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15. Why I beat Ashton Irwin up

Ashton Irwin si infila dei guanti di plastica blu, per poi prendere in mano uno dei tanti attrezzi che potrei anche definire aggeggi infernali, non vi sarebbe alcuna differenza. Si siede accanto alla poltrona su cui mi trovo io e sistema per bene la luce di una lampada sopra la mia faccia.

«Apri la bocca,» dice semplicemente, con un tono talmente professionale che mi fa venire i brividi, se solo ripenso al ragazzo che era fino a quattro anni fa.

«Fai come ha detto il dottor Irwin,» mi incita Luke, assumendo il ruolo di mamma al posto di Michael, e io mi rendo conto di ogni cosa solo adesso: quei due mi hanno costretto a venire qui solamente per incontrare la mia quinta vittima, senza degnarmi di un minimo di preavviso.

Dopo aver saputo della morte di Cameron mi sono totalmente dimenticato della mia agenda nera, fino a questo momento, e ho solo pensato a quanto mi piacerebbe aver avuto qualche istante, anche uno solo, per dirle che mi dispiace per quello schiaffo e di averla spaventata con i miei modi bruschi e con la reputazione che in quei mesi mi ero guadagnato nel nostro liceo, ma non è possibile. Vorrei aver avuto la possibilità di dirle che forse non sono poi così idiota come sembro, ma non è vero e lo dimostra il fatto che il nome di Ashton Irwin, forse la persona più gentile e premurosa che esista al mondo, sia scritto su quella dannata agenda.

Ricordo ancora alla perfezione come sia successo, ricordo il pomeriggio di quattro anni fa che ho deciso di passare nella biblioteca della scuola dopo aver dato quello schiaffo a Cameron Bennett, desiderando di evitare gli sguardi di tutti gli altri studenti del Norwest Christian College. Purtroppo non ero solo in quella stanza e, escludendo me e un paio di professori intenti a discutere riguardo alla loro misera paga, c'erano altre due o tre persone, c'era Ashton Irwin.

«Hey, Calum.»

Mi ha salutato in un sussurro, sperando di non disturbare i presenti, e si è seduto accanto a me, per poi appoggiare i suoi libri sul tavolo davanti a noi e sospirare quasi impercettibilmente. Si torturava le mani, nervoso, e sembrava sul punto di voler dire qualcosa.

«Mi stai disturbando,» gli ho fatto notare, sprezzante, e lui si è affrettato a fermare le sue mani, per poi appoggiarle sulle sue gambe, sotto il ripiano del tavolo. Ha sospirato di nuovo e si è voltato lentamente verso di me, osservandomi come se volesse captare ogni mia singola emozione. E ci riusciva, eccome. Sentivo di essere come un libro aperto di fronte a lui, ai suoi occhi, ma evitare il suo sguardo sarebbe stato come dargliela vinta, in qualche modo, così ho cercato di assumere un atteggiamento strafottente. «Cosa vuoi?»

«Il tuo comportamento è sbagliato.»

Il mio primo istinto è stato quello di sussultare e spalancare gli occhi per le sue parole così dirette, ma mi sono sforzato di risultare indifferente.

«Il mio comportamento? Sono venuto in biblioteca per riposarmi e tu continui a importunarmi,» ho ribattuto, accennando una risata.

«In biblioteca si viene per studiare,» mi ha risposto lui, dimostrando una sicurezza che non gli apparteneva. «E sai che non mi riferisco a questo, Calum. Sei un bravo ragazzo, lo so, e non capisco perché tu-»

«Mi stai disturbando,» ho ripetuto, quasi meccanicamente, interrompendolo.

Ha sospirato di nuovo e non sembrava disposto a terminare così il discorso. «I ragazzi che hai picchiato non c'entrano con-»

«Stai zitto.»

«No, Calum. Cerchi di sfogare la tua rabbia in questo modo per non so quale motivo, ma è sbagliato. Dicono che hai problemi a casa, che tua sorella-»

In quel momento non sono stato in grado di trattenermi oltre, sentendo la rabbia montarmi dentro alle sue parole. Perciò non ho potuto fare a meno di spingerlo dalle spalle, dimenticandomi per un istante che, essendo seduto, si sarebbe sbilanciato all'indietro con tutta la sedia, rischiando di sbattere la testa e farsi male sul serio. Non so se abbia sbattuto la testa o meno, ma in ogni caso era davvero dura: continuava a guardarmi con determinazione, sul punto di dire altro.

Mi sono dimenticato persino delle altre persone presenti, dei professori che cercavano di allontanarmi da Ashton, e non so come sia riuscito a trattenermi dal tirargli calci e pugni.

«Tu non sai niente. Niente. Tu e tutti gli altri studenti siete solo un ammasso di idioti. Non sapete un cazzo di mia sorella, chiaro?»

Ashton è rimasto in silenzio a guardarmi dal basso verso l'alto e sembrava essersi dimenticato anche lui di ciò che avevamo intorno, perché non distoglieva gli occhi dai miei.

«Chiaro?» ho ripetuto, gettandomi di nuovo verso di lui con l'intenzione di ricevere una risposta anche con la forza, se necessario.

Tuttavia, non ho fatto in tempo a fare nulla perché uno dei professori presenti in biblioteca mi ha bloccato, urlando al suo collega qualcosa che non ho capito, essendo troppo distratto a occuparmi di Ashton: aspettavo ancora una sua risposta.

Nel giro di pochi istanti è arrivato il preside, ma non sono stato fortunato come quella mattina, quando Cameron mi aveva risparmiato di finire in guai seri per averla maltrattata: più tardi, nel suo ufficio, l'uomo mi ha avvertito che avrei evitato la sospensione solo se avessi cambiato scuola senza creare altri problemi, e così ho fatto.

Ciò che non dimenticherò mai, comunque, sono le parole che Ashton Irwin mi ha rivolto mentre venivo trascinato in presidenza: «Non avresti dovuto metterti nei guai per colpa mia, Calum. Scusa.»

Mentre ripenso a tutto quello che è successo quattro anni fa, il mio ultimo giorno al Norwest Christian College, Ashton mi apre la bocca senza troppe cerimonie, per poi infilarvi due attrezzi di metallo e iniziare a picchiettare i miei denti con non molta delicatezza.

«Sei fin troppo giovane per essere già un dentista, no?» riesco a dire, trovando qualche difficoltà a causa degli attrezzi nella mia bocca. In effetti, penso che non si sia ancora nemmeno laureato.

«È lo studio di mia madre,» risponde semplicemente, per poi picchiettare su uno dei miei molari e farmi sobbalzare dal dolore. «Oh, una piccola carie.»

«Avevo ragione a dirti che ti serviva un controllo, Calum,» interviene Michael e io sono sicuro di aver visto Ashton trasalire, per poi rivolgermi un'occhiata intensa.

Mi ha riconosciuto, ne sono certo, anche se cerca di non darlo a vedere.

«Posso toglierla subito o preferisci che sia mia madre a farlo?»

«No, non sono qui per questo,» lo interrompo, anche se in ogni caso non mi sarei fatto comunque trapanare i denti. Mi viene la pelle d'oca al solo pensiero. «Mi dispiace tanto, Ashton,» sussurro poi, pur sapendo quanto siano ridicole queste semplici parole. Lo capirei benissimo se decidesse di tirarmi un pugno in faccia come ha fatto Luke quando mi ha rivisto dopo quattro anni. Tuttavia, so che Ashton Irwin non è impulsivo come Luke e, soprattutto, a differenza mia capisce che la violenza non porta a nulla, che la si usi per attaccare, per difendersi o per vendicarsi di un torto subìto.

Lui sospira semplicemente, per poi allontanarsi dalla poltrona e farci cenno di seguirlo fuori dalla stanzetta, forse per andare in un posto dove possiamo stare un po' più comodi. Infatti ci ritroviamo in uno studio di modeste dimensioni, probabilmente di sua madre, e fa accomodare tutti e tre, prima di sedersi di fronte a noi.

«Sei Calum Hood, vero?» chiede, ma so che non si aspetta una risposta. Pochi istanti dopo, infatti, sposta lo sguardo su Luke. «E tu Luke Hemmings.»

«Ti trovo bene, Ashton,» commenta lui, facendolo sorridere.

Successivamente, Luke presenta Michael, mentre io rimango in silenzio, provando a formulare nella mia mente le giuste parole da dire quando Ashton porrà la domanda che mi aspetto.

«Cosa ci fate qui?» chiede, infatti, spostando quasi con timore lo sguardo su di me.

Luke questa volta non risponde, aspettando che sia io a farlo. E so che devo farlo.

«Vorrei chiederti scusa per ciò che ho fatto quel giorno. Sei stato l'unico a capire che qualcosa non andava e, nonostante questa cosa non possa in alcun modo giustificarmi, spero tu riesca a perdonarmi. Lo capirei se decidessi di non farlo, ma voglio che tu sappia che le mie scuse sono sincere.»

Ashton rimane qualche istante in silenzio, ma qualcosa sul suo viso cambia: la palpebra dell'occhio destro inizia a battere velocemente e in maniera innaturale, in un tic nervoso uguale a quello di Mr Darby dopo che Michael lo sveglia in maniera brusca per divertimento.

«È tutto a posto, Calum,» risponde, ma il suo occhio mi dice l'esatto contrario. «Non sono mai stato arrabbiato con te,» conclude e questa volta, nonostante il suo tic nervoso, so che è vero: Ashton è incapace di provare rancore, cosa che mi fa sentire persino peggio. Probabilmente è spaventato dalla mia presenza o il ricordo di ciò che è successo nella biblioteca del Norwest Christian College lo tormenta, rendendolo incredibilmente nervoso e capisco che, per quanto io possa chiedere scusa, certe cose non possono essere perdonate - o dimenticate, nel caso di Ashton - del tutto, perché la violenza lascerà sempre una profonda cicatrice nel cuore e io lo so bene.

Mi alzo, con l'intento di andarmene, e Michael e Luke fanno lo stesso, ma Ashton mi trattiene per qualche istante, parlando.

«Possiamo vederci in questi giorni per quella piccola carie, se vuoi.»

Tuttavia, capisco dal suo sguardo che la salute dei miei denti non è l'unico motivo per cui vuole incontrarmi di nuovo.



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Tanti auguri a me🎂

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