•charpter 15•
Con varie scuse che però non lo convinsero molto, erano riusciti a mandar via quello strano ragazzo ed adesso stiamo camminando attraverso alcune stradine sotterranee.
Questo complesso di gallerie è un luogo freddo, umido e oscuro, rivestito di muratura, l'unica luce che mi permette di vedere qualcosa e notare gli insignificanti dettagli è quella prodotta dalla torcia che tiene in mano la donna, la quale cammina davanti a me insieme al suo fidanzato.
Questo posto mi mette abbastanza paura, inoltre essendo vestita in modo leggero per via della stagione, stare in questo luogo umido e freddo mi provocano la pelle d'oca per tutto il corpo, sento i pelli drizzarsi e sfregare contro il tessuto dei miei vestiti.
Incrocio le braccia e le stringo al petto cercando in vano di ripararmi dal freddo, ogni passo che faccio però mi provoca suoni sospetti alle interiori e poi una pesante pressione alla parte inferiore dell'intestino.
Cerco nella mia memoria l'ultima volta nella quale sono andata al bagno ed è stato esattamente 3 giorni fa, acciderboli a me che non riesco a non mettermi nei guai ed alla stitichezza.
Continuo a camminare, in modo più lento cercando di diminuire il rumore che i miei organi interni producono, ma peggioro solo la situazione, inizio a sentirne maggiormente la spinta del materiale organico sul mio ano.
L'aria nella mia pancia aumenta minuto dopo minuto, fino a raggiungere la sua massima estensione, i jeans che indosso si facevano stretti in vita per colpa di quel rigonfiamento.
Mi vergogno troppo a spiegare la situazione a quei due, non so nemmeno dove stiamo andando e se troverò un bagno decente.
Sospiro e cammino, un passo con la destra, uno con la sinistra, misurati e lenti, simili a quelli di un bradipo.
Guardo a terra e noto alcuni sassolini, mi vengono in mente i momenti passati con Elisabeth nelle spiagge cristalline francesi.
Riesco a vedere nei miei ricordi una bambina bellissima, capelli biondo cenere a caschetto lisci che nelle punte si arricciano lievemente, occhi blu come le acque di questo immensa distesa, un nasino dai lineamenti dolci e due gote rosee.
È vestita in modo non molto appropriato per una ragazzina del suo ceto sociale, vecchi jeans di un colore non definibile infilati dentro due grandi anfibi rosso rubino che le arrivavano al suo piccolo ginocchio, una maglietta bianca con varie toppe colorate ed un impermeabile dello stesso colore degli anfibi.
Con i due fratelli più piccoli, vestiti anche loro nel medesimo modo, gioca con una barchetta di carta che cercavano di far galleggiare.
Con occhi vigili la nonna paterna li osservava seduta su una sedia di legno da mare, ha un viso bellissimo anche se è marchiato da leggere rughe d'espressione.
Aveva un sorriso dolce di quelli che ti scaldano il cuore, anche i suoi occhi grandi di color nocciola sembrava ti sorridessero.
I corti e grigi capelli erano lasciati sciolti, abbelliti da un fuller a stampe che le comprovano le orecchie e la parte posteriore della nuca. Lo aveva indossato per proteggersi dal venticello che in quel periodo primaverile era presente in varie occasioni.
Però non era un'arietta sgradevole, anzi era leggera e dolce, ti accarezzava il viso come una mamma amorevole fa con il figlio.
Ad un tratto la snella, ma bassa figura della donna correre verso i piccoli, il più piccolo dei tre di soli 4 anni e mezzo era caduto sulla riva ed era scoppiato a piangere.
Amorevolmente la nonna lo cullava mentre lo portava dalla sorellina di appena un anno, sola ed adagiata sul suo seggiolone portabile.
La donna si guarda intorno e cerca di capire dove sia la madre, ma non la vede. Così fa sedere il bambino sulla tovaglia da mare, il quale dopo alcune carezze smette di frignare.
Dolcemente si avvicina alla nipote e le fa qualche carezza.
≪Ragazzina≫ i miei pensieri vengono interrotti dalla voce della donna ≪dobbiamo fermarci un momento all'osteria≫ dice la ragazza indicandomi una vecchia scala di legno che sale verso l'alto.
≪p-per-perfetto, c-c'è un bagno vero?≫ chiedo balbettando e scoppia in una risata che poi si trasforma in un cipiglio.
≪cosa pensi? che siamo dei buzzurri?≫ stringe i denti ed incrocia le braccia al petto ≪ solo perché mi vedi vestita così, non vuol dire che viviamo come gli antichi è solo la divisa del locale≫
Aiuta il ragazzo a salire, che goffamente ci riesce, lei fa lo stesso e tocca a me.
Goffamente salgo anch'io, mi ritrovo davanti ad una vecchia porta in legno, la chiavatura è corrosa ed la maniglia non c'è più, è sotituita da un bastone in legno.
Come faremo ad entrare?!
Entro in ansia e ricordo di non aver preso le pillole.
Cazzo, ma tutte a me oggi?!
Prendo il pacchetto al cui interno c'è il blister e noto che ci sono solo 3 pillole, ne stacco una velocemente e la ingioio a crudo.
Inizia a venirmi l'ansia per la bassa quantità di pillole, inizia a mancarmi il respiro, mi sento come se qualcuno fosse sopra al mio letto e cercasse di strangolarmi.
Inizio a fare dei respiri profondi, uno, due, uno due, come mi aveva spiegato la signorina Collins.
Non preoccuparti, una al giorno basterà fino a domani, calma, non stressarti, dopo essere andata in bagno ti farai dare un telefono e chiamarsi casa. Non fasciarti la testa sei riuscita a non avere nessun attacco stando in un piccolo luogo chiuso, riuscirai a vivere 2 giorni con 2 pillole.
E poi nulla.
Puff. Un salto nel vuoto,
il buio più totale.
Come un bambino abbandonata dalla madre che grida con in ogni modo possibile, ma non riceve attenzione e rimane lì, nel gelido esterno, solo.
La gola gli va in fiamme, ma continua a sperare e sperare, con tutte le forze che ha in corpo ed a gran voce grida,≪la mia mamma tornerà≫, penserà quel fragile esserino lì disteso, avvolto in una piccola coperta rattoppata.
Forse è così che mi sento realmente un bambino abbandonano nel nulla più totale, forse proprio questa botta nella parte bassa del capo mi ha fatto ragionare.
Dopo tutto cosa sono di più?
Un fragile esserino coperto coperto da deboli vestiti.
Una cosa ci differenzia: lui è senza colpa, io no.
Quella notte, quella notte la uccisi.
Correva correva, senza più fermarsi, era diventata zia, per la quarta volta.
Correva troppo forte, il piede sull'acceleratore spingeva troppo forte e così successe.
Un albero e bum.
Forse aveva ragione la mamma, tutto quello che è accaduto è colpa mia, questa è la mia occasione per lasciarmi tutto andare.
Sola.
In questo lungo percorso.
Addio mondo.
N/A
È morta oppure no?
è lei una tragedia oppure no?
Boh.
Lo so mi odiate
Bye
-Tessa
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