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17. Why I beat Kennedy Robinson up

Non riesco a distogliere lo sguardo dalla lista che tengo in mano, ci provo con tutto me stesso, sul serio, ma ogni tentativo è inutile. Fisso quel nome che riesce a farmi venire il voltastomaco e sento certi sentimenti riemergere dentro di me, forse persino più intensi di quattro anni fa, cosa che non dovrebbe succedere, affatto.

«Calum?»

Stringo la mano libera in un pugno, cercando di sfogare la rabbia sul mio stesso palmo, ma ottengo un effetto indesiderato: vorrei scagliarmi con tutta la violenza possibile sul suo corpo, in particolare sulla sua faccia, e sconvolgergli i connotati per bene, dato che l'ultima volta che ci siamo visti non sono riuscito a farlo.

«Calum, dannazione!»

La mia agenda nera mi viene strappata di mano e solo in questo momento mi accorgo di Michael, intento da qualche minuto ad attirare la mia attenzione, e di Luke dietro di lui, incredibilmente serio.

«Che vuoi?» chiedo, fin troppo aggressivamente, e me ne pento poco dopo, di fronte al suo sguardo stranito. Subito dopo mi guarda con apprensione, cosa che accresce ulteriormente il mio senso di colpa. «Scusa,» dico poi, riprendendo in mano la mia agenda e stringendola come per scaricare lo stress. Non funziona.

«Va tutto-»

«Bene, sì,» lo interrompo, per poi forzare un sorriso molto più simile a una smorfia. «Mi devi dire qualcosa?» ripropongo la domanda di pochi secondi fa in modo meno brusco e lui mi guarda per qualche istante, come aspettandosi che io stesso lo sappia.

«Dobbiamo andare dall'ultima persona della lista, ricordi? Un certo Kennedy-»

«Kennedy Robinson,» anticipo Michael, trasmettendo nelle mie parole più disgusto di quanto volessi.

«Non mi sembra di conoscerlo,» commenta Luke, quasi sovrappensiero.

«Ha finito la scuola qualche anno prima di noi,» dico semplicemente, prima di tornare a guardare la mia agenda, questa volta chiusa. Penso che questo nero possa abbinarsi alla perfezione ai suoi viscidi occhi acquosi da pesce, dopo che li avrò colpiti con violenza e ripetutamente. Sì, mi sembra proprio un'ottima idea.

No. Non dovrei pensare una cosa simile. Un sentimento del genere è del tutto malsano e io non sono più lo sciocco ragazzino violento di quattro anni fa. Non voglio esserlo.

«Calum?»

Michael mi richiama ancora una volta, sempre più preoccupato, e questa volta gli rivolgo subito un veloce sguardo, giusto per fargli capire che l'ho sentito, per poi alzarmi in fretta dal divano. Sento Mr Darby soffiare piuttosto incazzato - doveva essere comodamente appollaiato sulle mie gambe senza che me ne rendessi conto - ma per adesso non importa: ho ben altro per la mente.

Mi dirigo verso il portone di casa, ma vengo bloccato per il braccio.

«Dove stai andando?»

Guardo il mio migliore amico come se fosse abbastanza evidente, ma lui non sembra capire.

«Da Robinson,» rispondo, aprendo la porta. Tuttavia, mi fermo non appena noto che anche Michael e Luke sembrano intenti ad uscire. «Da solo.»

«Ma come? Avevamo deciso di andare insieme con la macchina di Luke e-»

«Ci ho ripensato,» rispondo semplicemente, sperando di mettere fine alle proteste di Michael. Tuttavia, non sembra molto intenzionato a darmela vinta così facilmente.

«Calum Thomas Hood, cosa diamine stai-»

«Senti, non sei mia madre, perciò non credere di...» lascio la frase in sospeso di fronte al suo sguardo così ferito, ma ormai non posso fare nulla per rimangiarmi ciò che ho detto. Dovrei seriamente imparare a pensare prima di dire qualsiasi cosa, perché ferire il mio migliore amico è a dir poco straziante, specialmente dal momento che so quanto tenga a me, nonostante non me lo meriti. Tuttavia, il solo pensiero di Kennedy Robinson è stato in grado di farmi compiere dei gesti davvero stupidi in passato e non mi stupisce il fatto di reagire in maniera molto simile anche dopo quattro lunghi anni.

«Va bene,» dice Luke, parlando per la prima volta dopo un lungo silenzio durante il quale non ha fatto altro che guardarmi intensamente come per capire cosa mi passi per la testa al momento. «Ci vediamo più tardi a cena. Pizza?»

«Ma Luke!» protesta di nuovo Michael, mentre il suo fidanzato non si scompone minimamente e, anzi, mi guarda in attesa di una conferma.

«Pizza,» rispondo semplicemente, prima di uscire dall'appartamento e, poco dopo, dal portone del palazzo, rabbrividendo per l'aria fredda della sera.

Comincio a camminare per le strade di Sydney e per la prima volta non mi ritrovo ad ammirare l'incredibile bellezza della mia città, essendo troppo occupato a pensare ai numerosi modi in cui potrei sfogare la mia rabbia sulla faccia di quel... non saprei nemmeno come definirlo, ogni insulto sarebbe solo un eufemismo.

Il mio cellulare comincia a squillare, ma decido di ignorarlo, sapendo che non può trattarsi che di Michael o, al massimo, di mia mamma. Non voglio sentire nessuno dei due al momento e, con la fretta di dare un senso a questa pessima giornata, sono già arrivato di fronte al condominio di ricconi in cui Kennedy Robinson abitava quattro anni fa. L'appartamento è stato un regalo dei suoi genitori, entrambi imprenditori, e sono certo che non si sarebbe mai trasferito, se non per andare a vivere in una casa ancora più lussuosa, cosa però impossibile.

«Dove stai andando, ragazzo?»

Mi volto verso destra e solo adesso mi accorgo della presenza di un uomo sulla sessantina, probabilmente il portiere, considerato l'enorme mazzo di chiavi che tiene appeso ai pantaloni.

«Devo vedere una persona,» rispondo semplicemente.

«Non posso farti entrare, mi dispiace,» ribatte, annoiato, come se avesse ripetuto questa frase già numerose volte.

«Devo vedere Kennedy Robinson. È urgente,» dico questa volta, sperando di convincerlo in qualche modo, sebbene non sembri affatto il tipo di persona in grado di intenerirsi di fronte a una supplica.

«Robinson? Quell'idiota è nel pub qui di fronte a ubriacarsi come ogni-»

«Grazie,» interrompo l'uomo, avendo ricevuto l'informazione che mi serviva, ed esco di fretta dal palazzo, dirigendomi verso il marciapiede opposto. Riconosco subito il pub grazie alla squallida insegna e non ci penso due volte ad entrarvi, rischiando di sbattere contro un paio di persone. Fortunatamente non impiego molto a individuare Robinson, seduto al bancone davanti a un boccale pieno di qualche alcolico. A giudicare dal suo aspetto stravolto, non sembra il primo liquido che manda giù questa sera.

Appoggio con non molta delicatezza il pugno accanto al suo boccale e lui si accorge finalmente della mia presenza.

«Robinson.»

L'uomo mi guarda per qualche istante con i suoi occhi chiari, arrossati per tutto l'alcol ingerito, e poi scoppia a ridere.

«È arrivato quel poppante di Calum Hood, ragazzi!» urla, senza smettere di ridere, ma nessuno fa caso a lui. Devono essere abituati a questo e altro da parte sua. «Non sei troppo piccolo per entrare in un pub senza la mammina?»

«Sei persino più viscido dell'ultima volta che ci siamo visti,» mi limito a dire, a dir poco disgustato.

Robinson non fa che ridere ancora più rumorosamente. «Ti riferisci a quando mi hai picchiato e quella troia di tua sorella non mi ha permesso di ricambiare per bene?»

«Non ti azzardare a insultare mia sorella, bastardo,» gli urlo contro, prendendolo per il colletto della maglietta e facendolo sollevare dallo sgabello.

Mi guarda con aria di sfida e con un sorrisetto da schiaffi. «Avanti, picchiami,» mi provoca, parlando a pochi centimetri dalla mia faccia, così che nel mio naso giunga un terribile odore di alcol.

Stringo la mano libera in un pugno e l'avvicino al suo viso, ma qualcosa mi blocca dal colpirlo.

«Non hai abbastanza coraggio, poppante?»

«Calum, non farlo!»

Mi volto di scatto verso l'ingresso del locale e incontro gli occhi del mio migliore amico. Non me lo faccio ripetere due volte e allento la presa dalla maglietta di Kennedy Robinson, che finisce pesantemente contro il bancone.

Tutte le emozioni trattenute in questi giorni si sfogano in qualche lacrima liberatoria che mi riga il viso, facendomi sentire un bambino bisognoso d'affetto. Michael, da parte sua, non ci pensa due volte a stringermi in un abbraccio.

****

Scusatemi scusatemi scusatemi per il ritardo! Ho avuto molto da fare con la scuola, ma finalmente sono riuscita ad aggiornare in questi giorni di vacanza e spero di non ridurmi di nuovo a farvi aspettare per un mese intero🙈

Detto questo, per chi ha letto Two Castaways, vi avviso che potrei aver pensato a un possibile sequel e... nulla, vi sarò sapere qualcosa il prima possibile.

Al prossimo capitolo😘

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