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15

La prima cosa che vedo quando riapro gli occhi è una luce accecante. Poi, lentamente, mi raggiunge un rumore elettrico e ritmico: bip-bip-bip.
Mi guardo attorno confusa e stordita, la mia testa sembra essere diventata un blocco di cemento. Il mio collo è rigido, fatico a muoverlo, così come il mio corpo. Al mio braccio è attaccata una flebo, le mie labbra sono secche e screpolate, le sento quasi sanguinare.

Lentamente, i miei ricordi si fanno strada e riesco a ricordare brevemente quello che è successo. Sono stata aggredita. Non so da chi, non sono riuscita a vedere il suo volto, ma chiunque sia stato mi deve avere risparmiata. Forse un rapinatore che pensava avessi chissà cosa con me.

La stanza è bianca, dalle finestre entra una luce abbagliante che riesce a oltrepassare la tapparella quasi del tutto abbassata.
Accanto a me ci sono delle sedie vuote, una di esse è occupata da Winter. Mi passa una mano fra i capelli e mi sorride. Un sorriso forzato, ha le lacrime agli occhi. È chiaramente sollevata, la preoccupazione però le storce ancora i lineamenti tesi. «Ben svegliata. Come ti senti?» chiede.

«Cosa è successo?» mormoro.

La mia gola è talmente secca che a fatica riesco a pronunciare queste parole. Winter lo capisce subito e mi passa un bicchiere d'acqua. Lo bevo di fretta, sentendo le mie labbra inumidirsi e la gola rinfrescarsi. Ne vorrei un altro, ne vorrei altri dieci. Non mi sono mai sentita in questo modo.

«Aimee...» sussurra Winter. Si sistema sulla sedia, a disagio. I suoi occhi tradiscono le mille domande che vorrebbe farmi, mi osserva come se avessi fatto qualcosa di male, come se fosse colpa mia. «Ti hanno ritrovata in un vicolo con una siringa nel braccio... Nessuno di noi ha mai notato niente e ci scusiamo, la polizia ci ha riempiti di domande. Perché ti sei spinta a tanto? Volevi farti del male? Volevi forse ucciderti?»

«Non volevo uccidermi!» esclamo con forse troppa enfasi. Tento di alzarmi, ma le mie braccia cedono e una fitta alla testa mi costringe a tornare giù. Solo ora noto la fasciatura che mi circonda il polso.

Winter segue il mio sguardo. «Ti hanno trovata con una siringa e sei tagli sul braccio sinistro... Avevi il coltello ancora in mano, quando ti hanno trovata.»

«Non volevo uccidermi» ripeto, questa volta a fatica. Non riesco a trattenere le lacrime mentre mille immagini affollano la mia mente. Joy, Dana, il petalo, la spiaggia, il modo in cui tutti in questo posto sono fuori di testa. Non riesco a respirare. «Stavo camminando e qualcuno mi ha afferrata, mi ha drogata. Io non volevo fare niente, stavo solo camminando. Stavo camminando e qualcuno mi ha aggredita! Stavo camminando...»

«Okay, calma, respira» Winter poggia le mani sulle mie spalle, forse per rassicurarmi. Non voglio essere toccata da nessuno, però, così le do le spalle e mi accuccio fra queste stupide lenzuola bianche. Leggere, troppo leggere. Ho freddo. Sento che mi accarezza di nuovo i capelli, poi sospira. «Vado a parlare con la polizia. Hanno subito escluso l'aggressione, pensavano ti...»

Lascia cadere la frase.
In silenzio, esce dalla stanza.
Rimango finalmente da sola, sebbene non mi faccia del tutto piacere. Questa città è un inferno, non mi sorprenderebbe se qualcuno riuscisse a uccidermi pure dentro a un ospedale. Cerco di restare calma e di fare respiri profondi, ma le lacrime continuano a inumidirmi il viso e il cuscino.

Srotolo la garza che mi fascia il braccio e osservo i tagli, ricuciti con numerosi punti. Devono essere stati profondi e devo aver perso molto sangue. Passo il polpastrello sulla ferita, sentendo che brucia lievemente. Sei tagli netti, uno sotto l'altro. Sembrano fatti con cura e precisione, chi me li ha infieriti deve essersi preso il suo tempo.

«Aimee?»
Sobbalzo.
Non mi ero accorta che qualcuno fosse entrato nella mia stanza.

Mi affretto a coprire la ferita e mi volto, incontrando lo sguardo preoccupato di Sam. Questa volta non alzo gli occhi al cielo, mi sento quasi sollevata. Sam non è il ragazzo più intelligente del mondo e non scorre buon sangue fra di noi, ma la sua presenza mi rassicura. Ripenso alle sue labbra sulle mie, l'ultimo contatto che abbiamo avuto. Il motivo per cui stavo camminando per Hauntown, prima di venire aggredita.

«Chi mi ha trovata?» chiedo.

Però la risposta la so già, glielo leggo negli occhi. Sam non si esprime molto, ma si fa capire. O forse ho imparato io a decifrarlo.

«Io» risponde.

«Ero ridotta male?»

«Eri immersa in una pozza di sangue fresco che continuavi a perdere da quei dannati tagli. Avevi una siringa nel braccio e avevi il colorito di un morto. Ero convinto di aver trovato un cadavere. Ero convinto fossi morta.»

Non ha senso.
Perché ridurmi in quello stato per lasciarmi lì, in bella vista? Mi avrebbe potuta trovare chiunque.
Perché non uccidermi subito, invece che lasciarmi sulla strada per farmi morire dissanguata?
Perché sei tagli, perché drogarmi?
Perché lasciare il coltello nella mia mano, facendo pensare si trattasse di un suicidio?

«Aimee?» Sam mi riporta alla realtà. Non mi ero accorta di quanto si stesse accelerando il mio respiro.

Mi schiarisco la voce. «Come hai fatto a trovarmi?» chiedo.
«Passavo di lì...»
«Passavi per un vicolo?» lo interrompo.
«Sì.»
«Casualmente nello stesso in cui ero mezza morta» ribatto.
«Sì.»
«Da solo, senza nessuno in tua compagnia. Passeggiavi casualmente per la...»
«Mi stai accusando di qualcosa?» chiede. Non è arrabbiato, più deluso.
«Di dire tante cazzate sicuramente» rispondo, secca. «Come hai fatto a trovarmi?»

Sam mi guarda dritto negli occhi, poi eccolo. Il suo solito sorriso divertito, quello che mette al mondo sul suo viso le sue fossette. Questa volta, però, è un'ammissione di essere stato beccato.
Guarda a terra sconfitto e sbuffa. «Ti stavo seguendo» ammette.

Lo dice come se fosse la cosa più naturale del mondo. Mi stava seguendo. Certo, se non fosse stato per lui non sarei qui a parlarne, ma rimane comunque una cosa inquietante e davvero insensata.
Si accorge della mia espressione perplessa, così si affretta a darmi delle spiegazioni. «Ti ho incrociata in centro e non avevi una bella cera. Eri piuttosto triste e arrabbiata, mi sono preoccupato. Avevo paura potesse accaderti qualcosa di male, così ti ho seguita.»

Inarco un sopracciglio. «E non hai notato una persona seguirmi, aggredirmi, fare sei tagli perfetti sul mio braccio e che deve essere, infine, scappata?» domando, ironica. «Mi stavi seguendo, eppure guarda caso non eri lì al momento dell'aggressione.»

«Come ho detto alla polizia, ti ho persa di vista. Sei entrata nel vicolo mentre usavo il cellulare per rispondere a mia madre e io sono andato dritto. Non ti pensavo così stupida da entrare in quella via buia» ribatte.
«E la polizia ti ha creduto?»
«Certo. Non avrei avuto modo di aggredirti, ripulirmi e chiamare i soccorsi, non pensi?»

«Non saprei. Forse hai voluto eliminarmi prima di darmi il tempo di avvisare Clary del nostro bacio» rispondo. Sorrido innocente, cogliendolo alla sprovvista. Dura un secondo, però. Torna il Sam strafottente e va bene così. In fondo mi diverto a stuzzicarlo.

«A proposito di quello...»

«Non ne dobbiamo parlare per forza» lo interrompo. «Non ne ho nemmeno voglia, ad essere sincera. Ho ben altro a cui pensare.»

«Certo» Si alza e mi dà un bacio sulla fronte. «Ti lascio riposare. Se hai bisogno di qualcosa, mandami un messaggio.»

«Di sicuro non ti scriverò se avrò bisogno di una guardia del corpo. Fai abbastanza cagare, a quanto pare» ribatto.
Sam scoppia a ridere, poi mi lascia finalmente da sola.

Dopo tre giorni di analisi, interrogatori, minestrine e continue visite di Jena e Violet che hanno tentato di tirarmi su il morale, finalmente sono libera. Circa, dato che sto comunque tornando alla Haldell.
Uscire dall'ospedale è di sicuro un miglioramento, odiavo restare chiusa in quella stanza silenziosa e che sapeva sempre di disinfettante.
Peccato che ora sto tornando nel mondo esterno, lo stesso in cui una persona mi ha aggredita e lo stesso in cui gira un altro assassino a piede libero.

Ho dovuto chiamare mia madre, che mi ha fatto mille domande sulla mia salute. Mi ci è voluto un po' per rassicurarla. Le ho chiesto di passarmi anche papà, sperando che, sapendo che ho rischiato la vita, si sarebbe comportato da padre. Invece è furioso con me perché mi ha ritenuta ingenua e incapace di badare a Jennifer.

La pace, però, è durata poco. Winter mi ha mandato un messaggio stamattina dicendo di avere novità importanti e che si sarebbe presentata dopo un'ora nella mia stanza. Effettivamente, sessanta minuti dopo è piombata sul mio letto con un pc in mano e il fiatone. «Non ci crederai mai» dice.

«Winter, è successo qualcosa? Mi hai fatta preoccupare.»

«Guarda il video» ordina, appoggiando il portatile sulle mie gambe.

La registrazione è breve, in bianco e nero.
La videocamera inquadra il bancone del bar di Winter, gli stessi sgabelli su cui eravamo io e Sam quando l'ho incontrata.
Al posto nostro, però, ci sono due ragazze che sorseggiano una birra e che ridacchiando. Winter ferma il video e io la guardo confusa. «Quelle due sono Dana e Kate» chiarisce. «I miei genitori conservano molte registrazioni, nonostante penso sia illegale, e così sono andata a cercare nel loro archivio.»

«A che giorno risale questo video?» domando.

«Il giorno prima della loro scomparsa» rispondo. «Non credo tu lo sappia, ma sono entrambe sparite lo stesso giorno. Solo Dana è stata ritrovata. Morta.»

Fa ripartire il video.
Due ragazzi si avvicinano alle due e per poco non mi va di traverso la saliva: riconosco immediatamente Fitz, che bacia con passione una delle due ragazze. Non so se Kate o Dana, ma presumo la prima. Perché poco dopo fa il suo ingresso lo stesso uomo che mi ha aggredita a East Coast Rover, ma faccio fatica a riconoscerlo: bei vestiti, capelli ordinati, sorriso smagliante. Cinge la vita di Dana con un braccio e le lascia un bacio sul collo.

Poi, dice qualcosa a Fitz. I due ridono e si danno una pacca sulla spalla.
Devono conoscersi bene.

Lancio un'occhiata a Winter consapevole che sta pensando la stessa cosa: quell'uomo è l'unico che potrà mai darci risposte.

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