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4. Norwest Christian College

«Santo cielo, non mettevo piede in un liceo da tre anni!» esclama Michael, non appena varchiamo il cancello della mia vecchia scuola.

Se devo essere sincero, il disgusto che provo per il Norwest Christian College non ha fatto altro che aumentare da quando siamo arrivati, anche se tutto è esattamente come lo ricordavo e non dovrei stupirmi più di tanto. Gli alunni dell'istituto sono divisi in piccoli gruppi come in ogni liceo che si rispetti: da una parte i popolari e dall'altra i cosiddetti sfigati, divisi a loro volta in base alle passioni che li contraddistinguono.

Nel cortile alcuni ragazzi sono presi dai loro spuntini, visto che io e Michael abbiamo deciso di infiltrarci nella scuola durante l'intervallo per passare inosservati in mezzo alla confusione, mentre altri si limitano a parlare fra di loro o, nel caso dei più popolari, a parlare della "feccia", così come venivano definite le persone che non si dedicavano allo sport o alla moda. Ovviamente io non ne facevo parte, essendo un membro della squadra di nuoto della scuola.

Tuttavia, non mi sembra che vi sia traccia di Mark Yates e per un istante penso che potrebbe anche essere assente, ma poi mi ricordo che ancora resta tutto l'edificio da perlustrare in dieci minuti scarsi. Una cosa da niente, insomma.

«Devo dire che certe ragazze non sono niente male,» commenta poi, ammiccando verso un gruppetto del terzo anno che si è girato verso di noi.

«Non fare il pedofilo con delle sedicenni e vieni.»

Lo afferro per un orecchio e lo trascino dietro di me, limitandomi a salutare con la mano quelle ragazzine che, in tutta risposta, ridacchiano come solo le femmine in gruppo possono fare.

Arriviamo finalmente davanti al portone a vetri della scuola e riesco anche da fuori a scorgere la confusione che regna all'interno. Trovare quel ragazzino sarà una vera e proprio impresa. Tuttavia, decido che tanto vale iniziare subito le ricerche ed entro nella scuola, sperando di non essere fermato da qualche professore o, peggio ancora, dal bidello Phineas: aveva l'incredibile capacità di scovare tutti gli intrusi durante le assemblee di istituto e li rispediva a calci nel sedere nelle loro scuole, naturalmente dopo essersi fatto aiutare a pulire i corridoi. In realtà dopo tutto questo tempo non è detto che Phineas lavori ancora qui, ma non si sa mai.

«Dove credi che possa essere?» chiede Michael, riscuotendomi dai miei pensieri, e io guardo di sfuggita intorno a me, sperando di trovare il ragazzo per un puro colpo di fortuna.

«Non ne ho idea. Forse-»

Delle rumorose risate mi interrompono e mi rendo conto che provengono dal corridoio in cui ci troviamo io e il mio migliore amico, solo a qualche metro di distanza. Riesco, infatti, a intravedere una gran folla di ragazzi, tutti quanti intenti a osservare qualcosa che, però, coprono con i loro corpi, non permettendoci di vedere. Nonostante questo, ho come il presentimento che il motivo di queste risate sia proprio il centro delle mie ricerche e uno sguardo di Michael mi permette di capire che condivide i miei pensieri. Così ci affrettiamo a percorrere i pochi metri che ci distanziano dallo spettacolino che sta intrattenendo il Norwest Christian College. A quanto pare, nonostante quattro anni fa il preside mi abbia cacciato da questa scuola per tutti i problemi che ho causato, le cose non sono cambiate molto.

«Che cazzo state facendo?» urla Michael, anticipandomi di una frazione di secondo.

La folla si divide, lasciandoci passare, e noi ci precipitiamo verso i due ragazzi accanto alla fila di armadietti: il più robusto dei due sbatte ripetutamente il più magrolino contro il metallo e, ovviamente, il ragazzino non si difende, limitandosi a singhiozzare il più silenziosamente possibile.

Li separiamo, provocando le proteste degli alunni che si stavano godendo lo spettacolo, e io mi affretto a sostenere il ragazzino che a fatica si regge in piedi. È incredibilmente magro come la mia prima vittima, ma devo ammettere che me lo ricordavo biondo. Tuttavia, non c'è molto da fidarsi della mia memoria, affatto.

«Sei Mark Yates?» chiedo in un sussurro, mentre lui sgrana gli occhi: probabilmente si sta chiedendo come faccia un estraneo a conoscere il suo nome.

Invece, le sue parole mi lasciano spiazzato. «Certo che no!» risponde, disgustato, ma anche impaurito. «Lui è Yates.»

Seguo con lo sguardo il punto indicato dal suo dito e rimango scioccato nel notare che sta indicando proprio il ragazzo che fino a due minuti fa lo stava scaraventando contro gli armadietti senza un briciolo di pietà. Questo sì che è assurdo e, dall'espressione di Michael, capisco che è sorpreso almeno quanto me: di certo è incredibile pensare che quello che ci troviamo di fronte è il ragazzino che quattro anni fa mi ha sporcato i vestiti con il pranzo.

«Cosa diamine volete?» chiede Yates, incrociando le braccia al petto. «Allora? Non so se l'avete notato, ma qui ci stavamo divertendo prima del vostro arrivo.»

Gli studenti intorno a noi ridono, come per sottolineare il concetto, e io sento un moto di disgusto dentro di me, specialmente quando un pensiero si fa spazio dentro di me: possibile che si sia ridotto in queste condizioni per colpa mia?

«Dobbiamo parlare, Yates,» mi limito a dire, con un tono che non ammette repliche, e lui mi guarda con aria di sfida. È difficile riconoscere quel ragazzino che si spaventava persino della propria ombra, ma in effetti i tratti del viso sono gli stessi, anche se più maturi e ricoperti da un leggero strato di barba.

«Ma davvero? E perché?»

«Sono Calum Hood, forse il mio nome ti dice qualcosa,» dico semplicemente, non molto sicuro di come possa reagire, sempre che lui si ricordi di me.

Rimane impassibile per qualche istante, mentre un gruppo di tre ragazzi del quinto anno come Yates avanza verso di noi dalla folla.

«Siamo in maggioranza numerica, Mark. Se vuoi possiamo farli sparire dalla circolazione,» dice uno di loro, forse pensando di poterci intimidire. Tuttavia, Michael sembra piuttosto annoiato dal suo intervento, specialmente dopo la grande sorpresa di qualche minuto fa, e si limita a sbadigliare, mentre io non ho di certo paura di un gruppo di bulli e, sapendo che sono perfettamente in grado di difendersi, non mi dispiacerebbe una sana rissa tra ragazzi.

Ad ogni modo, gli occhi di Mark Yates si accendono finalmente di consapevolezza. «No, no. Lasciateci soli,» ordina e nessuno dei ragazzi se lo fa ripetere due volte, sparendo in un attimo dal corridoio. Poi si volta verso di me, sempre con aria di superiorità. «Cosa vuoi, Hood?» chiede, incredibilmente scocciato.

«Direi che non ha affatto intenzione di suicidarsi. Tu che dici, Calum?» chiede invece Michael e io non posso che essere d'accordo con lui.

«Certo che no, perché dovrei?»

Sospiro, per poi passarmi una mano fra i capelli in un gesto che mi aiuta a mantenere la calma. Vorrei non continuare a pensare che ho perso un sacco di tempo con questo ragazzo e mi sono preoccupato inutilmente per lui, mentre magari per un'altra persona della lista un solo giorno potrebbe fare la differenza, ma almeno sono sicuro di non doverlo avere sulla coscienza.

«Pensavo solo che potessi essere diventato una vittima di bullismo da parte degli altri studenti. Sai, dopo il mio gesto incredibilmente stupido non era poi così improbabile,» spiego e lui mi guarda con un'espressione indecifrabile sul volto. Sembra sia confuso da tutta questa situazione che incerto. Forse non è poi così arrogante come sembra, anche se potrebbe essere solo la mia presenza a renderlo inquieto, cosa che non mi stupisce poi più di tanto.

«No, tu...» si interrompe, come per cercare le parole adatte. «Mi hai fatto capire come sopravvivere in questo liceo e te ne sono grato, in un certo senso.»

Forse dovrei essere lusingato, fiero di ciò che ha detto, ma non è così e mi sento, anzi, ancora più disgustoso: ho creato un mostro.

«Mark, non posso decidere al tuo posto cosa fare, anche perché io stesso ho fatto fin troppe cose stupide, ma credo che questo sia sbagliato,» dico, facendo riferimento allo spettacolino di qualche minuto fa. «Guarda come mi sono ridotto io: mi tormenta il pensiero che qualcuno che ho picchiato possa suicidarsi e persino il mio migliore amico non riesce a dormire la notte!»

Michael scoppia a ridere e io mi concedo solo un piccolo sorriso. Prima che qualcuno di noi possa dire altro, una figura dal fondo del corridoio si avvicina a noi e io impiego qualche istante di troppo a riconoscere Phineas.

«Michael, dobbiamo scappare,» dico allarmato, prima di rivolgermi un'ultima volta a Mark. «Pensaci,» concludo, iniziando a correre verso l'uscita della scuola, scontrandomi con qualche alunno e riuscendo a sentire Phineas lamentarsi perché dovremmo aiutarlo a pulire i pavimenti come fanno di solito gli intrusi che riesce a scovare. Be', mi dispiace, ma sarà per la prossima volta.

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