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In poco tempo le cose ad Hauntown sono cambiate, trasformando la nostra cittadina in un viaggio senza ritorno verso la Morte, il tutto a causa degli Atlantidei. Li abbiamo decisamente sottovalutati e, probabilmente, per tutto questo tempo non hanno fatto altro che prendersi gioco di noi.
La cosa che più mi preoccupa, però, è che sono attorno a noi, accanto a una delle persone più importanti per me.
Prendo il cellulare e compongo il numero di Mary, che dopo qualche squillo risponde. «Pronto?» La sua voce è impastata dal sonno, rendendo quasi inudibile il suo spiccato accento italiano.
Guardo l'orologio e inarco le sopracciglia, notando che sono le undici del mattino. Per caso l'ho svegliata? «Ehi, Mary. Ho bisogno di parlarti» spiego, pronto a subire una sfuriata da parte sua. Quando viene svegliata prima del dovuto, nulla può fermare la sua ira funesta.
«Alle cinque del mattino?» sibila.
Oh.
Il fuso orario, giusto.
Cerco di inventarmi velocemente una scusa plausibile, ma alla fine decido di affrettarmi e dirle la verità per provare a distrarla. «Ascoltami, abbiamo poco tempo ed è importante» dico, camminando avanti e indietro per i corridoi della scuola. Gli studenti, attorno a me, mi lanciano qualche occhiata, nulla in confronto a quelle di settimane fa. Per alcuni ero il "fidanzato della ragazza incinta scomparsa", per altri il colpevole. «Hai notato qualcosa di strano in tuo padre?»
«Il signor Murphy è sempre strano» risponde. Sorrido a sentire il modo in cui pronuncia il suo nome, come se la disgustasse anche solo pensarlo. Si rifiuta di chiamarlo padre, forse perché per lei non è mai stato la figura paterna di cui aveva bisogno. Laura, invece, è quella più propensa al perdono e sta cercando in tutti i modi di riallacciare i rapporti con lui. «Perché me lo chiedi? Ma soprattutto: perché me lo chiedi alle cinque del mattino?»
«Fitz mi ha confermato che gli Atlantidei sono i capi di tutto e che loro hanno Aimee. E, dato che tuo padre ne faceva parte, ho qualche sospetto nei suoi confronti» spiego.
«Non penso farebbe un passo falso ora, non quando lo tengo d'occhio ventiquattrore su ventiquattro per smascherarlo davanti a mia sorella» ribatte «È furbo, Sam. Non sottovalutarlo.»
«C'entra comunque qualcosa, ne sono certo.»
«Ma non mi dire, Sherlock» sbuffa. «Hai novità o mi hai svegliata solo per dirmi cose che entrambi sapevamo già?»
Faccio una smorfia. «La prossima volta ti terrò all'oscuro di tutto, se vuoi.»
Scoppia a ridere. «Come se non fossi capace. Hai bisogno di me, sciocchino. Comunque sto organizzando il viaggio per ritornare ad Hauntown da sola, Laura vuole rimanere qui con il signor Murphy.»
«Ti fidi a lasciargli tua sorella?» domando, stupito.
«Ma mi ascolti quando parlo? Ovvio che non mi fido di lui!» risponde «Ma mi fido di lei. Mi ha promesso che per qualsiasi cosa non esisterà a chiamarmi, ma per sicurezza le ho installato un microchip con microfono nella cover del cellulare.»
Ridacchio. «Alla faccia della fiducia.»
«Ora vado a fare colazione, dato che qualcuno mi ha svegliata e non riuscirò a riprendere sonno. Idiota» borbotta, forse in italiano.
Stacco la telefonata e infilo il cellulare in tasca, avanzando lungo i corridoi per raggiungere la mia stanza. Dopo la scomparsa di Aimee mi sono trasferito qui per ricevere prima qualsiasi notizia. Condivido la stanza con Dylan, che fin da subito si è mostrato contrario. Sarà perché non abbiamo un rapporto poi così stretto, sarà perché sono grande amico di Mary e le cose fra i due non si sono risolte, ma non ci scambiamo più di qualche parola al giorno.
Non appena arrivo davanti all'ingresso della scuola trovo un gruppetto di ragazzi radunati attorno ad una nuova alunna. Carne fresca, staranno pensando tutti, come ho fatto io la prima volta che ho intravisto Aimee al ristorante insieme a Jena e Violet.
«Sam, eccoti qua!» esclama il professor Dofel, avvicinandosi e trascinando con sé la ragazza nuova. «Lui è Stark, la tua guida per oggi. Ti mostrerà dove sono le varie aule e la tua camera.»
La ragazza mi guarda dal basso con i suoi occhi azzurri, valorizzati da un pesante strato di ombretto nero. Mi guarda incuriosita, con un piccolo sorriso che le incurva le labbra. Sposta una ciocca di capelli ondulati dietro all'orecchio destro e allunga la mano per stringere la mia. «Ciao, sono Anthea Rogers» si presenta, accennando un sorriso. «Sam, giusto?»
«Esatto» rispondo, incamminandomi verso l'ala est dell'edificio. «Quindi, sei pronta a camminare nel bel mezzo dell'inferno?»
***
Anthea cammina al mio fianco, lanciando qualche occhiata curiosa all'interno delle classi. Nell'arco di un'ora abbiamo visitato tutto l'istituto, che si é rivelato ai suoi occhi più interessante di quel che è per davvero. Il bosco, ovviamente, fa la sua parte: non appena guardi fuori dalle finestre e i tuoi occhi incontrano il verde infinito delle chiome degli alberi, un irrefrenabile bisogno di visitarlo si fa strada nel tuo cervello. L'ho capito da come Anthea l'ha ammirato e mi ha fatto male, perché in questo momento mi ricorda un sacco Aimee durante i suoi primi giorni.
Quando l'ho seguita quel giorno nel bosco, avrei dovuto fermarla e forse, ora, lei sarebbe ancora qui.
Non ci saremmo innamorati, ma sarebbe salva.
E rinuncerei a tutto questo, a lei, pur di saperla al sicuro.
«Questo posto ha un'aria sinistra» dice d'un tratto, stringendo le maniche della felpa. «Nel senso che è
inquietante e mi fa venire i brividi. Non sarei mai venuta qui, non dopo ciò che è successo e sta succedendo. Solo seguire i telegiornali mi mette ansia.»
«E perché sei qui, allora?» chiedo.
Fa spallucce. «I miei genitori hanno insistito molto, dicendo che così non avrei lasciato da solo quell'irresponsabile di mio fratello» ridacchia. «Quanto vorrei scappare e ritornare a casa...»
«Lo farei anche io, se potessi» mormoro. Qualche volta vorrei solo fare le valigie e lasciare questa città per sempre, non voltandomi più indietro e cancellando ogni legame con questo posto. Ma c'è un problema, l'unico che mi impedisce di farlo per davvero. «Se non fosse che l'alunna scomparsa è la mia ragazza e quella che porta in grembo è la mia bambina.»
Sgrana gli occhi e si porta una mano alla bocca spalancata, iniziando a balbettare. «Oh, Dio! Mi dispiace, non volevo... Sì, insomma, scusa! Non volevo essere scortese, lo giuro...»
«Non importa» la interrompo, forse con tono troppo duro.
Sento di nuovo quella sensazione di vuoto dentro di me, ma questa volta non sembra intenzionata a fermarsi, come se volesse divorarmi dall'interno.
Mi appoggio al muro e chiudo gli occhi, vedendo il mondo ruotare vorticosamente attorno a me.
«Sam, stai bene?» chiede Anthea.
Mi volto per guardarla, ma al suo posto vedo cinque sue sosia, che mi osservano preoccupate con i loro occhioni azzurri. Una di loro, però, è una bambina, che mi saluta con la manina tenendo fra le dita un lecca lecca. Pronuncia il mio nome, ma l'unica cosa che riesco a sentire dopo è lo schianto del mio corpo contro il pavimento.
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