33
Scendo dal treno, l'aria calda mi colpisce il viso in maniera spiacevole. Inizio già a sudare. Tuttavia, noto subito una grande differenza: il silenzio. Il silenzio dato dall'assenza di mio padre. Niente lamentele, niente insulti, nulla da recriminarmi. Solo silenzio e pace per la prima volta dopo infiniti giorni di agonia e tormento. Hauntown vuol dire assassino che mi sta cercando, certo, ma anche essere lontana da mio padre. E, paradossalmente, va meglio così.
Prendo un taxi e arrivo davanti alla Haldell, di nuovo popolata da numerosi studenti che si scambiano regali e che si riabbracciano. Alcuni stanno già organizzando la prossima festa.
Io, invece, mi dirigo subito verso l'aula di scienze, trascinando con me la mia valigia. Non vedo l'ora di riabbracciare Bree, ma prima devo incontrarmi con il professor Dofel.
Sono successe delle cose parecchio interessanti da quando me ne sono andata. Il professore mi ha inviato una mail per dirmi che è finalmente riuscito ad aggiustare la sua macchina del tempo. Oggi, quindi, finalmente scoprirò dove si trova quel dannato mazzo di rose.
Winter, nel frattempo, è tornata da Tom e ha scoperto qualcosa di nuovo. Ha riconosciuto l'acquirente della corda in una foto dell'annuario dell'anno scorso, ma non ha ancora voluto dirci di chi si tratta. Prima vuole quello per cui ci siamo accordati.
Il tempo scorre, non rimane molto tempo. E so che dovrei correre da Bree, abbracciarla e passare del tempo con lei, dare la priorità a quello che... un adolescente normale farebbe, mettiamola così. Però non mi rimane molto tempo. Mi vogliono uccidere. Sono certa che se Bree sapesse la verità, il motivo per cui nell'ultimo periodo sono così schiva e nervosa, comprenderebbe.
Spalanco la porta e vado verso il professor Dofel, abbandonando la mia valigia accanto a uno dei banchi. «Sono tornata e sono pronta per viaggiare nel passato!» esclamo.
Il professor Dofel sta preparando i primi appunti per le lezioni di domani e, quando mi vede, un sorriso nasce sulle sue labbra sottili. «Bentornata. Passate bene le vacanze?» chiede.
«Domanda di riserva?» ribatto.
Raggiungiamo insieme lo stanzino, dove aleggia un forte tonfo di muffa, e mi siedo sul solito sdraio. Mi si avvicina con la macchina, uguale all'ultima volta che l'ho vista. «Sarà come la scorsa volta. Inseriremo qui» dice, aprendo una piccola porticina al lato della macchina «il petalo, mentre gli aghi al solito posto. Questa volta non dovrebbero esserci problemi, in ogni caso io sarò qui a occuparmi di te.»
Finisce di preparare il tutto, quindi mi guarda un'ultima volta prima di premere il pulsante e attivare la macchina. «Buona fortuna» dice.
Un vortice mi trasporta fino a una stanza dalla carta da parati grigia strappata. Ci sono due uomini, uno dei quali tiene in mano il mazzo di rose. Sono ancora fresche, giurerei di poter sentire il loro profumo. Lo lascia cadere a terra, in mezzo a dei pezzi di muro crollati al suolo, quindi sospira. «Non dovrebbero trovarlo, qui.»
La scena cambia, i petali sono ormai grigi e secchi, ma ancora integri. La visuale è come se si allontanasse, come se fossi un fantasma che fluttua nel cielo. Le sensazioni che provo mi fanno venire i brividi. Sento il vento trapassarmi il corpo, ma se tento di guardarmi le mani non vedo nulla. Esisto, ma non esisto, sono... insignificante. Vedo un edificio enorme, o forse una volta lo era, perché sta letteralmente cadendo a pezzi. Alcune mattonelle cadono dal tetto, mentre le finestre sono frantumate in mille pezzi. È ricoperto di graffiti, vedo un topo intrufolarsi in uno dei buchi sul pavimento.
Mi sveglio di nuovo nella stanza con il professore, che mi guarda felice. «Sei viva! Ha funzionato!»
«Ho visto un edificio distrutto, le rose devono essere ancora lì» dico tutto d'un fiato.
All'improvviso sento lo stomaco chiudersi e dei conati di vomito mi lasciano senza fiato. Mi ritrovo a vomitare sulla camicia dell'insegnante e su tutto il pavimento, ma questo è solo parte del problema: il vomito è blu.
«Blu?» borbotto, sentendo ancora un po' di nausea.
Il professore si toglie la camicia, rimanendo con una maglia maniche corte. È chiaramente disgustato, ma cerca di mostrarsi tranquillo per non mettermi a disagio. Troppo tardi, sono mortificata, e sicuramente rossa su tutto il viso. «Un effetto indesiderato della macchina, probabilmente, ma non posso farci nulla al riguardo: hai pur sempre viaggiato nel passato.»
Annuisco. «È meglio che vada, Breanna mi starà cercando.»
«Sei sicura di star bene? Come ti senti?» domanda.
«Sento ancora un po' di nausea, ma me la caverò» mento, sentendo anche dei crampi allo stomaco.
«Per qualsiasi cosa avvisami, va bene? Non possiamo sapere gli effetti che potrebbe avere la macchina sul tuo corpo.»
«Sì, va bene.»
Mi volto di spalle per uscire dalla stanza, ma dei giramenti di testa mi colgono alla sprovvista. Cerco comunque di uscire senza destare sospetti per non preoccupare il professor Dofel. Non mi sento, però, per niente bene. Cosa mi sta succedendo?
Quando entro nella stanza che condivido con Bree, rimango a bocca aperta.
I muri sono sporchi di graffiti che sillabano parolacce nei confronti della mia compagna di stanza che, per fortuna, non si trova qui. Tocco una delle lettere, che mi sporca l'indice di vernice fresca: sono ancora in tempo per cancellarle.
Prendo dai bagni una spugna e dell'acqua, e mi metto all'opera per eliminare ogni scritta. Prima, però, scatto una foto che mostrerò al preside per denunciare l'accaduto: Bree di sicuro non dirà nulla, ma sarà mio compito diventare la sua voce in un momento così difficile.
Sento la rabbia ribollirmi nello stomaco. Come hanno fatto a entrare nella nostra stanza? E perché fare una cosa simile? Bree è così buona, così innocente. Chi potrebbe odiarla così tanto?
Dopo due ore non c'è più alcuna traccia delle scritte, così mi stendo sul letto per riposarmi. Mi sento spossata, e ancora nauseata. Poggio una mano sullo stomaco, annotandomi mentalmente di fare un salto in farmacia per prendere qualche medicinale per combattere nausea e acidità.
Controllo che le foto siano venute bene, quindi invio una mail alla scuola allegandole una per una.
Bree rientra in camera scura in volto e con aria triste. Si guarda attorno spaesata per qualche secondo, poi rivolge l'attenzione su di me. «Hai cancellato tutto» dice.
Annuisco. «Sì. Non volevo vedessi certe cose, mi dispiace. Cos'è successo? Perché tutto questo?» chiedo.
«Non è importante, Aimee. Grazie, comunque, per il pensiero.» Fa spallucce.
Si siede sul letto, così ne approfitto per mostrarle il mio regalo. Lo prendo dal comodino e mi accomodo accanto a lei, che sorride leggermente. «Un piccolo pensiero per te.»
«Cos'è?» domanda.
Le passo la sfera di vetro, che prende con cura e ammira. «È il bosco di Forks, ho pensato fosse una cosa carina da regalarti.»
«Molto bella, ti ringrazio.» Mi abbraccia. «Ho anche io qualcosa per te.»
Mi passa un libro e, quando leggo il titolo, scoppio a ridere. «"Cinquanta modi per trovare il fidanzato perfetto"?»
Scoppia a ridere anche lei. In pochi minuti finiamo a raccontarci le nostre vacanze e mi rendo conto solo ora di quanto mi fosse mancata.
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