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Capitolo 1 - Primo atto


— 6 settembre 2023 —

L'alba era tutto ciò che mi restava della mia vita precedente.

Erano trascorsi 883 giorni da quando quella luce rossa si era spenta, e con essa tutto ciò che ero stata fino a quel momento.

Quando avevo scoperto la verità, quando finalmente le persone a me care si erano degnate di lasciarmi affogare nel mio dolore, senza più cercare di tenermi a galla, avevo capito.

Niente da allora sarebbe stato più lo stesso, io per prima.

Avrei sacrificato ogni giorno di ogni mese di ogni anno della mia esistenza per un solo scopo: ottenere giustizia attraverso la vendetta.

Una volta messa al corrente di quanto accaduto in mia assenza, solo due settimane dopo, avevo iniziato a tappezzare la mia camera di immagini della Brown, di fotografie rubate dai social media, di dossier improvvisati e frecce colorate che collegavano una persona a un'altra. In alto, nella parte sommitale della parete, quasi nel punto di congiuntura con il soffitto, avevo tracciato di colore rosso una data. Ci avevo provato a scegliere un tono che rassomigliasse in qualche modo a quella luce rossa, ma ovviamente quello che più gli si avvicinava tra tanti non era neanche lontanamente simile.

Non dovevo dimenticare cos'era accaduto.

Non dovevo scordare i nomi di chi lo aveva permesso, né tantomeno i loro volti.

Cambiai ogni tratto della mia personalità, a favore di comportamenti che mi avrebbero aiutata a raggiungere i miei obiettivi con maggiore facilità.

Mi esercitai davanti allo specchio, guardandomi fisso negli occhi azzurro spento, per cercare di soffocare la mia cadenza.

Mi tinsi i capelli ancor prima di dover interpretare la mia parte, perché non riuscivo a vedermi più nella persona che ero.

La scuola divenne l'unico posto in cui mi concedevo di poter andare.

Studiavo ogni secondo della giornata, a stento mi permettevo di mangiare, benché meno di dormire.

Come poteva una studentessa mediocre del secondo anno trasformarsi nella promettente borsista di una delle maggiori università americane?

Non mi importava di non essere intelligente, di non essere portata per l'università quanto tutti quelli che mi circondavano. Io, a differenza loro, avevo una motivazione più forte. Non c'era una seconda scelta, non c'era un'altra lettera d'ammissione ad aspettarmi nella cassetta della posta, c'era solo la Brown e chi lì ancora viveva e respirava.

Riposavo non più di qualche ora a notte, soltanto perché il mio corpo alle volte riusciva a prendere il sopravvento sulla mia volontà. Chiudevo gli occhi davanti alla finestra aperta, perché sapevo che soltanto in quel modo non mi sarei persa l'unico momento della giornata in cui mi sembrava di poter provare ancora qualcosa.

Non avevo mai perso, o quasi, sin dalla mia nascita, il primo raggio di sole. Quello che inesorabilmente dava inizio ogni mattina al fenomeno più importante di tutta la mia esistenza.

Dawn, così mi chiamavo, anche se non era proprio per quello che amavo l'alba con ogni fibra del mio essere.

Tutte le persone che mi avevano abbandonata mi avevano voltato le spalle all'alba, dopo che per anni mi avevano illusa alimentando l'amore che avevo per quel frangente intermedio di pura felicità.

Fin quando l'alba non sarebbe stata sostituita dall'aurora ed essa successivamente dal giorno, non mi sarei mossa dal mio giaciglio, e così era avvenuto per ogni mattina di ogni giorno, sia dopo quel terribile aprile di due anni prima sia fino al sesto giorno di settembre del mio presente, quando avrei abbandonato quella casa che ormai non era più mia, per volgermi finalmente verso l'attuazione del mio piano.

La Brown mi attendeva e con essa la scoperta di una verità che non corrispondeva nemmeno lontanamente a quella che per anni avevo confezionato nella mia mente.

***

"Stars' light adorns the night's embrace,

But true radiance dwells in morning's grace.

To face my truth, at dawn's soft glow,

Amidst the good and bad, where do I flow?"

La luce delle stelle adorna l'abbraccio della notte,

Ma la vera luminosità dimora nella grazia del mattino.

Affrontare la mia verità, al dolce bagliore dell'alba,

Tra il bene e il male, dove fluisco?

Canticchiai il ritornello di una delle mie canzoni preferite, una che pareva essere stata scritta proprio per me e per quello che da sempre era stato il mio destino.

ElleR era stata capace di esprimere meglio di quanto avessi mai potuto fare io ciò che provavo.

Fissai la luce che squarciava il buio della notte e pregai Alexa con la voce tremante di far terminare quella riproduzione.

Diedi una rapida occhiata al calendario tempestato di segni che avevo appeso al centro della parete di fronte al mio letto. Il 6 settembre era cerchiato come il giorno della mia partenza, il successivo come l'inizio dei corsi universitari.

Non mi importava veramente della Brown, perché l'unico vero obiettivo che dovevo raggiungere era viverci, non laurearmici. Faceva ridere che io avessi dovuto trasformare la vecchia me in una sottospecie di genio per poter essere ammessa in una delle migliori scuole dell'Ivy League per poi probabilmente abbandonare gli studi dopo solo qualche mese.

O almeno così credevo che sarebbe andata all'epoca, certo non mi sarei mai immaginata con la tunica e il tocco, stringendo tra le mani una laurea che non era mai stata davvero mia.

C'era un uomo nel mio salotto. Quell'uomo ci viveva da due anni. E mai si era mosso dalla sua poltrona. Mai gli avevo parlato senza che fosse incastrato nel solco che il suo corpo aveva creato nella pelle consumata di quella che un tempo era una comoda seduta accanto al camino.

Quando mi volsi verso destra, per poter poggiare il primo piede sul pavimento, dando così inizio al mio piano che attendeva da anni di essere messo in pratica, ebbi un sussulto nel ritrovarmelo sorridente sul ciglio della porta. Non era mai salito al piano di sopra, mai aveva visto ciò che avevo costruito pezzo dopo pezzo come un mosaico sulla parete. Sembrava fiero di quanto io avessi fatto, ma non avrei potuto dirlo con certezza, era da troppo tempo che il suo sguardo rifuggiva il mio.

Quel che era certo è che non l'avevo mai visto così presto indossare la sua divisa, né tanto meno avevo potuto osservare negli anni quanto i suoi pantaloni cascassero male sulle sue scarpe, poiché l'avevo guardato sempre seduto.

Attesi che fosse lui a parlare. Perciò, ci volle un po' più di tempo perché la stanza si riempisse di frasi che sostituissero il silenzio.

«Ero così impaziente...», scosse il capo prima da destra verso sinistra e poi il contrario. Era un tic fastidioso a cui ormai ero abituata. «Volevo», fece un passo avanti per ammirare meglio la mia creazione «volevo ricordarti alcuni dettagli, ma vedo che tu non ne hai tralasciato nessuno», appoggiò il suo sedere sul bordo del letto. Finalmente lo riconobbi per quello che era, non potevo concepire che lui esistesse se non da seduto.

Mi diede le spalle volutamente. Non ce la faceva a guardarmi in volto, l'avevo capito sin da quando l'avevo rincontrato dopo quella notte.

«Lo so che un uomo della mia età non dovrebbe incoraggiarti a fare determinate cose, ma stiamo lavorando a questo da così tanto tempo che mi sembra giusto dirti che io approverò qualsiasi decisione prenderai. Persino quelle eticamente meno giuste, persino quelle che potranno farti mal-».

«Non c'è bisogno» lo bloccai. Non sarebbe stato certo un suo divieto a non permettermi di prendere tutte le decisioni che avrebbero potuto aiutarmi a raggiungere l'obiettivo nel minor tempo possibile.

«Ti ho comprato una valigia», cambiò argomento, conscio che non gli avrei dato modo di ritornare su quei temi.

«Perché?», finalmente feci sfregare la pianta del piede sul pavimento freddo.

«Non sei mai andata oltre i confini di questa cittadina, non credo che tu ne abbia mai acquistata una», si alzò, uscì fuori dalla porta, per poi rientrarvici con in mano un trolley in metallo scuro.

«Beh, grazie», lo afferrai, appoggiandolo direttamente sul lenzuolo sgualcito del mio letto. Aprii l'armadio e vi spostai, così come erano piegati al suo interno, tutti i vestiti che avevo acquistato ad hoc per la nuova versione di Dawn Bennett.

«Tra quanto parte il tuo aereo?», erano mesi che non sostenevamo una conversazione così lunga.

«Qualche ora», speravo che rispondendogli in quel modo avrebbe smesso di parlarmi.

«Vuoi che ti ripeta ancora una volta le indagini che ho svolto sul caso?»

Niente, proprio non voleva smettere di parlare.

«Per due anni ho guardato quella parete, credi forse che io abbia bisogno di ripetizioni alla vigilia del giorno più importante?», strinsi i denti e chiusi i pugni. Percepii le unghie affilate bucarmi i palmi. Doveva andare via da quella camera, doveva farlo per il bene di entrambi.

«Va bene... non voglio trattenerti oltre. So che tu credi che io non mi renda conto di quanto tu abbia lavorato per raggiungere questo obiettivo, ma non è così. So che avresti voluto un altro futuro per te stessa, e anche io te lo avrei augurato con tutto il mio cuore. Purtroppo, però, siamo bloccati in questo limbo e, se vogliamo liberarci, l'unica soluzione è portare a termine quanto ci siamo prefissati. Sarò con te in ogni tua scelta, persino in quelle che conoscendo la tua situazione non dovrei incoraggiare. Torna a casa con un nome, o più di uno... trova il vertice della piramide, così mentre gli altri si occuperanno di esso, noi ci concentreremo sulla base», mi accarezzò la spalla. Mi ritrassi a grande velocità. Era passato così tanto dall'ultima volta che qualcuno mi aveva toccata, che lui mi aveva toccata. Non sembrò disturbato dal mio atteggiamento, anzi, ancora una volta riconobbi sotto i suoi baffi un sorriso di incoraggiamento. «Buon viaggio Dawn», aggiunse, schioccandomi un bacio assolutamente non richiesto né tanto meno voluto sulla guancia. Sapeva di tabacco scadente e alcool da due soldi, sebbene un tempo quei baci avessero avuto il sapore dell'amore.

«Tornerò prima che tu possa accorgertene e poi, forse, ricominceremo a vivere.»

***

Non riuscivo a smettere di pensare alla mia camera neppure dopo averla abbandonata definitivamente.

Sul sedile dell'aereo, con gli occhi stretti, rivedevo i volti di quelli che presto si sarebbero trasformati in persone in carne e ossa. Sentivo il calore lieve del sole mattutino sulla mia pelle. Mi persi a immaginare un raggio di luce che facesse brillare quell'anello, l'unico che io avessi mai indossato in vita mia, da cui mi ero separata per la prima volta dopo più di un decennio e che ero stata costretta ad abbandonare sul mio comodino. Sentivo l'odore di casa mia, che spesso era più un tanfo infestante che non un profumo. Mi mancava tutto della mia bolla, perché non sapevo se sarei stata in grado di essere rimessa al mondo, dopo che per due anni, pur continuando a respirare, ero stata un cadavere.

Quando finalmente mi diedi uno scossone, tornando così alla realtà, mi resi conto che il mio volo era appena giunto a destinazione.

Mi trascinai con la stessa voglia di un condannato a morte, non perché avessi perso il mio entusiasmo nel poter dare avvio al mio piano, quanto più perché prima di poter partire ufficialmente alla volta del Rhode Island mi aspettava una breve deviazione a sud di New York.

Avevo chiesto loro di risparmiarmi lo strazio di vedermeli spuntare fuori all'aeroporto, per quella ragione avevo dovuto raggiungere la cittadina in cui abitavano con un pullman dei più lenti mai visti.

Alla fermata degli autobus li avevo incontrati dopo mesi.

Non che mi fossero mancati minimamente.

Mi faceva strano, però, vedere quanto fossero cambiati in così poco tempo.

Alan indossava la sua divisa che, a differenza di quella dell'uomo che viveva con me, sapeva di ammorbidente, così tanto da procurarmi uno svenimento per la sua inalazione. Selene, al contrario, vestiva come al solito i suoi abiti da figlia dei fiori, come se avesse vissuto il 1968 invece di essere nata alla fine degli anni '70.

«Ciao Dawn», mi abbracciò calorosamente.

Non mossi nemmeno un arto per divincolarmi dalla sua presa, soltanto perché aveva con sé ciò che mi serviva.

«Come sta Roy?», fece finta di interessarsi.

«Come vuoi che stia», scrollai le spalle.

«Ti ho preso una Ford di livello medio-basso, come mi avevi chiesto», Al si intromise, risparmiandoci una conversazione priva di alcuna profondità o interesse da parte dell'una e dell'altra.

«Targa?», mi assicurai che avesse seguito le mie istruzioni.

«New York», annuì convinto.

«Va bene, allora...», cominciai a battere il piede sulla superficie del marciapiede «se mi accompagnate a prenderla, io partirei immediatamente, ho molto da fare.» Non era propriamente vero, ma volevo allontanarmi da loro il prima possibile. Non sarei riuscita ancora a lungo a soffocare quella voce che mi pregava di mandarli a quel paese entrambi.

«Dawn ti ho preso anche questa.»

Selene mi porse una borsa frigo.

L'aprii spiandone l'interno.

C'era una confezione singola con una siringa pre-riempita.

«Grazie, non era necessario... ti sarà costata una fortuna», quella per me era semplicemente un prolungamento della mia buona salute, niente che mi sconvolgesse particolarmente, se non per il prezzo che era stata costretta a sborsare.

«Se solo tu accettassi di stare con noi invece che con lui, potremmo inserirti nel nos-.» 

La bloccai.

«Ne abbiamo già parlato. Datemi le chiavi di quella benedetta auto e liberatemi da questo strazio», avevo cercato di contenermi, ma era stata colpa loro se il mio buon atteggiamento era durato così poco.

«Sel, lasciala stare», Al le accarezzò la guancia, come per consolare una bambina ferita.

«Questi sono duemila dollari», allungò in mia direzione una busta, che aveva tutta l'aria di essere pienissima.

«Non ho nient'altro, ma credo sia giusto che li abbia tu. Ho diviso in tre tutto ciò che possedevo.»

Normalmente avrei appiccato un fuoco con quelle banconote, ma in una situazione straordinaria come quella, li arraffai infilandomeli in tasca. Non mi sentii nemmeno di condividere con loro due la mia gratitudine.

«Chiavi e documenti, e mi tolgo dalle scatole», li invitai a sbrigarsi con un gesto della mano.

«Sapevo saresti stata impaziente, perciò siamo venuti con due auto.»

Al in fondo non era poi così male.

Quando voleva riusciva persino a essere intelligente.

«Questa è la carta d'identità aggiornata, ho dovuto chiedere qualche favore per averla senza che tu fossi presente e in così breve tempo, ma eccola qui in tutto il suo splendore», stava iniziando a sorridere troppo per i miei gusti.

«Mi spieghi cos'hai intenzione di fare?»

Purtroppo il silenzio di Selene era durato così poco.

«Perché l'auto con la targa di New York, il cambio residenza in uno scantinato della cittadina in cui noi viviamo e in cui tu odi venire, e ancora, perché di tante stranezze... la Brown? Sul serio? Tu alla Brown? Dimmi cosa ti ha messo in testa? Dimmi che non farai ciò che penso...»

Non l'ascoltai nemmeno più.

Continuava a pregarmi di dirle la verità, ma io dopo essermi appropriata di tutto ciò che avevo da prendere, iniziai a darmela a gambe senza nemmeno volgere il capo in sua direzione.

Fui costretta a premere il pulsantino di apertura della mia Ford per quaranta volte prima che riuscissi a individuare, grazie alla luce dei fari, quale fosse la mia autovettura.

Mi riguardai indietro una sola volta prima di salire a bordo.

Vidi Selene venirmi incontro, camminando goffamente a causa della sua condizione.

Le rivolsi un solo sguardo, uno di quelli in cui si prova a dire tutto, ma che in realtà mostrano soltanto un sentimento troppo forte perché esso possa essere tradotto in parole.

A quel punto misi in moto e partii.

Le passai accanto a grande velocità.

Niente e nessuno mi avrebbe fermata.

Niente e nessuno avrebbe più avuto il potere di ferirmi.

Io decidevo per me stessa.

Io stavo decidendo di distruggere la sua vita, così come lui aveva distrutto la mia.

***

Una volta arrivata nel motel in cui avrei passato la notte, trascorsi un'oretta davanti allo specchio. C'era qualcosa in me che non mi convinceva, qualche piccolo dettaglio che ai miei occhi potesse rendermi troppo riconoscibile a quanti non avrebbero dovuto essere capaci di ricondurmi alla mia vera identità. La mia fronte, sì, era proprio quell'elemento inutile a raccontare una verità che avrei dovuto nascondere come il più irrivelabile dei segreti.

A quel punto, dopo aver individuato ciò che avrei dovuto coprire a tutti i costi, mi venne semplice capire come rimediare.

Utilizzai le forbici da manicure per recidere una bella parte dei miei capelli, per confezionare la più storta ma, al tempo stesso, utile frangia che potesse coprire quella porzione di pelle.

«Il mio nome è Dawn Bennett e vengo da New York», ripetei in modo cantilenante quella stessa frase per un'infinità di volte.

«A loyal warrior will rarely worry why we rule.»

«Peter Piper picked a peck of pickled peppers. How many pickled peppers did Peter Piper pick

«Impeccabile», mi vantai con me stessa degli incredibili risultati che avevo raggiunto.

Il mio cellulare iniziò a squillare, ricordandomi, grazie al promemoria impostato tempo prima, dell'incontro in segreteria per la stipula del contratto della borsa di studio e per la scelta del piano di studi.

Raggiunsi il campus con la mia nuova auto che, pur essendo usata, aveva un odore disgustoso di pulito che mi si conficcava nelle narici come due chiodi appuntiti. Quel profumo stomachevole mi faceva rimpiangere il tanfo dei vestiti di Roy.

Sentii un capello pungere la mia pupilla, rendendomi parzialmente cieca per qualche secondo. Mi pentii di aver fatto quel taglio senza rifletterci, avrei dovuto pensare al fatto che sin dalla mia infanzia avevo sviluppato un odio per qualsiasi cosa ostruisse la mia vista, persino gli occhiali avevo smesso di indossarli per quel motivo, figuriamoci cosa avrei provato ad avere giorno dopo giorno quei ciuffi di capelli conficcati nelle ciglia. Stupida Dawn, mi maledissi.

Mossi la frangia, stando ben attenta a proteggermi gli occhi, facendo cadere tutti i capelli in eccesso.

Da qualche parte nel mondo una parrucchiera sarà stecchita sul colpo, quale cretina si taglierebbe i capelli a secco?

La risposta a tutte le domande più assurde sarà sempre Dawn Bennett.

«Lei è la signorina Bennett?», mi voltai come se fossi stata scoperta a fare qualcosa di illecito.

A volte dimenticavo che quella voce con la quale dialogavo non era esterna, ma al contrario ben radicata dentro di me. Avevo quel costante timore che gli altri potessero ascoltare i miei dialoghi interiori e scoprire chi fosse la vera me.

«Sì, sono io», prima di rispondere alla sua domanda lasciai che attendesse qualche secondo di troppo. 

Era trascorso molto tempo dall'ultima volta in cui avevo avuto una conversazione normale.

«Può entrare, la stavo aspettando.»

La seguii nel suo ufficio, guardandomi intorno pronta a raccogliere quante più informazioni possibili con il solo ausilio del mio sguardo.

«Come le ho anticipato a telefono deve firmare queste due dichiarazioni per rinunciare all'alloggio gratuito», mi porse due fogli spiegazzati nel mezzo che mi fecero storcere il naso.

«Va bene», riprodussi per due volte lo scarabocchio che mi ero allenata a trasformare nella mia firma.

«Bene, le ho fatto avere un aumento del tetto massimo di spesa per la mensa universitaria, per cercare di aumentare il valore della sua borsa di studio, era davvero un peccato perdere parte del denaro per questa sua decisione», tirò su con il naso, toccandosi le narici secche.

Non ero seduta a una distanza così ravvicinata da un'altra persona da quando mi ero diplomata. Dovevo rieducarmi alla vita se non volevo che il mio piano fallisse ancor prima di cominciare.

«Lo so che la decisione di non accettare una camera nel campus possa sembrare folle, considerando i prezzi per gli affitti nei dintorni dell'università, ma purtroppo mio fratello non ha ottenuto la mia stessa borsa di studio e non mi sembrava giusto non vivere con lui quest'esperienza. Ha bisogno di me», appoggiai una mano al petto e sbattei le palpebre un paio di volte per dare al tutto un pizzico di drammaticità in più.

Non penserete mica che quella fosse la prima volta in cui ripetevo quelle parole?

«Oh, ma certo... capisco benissimo. Anche io ho due figli che non si separerebbero mai», si voltò sulla sua sedia girevole per mostrarmi con il capo la fotografia che teneva incorniciata alle sue spalle.

L'avevo già vista, ovviamente, sul suo profilo Facebook, social a cui mi ero iscritta semplicemente per stalkerare la donna con la quale una settimana prima avevo già preso appuntamento.

Io non ce l'avevo un fratello, figuriamoci poi, se pure ce lo avessi avuto, se avessi rinunciato alla vita nel campus universitario per lui.

«Le va un caffè?»

Rimasi sbigottita. Aveva anticipato l'esatta prossima mossa che avrei dovuto compiere. Ero brava allora a entrare nelle menti degli altri.

«Stavo proprio pensando a quanto avrei voluto un caffè», annuii.

«Torno subito, allora... zucchero?», domandò.

«Amaro.»

Come la mia esistenza, aggiunsi nella mia testa.

Non appena uscì dall'ufficio, mi fiondai alla sua scrivania.

Osservai il desktop, riconoscendovi immediatamente il programma di cui avevo bisogno.

Fortunatamente la segretaria aveva già provveduto al login, così non ci fu bisogno che io tentassi di indovinare la sua password che certamente sarebbe stata un insieme delle date di nascita dei suoi bambini trentenni.

Che peccato, pensai. Avevo già stilato una lunga lista di ipotesi.

Digitai freneticamente il nome della persona che mi interessava e attesi qualche secondo che il suo dossier si caricasse.

Mandai in stampa quindici fogli.

Li afferrai uno a uno man mano che la stampante me li restituiva.

Una volta terminato tutto, li infilai nello zaino. Assunsi la stessa posizione di prima e mi preparai a passare qualche minuto di chiacchiere insignificanti con la persona che mi aveva aiutata inconsapevolmente ad aggiungere il primo pezzo di un puzzle che presto o tardi avrei ricomposto.

La mia vendetta non poteva più attendere.

L'indomani alle dieci, al corso di Master Marketing, Retail & Sales Management avrei dato inizio al primo atto della mia...

Commedia o tragedia?

A voi la scelta.

Spazio autrice:

Dawn è appena arrivata alla Brown...

Il sole tramonterà inesorabilmente assegnando la vittoria alla notte, o sarà quest'ultima ad illuminarsi della luce del giorno?

Non vi resta che continuare a leggere per scoprirlo...

Grazie per essere ancora qui,

Non mi abbandonate🥀,

Matilde.

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