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Quando Violet mi ha detto che la sua migliore amica adora i novellini, non scherzava. La ragazza che mi sono ritrovata davanti, con occhi talmente grandi da ricordare quelli di un cerbiatto, mi ha stretto la mano energicamente e mi si è subito presentata: Jena Stoll. Capelli lunghi, corporatura esile, ma forza e agilità di un felino. Ha iniziato a farmi almeno una decina di domande di fila sulla mia vita, le mie passioni e, soprattutto, la mia vita sentimentale. Ho potuto intravedere la sua delusione una volta scoperto che non è stata così movimentata, due storie andate a finire male ma senza nemmeno troppi drammi.
Dopodiché, mi ha abbracciata. Così, dal nulla, lasciandomi interdetta. Violet, con un'occhiata, mi ha fatto intendere di dover ricambiare e io ho obbedito. Tutto questo affetto improvviso, però, mi ha lasciata un po' confusa.
Sono qui da solo poche ore, ho reincontrato il mio vecchio migliore amico e ho fatto la conoscenza di due ragazze dai caratteri completamente diversi. Jena e Violet non si possono paragonare, sono l'opposto, eppure riesco a vedere perché sono migliori amiche: si complimentano a vicenda, hanno l'una ciò che l'altra non ha, sia fisicamente che caratterialmente.
Jena è anche completamente diversa da me: la mia timidezza non mi avrebbe mai permesso di abbracciare qualcuno con cui ho spiaccicato a malapena qualche parola. La mia diffidenza mi fa sempre stare all'erta, anche nei confronti di una persona innocua come lei. Violet mi ha detto che in questo posto le persone non scherzano, dunque questa Jena gentile, socievole ed energica potrebbe essere solo una facciata. O forse sono io troppo paranoica.
«Se questa scuola è l'inferno, gli studenti sono il diavolo in persona» dice Jena. Ha passato gli ultimi dieci minuti a farmi un elenco di nomi e cognomi di studenti mai visti prima, seguito da una descrizione dettagliata di pregi e difetti. Tira fuori uno specchietto e si controlla l'eyeliner. «Tu non farti problemi e per qualsiasi problema avvisa me e Violet. Lei è molto brava a picchiare, soprattutto quando è ubriaca.»
Violet alza gli occhi al cielo, ma è palesemente divertita.
Si gettano entrambe in una conversazione accesa su qualche festa che verrà organizzata e io ne approfitto per guardarmi attorno. La mensa non è male, è spaziosa e ben fornita, peccato che il cibo lasci a desiderare. Ho mangiato una pasta e del pane, che sembrano essere stati riscaldati almeno tre volte. In ogni caso, l'atmosfera è piacevole. Le vetrate sono immense, permettono alla luce naturale di scaldare la stanza e darle un'aria accogliente. Mia sorella, non appena arriverà, si innamorerà di questo posto, ne sono certa.
Controllo il cellulare per controllare se mi ha scritto, ma non trovo nessun messaggio. I miei genitori si sono offerti di accompagnarla di persona fino a qui, non mi sorprende dato che ha solo tredici anni, ma mio padre mi ha raccomandata di farmi trovare ordinata perché vuole conoscere di persona e studiare la mia compagna di stanza. Non gli interessa di Violet, potrebbe anche essere un'assassina e mi lascerebbe comunque in stanza con lei, ma vuole mettermi a disagio. Soprattutto, vuole darmi un avvertimento: è grazie a lui se sono qui, non me lo devo scordare.
Nella mensa fa il suo ingresso Dylan. È da solo, ma non appena mi vede mi saluta. Decido di raggiungerlo, forse è il momento più adatto per parlargli e scusarmi. Sento lo sguardo di Jena e Violet mentre mi allontano, e so già che mi faranno molte domande una volta che sarò sola con loro. La prima perché non sa che eravamo già amici, la seconda per il motivo opposto. Già, sono proprio diverse in tutto per tutto.
«Dylan?» Picchietto un dito sulla sua spalla. Sta prendendo un sandwich, tonno e olive. Il suo preferito, come quando eravamo bambini. «Volevo parlarti, ti disturbo?»
«No, Fiammetta. È tutto okay?»
Annuisco. «Ci tenevo a scusarmi» spiego. «Quando mi sono trasferita a Forks sono scomparsa, sia con te che con Winter. È stato un comportamento orribile e non saprei come giustificarlo, solo che...»
«Aimee» mi interrompe. Mi fa cenno di sedermi insieme a lui a un tavolo, io obbedisco. «Non devi scusarti. Eravamo ragazzini, ti sei trasferita lontanissima. In più ricordo molto bene le tue dinamiche familiari, soprattutto com'era tuo padre, e so che eri in una posizione delicata.»
Sospiro. Mio padre mi ha sempre portata da un posto all'altro per il suo lavoro come se fossi una bambola, un giocattolino di sua proprietà. Ero piccola, non potevo mai lamentarmi e oppormi, mio padre mi avrebbe messa in punizione, trovavo il coraggio solo di farlo con mia madre. Lei, però, non faceva nulla. Mi sentivo molto sola, in quel periodo.
«La tua compagna di stanza e la sua amica ci stanno fissando» dice.
Seguo la direzione del suo sguardo e incontro i volti di Jena e Violet, che, non appena si rendono conto che le stiamo guardando, si girano di scatto facendo finta di nulla. Mi lascio sfuggire una risatina.
«Come ti sembra Violet?» chiede Dylan.
«Simpatica. Un po' particolare, forse. Dal tuo tono sembrava si trattasse di una persona pericolosa e folle» rispondo. «Ho anche conosciuto Jena, dà l'impressione di essere piuttosto... frizzante.»
«Il tuo senso dell'osservazione si è arrugginito, per caso? Il tuo intuito è morto?»
Alzo gli occhi al cielo. «Funzionano entrambi alla perfezione» Scoppio a ridere. «Parlate tutti di quanto sia pericolosa la gente in questa scuola, ma fino ad ora sei stato solo tu il folle a spaventarmi in mezzo a un corridoio. Tutti si sono fatti gli affari loro.»
«Quindi ti trovi bene?»
Annuisco. «Ancora tutto da vedere, ma al momento non posso lamentarmi. È molto tranquillo...» Vengo interrotta dalla sua risata. Sto seriamente iniziando a stufarmi. Perché nessuno parla chiaramente, qui? Perché danno indizi su quanto sia terribile questo posto, ma nemmeno una prova per confermare la cosa? «Perché ridi?»
«Un posto tranquillo...» ripete le mie parole, ancora ridendo.
«Si tratta di Dana?» chiedo. Nel momento in cui smette di ridere, mi pento della mia domanda avventata. Un silenzio tombale è calato fra di noi, lui mi osserva senza far trapelare alcuna emozione dal suo sguardo. Perché non posso tenere la bocca chiusa, a volte?
«Come fai a saperlo?»
«Non ne so nulla» mi giustifico. «Ne ho sentito parlare vagamente.»
Dana, per me, è solo un nome, ma non per gli altri. Le reazioni di Violet e Dylan mi fanno capire che non porta nulla di buono, o che qualcosa di orribile deve essere accaduto. Cos'ha di tanto speciale questa ragazza? Sono così curiosa e penso che Dylan, conoscendomi, sfamerà questo mio bisogno. «Posso saperne di più?» chiedo.
Dylan sospira. «Si chiamava Dana Fry, veniva con noi all'ultimo anno quando eravamo al primo percorso di studi» spiega. «Ne parlo al passato perché è morta, non tutti ne vogliono parlare. Stai attenta, dunque, a pronunciare il suo nome. Potresti metterti nei guai, Aimee.»
«Com'è morta?»
«È stata ritrovata impiccata a un albero, è stato tutto archiviato come suicidio. Nessuno si spiega ancora il suo gesto: era un'esplosione di vita, una ragazza così felice... Hai presente le tipiche ragazze nei film, quelle popolari e circondate da amiche? Con la lingua affilata, un po' cattive. Dana era così.»
«Si è mai comportata in modo strano?»
«No, anzi, era entusiasta per un appuntamento misterioso. Qualcuno le aveva lasciato nella sua stanza un mazzo di rose, invitandola a cena fuori. Il giorno dopo è stata ritrovata morta, le rose e l'invito sono scomparsi. Si pensa che l'appuntamento sia andato male e che abbia deciso di bruciarli. E poi ha fatto ciò che ha fatto.»
«Deve essere stata dura per la sua famiglia e anche per voi» mormoro. Vorrei fare altre mille domande, ma decido di tenere la curiosità a bada. Chi è il misterioso ragazzo che l'ha invitata a uscire? E cos'è successo quella sera per indurla a fare un tale gesto?
Ma, soprattutto: è stato davvero un suicidio?
Jena Stoll è interpretata da Keira Knightley
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