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Quando intravedo i suoi capelli biondi, il mio cuore manca un battito. Sento la sua risata, poi osservo il suo sguardo spaesato mentre si guarda attorno e ammira i vari edifici della Haldell. Mamma e papà sono dietro di lei, si tengono lontani. È da quando sono bambina che i loro corpi non si sfiorano più, nemmeno per un bacio o un abbraccio. Il matrimonio dei miei è palesemente andato in rovina, ma, per qualche motivo a me sconosciuto, non hanno mai parlato di divorzio.

L'idea di reincontrare mio padre mi fa venire la nausea, ma è il prezzo da pagare se voglio riabbracciare anche mamma. È un piccolo sacrificio, tenendo conto che poi non li vedrò più fino a Natale, quando sarò costretta a tornare a Forks durante le vacanze invernali.

La nostalgia di casa, in ogni caso, resta. Non siamo la classica famiglia felice, ma è strano non averli accanto ogni giorno. L'importante, però, è che avrò vicina Jennifer. Abbiamo cinque anni di differenza, lei mi vede come il suo modello da seguire, cosa che non rende contento mio padre, e siamo sempre andate d'accordo. È la persona che amo di più al mondo, quella per cui darei la vita.

Lo sguardo di Jenn incontra il mio. Sorride, da qui riesco a vedere il bianco brillante dei suoi denti, e mi corre incontro abbandonando la valigia, che prende mia madre. I capelli biondi sono raccolti in una treccia, che svolazza da un lato all'altro mentre attraversa il cortile. Mi stringe in un forte abbraccio, facendomi quasi cadere, ma non mi importa. La stringo forte, inspiro il suo profumo, mi sento finalmente a casa e completa.

«La mia principessa!» esclamo. Le lascio un bacio sulla fronte.

Jennifer è sempre stata la figlia modello, nonché la preferita di papà. Ottimi voti, portamento elegante ed educato, sempre con la risposta perfetta pronta.
Lei, fra le due, è quella giudiziosa, non si mette mai nei guai, è poco curiosa e si limita ad accettare le cose come stanno. Ovviamente diventa curiosa solo quando deve ficcare il naso nelle mie storie d'amore.

Siamo le uniche in tutta la famiglia ad avere un colore di capelli diverso. Da generazioni i Ryle sono castani: genitori, nonni, persino i bisnonni. Jennifer è la classica bionda dagli occhi azzurri, nonostante la giovane età è già una ragazza molto bella. Io, invece, sono l'unica rossa. Ogni tanto nostra madre ci prende in giro per questo, dice che siamo due rose in un campo di semplici fiori di campagna. Il che è anche un complimento, tenendo conto che nostro padre ribalta la frase e ci paragona a delle piante infestanti in un campo di rose.

Arrivano i nostri genitori. Se mia madre mi abbraccia, mio padre si limita a farmi un cenno con il capo. Cerco di non alzare gli occhi al cielo, so che lo farebbe infuriare e non voglio beccarmi la solita ramanzina, soprattutto dato che oggi passeremo l'intera giornata insieme. Spero che mio padre si stufi in fretta e decida di tornare a casa prima.

«Abbiamo prenotato un tavolo in quel bellissimo ristorante che amavi da bambina» dice mia madre, accarezzandomi la guancia. «Quello che si affaccia al bosco, te lo ricordi?»
«Vagamente» ammetto.

«Quanto amavamo passeggiare in quel bosco» mia madre sospira con nostalgia, ripensando ai vecchi tempi. Era felice, qui, aveva delle amiche. Anche per lei il trasferimento a Forks non è stato facile. «Che ne dici di farci una passeggiata, dopo?»

«Non c'è tempo» Mio padre apre bocca per la prima volta e spegne tutto l'entusiasmo. Classico. «Abbiamo tempo di pranzare e basta, poi riprenderemo l'aereo.»

Camminiamo in silenzio fino al ristorante, si sente solo la voce di Jennifer che mi racconta nei minimi dettagli il viaggio in aereo. Mi parla delle sue amiche di Forks, di quanto ha pianto quando le ha salutate, ma che era comunque contenta di rivedermi.
Mi chiede della mia compagna di stanza, dato che lei non vede l'ora di conoscere la sua. Spero per lei che non abbia sbalzi d'umore come Violet.

Quando ci sediamo al ristorante, mia mamma inizia a riempirmi di domande. Le racconto di Dylan, del modo in cui me lo sono ritrovato davanti il primo giorno e mi sono sentita di nuovo bambina. Lei sembra emozionarsi, si ricorda di lui e di sua madre. Bevevano sempre il caffè insieme quando ci guardavano giocare, erano grandi amiche.

«Aimee, parli solo di incontri nuovi e vecchi, ma non della scuola. Come vanno le lezioni? Come pensi andrà l'anno accademico?» interviene mio padre.

Cerco di sorridere per non mettermi a urlargli in faccia ciò che penso davvero. «Papà, è passata solo una settimana. Non abbiamo nemmeno iniziato il programma di tutti i corsi» rispondo. «La scuola è bella, comunque. I professori sembrano bravi.»

«Non deludermi» dice, ponendo fine alla conversazione.
Rassicurante, papà. Non mi hai messo per nulla pressione.

Mia mamma, mentre sorseggia del vino, guarda fuori dalle finestre. Il bosco dona un po' di ombra alla stanza in cui siamo, sembra quasi di essere al diner più popolato di Forks. Anche lei e Jennifer devono pensarlo, perché una lo guarda con curiosità e l'altra con precoce malinconia.

«Aimee» mi chiama mio padre. «Sei davvero pallida, esci? Con tutto il sole che c'è qui ad Hauntown sembri un fantasma... Potresti fare qualche passeggiata, magari nel bosco, come ai vecchi tempi. Ricordo che c'era un albero con frutti del posto che ti facevano impazzire, costringevi sempre tua madre a portarti a raccoglierli. Magari li trovi ancora, potresti farli provare a Jennifer.»

Negli ultimi giorni ero riuscita a tenere a bada la mia curiosità e voglia di esplorare quel dannato bosco, curiosità che è appena stata riaccesa da mio padre. Non tanto per quegli inutili frutti di cui nemmeno ricordo il sapore, ma perché è come se mi stesse dando il via libera. Mi ha dato una scusa nel caso venissi beccata da qualcuno, una scusa valida per andarci.

Sorrido. «Sai cosa, papà? Hai ragione» dico. Conosco la sua fissazione per l'attività fisica, per tutta l'infanzia ha costretto me e Jennifer a numerosi tipi di allenamento. Lotta libera, corsa, agilità. È uno di quelli fissati con lo sport, mentre noi sue figlie siamo l'opposto. «Una passeggiata mi farebbe proprio bene.»

A pensarci a mente fredda mi sono solo fatta influenzare dall'ansia di Violet e Jena. Cosa ci sarà di così misterioso in quel bosco? Foglie, terra, legno, al massimo insetti da brividi.
So che ci è morta una ragazza, ma non è stata uccisa, si è impiccata. Questo però non significa che accadrà lo stesso a tutte le persone che ci mettono piede. So badare a me stessa, in caso di pericolo non esiterei a chiamare aiuto e saprei anche difendermi.

E poi c'è questa sensazione di sottofondo che non riesco a scrollarmi di dosso. È come se tutti mi stessero mentendo, omettendo qualcosa. Mi rendono solo più curiosa, succede quando le persone usano le parole sbagliate. Dylan sa che anche solo un termine errato può stimolare il mio bisogno di sapere tutto riguardo a un nuovo argomento, ed è proprio ciò che ha fatto Violet.

Il pranzo finisce e ci salutiamo tutti. Accompagno Jennifer fino all'ufficio del preside, le raccomando di scrivermi non appena conoscerà la sua compagna di stanza e me ne vado.

Per i corridoi mi imbatto in Violet e Jena, che non ci pensano due volte a raggiungermi. «Cosa fai da queste parti?» chiede la bionda. «Non vieni a lezione?»

«No, oggi ho chiesto un permesso, è arrivata mia sorella ed ero con la mia famiglia» spiego. «Ci vediamo stasera, però. Ceniamo insieme?»

Jena annuisce convinta, dice qualcosa tutta entusiasta, ma sento lo sguardo di Violet puntato sul mio viso. Spero stia pensando che sono così agitata per l'incontro con la mia famiglia, lei sa che con mio padre non ho un buon rapporto e magari sta solo cercando di capire come mi sento, e non perché ha capito che sto nascondendo qualcosa.
Tipo una piccola escursione nel bosco. Piccola, minuscola, non se ne accorgerà nessuno.

Esco dalla Haldell sentendo l'adrenalina nello stomaco. Non so cosa ci sia di così entusiasmante, ma è come se quegli immensi alberi mi richiamassero a loro, come se io fossi una calamita e loro il magnete. Forse è anche l'idea di star trasgredendo le raccomandazioni di tutti i miei amici, il sapere di non dovermi far scoprire.

Salgo una scalinata che mi conduce su un sentiero artificiale, che porta direttamente all'interno della fitta vegetazione. Tutto, di questo tratto, è stato realizzato dall'uomo e si vede. L'ordine con cui sono disposti i fiori, i cartelli che segnano un percorso preciso e delineato come se fossero un'autostrada. Una volta varcato l'ingresso, un arco intagliato in una siepe, l'odore di muschio mi riempie le narici.
Rabbrividisco, mi stringo per darmi un po' di calore. Indosso una maglia maniche corte, ma qui dentro il clima è totalmente diverso da quello della città. Fa freddo, è umido, sento già i capelli arruffarsi.

Avanzo senza sapere dove voglio arrivare, e a ogni mio passo una foglia o un rametto secco scricchiola. Inizio a sentirmi inquietata, soprattutto quando intravedo i nastri della polizia che delimitano una zona attorno a un albero. È un pino possente, leggermente cavo, i suoi rami coprono interamente il sole. Di notte riuscirebbe a coprire la luna e lasciare qualcuno immerso nella completa oscurità.

Tocco i nastri con i polpastrelli. Qui è dove devono aver ritrovato il corpo di Dana. Un'orribile sensazione di morte si impossessa, d'improvviso, del mio corpo. Sento la nausea, mi costringo a sedermi dato che sto tremando. Una ragazzina è morta proprio qui, si è impiccata all'albero che si erge davanti al mio sguardo.
È stata un'idea stupida, irrispettosa. Avrei dovuto dare retta a Violet e Jena e scordarmi di questo posto. Dall'altro lato, però, ho avuto la conferma che si tratta solo di uno stupido bosco. Come già detto, foglie, terra, legno. Niente insetti, per fortuna.

Faccio per alzarmi, ma scorgo qualcosa in mezzo ai fili d'erba. Mi avvicino, sorpassando i nastri della polizia, e metto a fuoco un bigliettino. Un foglio minuscolo, da aperto sta sul palmo della mia mano, sporco di sangue incrostato.
Com'è possibile che alla polizia sia sfuggito un inizio simile? O forse qualcuno è stato qui dopo la fine delle indagini, qualcuno che voleva che questo foglio venisse trovato da chiunque, ma non la polizia.

East Coast Rover, Gordon.

La calligrafia è disordinata, segno che chiunque abbia scritto queste parole fosse di fretta. In qualche punto il sangue secco copre la scritta, ma non abbastanza da impedire di leggerla. Dana, però, si è impiccata. Di chi è, quindi, questo sangue? Forse non c'entra con il caso della studentessa suicida.

Infilo il biglietto nella tasca dei jeans e mi alzo. Pulisco i pantaloni dal terriccio con qualche pacca e nel frattempo mi guardo attorno, cercando qualche altro dettaglio che potrebbe svelare l'arcano dietro questo misterioso messaggio. E in mezzo a tutti questi colori freddi e spenti, a questa natura viva che sembra però morta, appassita e trascurata, vedo un petalo di rosa secco.
Rosso scuro, simile al colore del sangue.

Dana aveva un appuntamento, le era stato donato un mazzo di fiori. Che sia il petalo di una di quelle rose?

Cerco di avvicinarmi, ma una voce mi fa congelare sul posto. «Non dovresti essere qui.»

Jennifer Ryle è interpretata sa Sophie Nélisse

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