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Capitolo 3 - Telefonate dall'inferno

Ho deciso, non chiamerò. Sono andata a cercare su Google questo fantomatico Regno di Barèvia, al rientro a casa, e non ho la minima intenzione di invischiarmi in qualcosa tanto più grande di me.

Re Albrecht, quello che in teoria dovrebbe essere mio padre ma che in pratica è soltanto uno stronzo, ci ha messo ben poco a riprendersi dalla fuga di mamma: nemmeno tre anni dopo prendeva in moglie Emma Egelhoff, figlia del Primo Ministro Bareviano, e adottava la biondissima figlia di quest'ultima, Isabella. Su Google ho trovato un sacco di sue foto recenti, e c'è da ammettere che è proprio carina, ma io ho comunque deciso di ribattezzarla Isabrutta. Mi ha fregato il padre, in fin dei conti.

In ogni caso, tutti gli articoli spulciati nel corso delle ultime ore parlano di lei come la legittima erede al trono, perciò ho motivo di credere che la lettera sbagli. Deve essere così per forza, no? In fin dei conti sono nata fuori dal matrimonio, cosa che mi rende a tutti gli effetti una figlia illegittima. E le figlie illegittime, da che mi risulti, non possono certo salire al trono.

Alle due e un quarto spaccate, mentre me ne sto stravaccata sul divano a fare zapping, suonano al citofono. Deve essere per forza Alice: all'uscita fa sempre un salto da me, perché il suo Cotral parte alle tre meno dieci e ha parecchio tempo da ammazzare.

"Okay, adesso devi proprio spiegarmi" esordisce, comparendo sulla soglia di casa. "Sei una principessa?"

Io le rivolgo uno sguardo truce. "Un po' più forte, che l'inquilino del pianterreno è mezzo sordo e non ha sentito bene."

"A scuola pensano tutti che sia stato solo un tentativo di attirare l'attenzione" prosegue lei, come se non avessi parlato, "ma andiamo, tu che fai una cosa del genere?" Scuote la testa con un risolino secco, facendo rimbalzare le centinaia di boccoli castani costretti in una coda alta. "Piuttosto ti scaveresti la fossa da sola. Perciò adesso mi vado a prendere una cosa da sgranocchiare e poi tu mi spieghi che cavolo sta succedendo, intesi?"

"I... Intesi."

Alice sarà pure una sfigata, ma al contrario di me non appartiene alla categoria degli sfigati passivi: risponde a ogni singola provocazione e non si lascia mettere i piedi in testa da nessuno, nemmeno da quella stronza di Nicole. Sembra immune a tutti gli insulti che le piovono addosso ogni giorno, roba come 'maschio mancato' o 'spacecraft', e niente di quello che dicono le Stronze Galattiche la scalfisce in alcun modo.

"Sono solo parole" mi dice sempre, ma lo sanno tutti che le parole sono come coltelli e possono affondare in profondità. Io la sua corazza non l'ho mai avuta, perciò mi limito a incassare gli insulti e a nascondere la testa sotto la sabbia, da perfetto struzzo fifone quale sono.

Alice torna in salotto con gli avanzi della rosticceria e, una volta che si è sistemata al mio fianco, le riporto in breve il racconto di mamma, arricchendolo con i dettagli scovati online.

"Magari siete entrambe eredi al trono e vogliono decidere chi di voi due sia la migliore" ipotizza alla fine del resoconto, masticando sovrappensiero una patatina. "Altrimenti perché spedirti tutte quelle lettere? Voglio dire, non ha senso."

Io alzo una spalla, mordicchiandomi l'unghia spezzata del pollice. "Non lo so e non mi interessa. Hanno fatto a meno di me per tutti questi anni, possono tranquillamente continuare così per il resto della vita."

Alice aggrotta le sopracciglia folte. "Quindi mi vuoi dire che la prospettiva di essere in lizza per il governo di un intero Paese non ti elettrizza neanche un pochino?"

"Ali, e dai." Le rivolgo un'occhiata eloquente, incrociando le gambe sul divano. "Io a capo di un paese? Come minimo provocherei la Terza Guerra Mondiale. E poi nutro il forte sospetto che tutta questa storia delle lettere sia frutto di un errore."

"Cosa te lo fa pensare?"

La mia è una vana speranza, più che altro, ma questo Alice non deve saperlo per forza. E in ogni caso non ho la minima intenzione di chiamare quel numero per accertarmene, perciò la questione non si pone affatto.

"Be', hanno già un'erede al trono, no?" butto lì, incrociando le caviglie sul tavolino da caffè. Una voce fastidiosa si insinua nei miei pensieri, suggerendo che la lettera dipingeva me come legittima erede, ma io la scaccio come fosse una zanzara fastidiosa nel mezzo della notte: non me ne importa un bel niente di quella stupida lettera. D'ora in poi farò semplicemente finta che non sia mai esistita e tutto tornerà alla normalità.

Alice se ne va alle tre meno venti con la promessa di non rivelare a nessuno ciò che le ho detto, e non ho dubbi sul fatto che manterrà la parola: oltre a essere un'amica fedele, non ha nessuno a cui raccontare il mio mezzo scoop e la cosa mi tranquillizza ulteriormente.

Vegeto sul divano per un'altra mezz'ora, spartendo le mie attenzioni tra il Kindle mezzo scarico e una replica di Streghe su Rai 4, ma il mio patetico tentativo di riacquistare una parvenza di routine si rivela del tutto inutile: nonostante l'ottimo proposito di ignorare la questione 'sangue blu' fino a nuovo avviso, infatti, i miei pensieri tornano inevitabilmente e sembra non ci sia modo di arginarli. Stupida io a credere di poterci riuscire.

Inizio a valutare l'ipotesi di schiacciare un sonnellino, quando il trillo del telefono fisso mi fa trasalire. Lancio uno sguardo alla base del cordless, sul tavolino da caffè, ma ovviamente è vuota: mantenere l'ordine in questa casa è almeno quinto o sesto nella scala delle priorità.

"I cellulari che li hanno inventati a fare?" grugnisco, rotolando a fatica giù dal divano. Mi trascino fino alla mensola accanto alla porta d'ingresso e, portata la cornetta del telefono all'orecchio, esordisco con un 'pronto' che esorterebbe chiunque a riagganciare con priorità immediata. Non il mio interlocutore, però: dopo qualche secondo di silenzio, sporcato solo da un lieve crepitio, una voce femminile riempie l'apparecchio.

"Buonasera, chiedo scusa per il disturbo. Mi chiamo Karina Bachmann, sto cercando di mettermi in contatto con la princ... ehm, con la signorina Daphne Cornelia Altavilla. Per caso è lì?"

Mi congelo sul posto, la lingua annodata e il cuore che rischia di schizzarmi fuori dal petto. Oh, porca vacca. No.

"Mi sente?" insiste la donna, un accento pesante a far capolino tra le sue parole. Tedesco, forse? Olandese?

"La signorina non vive qui" gracchio, artigliando la cornetta con più forza per evitare che mi sfugga di mano. "Non... Non so chi sia."

Dall'altro lato del telefono regna un breve silenzio. "Le mie informazioni stabiliscono chiaramente che la signorina Daphne risiede attualmente nella città di Roma, Italia, in Via Leone X numero cinque, indirizzo a cui corrisponde proprio questo recapito telefonico."

"Be', mi sa tanto che le sue informazioni sono sbagliate, perché qui non c'è nessunissima Daphne!"

Sto per morire di crepacuore, lo sento. A mentire me la cavo bene, di solito, ma sono certa che la mia ultima frottola la capterebbe anche un sordocieco addormentato.

"Domando scusa, con chi sto parlando?" La voce della donna, Karina, si è tinta improvvisamente di consapevolezza. "Principessa Daphne, siete voi?"

Il panico mi investe come uno tsunami, insieme a un'improvvisa voglia di vomitare, e d'istinto scaglio la cornetta contro il muro. Non contenta, caccio anche un urlo che sembra il disperato richiamo di una balena morente.

Un secondo dopo torno in me, acciuffando la cornetta e rimettendola a posto, ma temo che ormai il danno sia fatto: Karina deve avermi sentito, così come chiunque altro nel raggio di dieci chilometri.

Porcaccia miseria, è la fine.

Come a riprova dei miei sospetti, il telefono riprende subito a squillare e io mi faccio sfuggire un altro grido. Okay, se non mi do una calmata quella ficcanaso della signora Valenti finirà per chiamare la polizia, e un'incursione delle forze dell'ordine è proprio l'ultima cosa che mi serve.

Aspetto in silenzio che il telefono smetta di squillare, poi, con uno scatto felino che mi costerà giorni e giorni di muscoli doloranti, mi precipito a sradicare la spina dalla presa.

"Ah!" grido vittoriosa, agitando il cavo come un trofeo. "Non mi avrete mai!"

Okay, sono ridicola. E ammetto che forse la mia reazione è stata un tantino esagerata, ma che altro avrei dovuto fare? Confessare la mia identità a quella donna dai loschi intenti?

Ancora scombussolata torno al divano, raggomitolandomi nell'angolino che ormai ha preso la forma del mio sedere, e recupero il cellulare dal bracciolo. Vorrei chiamare qualcuno, ma sono a corto di alternative: mamma sta lavorando, Alice non è autorizzata a usare il cellulare mentre fa i compiti e nonna probabilmente non risponderebbe. Ecco, questo è quanto: la mia cerchia di persone fidate si riduce a tre individui. Entusiasmante, lo so.

Resto a osservare il telefono, indecisa, finché questo non inizia a vibrarmi in mano. Un numero dal prefisso sconosciuto lampeggia sullo schermo e io ci metto poco a fare due più due: quella Karina deve aver scovato il mio numero di cellulare.

"Porcaccia miseria" farfuglio, mollando il telefono come se scottasse. Mi ritraggo ancor più nel mio angolino, ma in qualche modo calcolo male le distanze e rotolo giù dal bracciolo del divano. "Porcaccia miseria al quadrato!"

"Daphne?"

Mi drizzo di colpo, ormai certa che Karina abbia forzato la serratura e sia qui per... be', per fare cosa precisamente non lo so, ma sono certa sia qualcosa di orribile. Invece sulla soglia di casa non c'è Karina, ma mia madre, che mi guarda come se stesse valutando l'ipotesi di chiudermi in un buon centro di igiene mentale.

"Ma che hai fatto?" indaga, richiudendosi la porta alle spalle con un calcio. Ha ancora addosso il camice con il logo del centro estetico in cui lavora, qui sotto casa, e si guarda intorno con gli occhi sbarrati. "Mi ha chiamato la signora Valenti dicendo che strillavi come un'ossessa! Non sarà mica entrato un altro calabrone?"

"La tipa della lettera ha telefonato" piagnucolo, rialzandomi a fatica da terra. "Sul fisso e sul cellulare, ma', ti rendi conto?"

Mamma rimane impalata sulla soglia, ritta nel suo invidiabile metro e settantaquattro e con un'espressione che non promette nulla di buono. "Stavi strillando a pieni polmoni per una telefonata?"

"Due" la correggo a mezza bocca, torcendomi le mani dietro la schiena. "E poi non strillavo come una posseduta. La signora Valenti esagera sempre!" aggiungo, alzando volutamente la voce perché la diretta interessata mi senta.

Mamma mi viene incontro a passo di carica e mi punta contro un indice smaltato di rosso. "Vuoi starti zitta? Ci sente!"

Sono così fuori di me che non solo non me ne frega nulla, ma andrei addirittura a suonarle il campanello per riferirle quanto il suo ficcanasare perpetuo mi abbia rotto le palle. Ma chiaramente non è la signora Valenti il vero problema: quello si chiama Karina e non vuole proprio saperne di lasciarmi in pace. Il mio telefono, abbandonato come un ferro vecchio sul cuscino del divano, continua a vibrare senza sosta.

"Qualsiasi cosa abbiano da dirmi, io non la voglio sentire" dico piccata, impuntandomi come una bambina capricciosa. "Non possono obbligarmi a fare nulla!"

"Dovresti almeno capire cosa vogliono, Daphne." Mamma, ancora in piedi davanti alla porta chiusa, inclina la testa con un sorriso mesto. "Poi potrai decidere come agire."

"Ti dico io quel che faremo" replico, appoggiando il sedere al bracciolo del divano. "Terremo la spina del telefono fisso staccata e i cellulari in modalità aereo, e poi non ritireremo più la posta, così..."

"E perché non trasferirci anche in una landa desolata?" mi interrompe mamma, inarcando un sopracciglio perfetto. "Al Polo Nord, magari."

Io butto fuori un sospiro con una scrollata di spalle. "Forse il Polo è un tantino esagerato, ma..."

"E dai, Daphne, ma ti stai sentendo?" mi interrompe ancora, avanzando di qualche passo sui sandali alti e sedendosi sul bordo del tavolino. "Gesù, a conoscere la tua reazione ti avrei raccontato tutta questa storia molto prima."

"Però non l'hai fatto, quindi ora si fa a modo mio. Se li ignoriamo abbastanza a lungo, alla fine ci lasceranno in pace." Curvo le labbra in un sorriso furbo. "Ne sono sicura."

Spazio Yumi

Well, hello there, sventurati! Eccomi tornata con il terzo capitolo di questa storia disagio, che mi sto divertendo tantissimo a scrivere. Ci tenevo a ringraziarvi per i voti e i commenti che mi state lasciando, per me significa davvero moltissimo! Non esitate a farmi sapere cosa ne pensate, per me il vostro parere è fondamentale! Del resto cos'è una scribacchina in erba senza i propri lettori? 

Vi mando un grande abbraccio, e ci sentiamo al prossimo aggiornamento!

- Yumi :3

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