20
È lunedì, il cielo è nuvoloso e scuro. Siamo circondati dalle ombre, le foglie delle piante sono ricoperte di rugiada. Fa comunque caldo, è molto umido. Non c'è anima viva per il cortile o per i corridoi. Le aule, che a quest'ora sarebbero brulicanti di studenti intenti a prendere appunti, sono vuote.
Hanno annullato le lezioni, è giornata di lutto. Ogni passo, ogni sguardo, ogni respiro si impregna di morte, così pesante da sentirla ovunque. Ne siamo circondati, è impossibile ignorarla.
L'immagine del corpo di Joy, il suo viso talmente tumefatto da essere irriconoscibile e la scritta con il suo sangue, non mi ha lasciata dormire stanotte. Sono tutte immagini che, una dopo l'altra, si ripetono nella mia mente. Non riesco a dimenticare, riesco a ricreare la scena alla perfezione.
L'assassino ha colpito ancora. Nessuno di noi ha potuto fare qualcosa per cambiare la situazione, se non guardare impotenti il corpo di una tredicenne che veniva chiuso in un telo nero. Ci hanno allontanati dalla scena, ma io sono rimasta a guardare finché Violet non mi ha portata nella nostra vecchia stanza.
Bree, a quanto pare, è andata momentaneamente dai suoi genitori, troppo spaventata dalla situazione, e Violet non voleva lasciarmi da sola per tutta la notte. Abbiamo dormito abbracciate nel suo letto in silenzio, lei non ha voluto farmi domande e io sentivo le parole morirmi in gola ogni volta che tentavo di aprir bocca. Quando mi sono svegliata urlando, si è limitata ad accompagnarmi in bagno e a tenermi i capelli mentre vomitavo la camomilla della sera prima.
Violet, ora, me ne porge un'altra e poi si siede accanto a Sam. Si sono offerti entrambi, senza che io lo chiedessi, di farmi compagnia finché non mi sarò calmata.
Mi hanno praticamente vietato di tornare nella stanza che condivido con Bree, non vogliono io resti da sola con i miei pensieri, e forse è meglio così: mi sento incredibilmente sola.
Ho trovato solo le forze per andare da mia sorella. È chiaramente scossa e incredibilmente addolorata, Joy non era solo la sua compagna di stanza, ma anche sua amica. Ho chiamato mia madre e stasera la riporteranno a casa per un po', almeno finché la vita qui alla Haldell non tornerà quella di prima. Finché, inoltre, non la cambieranno di stanza.
Rigiro fra le mani i fascicoli di Joy, li osservo ma non voglio rileggerli. Ho vietato, per ovvi motivi, anche a Violet di esaminarli. Non sono più nulla per me, solo un ammasso di inchiostro usato da una persona ormai morta.
Tiro su con il naso, sentendo di nuovo le lacrime serrarmi la gola. Sam si avvicina a me e mi abbraccia. Scoppio a piangere e lui mi accarezza i capelli. Vorrei dire che è colpa mia, ci ho provato, ma nessuno dei due miei amici mi lascia mai finire la frase.
Non vogliono sentirmi mentre lo dico, non vogliono, a parer loro, che io dica stupidaggini. «Mi dispiace tanto, Aimee» mormora Sam.
L'unica cosa che vorrei rispondere è "è colpa mia", l'unica frase che riesco a formulare. È una profonda e dolorosa verità. Se non avessi accettato di averla dalla mia parte e se non le avessi permesso di indagare, forse sarebbe ancora viva.
Avrei dovuto fermarla, non stare al suo gioco. Aveva solo tredici anni, come ho potuto essere così stupida?
«Non puoi cambiare il destino delle persone» dice Violet, stringendomi una mano. «L'hai amata quando era ancora in vita ed è questo che conta.»
«Joy aveva scoperto la verità su Dana e voleva rivelarmela» ammetto. L'espressione di Sam e Violet cambia drasticamente, sono sconvolti. Mi guardano con gli occhi sgranati e le bocce spalancate. «L'assassino di Dana l'ha fermata prima che potesse farlo. Aveva solo tredici anni, come ha potuto?»
Violet sospira. Uno di quei sospiri che fa prima di iniziare una ramanzina, quelli che faceva prima di ripetermi di farmi gli affari miei o sarei finita nei guai. Aveva ragione, in fondo. «Vai dalla polizia, è un indizio importante.»
Annuisco, ma non ne sono per niente convinta. Al lago non hanno trovato alcuna traccia, nemmeno l'arma del delitto. Non c'era niente di niente che potesse aiutare una possibile indagine e, dunque, scoprire la verità.
Tutto ciò che rimane sono fascicoli nascosti di Joy. Devo trovarli, ma come? Hanno bloccato l'accesso alla sua stanza, nessuno può accedervi se non la polizia, che se li trovasse sicuramente additerebbe Joy come stalker. Non andrebbero di sicuro a suo favore. Inoltre, mi pare un luogo troppo scontato. Joy li avrà sicuramente nascosti in un luogo sicuro, dove nessuno riuscirebbe ad andare facilmente. Se potessi solo viaggiare nel passato, sarebbe tutto più facile...
Mi irrigidisco, colta da un'illuminazione. Sam se ne accorge, dato che si volta verso di me accigliato. «Devo andare a parlare con il professor Dofel» dico. Ora mi guardano entrambi perplessi, convinti che io sia pazza. «Solo... Sapete, ha parlato lui con gli escursionisti e... vorrei capire se sa qualcosa o la sua idea in merito, tutto qui.»
Esco dalla mia stanza e corro fino all'aula di scienze. I corridoi sono talmente deserti da far venire i brividi. Entro nella stanza e trovo il professore intento a correggere alcuni compiti. Quando mi sente entrare, alza il capo con fare accigliato. Ha occhiaie molto profonde, nemmeno lui deve aver dormito questa notte. «Ryle, ha bisogno di qualcosa?» chiede.
«Voglio provarci. Voglio usare la sua macchina» spiego.
Poggia la penna con molta lentezza sulla cattedra e sospira. Si passa le mani fra i capelli. «Se è per quello che è capitato alla signorina Device, mi ritrovo costretto a dirle di no. Siamo tutti molto scossi da quello che è successo, ma non possiamo cambiare nulla.»
«Lo so, lo so» balbetto. «Però... c'è una cosa che devo sapere. È davvero importante.»
Mi guarda dritto negli occhi. «Ne è sicura?»
«Al cento per cento.»
Mi accompagna nello stanzino, che chiude a chiave. Mi fa sedere su uno sdraio polveroso, che l'ultima volta non c'era, e mi invita a restare tranquilla. Un po' difficile, sento il nervosismo alle stelle.
E se qualcosa andasse storto?
Con fare meccanico, come se facesse tutto questo da una vita, mi infila degli aghi nel braccio sinistro e nelle tempie. Sono collegati a dei tubi sottili, nei quali scorre un liquido argentato.
«Pronta?» chiede.
No, ma annuisco.
Schiaccia un pulsante. All'inizio non succede nulla, ma poi sento un peso calarmi addosso, intorpidirmi tutto il corpo. È come se mi stessero svuotando, rimuovendo tutti gli organi e il sangue. È come se stessi galleggiando in mare aperto e mi avessero strappato via l'anima.
Visualizzo, nella mia testa, l'Ice Lake, il luogo in cui è stata assassinata Joy. È famoso proprio per lo spesso strato di ghiaccio che si forma sulla superficie dell'acqua a mezzogiorno. Questa è l'unica informazione certa anche per la polizia: era già morta quando avremmo dovuto incontrarci.
Mentre io l'aspettavo sulla panchina, il suo corpo era già immerso in quell'acqua ghiacciata. Joy era già stata brutalmente picchiata.
Mi ritrovo in mezzo al bosco. Mi guardo attorno e sfioro, con i polpastrelli, le foglie. Sembra tutto così reale, come se fossi davvero qui. Sento la ruvidità delle cortecce degli alti alberi, sento il freddo solleticarmi le guance. Sento, accanto a me, dei passi. C'è Joy, i capelli lunghi le ricadono lungo la schiena coperta da una giacchetta in pelle. Ha un'espressione rassegnata in volto.
Si volta di scatto, come se avesse sentito qualcosa. Si affretta a nascondere un bigliettino in un cespuglio di rovi poco distante dal lago. Poi, dalla borsa, estrae anche un sacchetto di plastica contenente qualcosa. Non riesco a vedere di cosa si tratta, però, perché una forte fitta alla testa mi fa accasciare al suolo. Sento Joy parlare con qualcuno, ma è un rumore distante, come se fossi immersa sott'acqua.
Mi sveglio di nuovo nello stanzino, di nuovo nella realtà. Vomito sul pavimento, mi accascio al suolo. Mi ci vuole qualche minuto per riprendermi, resto seduta e non riesco nemmeno a sentire quello che mi dice il professor Dofel. Mi porge una bottiglietta d'acqua e mi tocca la fronte con espressione preoccupata.
«Qualcosa è andato storto» dice. «Non comprendo...»
«Va tutto bene» lo rassicuro. «Ho ottenuto quello che volevo. Va tutto bene.»
Resto in sua compagnia per ancora quindici minuti, poi, quando il professore è certo io stia bene per davvero, mi lascia andare. Dice che non comprende cosa sia successo, ma io non sto nemmeno ad ascoltarlo. Penso solo a quel biglietto.
Prendo il cellulare e scrivo un messaggio a Sam: Vieni all'entrata del bosco. Hai cinque minuti, altrimenti vado da sola.
Ha funzionato, dato che lo trovo lì ad aspettarmi con addirittura due minuti d'anticipo.
Mi guarda infuriato, mi chiede cosa mi passa per la testa, ma lo ignoro. Entro nel bosco e mi dirigo verso l'Ice Lake. Lui mi segue, ovviamente non stando zitto. Sia mai chiuda ogni tanto la bocca.
Minaccia addirittura di non seguirmi più a meno che io non gli dica dove stiamo andando, ma alla fine cede e mi segue comunque.
«Aimee, puoi spiegarmi cosa ci facciamo qui dopo che hanno ucciso una persona?» chiede. «Due, se teniamo conto di Dana. Entrambe qui. Giusto per tua informazione.»
Mi fermo e mi volto verso di lui, lo inchiodo con il mio sguardo. «Ti fidi di me?»
«Ho capito che avrei potuto fidarmi di te dalla prima volta che ho poggiato il mio sguardo su di te» risponde.
Il mio cuore accelera. «Okay» deglutisco. Non è il momento di distrarsi. «Allora seguimi e smettila di fare domande.»
Arriviamo all'Ice Lake, la cui superficie non è ghiacciata. È circondato dai nastri della polizia. Individuo subito il cespuglio e inizio a cercare il foglietto in mezzo ai rovi. Quando lo trovo, le mie mani sono ricoperte di tagli e ferite, ma non m'importa.
Apro subito il biglietto.
Il mio momento è arrivato, Aimee.
L'indagine è tua, non piangere la mia morte.
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