia di persone normali, dopo più di ottocento giorni.

Chiesi a Wes di accompagnarmi a casa, non essendo riuscita a contattare Cece e non sapendo dove fosse né che orari di lezione avesse per quel giorno.

«Abiti da sola?», chiese, appena giunto nel parcheggio accanto al palazzo.

«No, ho una coinquilina.»

Sapevo già cosa sarebbe accaduto di lì a poco.

«Oh, non sarà per caso Cecilia Foster?», avevo già capito che lui avesse ricondotto quell'appartamento a quello in cui viveva la temibile Boobs. Era molto popolare nel nostro contesto universitario e, malgrado lui fosse arrivato da pochi giorni esattamente come me, potevo affermare senza dubbio che conoscesse molte più cose di quell'ambiente di quanto volesse dare a vedere.

Confermai con il solo movimento del capo.

Lui arretrò, appoggiando, quasi a diventarne un tutt'uno, la schiena al sedile. Parve spaventato di poter trovare in me una complice dei loro affari.

«Lo sai cosa fanno lei e i suoi amici?», proprio nell'istante in cui mi porse quella domanda, i miei occhi si concentrarono sull'anteprima di un messaggio appena ricevuto proprio da lei.

Cece:

Dawnnnniee! Sono stata nel nuovo set del live action della Sirenetta (io sono Ariel, tu puoi scegliere chi essere tra Sebastian e Flounder), l'idraulico mi ha detto che c'è un problema all'impianto e ci vorrà più del previsto. Quindi ho chiesto ai ragazzi di darti asilo e sono più che felici (non li ho minacciati, tranquilla) di ospitare anche te. Se hai bisogno che ti passi a prendere, scrivimi! Love u.

Sorrisi, rendendomi conto di come le cose stessero procedendo esattamente nel modo in cui speravo sarebbero andate.

«Dawn mi ascolti?», rivolsi nuovamente il capo verso di lui. Mi ero distratta al punto da dimenticarmi di essere in sua presenza.

«Hai sentito cosa ti ho detto?»

«Sì, sono consapevole di quello che fa. Ma, esattamente, questo in quale modo dovrebbe impedirmi di vivere con lei? Avevo urgenza di trovare un posto dove stare e lei non ci ha pensato un istante ad aprirmi le porte di casa sua.»

Tu, piuttosto, Wes... Tu che ti sconvolgi così tanto, o che fingi di farlo... Lo sai cosa fa il tuo stesso sangue?

«No, certo... non era assolutamente mia intenzione giudicarla. È solo che so per certo che lei e i suoi tre amici siano come un immenso buco nero e chiunque provi a gravitarvi intorno finisca con l'esserne inghiottito.»

Quelle parole mi restarono in testa per tutto il resto della giornata.

Il perché mi avessero colpito così tanto, lo scoprirete soltanto in futuro.

Spazio autrice:

Appello ai miei pochi lettori: vi prego, fatevi sentire. Non ho idea di come questa storia vi stia apparendo... Credete che valga la pena scriverla, vi interessa ciò che sta succedendo fino ad ora?

Grazie in ogni caso perché ci siete, non è mai scontato.

A lunedì prossimo... spero non mi abbandonerete🥀,

Matilde.

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