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22✔️

Dylan (seconda parte).

La pioggia scivola velocemente sulle mie spalle coperte da un cappotto blu, fuggitiva e intenta a nascondersi dagli occhi troppo curiosi della gente. Mi fa da riparo, mi permette di muovermi fra le strade di quella che era la mia casa senza sentirmi a disagio. Sono qui con un solo obbiettivo e mi fa sentire sporco, soprattutto con il dito di una delle mie più care amiche in una delle tasche.

Il cellulare squilla e segnala una chiamata da parte di Mary. Vorrei avere la forza di non rispondere, di trovare un'identità, una parte di me stesso, capace di vivere senza di lei, senza la sua immagine impressa nella mente. Vorrei poter essere un ragazzo capace di dimenticarla, di rifarsi una vita senza sensi di colpa. Ho quasi abbandonato Ellie per lei, è morta convinta che io non l'amassi più. Non ci sono giustificazioni per quello che ho fatto.

Rispondo subito, sentendo la sua voce affannata infrangere la distanza che ci separa. «Dylan, è successo un casino» dice. Il mio sesto senso mi suggerisce si tratti di Eatan e non dovrei esserne sorpreso: quel ragazzo non ne combina una giusta. «Ieri sera, durante la festa di Anthea, ci siamo divisi per cercarla e Eatan non è ancora tornato. Cosa posso fare? Con gli altri non posso parlarne, mi ucciderebbero, io...»

«Non posso aiutarti, sono a Forks, lo sai» la interrompo. «Non puoi fare niente, solo aspettare. Vedrai, si rifarà vivo.»

«Aspettare?» ripete. «Dobbiamo tenere il nostro segreto all'oscuro, se gli fosse successo qualcosa cosa dovremmo fare?»

«Il vostro segreto, io non c'entro nulla» la correggo. «Sei stata tu a coinvolgermi in questa storia, non ti ho mai chiesto di farne parte. Ora devo andare, sono quasi arrivato.»

Rimane in silenzio, lasciandoci immersi in un'atmosfera carica delle domande che non riusciamo a pronunciare. «Fa' attenzione» si limita a dire, infine chiude la telefonata.

Sospiro e scuoto il capo: dannato Eatan, perché deve sempre fare l'eroe della situazione? Non capisce che così ci mette solo in pericolo?
Ha deciso di infiltrarsi nel gruppo degli Atlantidei e di indagare da più vicino l'organizzazione, ma chiunque potrebbe concordare che si tratta di un'idea terribilmente rischiosa. Voleva tenere nascosta questa cosa anche a Mary, ma ha dovuto confessare tutto non appena lei ha letto degli appunti presi durante un incontro. Nemmeno questo è riuscito a fargli cambiare idea, nemmeno la sua ragazza in lacrime.

Scavalco il muretto che circonda la villa e atterro sul terreno fangoso, sentendo i ricordi travolgermi come un'onda. Questa enorme reggia, abbandonata da anni, era la musa ispiratrice dei racconti dell'orrore che ci raccontavamo io, Winter e Aimee da bambini: fantasmi tormentati, zombie affamati... Ma, soprattutto, era il nostro luogo speciale, dove giocavamo per interi pomeriggi sotto il raro sole che scaldava Forks.

Ricordo ancora quando Winter si arrampicò su una delle statue sul retro del giardino e cadde, procurandosi una profonda ferita al dito. Mi avvicino alla scultura, rappresentante un angelo dalle ali spiegate e immerso nelle fiamme, pronto a morire e a rinunciare alla vita.

Un ombrello, poggiato alla base di essa, protegge un cellulare e dei soldi. Prendo il telefono e trovo un messaggio, che non esito a leggere: Lascia qui il dito, rinuncia all'ultimo legame che ti ancora alla tua infanzia. È ora di crescere. Prendi i soldi, il momento giusto di spenderli arriverà. Fallo nel momento sbagliato e la ragazza morirà. Lascia il cellulare.

Non riesco a ignorare i brividi che scuotono il mio fragile corpo martoriato dalla pioggia. Lei è nelle loro mani, come, in fondo, tutti noi.
Lascio cadere il cellulare e rivolgo lo sguardo alla statua: siamo come quell'angelo, immersi in delle fiamme che non smettono di bruciare. È un'agonia continua, una sofferenza senza fine.
Finiranno queste fiamme, prima o poi, di consumarci?

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