5❄︎• 𝖙𝖍𝖊𝖆𝖈𝖍𝖊𝖗'𝖘 𝖕𝖊𝖙 •❄︎
𝐒𝐢 𝐬𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐮𝐧 𝐫𝐚𝐠𝐧𝐨 𝐢𝐧 𝐠𝐚𝐛𝐛𝐢𝐚,
𝐁𝐮𝐠𝐢𝐚𝐫𝐝𝐨, 𝐞𝐫𝐢 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐝𝐞𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐢𝐨.
𝐎𝐫𝐚 𝐥𝐞𝐢 𝐯𝐮𝐨𝐥𝐞 𝐝𝐚𝐫𝐭𝐢 𝐟𝐮𝐨𝐜𝐨.
-𝐌𝐞𝐥𝐚𝐧𝐢𝐞 𝐌𝐚𝐫𝐭𝐢𝐧𝐞𝐳
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Prima della lettura:
📣da ieri sono ufficialmente iniziate le riprese di Mercoledì 2📣. Fatemi sentire i vostri scleri>
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Era ovunque, tra le prime pagine del Chicago Tribune, del New York Times e di almeno altri venti giornali dell'America.
A quanto pare la serata per la piccola Addams non doveva esser andata molto male. Ora, aveva già il mondo ai suoi piedi, come da sempre desiderava.
Per chi stringeva già il suo libro tra le sue mani, da oggi sarebbero stati intrappolati in una storia talmente inquietante che loro stessi si sarebbero dimenticati quale fosse la realtà.
E, contro tutte le mie premesse, io sarei stato uno di quelle persone.
Me ne stavo seduto al tondo e vitreo tavolo, osservando con occhi stanchi quel volume con inciso 'M.V Addams'. Se non avessi sentito Enid ieri chiamarla con il suo nome completo, probabilmente non avrei saputo il perchè di quella V nel nome dell'autore. Mercoledì Venerdì Addams, così si chiamava veramente.
Mi chiesi come mai non lo conoscessi prima, quattro anni fa sapevo tutto sul conto della ragazza con le trecce. Certo, non per opera mia, ma di una persona che aveva segnato in modo indelebile la mia vita, una strega priva di poteri dai capelli ramati, dal finto sorriso. Lei si era presa tutte le mie debolezze e le aveva trasformate in potere, e questo mi piaceva. Ma non prima di scoprire che mi stesse usando, che io non avrei avuto niente in cambio. Anzi, avevo pagato a caro prezzo non solo la mia vita, ma anche quella di altre persone, compresa Mercoledì.
'Come ci si sente a far del male a chi ami?' aveva detto mia madre, prima di morire, quando un giorno mi trovò con Feather , il mio canarino, tra le mani tutto sporco di sangue e che ormai non respirava più. I miei occhi di bimbo erano colmi di lacrimoni e guardavo mia mamma con sguardo implorante.
"Mamma! Io...io giuro che non volevo...si può aggiustare, vero mammy?" dissi non lasciandomi nemmeno il tempo di respirare.
Lei boccheggiò, forse spaventata, ma cercò di non darlo a vedere. Anzi, prese il piccolo uccellino dalle mie mani e lo posò sul prato.
"Tesoro" mormorò apprensiva, accarezzandomi le nocche sporche di rosso " la vita non si può aggiustare, è qualcosa di troppo delicato, nemmeno il più abile artigiano ne sarebbe capace" continuò.
"Ma...ma io..." balbettati scoppiando in un pianto disperato. Mi sedetti a terra, senza considerare il fatto che mi sarei sporcato i vestiti di fango, dato che quella settimana aveva piovuto. Poi guardai il mio canarino, le sue piume gialle tinte di un rosso scuro ele sue ali che non sbattevano più. E mai l'avrebbero più riportato in volo.
Si era semplicemente incastrato nella gabbietta e avevo provato a liberarlo, ma così facendo si era fratturato un'ala e aveva iniziato a lamentarsi. Non sapevo cosa spinse il piccolo Tyler a prendere quel coltello dalla cucina e a rompere tutta la piccola creatura, pezzo per pezzo.
Pezzo per pezzo come il Tyler diciottenne aveva fatto con dodici persone, quasi tredici.
A quel punto chiesi alla donna di fronte a me come avrei potuto risolvere. Anche se sapevo che per quello che avevo fatto non c'era soluzione.
"Tyler, guardami" sussurrò ed io, con vergogna, mi voltai. " Sai come ci si sente a far del male a chi ami?".
"Male" risposi volgendo ancora lo sguardo sull'uccellino.
"Non si può riportare ciò che hai perso per sempre, Tyler. Sai, la vita è piena di sofferenze, per tutti. Ma questo- disse prendendo la creaturina in mano- non è il modo di risolvere, non è il modo di togliere i dolori degli altri" continuò lei.
"E come si fa?" chiesi.
Mia mamma prese la mia manina e mi fece accarezzare la piccola testolina di Feather e poi disse "Così, donando amore, perchè grazie ad esso l'altro riuscirà veramente a vivere. E anche tu riuscirai a riparare le tue, di ferite...non far più del male tesoro, me lo prometti?".
E glielo promisi, per davvero. E così feci per i restanti quindici anni senza di lei. Peccato che alla fine fallii miseramente.
Come si ci sente a vincere, pur essendo il primo dei perdenti?
Questo era quello che mi chiedevo, con gli occhi ancora fissi sul libro dalla copertina nera. Mi resi conto in quel momento che la storia del canarino si era ripetuta di nuovo, meno tragica, ma avevo fatto di nuovo del male a...qualcuno a cui tenevo.
Per questo ero il primo dei perdenti, perchè decidendo di fare il cattivo della sua storia al contrario avevo per primo fatto male a me stesso, al piccolo Tyler che stava ancora nascosto in quel cuore pieno di cicatrici.
"Tyler" pronunciai ad alta voce, anche essendo l'unico a poter udire quel nome. Da quanto tempo non mi definivo con questo nome? Da quanto stavo sotto l'illusione della Dalia Nera? Avevo scordato chi ero. Avevo scordato le mie passioni, i miei ideali, il mio 'io' interiore. Tutto questo solo perchè era stato più facile dare ragione a tutti i pregiudizi che circolavano sul mio conto.
E per la prima volta nella mia vita, mi accorsi quanto facesse male esser soli a causa di te stesso, perchè sei stato tu ad allontanare gli altri.
E se fino a quell'istante non avevo dato importanza alla parola 'solitudine', da quel momento iniziò ad assumere per me un significato.
Era il venticinque dicembre. Era Natale. Ed io l'avevo passato a lavorare ancora di più del dovuto, passando tutta la notte magica a servire doppi giri di tequila, a pulire i tavoli al posto delle persone addette, a chiudere al posto di Wendy, perchè tutti quel giorno avrebbero avuto un viaggio da prendere, una tavola colma di leccornie, una famiglia con cui festeggiare.
E io di questo non avevo niente. I miei 'amici' non erano altro che semplici colleghi, la mia famiglia...beh non l'avevo praticamente mai avuta. Mio padre non lo vedevo dall'anno del processo e mia madre ormai era mancata da anni.
Ecco spiegati i miei momenti di insensata poeticità e riflessione. La Dalia Nera a Natale non esisteva, il dolore di Tyler si fa più forte che mai e la sovrasta.
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Poco più tardi, mi decisi che era giunta l'ora di uscire dal mio rifugio sicuro e prendere un po' della, come si dice, cosiddetta 'aria'. Non che possedessi tutta quell'irrefrenabile voglia di attraversare i corridoi e sentire le risate di chi festeggiava. Tuttavia necessitavo di distrarmi dai miei pensieri. Così infilai la prima cosa che trovai- in questo caso un evidenziatore verde- tra le pagine della storia di Viper e infilai la giaccia.
La visione che mi attese appena superato di un passo lo zerbino, fu al dir poco sorprendente.
C'era una ragazza che conoscevo ormai troppo bene, e che ormai nel giro di due giorni avevo incontrato già tre volte. In una cazzo di città metropolitana, composta da milioni e milioni di persone. Non indossava vestiti galanti come le ultime volte, ma semplicemente dei jeans e un maglioncino total black e leggermente coperti da un giacchetto in pelle del medesimo colore. I capelli corvini erano raccolti in uno chignon disordinato e si spostavano continuamente contro il viso, dato che lei non se ne stava un attimo ferma: stava, infatti, tentando di scassinare la porta dell'appartamento di Enid, mormorando tra sé e sé quanto odiasse il Natale.
E tutto questo fu per me uno dei miei più grandi shock culturali. E non perchè avevo lei davanti, bensì per il fatto che lei stesse perdendo le staffe, usando delle parole di gergo troppo basso per lei e avesse i capelli legati in uno chignon. Non aveva le trecce. Il multiverso esiste.
La fissai- si, lo so è inquietante- per una manciata di minuti buoni, prima che lei si accorgesse della mia presenza.
"Da quanto mi stai osservando?" mormorò, spegnendo la modalità 'incazzata con il mondo' e ritornando al suo viso inespressivo.
"Abbastanza tempo per poter avvisare tutti gli scienziati del modo che Mercoledì Addams è in grado di dire 'cazzo'".
"Io non ho mai detto 'cazzo'" rispose, in un modo ingenuo che non si addiceva al suo stile
"L'hai appena fatto, Treccine". Lei roteò gli occhi.
"Ora mi dici perchè cercavi di entrare in proprietà altrui?" chiesi, facendo un piccolo sorriso a fine frase.
"Non è proprietà altrui, è casa di Enid. E...cosa vado a blaterare, non sono tenuta a dirti queste sciocchezze" rispose, atona.
"Allora. Presumendo che il motivo di quello che ha tutte le presupposizioni di essere un reato sia la ricerca della lupetta, mi dispiace informarti che è uscita intorno alle tre ed non è più tornata". Mi avvicinai a lei, senza smettere di osservare i suoi lineamenti perfetti. Mercoledì è letteralmente la ragazza più bella che abbia mai visto, e non solo fisicamente.
"Parlare della mia amica scomparsa e accantonarla con la parola reato suona veramente male detta da te, sai?" domandò, in quella che aveva tutta l'aria di essere una frecciatina, poi con tono distaccato aggiunse:" ma che dico, tu hai commesso di peggio".
E fece male, il mio corpo si irrigidì come se avesse appena ricevuto una secchiata d'acqua gelida addosso. Alludeva forse a noi? A come da un attimo all'altro mi ero trasformato nella creatura da sconfiggere, nell'oppositore della sua storia? Volevo per davvero darle una risposta, dirle ciò che pensavo, ma io stesso non capivo ancora da che parte stavo, provavo solo la sensazione che avevo avuto quella notte: correre da lei e dirle di scappare il più lontano possibile.
Lontano da quella città del terrore. Lontano dalla megera dai capelli rossi. Lontano da me.
"Mi sorprende averti vista qui, comunque, ti pensavo in Vermont" dissi. Tentavo di distogliere il dolore che mi avevano causato le sue ultime parole.
"Nella mia famiglia preferiamo Halloween...andrò lì per il nuovo anno" rispose e nel mentre mise all'interno della borsa la forcina che aveva utilizzato poco prima per la serratura. E per una frazione di secondo si decise a guardarmi negli occhi. Secondi che sembrarono infiniti.
"Vuoi un caffè?" domandai di punto in bianco, facendole sgranare gli occhi. Non sapevo nemmeno perchè gliel'avevo chiesto. Maledetta nostalgia natalizia.
"Per quale motivo dovrei solo pensare di rispondere di sì?" ribatté.
"Perchè oltre questa porta c'è un favoloso quadruplo senza zucchero, e ho un certo ricordo della tua ossessione verso il caffè" risposi indicando la porta dietro di me. Mi trattenni dal farle un'occhiolino ironico, solo perchè sarebbe risultato troppo fraintendibile e allora sì, mi avrebbe mandato a fanculo.
Mi squadrò da cima a fondo per trovare quale inganno ci fosse dietro la mia frase.
"Va bene, ma non metterò piede dentro quella casa, e distanza sociale di cinque metri minimo" decise infine. La sua frase mi fece sorridere, anche se di positivo non aveva nulla. Non entrava perchè non si fidava, a differenza di un tempo. Ma non si può vivere nel passato pensando di poterlo cambiare, piuttosto si può aggiustare ciò che un tempo si aveva perso.
Così feci come mi disse lei, entrai e versai nei bicchieri d'asporto il caffè che avevo già preparato tempo prima. Era nettamente in più rispetto alla quantità che una normale persona avrebbe dovuto bere, ma lavorando di notte esso è la mia salvezza. Quando uscii la trovai ancora lì, a fissare il pavimento che era risultato improvvisamente interessante per lei.
"Wow, non sei fuggita" mormorai colpito, perché una piccola parte di me aveva temuto che fuggisse.
"Ammetto che ci avevo pensato". Prese il caffè che le porsi, e mi guardò interrogativa quando le dissi di seguirmi. Per una ragione che solo il mio inconscio sapeva, desideravo riprendere i rapporti con lei, anche se avrei dovuto allontanarla. Ma ancora una volta il mio egoismo mi impedì di proteggerla come volevo, e lasciai che Tyler si liberasse ancora un poco dalle catene che lo ancoravano al mio corpo.
"So che detesti le sorprese, quindi per tua informazione stiamo andando sul tetto", la riassicurai e lei mi seguì.
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Quando arrivammo al terrazzo, la meravigliosa vista di Chicago al tramonto ci avvolse, facendoci sentire a casa in quel posto sconosciuto. Il cielo era tinto di un vivace rosa che sfumava dietro le vette dei grattaceli, mentre dalle finestre venivano proiettate le prime luci.
Chi l'avrebbe mai immaginato: io e lei, a guardare il sole scomparire con due tazze di caffè in mano. Quattro anni dopo un disastro. Il giorno di Natale.
Liberai una piccola panchina dalla neve e mi sedetti, invitando Mercoledì a fare lo stesso. Dopodiché il silenzio regnò sovrano abbastanza tempo per lasciar finire entrambi di bere i quadrupli.
Faceva parecchio freddo, dopotutto era dicembre, e fui costretto a raggomitolarmi nel mio giubbotto in un vano tentativo di riscaldarmi. Rivolsi poi lo sguardo verso la ragazza al mio fianco, con gli occhi fissi sulle prime stelle che comparivano in cielo, indossava solo una giacchetta di pelle e, per quanto lei amasse le torture, in quel mento stava visibilmente congelando. Mi tolsi così la mia sciarpa e, dopo essermi accertato che fosse priva di colori, gliela avvolsi delicatamente attorno le spalle. "Non lamentarti, nonostante tutto sei ancora umana e rischi di farti venire la febbre a causa mia", mi giustificai.
E lei fece un mezzo sorriso. Abbastanza ampio da vedere le fossette apparire sulle sue guance.
"Buon Natale, Tyler" disse, e sentii i battiti del mio cuore aumentare. Forse perchè aveva aggiunto l'aggettivo 'buono', cosa che non era solita a fare, o forse perché aveva pronunciato il nome del vecchio me, senza il cognome.
O semplicemente perchè dopo quattro anni è stata la prima persona a farmi gli auguri di Natale.
"Buon Natale, Mercoledì", le risposi a mia volta.
Nota autrice:
Dato che come sempre è tardi, mi limito a riassumere.
Questo capitolo è un po' più dolce e triste rispetto i precedenti, ora avete modo di vedere Tyler sotto un altro aspetto.
Ma sta andando tutto troppo bene, no?
Ci vediamo al più presto con un nuovo capitolo e in questo settimana aggiornamento con il primo capitolo di Paper Stars ;)
Bye,
lily.
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