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21

Anche oggi mi sveglio in seguito a una notte piena di incubi, con il pigiama incollato alla pelle sudata e un forte mal di testa.
Questa volta, però, è diverso. Nessuno può dirmi che andrà tutto bene o che era solo un sogno, perché non è vero. Il corpo di Joy che appare quando dormo è un ricordo, rivivo la sua morte tutte le notti. Vorrei solo cancellare quell'immagine dalla mia mente, ma non posso. Mi tormenterà fino alla fine dei miei giorni.

I miei genitori, alla fine, hanno deciso di far restare Jennifer a Forks. Ovviamente è stata un'idea di mio padre, che non ha allungato l'invito anche a me. Mia madre, invece, ha cercato di convincerci entrambi all'abbandono della Haldell, ritiene sia un'idea folle che io resti qui. In parte sono d'accordo, ma mio padre non ha voluto sentire storie o piagnistei inutili. Ritiene che solo Jenn sia quella in pericolo, che l'assassino sia un maniaco che ha tentato di violentare la piccola Joy, che ha la stessa età di mia sorella. Dunque, a detta sua, io sono fuori pericolo. Se solo sapesse le cose che ho scoperto io.

A volte vorrei poter raccontare tutto, dell'assassino e di Dana, ma poi ricordo che non posso farlo, perché farei la stessa fine di Joy. Cosa mi impedirebbe, infatti, di essere la prossima vittima? Mi hanno assalita una volta per farmi tacere e sono stata fortunata. Non posso, però, andare avanti all'infinito.

Sospiro e prendo il cellulare. I messaggi da parte di mamma sono triplicati. Se già la mia aggressione l'aveva allarmata, ciò che è successo negli ultimi giorni la rende ancora più paranoica. La capisco, però, e non la biasimo, per questo mi impegno a risponderle ogni volta che mi scrive.

Trovo anche un messaggio da parte di Sam: Ti ricordi l'invito di qualche giorno fa? La cena con i miei, intendo. È diventata un pranzo. Oggi sono disponibili, che ne dici di scappare insieme da quel mondo folle che è la Haldell almeno per un po'?

Ridacchio e digito: No.
Dopo un secondo risponde: :c

Uomo di molte parole, si sta proprio impegnando per convincermi.
Passo una mano fra i capelli unti. Dovrei fare una bella doccia, ma io vorrei solo marcire nel letto. Uscire e distrarmi, tuttavia, non potrà che farmi del bene. Mi sono un po' trascurata in questi ultimi giorni, mangio poco e non esco dalla mia stanza.

Sospiro. Scherzavo, Sam. Ti mando un messaggio quando sono pronta.

Corro nei bagni e mi faccio una doccia calda. Quando finisco di lavarmi, resto sotto il getto immobile per qualche secondo, finché, all'improvviso, non diventa ghiacciata. Sento una morsa stringermi lo stomaco e l'aria mancare. Mi ritrovo inginocchiata a terra, percepisco ancora il freddo sulla pelle. Faccio fatica a respirare, perché faccio così fatica a respirare?
Inizio a sudare.
Ruoto istintivamente al massimo la manopola dell'acqua calda e osservo il vapore formarsi, il getto non mi colpisce direttamente ma sento le piante dei miei piedi ustionarsi. Con fatica mi rialzo e metto una mano sotto l'acqua bollente, ma la ritraggo immediatamente non appena mi scotto. Scelgo una temperatura normale e torno sotto l'acqua. Elimino il gelo dalla mia pelle. Lo stesso gelo in cui era immerso il corpo di Joy, sotto quello strato di ghiaccio. Sotto quell'acqua fredda, freddissima.

Mi avvolgo nell'accappatoio ed esco dalla doccia con le gambe molli. Mi sento svenire. Una ragazza si sta truccando e mi lancia un'occhiata preoccupata. Penso mi chieda se va tutto bene, ma non ne sono certa, non la sento bene. Annuisco ed esco dal bagno, tornando il più in fretta possibile nella mia stanza. Chiudo la porta a chiave e mi siedo sul letto, mi costringo a fare respiri profondi. Uno, due, tre... Va tutto bene, sto bene.

Prendo il telefono e scrivo un messaggio a Sam. Vieni qui.
La risposta non tarda ad arrivare: Sei già pronta?
No, ma non mi sento molto bene.

Passa qualche minuto, poi qualcuno bussa alla mia porta. Apro senza pensarci, so che è lui. È già vestito, indossa una camicia bianca e sento l'odore del suo dopobarba. Mi nausea, ogni cosa mi nausea in questo momento.

Non dice niente, allunga solo una mano verso il mio viso. Passa un pollice sotto al mio occhio destro, asciuga una mia lacrima. Non mi ero nemmeno accorta di aver pianto. Non mi sento nemmeno in imbarazzo, tenendo conto che sono coperta solo da un accappatoio. Non mi sento qui, non capisco cosa mi stia succedendo. Sento il cuore uscirmi dal petto, sembra io stia per avere un infarto.

«Sei molto pallida, Aimee» dice, visibilmente preoccupato.

Annuisco.
Decido di far finta di niente, di non raccontargli di come mi sento. Avevo solo bisogno di qualcuno, di una presenza umana al mio fianco. Del calore di un corpo. «Sì, scusami, ho esagerato scrivendo quel messaggio. Sto già meglio» Ridacchio, nervosa. «Piuttosto, come mi devo vestire?»

«Possiamo rimandare...»
«Ti ho chiesto come mi devo vestire» lo interrompo.
Lui sospira, ma non insiste. «Un vestito qualsiasi andrà benissimo, Ryle.»

Sorprendentemente, fa qualcosa che non mi sarei mai aspettata. Mi abbraccia. Mi tiene stretta, una mano sulla mia schiena e una sulla testa, con la quale mi fa delle carezze. Mi lascia un bacio in fronte e poi si allontana, dicendo che mi aspetterà fuori per lasciarmi privacy mentre mi cambio.
Mi costa ammetterlo, ma avrei voluto durasse di più. Mi ritrovo di nuovo con gli occhi lucidi: avevo solo bisogno di un abbraccio, avevo solo bisogno di un contatto umano e sincero in questa scuola così fredda e drenante.


Stiamo tornando a casa, il pranzo è andato bene. Almeno credo, per me è andato bene, ma Sam non apre bocca da quando ce ne siamo andati. So che sta aspettando una delle mie domande da ficcanaso, ma ho intenzione di sorprenderlo: mi farò gli affari miei.
Ho visto come ha reagito dopo quella domanda. E so che le questioni familiari sono delicate, troppo. Non ho intenzione di fargli del male con la mia curiosità.

La casa dei genitori di Sam era adorabile. Il giardino era tenuto alla perfezione e il vialetto era circondato da fiori profumatissimi. Era tutta su un piano solo, ma era maestosa. O forse era proprio il suo essere così perfetta ad avermi messa a disagio: non una singola cosa fuori posto. Nemmeno quando siamo entrati. Non ho intravisto un granello di polvere. Il pollo arrosto, il cui odore mi ha investita non appena ho messo piede in casa, era cucinato a puntino. Né troppo, né troppo poco. Così come le patate al forno, dorate alla perfezione.

Ci ha accolti la madre di Sam. Indossava un abito attillato nero che mi ha fatta sentire molto a disagio, dato che a confronto io avevo scelto il vestito più semplice che avevo nell'armadio. Le labbra erano tinte di un rosso acceso che mi è rimasto impresso sulla guancia su cui mi ha scoccato un bacio. La sua acconciatura non aveva un capello fuori posto. «Io sono Lena, piacere di conoscerti!» ha esclamato. «Tu devi essere la famosa Aimee.»

La famosa Aimee. Ho lanciato un'occhiata eloquente a Sam giusto per dargli fastidio e lui è arrossito dalla testa ai piedi.

Mi ha incuriosita questa diversità. Tutto in quella casa era perfetto e per Sam, certamente, non si può usare questo aggettivo. Lui è tutto fuorché perfetto. Non sa esprimersi, è sfuggente, i capelli dorati sono sempre spettinati. Non sembra far parte di questa famiglia e, forse, ora capisco perché ha deciso di prendersi un appartamento per sé invece che vivere con loro.

Il pranzo, però, non è andato così male. I suoi genitori mi hanno riempita di domande sulla mia famiglia, sulla mia città natale e la mia carriera scolastica. Nessuno ha nominato Dana e, tantomeno, Joy e da un lato la cosa mi ha permesso di dimenticarmene per un paio d'ore.

Mi sono sentita in colpa, me ne sono vergognata. È incredibile, ma anche molto triste, come la routine scolastica si sia già ripresa dopo la sua morte. È come se non fosse accaduto nulla, come se essere rispettosi nei suoi confronti per quarantotto ore sia stato abbastanza. Tutti se ne sono già dimenticati, nessuno la nomina più. E se da un lato è giusto che la vita vada avanti, mi domando come facciano gli altri a lasciare andare un peso così doloroso e sfiancante.

Vorrei farlo anche io, ma mi sentirei un mostro a lasciarla andare così in fretta. Non la voglio dimenticare. Non ho mai subito un lutto simile prima d'ora, non nei confronti di una persona così giovane. Qual è il tempo giusto da concedermi per stare male? E quando sarà il momento giusto per andare avanti?

Il pranzo è andato bene, sì. Mi ha permesso, per qualche ora, di respirare. L'atmosfera è però cambiata radicalmente quando i suoi genitori hanno nominato una persona. Sam, al mio fianco, si è irrigidito e non è più stato lo stesso.

«Sembri una ragazza brillante, Aimee. Sono contento che mio figlio frequenti persone perbene come te» ha detto suo padre.

«Saresti piaciuta da matti anche a Eatan. Purtroppo non è potuto esserci stasera, ma gli avrebbe fatto molto piacere conoscerti» ha aggiunto Lena.

«Chi è Eatan?» ho domandato, confusa.
Lena ha lanciato un'occhiata perplessa a Sam. «Mio figlio, suo fratello maggiore» ha risposto. «Non le hai mai parlato di lui?»

«No» Sam, a quel punto, era rigido. Stringeva forte il bicchiere fra le mani, ero convinta l'avrebbe frantumato. Ha forzato una risata. «Troppe informazioni nel cervello di questa ragazza intelligente, non volevo sovraccaricarla di novità.»

Sam ferma l'auto nel parcheggio della Haldell e la lascia in moto. Non ha aperto bocca per tutto il viaggio di ritorno. Mi schiarisco la voce e slaccio la cintura, mi avvicino per salutarlo ma lui si volta all'improvviso verso di me. «Non ti sto nascondendo niente riguardo a mio fratello, solo... Non andiamo molto d'accordo» dice.

Annuisco. «Non mi devi spiegazioni. Ne so abbastanza di famiglie disfunzionali, ricordi?»

Lui sorride, ma quel piccolo moto di serenità si spegne subito. Guarda accigliato qualcosa alle mie spalle, ma non faccio in tempo a girarmi. Qualcuno apre la portiera e con uno strattone mi fa scendere dalla macchina. Mi volto, inizialmente, spaventata all'idea che sia qualcun altro intenzionato ad aggredirmi, ma quando incontro il volto di Fitz sento un moto di rabbia assalirmi.

Lo spintono lontano da me, talmente forte da perdere l'equilibrio. Mi schianto, però, contro il petto di Sam, che è già sceso dall'auto. Mi afferra per non farmi cadere. «Fitz, che diamine di problemi hai?» urla. È furioso, non l'ho mai visto così.

«Ho passato la mattinata a guardare mia sorella piangere. Le hai spezzato il cuore nemmeno qualche settimana fa e ora già esci con un'altra? Non ci pensi a lei?» Fitz è furioso. Gli occhi sono iniettati di sangue, fa quasi paura. Mi indica. «Questa ragazza si è montata la testa e tu non fai altro che darle corda. Pensa di poter venire qui ed essere amica di tutti, nonché di rubare il fidanzato di mia sorella!»

«Non ho rubato il fidanzato di nessuna» replico. Sam mi lancia un'occhiata torva, segno che devo starmene zitta. Sbuffo e mi massaggio il polso che mi ha afferrato Fitz per tirarmi fuori dalla macchina. «Sei un pazzo fuori di testa, mi hai fatto male. Fatti curare.»

«Mi hai stufato, Ryle» sibila Fitz.

Succede tutto così velocemente da sembrare surreale. Fitz mette una mano in tasca ed estrae qualcosa che riflette la luce del sole. Strizzo gli occhi prima di accorgermi che è un coltello dalla lama estremamente sottile e che lui si sta avventando su di me. Sam, però, mi sposta prontamente e si mette fra di noi.

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