Capitolo 8 - Daphne, l'idolo dei barboni
Sono talmente sconvolta da ciò che ho fatto che, quando entriamo nei nostri appartamenti, non mi soffermo nemmeno a guardare l'ambiente circostante. Porcaccia miseria, perché sono dovuta esplodere proprio oggi, e soprattutto proprio con lui? A onor del vero c'è da dire che se l'è meritato, comunque. E una volta tanto è stata una gran liberazione rispondere per le rime a qualcuno che si è preso gioco di me.
"Sei proprio figlia mia" dice mamma entusiasta, richiudendosi alle spalle le enormi porte di legno intagliato. "Prima di andarmene, diciott'anni fa, mandai a fanculo Re Karl, il padre di Albrecht."
A questa rivelazione non riesco a trattenere uno sghignazzo. "Sul serio? E perché?"
"Mi aveva trattato male per tutto il tempo" spiega lei, avanzando di qualche passo all'ingresso. Solo a questo punto decido di darmi un'occhiata attorno, e finalmente capisco perché Karina li abbia chiamati 'appartamenti': questo posto è molto più grande e lussuoso di casa nostra, porcaccia miseria. Il solito lampadario di cristallo pende dal soffitto vertiginoso, ma chiaramente è spento, perché la luce del sole filtra senza problemi dalle finestre ad arco della stanza; i divani hanno schienali placcati d'oro e sedute imbottite su cui non oso nemmeno posare lo sguardo, figurarsi le chiappe... stessa storia con le poltrone, disposte sapientemente sul tappeto persiano alto almeno tre dita. Appeso alla parete giù in fondo, tra due colonnine che fanno da base a vasi... uhm, asiatici, c'è il televisore più grande che abbia mai visto: ha lo schermo sottile come un foglio di carta e sembra fare una bella pernacchia al Grundig del 2001 che abbiamo a casa.
"Quelle devono essere le stanze" dice mamma, indicando le due porte in legno scuro sulla parete destra. Ce n'è una terza su quella opposta, affiancata dalle ennesime colonnine che sorreggono vasi pieni di fiori, che probabilmente conduce al bagno.
"Che roba" borbotto, lasciando il trolley tra un divano e una poltrona. "Ma quanto è ricca questa gente?"
Mamma, che nel frattempo sta gironzolando per la stanza come se fosse a casa sua, si stringe nelle spalle. "Parliamo della famiglia reale, Daphne." Si alza sulle punte per raggiungere il davanzale del camino - sì, c'è pure un camino, porcaccia miseria - e, tastando alla cieca, afferra un cofanetto d'argento massiccio. "Se non hanno i soldi loro allora chi ce li ha?" dice, soppesandolo tra i palmi delle mani.
Non ha tutti i torti. Eppure non riesco a capacitarmi del lusso sfrenato in cui vive questa gente: mentre Karina ci scortava fin qui, dopo lo sconveniente episodio con il Duca di Vattelappesca, ho contato almeno altre dieci porte tutte uguali a quella in cui siamo entrate noi. E ciò che siamo riuscite a vedere probabilmente non è nemmeno un sesto del castello.
Non voglio pensarci, però: la mia nuova filosofia è "fingi che sia tutto un sogno", almeno finché non saremo fuori di qui. Non scatterò foto, non racconterò ad Alice di questa storia, non mi dilungherò in inutili dettagli sui ghirigori in rilievo delle pareti quando affronterò l'argomento con nonna. Andiamo, in fondo è un'esperienza come un'altra: sono sicura che un sacco di altre ragazze della mia età hanno alloggiato in una reggia... dopo aver scoperto di essere delle principesse... costrette ad abdicare prima ancora di aver messo le mani sulla corona. Sì, deve essere roba trita e ritrita, praticamente routine quotidiana. Magari pure Alice è una principessa: ce la vedo, con il suo piglio deciso e autoritario. Io, invece, che anche solo per scegliere un libro da leggere mi faccio prendere da crisi mistiche di discreta entità, non ho proprio la stoffa della principessa. Figuriamoci.
"Io vado a sistemarmi" annuncia mamma, strappandomi ai miei pensieri. Si muove a zigzag tra lo scomodo mobilio del salotto, il borsone in spalla e lo sguardo fisso nel mio. "Dovresti mettere a posto la tua roba anche tu" aggiunge, prima di sparire oltre una delle due porte sul lato destro della stanza.
Sistemare cosa, che domani andiamo via?
Evito di commentare, però, consapevole che le mie argomentazioni verrebbo bellamente ignorate. Mamma è una disordinata cronica, proprio come me, ma ci sono delle cose su cui non transige: i prodotti di bellezza, le scarpe e i vestiti. L'armadio a sei ante che ha stipato nella minuscola camera padronale è il suo santuario, e pertanto non deve essere profanato in qualsivoglia maniera. L'ultima volta che ho osato frugare tra le sue cose, alla disperata ricerca della mia maglietta a tema Bellarke, mi sono rimediata una settimana senza libri e computer. Crudeltà assoluta, sono d'accordo. Mia madre è una vera despota.
Con un sospiro afferro il manico del trolley, trascinandomelo dietro fino alla stanza libera. Inutile girarci intorno, è una bomba: il letto è enorme, probabilmente più grande dell'intero perimetro della mia stanza a Roma, e coperto da una montagna di cuscini ricamati. L'armadio arriva fino al soffitto - il che è tutto dire - è di un bel bianco crema e ha le maniglie di ottone scuro; c'è una grande finestra che dà sul giardino e, accanto, uno scrittorio che ha tutta l'aria di essere lì dal periodo antidiluviano.
Lascio la valigia ai piedi del letto, accanto al cassettone in legno lucido, e mi lascio cadere di peso sul bordo del materasso. C'è una parte di me che ancora non si capacita di tutto ciò che sta succedendo, quasi si trattasse di un sogno estremamente vivido da cui sono destinata a svegliarmi, ma non è così: a questo punto sono abbastanza certa di essere sveglia.
Sfilo il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e lo accendo, sperando che in questo posto ci sia campo. Piuttosto, a chi dovrei chiedere la password del WiFi? Karina mi sembra un buon partito, anche se sono ancora arrabbiata per come si è comportata prima in corridoio. Be', per internet posso pure mettere da parte i dissapori, almeno per un po'.
Il 4G non prende, proprio come temevo, ma riesco comunque a ricevere un paio di notifiche: qualche like al mio ultimo post su Instagram - una fanart mozzafiato di Daemon Black - un messaggio del mio gestore telefonico sull'ennesima promozione che non mi interessa e un vocale di Alice. Esito, il pollice a pochi centimetri dall'icona di Whatsapp: non la voglio ignorare, ma non voglio nemmeno che scopra dove sono e cosa sto facendo. Alla fine decido di ascoltarlo, perché in fondo passerà talmente tanto prima che mi risponda che a quel punto sarò già tornata a casa.
"Ciao, futura Regina! Ti volevo dire che lunedì escono i quadri, ti va se ci andiamo insieme? Poi magari ci fermiamo a mangiare qualcosa da Broast, o... be', da qualcun altro lì intorno. Fammi sapere presto!"
Le rispondo con un criptico "perfetto" e metto via il telefono, giusto in tempo per godermi l'entrata in scena di mia madre.
"Vado a farmi un bagno caldo" dice, affacciata per metà dalla porta e con l'accappatoio già indosso. "Perché non ti dai una sistemata anche tu? Sembri una sfollata appena tirata fuori dalle macerie, amore."
Io le faccio una linguaccia e, non contenta, le tiro anche un cuscino. "Sono una sostenitrice convinta dell'urban style."
"Saresti l'idolo dei barboni, in effetti!" ride lei, ma prima che possa lanciarle un altro cuscino esce dalla stanza e si richiude la porta alle spalle.
Me ne resto seduta sul pizzo del materasso per un lasso di tempo imprecisato, ascoltando l'acqua della vasca scrosciare nel silenzio, finché un leggero bussare non mi costringe ad alzarmi. Attraverso il salotto, la versione stonatissima di Faccio un casino di mamma a farmi da sottofondo, e fuori dalla porta d'ingresso trovo Karina.
"Oh, principessa, eccovi!" esclama, piegandosi nel solito inchino imbarazzante. Gliel'ho detto che può risparmiarselo, che non c'è alcun bisogno di mettere in scena tutta questa tiritera con me, ma lei sembra non sentire ragioni. "La Regina è appena uscita dalla sua videoconferenza con la Danimarca ed è pronta a ricevervi!"
"Ri-ricevermi?" balbetto, indietreggiando istintivamente di un passo. "In che senso, scusa?"
Karina sorride paziente, tamburellando con le dita sulla cartellina rigida che tiene in mano. "Vi attende per un colloquio nella sala del tè dell'ala sud. A proposito, gradite qualcosa di particolare da bere? Orzo? Caffè, forse?"
"No, io..." Scuoto la testa, sforzandomi di trovare le parole adatte a dirle che è completamente fuori di testa. Io che parlo con una Regina? E riguardo cosa, di grazia? "Nessuno mi ha detto che ci sarebbe anche stato un colloquio" esalo, il cuore che pompa come un forsennato. "Pensavo che avrei soltanto dovuto rinunciare al trono, una firmetta veloce e tanti cari saluti a tutti! Cos'è questa storia?"
"Oh, stia tranquilla, principessa" ride Karina, sospingendomi fuori dalla stanza con garbo. "Si tratta di un incontro assolutamente informale."
"Ma mia madre..."
"Saremo di ritorno prima ancora che la vasca si sia riempita del tutto" mi interrompe lei, richiudendo in fretta le porte. "Fidatevi, andrà tutto per il meglio!"
Vorrei tanto crederci, ma non sono esattamente la persona più fortunata del mondo. La sfiga è la mia fedele compagna di sventure da tutta la vita, in sostanza.
Stare al passo di Karina si rivela un'impresa titanica: nonostante i tacchi vertiginosi che ha ai piedi, la donna guizza veloce come un'anguilla. Scendiamo e saliamo scale, attraversiamo corridoi ed enormi stanze deserte, in cui anche il mio respiro sembra riecheggiare all'infinito, poi finalmente arriviamo: Karina si ferma davanti a una mastodontica porta a doppio battente, nel mezzo di un altrettanto mastodontico corridoio, e bussa forte sul legno scuro. Ai lati della porta stanziano due soldatini di piombo, in tutto e per tutto uguali a quelli che mi hanno dato la caccia per mezza Roma.
"La ragazza è qui, mia Regina" dice Karina ad alta voce, rivolgendomi poi uno sguardo di incoraggiamento.
Dall'altra parte regna qualche secondo di silenzio, prima che una voce flemmatica e annoiata dica: "Che entri pure."
Non so perché, ma in questo momento mi sento tanto Cenerentola in balia della matrigna. Spero solo che Karina abbia ragione e che questa chiacchierata duri il tempo di un caffè.
"Daphne, mia cara ragazza" dice la donna adagiata sul divano al centro della stanza. Ha le ginocchia elegantemente giunte, lasciate scoperte dalla gonna del tailleur rosa, e mi fa cenno di avvicinarmi con una mano candida; con l'altra si aggiusta il caschetto biondo, una cofana gonfia e lucida che le arriva appena sotto il mento. Ha lineamenti appuntiti e occhi glaciali, ma nonostante questo è una bellissima donna: le foto scovate su internet non le rendono affatto giustizia.
"Ehilà" esordisco, ancora impalata sulla soglia come uno stoccafisso. Mio Dio, ehilà? Sul serio, Daphne? Sei al cospetto di una Regina e te ne esci con "ehilà"? "Volevo dire, buon..." Un'occhiata veloce al mio Casio sgangherato, "...pomeriggio? Salve, in sostanza." E poi accenno un inchino, incrociando le gambe come fa sempre Karina, ma in qualche modo riesco a inciampare; per non cadere afferro la colonnina di marmo accanto alla porta, ma questa si sbilancia e il vaso a mosaico che ci stanzia sopra la segue a ruota. "Oh, cazzo!" Allungo le braccia e, chissà per quale grazia divina, riesco ad acchiapparlo un attimo prima che cada giù verso morte certa. "Scusate, io..." Lo sollevo in aria come un trofeo. "Lo rimetto a posto, eh?"
Piazzato nuovamente il vaso sulla colonna, raccolgo il coraggio a quattro mani e torno a voltarmi di centottanta gradi. La Regina mi sta guardando impassibile, solo un sopracciglio inarcato a svelare il suo reale stato d'animo, e fa un cenno millimetrico con la testa. "Perché non si siede?"
Dopo la figura barbina che ho fatto, sedermi al suo cospetto è l'ultima cosa che avrei voglia di fare. Però racimolo quel che resta della mia dignità e avanzo a piccoli passi attraverso la sala; non è grandissima, non in confronto a certe stanze che io e Karina ci siamo lasciate alle spalle, ma è comunque gelida - un tipo di gelo che con l'aria condizionata ha ben poco a che fare: qui dentro ci abiteranno anche sessanta persone, ma ho motivo di credere che nessuna di queste ci viva davvero. Questo posto, più che una casa, sembra un vero museo.
"Mi scusi... cioè, scusate per prima" esordisco, lasciandomi cadere a peso morto sul divano di fronte a quello della Regina. "A volte sono un tantino maldestra."
Lo sguardo di ghiaccio della donna mi trapassa da parte a parte. "Avevo intuito. Cosa vuole che le faccia servire? Tè? Latte? Ava, komm her" aggiunge in tedesco, schioccando le dita come se stesse chiamando un cane.
Da una delle porte della stanza emerge una donna in uniforme da cameriera; a dire il vero sembra una delle maid di Kaichou Wa Maid Sama!, ma penso sia saggio tenerlo per me. Anche perché dubito che queste persone sappiano anche solo dell'esistenza di anime e manga.
"No, non c'è bisogno!" mi riprendo, facendo cenno di no con la testa. La donna, da sotto la cuffietta di trine e merletti, mi rivolge uno sguardo interrogativo. "I'm good, thank you" ritento, e stavolta pare capire: china appena la testa, poi rivolge lo sguardo verso la Regina.
Lei le dice qualcosa in tedesco, qualcosa che le mie scarse conoscenze apprese guardando Dark in lingua originale non mi consentono di capire, e la donna si ritira in un battito di ciglia.
"Allora..." dico, cercando di smorzare l'imbarazzo palpabile che si respira nella stanza. "Carino questo posto." Mi guardo attorno, facendo correre lo sguardo sugli affreschi che campeggiano sul soffitto e sulle librerie colme di premi e targhe dorate, per poi tornare a posarlo su di lei. "Proprio... chic. Hm-hm. La mia prof di arte morirebbe per farsi un giretto qui dentro!"
La Regina mi soppesa per un istante infinito, poi schiocca seccamente la lingua. "Interessante rivelazione. Ma ora che ne dice di parlare del motivo per il quale si trova qui, Daphne?"
Avvampando come un tizzone ardente, colpita in pieno dal tono affilato della Regina, mi limito a scrollare appena la testa. Porcaccia miseria, sono sempre inopportuna.
"Mi rendo conto che il preavviso che vi abbiamo dato è stato molto ridotto, perciò ci tenevo a ringraziarla per la prontezza con cui vi siete presentate a palazzo, lei e sua madre." Prende tazza e piattino di ceramica dal tavolinetto che ci separa e, molto elegantemente, beve un sorso di tè. "Come si renderà conto anche da sé, la situazione in cui ci troviamo è quantomeno incresciosa. Senza la sua rinuncia ufficiale, mia figlia Isabella non potrà effettuare il suo debutto in società e, in futuro, ascendere al trono che le spetta di diritto." Chinandosi a poggiare tazza e piattino, mi rivolge un'occhiata gelida che mi provoca un improvviso aumento delle palpitazioni. Che diamine, non mi conosce nemmeno e già mi disprezza così tanto?
"Non glielo nascondo, Daphne, scoprire così improvvisamente della sua esistenza ha scombussolato terribilmente i nostri piani" riprende, intrecciando le mani sulle ginocchia pallide. "Una potenziale erede nascosta, ma s'immagina lo scandalo?" Butta fuori una risata meccanica, costruita a tavolino. "Per questo è importante che nessuno conosca la sua vera identità. Sono sicura che Karina le avrà già spiegato tutto in proposito, ma ci tenevo a rinfrescarle la memoria."
Io mi sforzo di annuire, cercando al contempo di nascondere quanto le sue parole mi abbiano ferito. Non è stato tanto quell'erede nascosta, quanto piuttosto l'aver scoperto che Re Albrecht, mio padre e Stronzo Supremo, non ha detto nulla su di me per tutto questo tempo. Come se fosse sufficiente ignorare una persona abbastanza a lungo da fingere che non sia mai esistita. Non l'ho mai conosciuto e non ci tengo a farlo, ma è comunque una sensazione terribile.
"Daphne?"
Mi riscuoto dai miei pensieri, costringendomi ad alzare lo sguardo verso la Regina. "Mi dispiace, mi sono distratta. Karina mi ha detto tutto, comunque" aggiungo, alzando le spalle. "Io e mamma siamo parenti in visita dall'Italia, nient'altro."
Lei annuisce seccamente, portandosi una ciocca chiara e liscissima dietro l'orecchio. "Ottimo. Ho già fatto predisporre che vi vengano serviti i pasti in camera, così che le vostre interazioni con gli altri residenti del palazzo siano ridotte al minimo sindacale. Domattina verrà scortata nella Sala del Trono, dove si svolgerà la Cerimonia di Rinuncia. Karina le ha già spiegato in cosa consiste?"
Scuoto la testa, le gambe che mi formicolano dal desiderio di alzarmi e fuggire da questa stanza. "Non ancora."
"Dovrà leggere ad alta voce la dichiarazione di rinuncia dinanzi a un reggente in carica, in questo caso io, il primo ministro e la sua tutrice legale."
"Mamma, cioè" commento molto stupidamente, annuendo piano. I miei pensieri in realtà sono altrove: e se il Re fosse partito in questi giorni proprio per evitare me? Se così fosse, è più vile e codardo di quanto credessi.
Con la coda dell'occhio, vedo la Regina assentire. "Esattamente. Dopodiché diecimila corone bareviane saranno versate sul conto fornitoci da sua madre e voi sarete libere di andar via."
Annuisco in silenzio, lo sguardo fisso sulle facce dei puttini scolpite negli angoli del tavolino. "È generoso da parte vostra."
"Un modo come un altro per sdebitarci della sua discrezione, Daphne."
Già, certo. Il nodo che ho alla gola pare stringersi ogni secondo di più e, purtroppo, le lacrime non sono poi così lontane: ancora un po' e mi metterò a frignare come una ragazzina di quattro anni a cui è stato appena spento il televisore nel bel mezzo del suo cartone preferito.
"Mi sembra che sia tutto sistemato" commenta la Regina, un accenno di soddisfazione nella voce. "Karina la scorterà nuovamente nei suoi appartamenti. Se le serve qualcosa non esiti a domandare."
Mi alzo dal divano e chino appena la testa, consapevole di essere appena stata congedata. Faccio per girarmi, ma poi, spinta da chissà quale istinto, ci ripenso. "Mio padre... Re Albrecht non aveva mai parlato di me, prima d'ora?"
All'espressione agghiacciata che mi rivolge faccio per rimangiarmi tutto e scappare alla velocità della luce, ma in un attimo la Regina ha già ritrovato la sua calma glaciale.
"No, mai" dice in fretta, battendo le lunghe ciglia chiare. "Se n'è uscito come un fulmine a ciel sereno pochi mesi fa, proprio mentre iniziavamo a programmare il lancio in società della principessa Isabella. Sapessi che spavento!" E poi sghignazza, una risata ancora più falsa di quella di prima.
"Posso immaginare" commento a denti stretti, indietreggiando di un passo. "Penso sia il caso che..."
Ma non faccio in tempo a concludere la frase, perché le porte da cui sono entrata io dieci minuti fa si spalancano con un boato.
"Maman, Madeleine a ruiné mes nuovelles chassures!" strepita una voce starnazzante, un attimo prima che la sua proprietaria faccia irruzione nella stanza. Ed eccola qui, nientemeno che la principessa Isabella in persona. O meglio, la principessa Isabrutta. Marcia come una furia oltre le porte spalancate, gli stivali al ginocchio che lasciano impronte fangose sul tappeto rosso e oro; la coda lunghissima, liscissima e biondissima oscilla da sotto il caschetto nero, al ritmo col suo passo, sfiorando quasi l'orlo della giacca color cachi. "Mi ha spinto in una pozzanghera, l'ha fatto apposta!" riprende, sempre in francese, additando le porte spalancate che si è lasciata alle spalle. Da lì, trascorso qualche secondo di silenzio, emerge la figura esile di una ragazza: indossa anche lei lo stesso caschetto di Isabrutta, da cui sbucano le punte corte di un caschetto castano, ed è vestita in modo simile: giacca grigia, pantaloni aderenti dello stesso colore e stivali allacciati fin sotto il ginocchio.
"Giuro che non l'ho fatto di proposito, mia Regina" esordisce la ragazza nella stessa lingua di Isabrutta, chinandosi in una riverenza elegante. Nulla a che vedere con il mio disastroso tentativo di poco fa, sia ben chiaro. "Vi prego di perdonarmi, principessa Isabella. Non mi ero proprio resa conto che fossimo così vicine a quella pozzanghera."
"Tutte bugie!" starnazza Isabrutta, battendosi i pugni sulle cosce slanciate. "L'ha fatto apposta, lo sappiamo tutti, è soltanto..."
"Non ritengo che questo sia il momento più adatto per discuterne" la interrompe la Regina, facendo poi un cenno verso di me.
Isabrutta, in piedi nel mezzo della sala, si volta di scatto verso di me. Sulle labbra sottili si apre un ghigno cattivo. "E perciò è questa la poveraccia che voleva soffiare il mio trono?" dice, in un italiano rigido e forzatissimo.
Io, colta alla sprovvista, batto le palpebre. "Scusami?"
"Oh, è inutile che fingi" ribatte lei, avanzando di un passo nella mia direzione. "Lo so benissimo che in realtà vuoi la mia corona, non è così?"
"Tu peux l'avoir" ribatto in un balbettio, nel notevole sforzo di non farmi mettere i piedi in testa. Solitamente incasserei in silenzio, spaventata come sono dal confronto diretto con le persone, ma una cosa proprio non mi va giù: io quella corona non l'ho mai voluta. Non voglio il suo posto in questo castello dorato, il suo titolo o tutti i suoi soldi. Be', magari i soldi non li disdegnerei, ma non è questo il punto: sono stati loro a costringermi a venire qui per rinunciare alla corona, a trascinarmi in tutta questa storia folle, e adesso questa cretina mi accusa di volerle rubare il trono? No, non ci sto.
Lei rimane spiazzata per un secondo, forse sorpresa dal fatto che parli francese, ma un attimo dopo ha ritrovato la sua aria battagliera. E poi, probabilmente per avere l'ultima parola in una discussione che avevo palesemente vinto io, dice qualcosa in ceco.
Che stronza.
"Basta così" dice la Regina, fermando lo sproloquio di Isabrutta con un cenno della mano. "Daphne, Madeleine, voi potete andare. Tu resta qui, dobbiamo parlare" aggiunge, rivolta alla figlia.
Io e l'altra ragazza ci ritroviamo così ad attraversare la sala fianco a fianco, in silenzio, dirette verso l'uscita. Osservandola di sottecchi, mi chiedo che ruolo rivesta questa Madeleine: la Regina e Isabrutta hanno parlato della mia vera identità davanti a lei, come se già ne fosse al corrente, quindi ho motivo di credere che faccia parte della famiglia reale. Già, ma di chi si tratta? Potrà avere la mia età, forse qualcosa di meno, e non mi sembra di aver letto nulla su di lei negli articoli spulciati la settimana scorsa.
"Vi chiedo scusa per il comportamento della principessa Isabella" dice la sua voce melodiosa, in un italiano tanto perfetto che farebbe invidia persino a un madrelingua. Ma cos'è, i reali sono tutti poliglotti? Prima il Duca di Vattelappesca, poi la Regina, infine lei... andiamo, non può mica essere una coincidenza!
Madeleine mi rivolge un sorriso appena accennato, le fossette scavate sulle guance morbide e una spolverata di lentiggini sul naso. Sembra una bambolina di porcellana. "Sapete, è molto nervosa per il proprio lancio in società. Vi assicuro che non ce l'ha con voi."
"Già" commento sarcastica, mentre usciamo a passo lento dalla sala. Karina è qui in corridoio, in piedi tra due armature e sotto uno stendardo triangolare, e sta smanettando con un tablet formato sottiletta. Decido di ignorarla ancora per qualche secondo, comunque: Madeleine è stata gentile con me, il minimo che possa fare è presentarmi. Sì, anche se mi costerà una discreta dose di sangue freddo.
"Io... sono Daphne, comunque. E dammi del tu, che tanto il mio titolo sarà passato a Isabrutta in meno di ventiquattro ore."
Le guance pallide di Madeleine si imporporano come fragole mature e i suoi occhi si spalancano. "Isa... Isabrutta?" Si volta fulminea verso le porte da cui siamo appena uscite, prontamente richiuse dai soldatini di piombo di guardia qui fuori, poi torna a guardare verso di me. E, inaspettatamente, scoppia a ridere. È una risatina leggera, la sua, elegante e contenuta, che in un modo o nell'altro contagia anche me: è così che ci ritroviamo a ridere come due spostate nel mezzo di un corridoio lungo mezzo chilometro, con le nostre risate che riecheggiano tra le pareti e gli sguardi di Karina e i soldatini di stagno a pesarci addosso.
Forse è presto per dirlo, ma ho l'impressione che Madeleine sia la persona più normale in questo postaccio assurdo. E forse, dico forse, la mia breve permanenza qui non sarà tanto terribile come avevo pensato.
Spazio Yumi
Lo so, lo so, sono sparita, mi dispiace! Purtroppo il lavoro babbano non mi lascia respirare, in questo periodo, e in un modo o nell'altro mi tocca portare a casa la pagnotta. Ma anyway, ecco il capitolo 8 in tutta la sua meraviglia! La nostra Daphne affronta il suo primo scontro con Regina e prole reale, ma incontra anche una potenziale amica... sempre che le sue stranezze non facciano scappare anche Madeleine aka la gentilezza fatta persona.
Che cosa ne pensate? Vi è piaciuto? Per il prossimo non dovrete aspettare così tanto, ve lo giuro! Sarò un fulmine a scrivere!
Un abbraccio grande a tutti,
Yumi :3
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