18
Tengo il telefono incastrato fra la spalla destra e l'orecchio, cercando di chiudere lo zaino che non vuole collaborare. La voce di Winter mi arriva distante, sento che parla ma non riesco a recepire le sue parole.
Poco fa ho ricevuto un messaggio da parte di Bree, che mi ha chiesto di raggiungerla in infermeria dopo la fine delle lezioni. Sono estremamente preoccupata, non ha voluto dirmi cosa sia successo.
Passo per i corridoi tenendo la testa bassa e facendo attenzione a non colpire nessun altro studente. Oggi è venerdì, il che vuol dire fine delle lezioni e tregua per almeno due giorni. Sono tutti euforici, tutti che organizzano feste. Io, per questa volta, ho deciso di passare.
Me ne starò chiusa in stanza aspettando domenica, il momento in cui potrò finalmente parlare con Joy.
Sta cercando, a quanto pare, di evitarmi in tutti i modi. Ho tentato di coglierla alla sprovvista e di presentarmi a sorpresa nella stanza che condivide con mia sorella, ma non l'ho mai trovata. Non dovrei sorprendermi, in realtà, tenendo conto che pedina metà scuola.
Non mi sorprenderebbe nemmeno sapere che sa leggermi nel pensiero e prevedere le mie mosse.
«Aimee, ci sei?» chiede Winter.
Ricaccio lo zaino in spalla e sospira. «Sì, scusami. Dicevi?»
«Il comportamento di Violet è davvero strano. Cacciarti dalla vostra stanza in quel modo» risponde. «Pensi sia stata lei a...?»
«No» la interrompo.
Violet è una tipa strana e ha atteggiamenti davvero ambigui, ma accusarla di essere colpevole o coinvolta nella morte di Dana è stato meschino da parte mia.
Non metto in dubbio sia particolare, ma arrivare a uccidere qualcuno? No, impossibile. Non è proprio possibile che Violet sia un'assassina e io sono stata una stupida ad accusarla senza avere prove concrete.
Pensavo di passare nell'aula di scienze, dopo essere andata da Bree, per scusarmi con lei. Il venerdì, non so per quale motivo, si ferma sempre col professor Dofel per almeno un'ora. Se faccio in fretta riuscirò a incontrarla per scusarmi, sempre che lei voglia accettare le mie scuse. E vorrei anche capire meglio, ovviamente, qual è il suo problema e cosa la spaventa così tanto.
«Winter, ora devo andare, ci sentiamo» dico.
«Va bene. Per qualsiasi cosa sai che sono qui per te.»
Sorrido. «Lo so, grazie.»
Infilo il telefono nella tasca della giacca ed entro in infermeria. Mi accoglie una signora sulla cinquantina, i suoi capelli sono corti e tinti, riesco a vedere la ricrescita, dai modi di fare molto cortesi.
Le chiedo immediatamente di Bree e lei mi accompagna fino a un lettino.
La mia amica è pallida, mi sembra di vedere un fantasma. Il braccio è fasciato da una benda sporca di sangue e ha il trucco sbavato, segno che deve aver recentemente pianto.
Le prendo una mano e gliela stringo forte. «Bree, cos'è successo?» domando.
Sospira. «Ciao, Aimee» Forza un sorriso che si spegne subito. «Non lo so, ad essere sincera. Dovevo vedermi con Fitz, gli avevo chiesto di parlare per cercare di risolvere la situazione che si era creata, e lo stavo aspettando sul retro della scuola. A un certo punto qualcuno mi ha afferrata alle spalle e sono svenuta, devono avermi colpita. È stato lui a trovarmi e portarmi in infermeria, ma non c'era nessuno con me. La polizia dovrebbe arrivare a breve.»
«Vuoi che resti qui a farti compagnia?»
«Non ce n'è bisogno, stai tranquilla» Sospira. «Vorrei solo starmene tranquilla, arriveranno anche i miei e mia madre sarà fuori di testa, a telefono era preoccupatissima. Meno gente ci sarà, meglio sarà per me.»
«Va bene. Io penso andrò a parlare con Violet, ma per qualsiasi cosa non esitare a scrivermi o chiamarmi.»
Fa un sorriso sincero. «Grazie, Aimee. Son felice di aver trovato un'amica come te.»
Arrivo davanti all'aula di scienze e non appena entro intravedo subito la chioma bionda di Violet. È seduta su un banco e tiene fra le mani un quaderno, il professor Dofel, invece, sta smanettando al computer. Non appena si accorgono della mia presenza, alzano in contemporanea la testa e mi osservano.
«Scusate il disturbo» balbetto. «Violet, avresti un minuto?»
«In realtà no» risponde.
«Violet...» la ammonisce il professor Dofel.
Solo ora mi accorgo del loro rapporto... stretto. L'ha chiamata per nome, cosa molto inusuale per un insegnante. Certo, è conosciuto per essere uno dei più gentili alla Haldell, ma non ha mai avuto tutta questa confidenza con noi studenti, nemmeno quando ci guida per la scuola il primo giorno.
«Va bene, ma solo un minuto» dice Violet, alzando gli occhi al cielo.
Usciamo dall'aula e mi metto spalle al muro. Lei mi osserva dritta negli occhi, sembra ancora più arrabbiata e delusa dell'ultima volta che ci siamo parlate.
«Volevo scusarmi per come mi sono comportata» ammetto. «Non avrei dovuto dire tutte quelle cose, sono stata ingiusta. Ero solo molto arrabbiata e confusa dopo che mi hai cacciata dalla nostra stanza. Sei una mia amica e ci tengo a te, non comprendo tutto questo astio.»
«Aimee, è proprio perché anche io ci tengo a te che mi sono comportata in quel modo. Ci sono cose che è meglio non sapere. Mi piacerebbe scoprire cosa sia successo a Dana, le volevo bene, ma immaginati cosa succederebbe se si scoprisse che il colpevole è uno studente. Il delirio, la paura... Ho solo paura possa accadere lo stesso ai miei amici.»
«Lo so, lo capisco.»
«Ora devo andare, Jena mi sta aspettando. Un giorno, se vuoi, puoi venire a pranzo con noi... Il fatto che non siamo più compagne di stanza non significa che non siamo più amiche» lo dice in modo timido, quasi triste. Apre la porta dell'aula e attira l'attenzione del professore. «Io torno nella mia stanza, ci vediamo lunedì a lezione.»
Mi saluta e se ne va, lasciandomi stranita. Decisamente un rapporto molto confidenziale. Faccio per andarmene, ma l'insegnante di scienze si affaccia alla porta e attira la mia attenzione. «Signorina Ryle, avrebbe un minuto anche per me?»
Aggrotto le sopracciglia. «Certo.»
Lo seguo fino alla porta dello sgabuzzino, dove solitamente si tengono tutti gli arnesi che usiamo a lezione. Rimango sconvolta, però, quando davanti a me si rivela una stanza enorme, le cui pareti, che dovrebbero essere color crema, sono ingrigite e ricoperte di muffa.
Nessuno di noi studenti ha l'autorizzazione a entrare qui dentro, solo il professor Dofel ha le chiavi, e ora capisco perché: non c'è nulla. Non ci sono strumenti scientifici, solo un pavimento e un muro. Addirittura la luce è talmente fioca da illuminare a malapena la stanza.
A ogni nostro passo il pavimento scricchiola facendomi venire i brividi. Il professore estrae un altro paio di chiavi dalle tasche della sua giacca e si avvicina a un armadio rovinato.
Lo apre, rivelando un aggeggio di medie dimensioni, in ferro e lucente. Lo estrae e lo appoggia a terra, sotto il mio sguardo confuso. Lo maneggia con cura e discrezione, come se potesse esplodere da un momento all'altro.
«Professore, non capisco...»
«Fin da quando ero un ragazzino il mio sogno era quello di diventare un inventore, uno scienziato» mi interrompe. «Volevo creare qualcosa di originale, che avrebbe lasciato tutti a bocca aperta. Non ho mai smesso di crederci e la speranza ha dato i suoi frutti.»
«Questo... affare è una sua invenzione?»
«Ci lavoro da quando ho vent'anni. Ormai è completa e potrebbe funzionare, ma non ne sono sicuro.»
«Perché?» chiedo.
«Perché non ho mai avuto modo di testarla» spiega. «Vede, signorina Ryle, quando si è sotto l'effetto di questa macchina il corpo smette di rispondere. Potrebbero spararle a una gamba e non sentirebbe alcun dolore. Il problema è che qualcuno dovrebbe riportarla alla realtà staccando uno degli aghi e io, da solo e su me stesso, non potrei farlo.»
«Mi sta chiedendo di aiutarla? Di farle provare questa macchina e riportarla alla realtà?»
«No, la mia mente è troppo vecchia. C'è bisogno di qualcuno di più giovane. Non è costretta ad accettare, ma vorrei fosse lei. Violet mi ripete sempre quanto lei sia intelligente e intuitiva, sarebbe perfetta.»
Sgrano gli occhi, sconvolta. Cosa diamine sta succedendo? «Ma a cosa serve questa macchina?»
Sorride. Probabilmente aspettava solo che ponessi questa domanda. «Questo macchinario attraversa la mente, viaggia nei ricordi. Non cambia il presente, non ancora, almeno, ma potrebbe vivere istanti accaduti anni fa, se non secoli fa, quando ancora non era nata! Userebbe il suo corpo nel passato, potrebbe essere in un posto quando, nella linea temporale attuale, era da tutt'altra parte. Lo raggiungerebbe attraverso i ricordi e, una volta staccata la macchina, sarà come se non fosse accaduto nulla. Solo lei avrà vissuto, solo lei ricorderà.»
«Mi sta dicendo che... è una macchina del tempo? Potrei viaggiare nel passato?» balbetto.
«Sì, signorina Ryle. Proprio così.»
Il professor Dofel è interpretato da Brad Pitt
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