Vittorie (cap.17)
1° settembre, Belgio
La domenica era arrivata, tutti gareggiavano con il motto "Corriamo per Anthoine".
Con un cuore ferito, Charles si apprestava a disputare quella gara partendo dalla prima fila, in pole position; voleva vincere e ancora di più voleva vincere per Anthoine.
Su i motori, scatta il verde, partenza.
Per lui nessuna sbavatura, dritto fino al traguardo.
E la vinse, lo fece davvero, andò sul gradino più alto del podio e alzò con un braccio la coppa e con l'altro puntò verso il cielo con un dito.
"È solo per te, Anthoine...", questo è quello che pensò; il suo viso era spento e i suoi occhi non brillavano.
Non riusciva ad essere felice sapendo che il suo amico non avrebbe più sorriso, gioito o alzato una coppa come lui oggi.
Dopo il podio e le interviste di routine, scappò in camera e fece una lunga doccia, la speranza era quella di scrollarsi di dosso tutta la tensione ma non fu così, chiuse gli occhi sotto il getto d'acqua.
Le immagini dell'ultima settimana si proiettavano nella sua mente: la discussione avuta con Josie, la delusione nei suoi occhi e la sua voce mentre diceva: "Non voglio TE nella mia vita".
Tutto era diventato come un disco rotto nella sua testa.
L'aveva persa.
No, non si può perdere ciò che non si ha mai avuto.
Josie non era mai stata sua.
E poi Anthoine, l'ultimo colpo inflittogli dal destino.
Ora anche lui era andato via dalla sua vita, per sempre.
Dopo il Belgio doveva affrontare Monza: la settimana che lo aspettava era intensa, aveva un volo per l'Italia di lì a poche ore, ricorreva il novantesimo anno della Ferrari, perciò incontri e manifestazioni a non finire lo attendevano.
Il solo pensiero lo devastava, adorava il calore dei tifosi ma in quel momento aveva bisogno di un po' di tempo per se stesso, aveva bisogno di un po' di silenzio.
Chiuse infuriato il miscelatore dell'acqua e uscì dalla doccia, si asciugò velocemente e mentre si vestiva chiamò Mattia, chiedendogli se poteva raggiungerli il martedì mattina anziché quella sera stessa. Data la circostanza, gli fu concesso quel giorno di solitudine e fatta la valigia partì per Monaco, casa.
*****
1° settembre, Monaco
Josie era completamente bloccata davanti al televisore: Charles era in piedi su quel podio, ad una mano stringeva la coppa della sua prima vittoria, ma ciò che le fece stringere il cuore era quel dito puntato verso il cielo, il suo animo buono era tutto lì in quel gesto, aveva vinto per Anthoine.
Spese la sua domenica pomeriggio come di consueto, cercando in qualche modo di non pensare.
Scese il buio della sera e tutti i pensieri della giornata avvolsero la mente di Josie, non riusciva a cancellare dai suoi occhi l'immagine di Charles sul podio.
Si rese conto di avere bisogno di ascoltare la sua voce, di sapere che stava bene, soprattutto voleva chiedergli scusa per ciò che gli aveva detto l'ultima volta.
Afferrò il cellulare dal suo comodino ma non appena lo prese in mano, improvvisamente suonò.
Inevitabilmente sperò di leggere il nome del monegasco, ma ovviamente non fu così.
Era Carlos.
Presa dai tutti quei pensieri si era completamente dimenticata che lo spagnolo aveva promesso di chiamarla.
Un piccolo istante di senso di colpa le sfiorò il petto, cosa stava combinando con quel povero ragazzo?!
Fece scorrere il dito sulla cornetta verde del suo iPhone e subito dall'altro capo del telefono sentì la calda voce di Sainz.
«Ciao, ragazza!»
«Ciao a te!», rispose lei con voce leggera.
«Dormivi?»
«No, non ancora, tu cosa fai?»
«Stavo per andare a dormire, ma volevo prima sentire la tua voce... e in realtà volevo chiederti una cosa...»
Fece una pausa, lei curiosa lo spinse a parlare: «Dimmi, cosa?»
«Vieni con me a Monza?»
Entrambi rimasero in assoluto silenzio, lui in attesa di un sì, lei cercando di capire cosa veramente volesse.
Dopo qualche secondo, Josie parlò: «Sarebbe bello... ma devo prima parlarne con Maggie...»
Con questa scusa avrebbe avuto un po' più di tempo per prendere una decisione.
«Hai tutto il tempo per decidere, non andrò in Italia prima di mercoledì, perciò...», disse lui già in parte soddisfatto da quella risposta.
«Ok, ti faccio sapere entro domani, se per te va bene...»
«Certo, niña!»
Josie sorrise a quel nomignolo.
Lo spagnolo sospirò e aggiunse: «Mi manchi!»
Lei restò in silenzio, avrebbe dovuto rispondere con un "anche tu" ma non sarebbe stata la verità.
Certo, passava dei bellissimi momenti con Carlos e non voleva rinunciare a lui, ma in quel momento non si sentì di rispondere in quel modo.
Perciò sorrise di nuovo e canzonandolo un po' disse: «È passata poco meno di una settimana, Carlos, non esagerare...»
«Cinque giorni.», comunicò lui fiscale.
«Ci vedremo presto... si è fatto tardi, meglio andare a dormire...», gli disse cercando di sviare la conversazione da quel "mi manchi".
Non capì se lui si fosse accorto o meno della sua freddezza sull'argomento, di sicuro se si era accorto non lo diede a vedere perché la salutò calorosamente augurandole la buonanotte.
Chiusa la telefonata, non avrebbe voluto, ma la sua mente tornò a Charles.
Seduta sul suo letto e fissando il cellulare, non ci pensò più e cercò il suo nome tra i contatti, poi lo chiamò.
Ma gli squilli non arrivarono, sentì solo la voce che la informava che il telefono era spento o non raggiungibile.
Provò altre due volte nell'arco di una ventina di minuti, ma la situazione non cambiò, decise quindi di andare a dormire.
Passò una notte insonne, un incubo prese vita nel suo sonno.
C'era Charles davanti a lei, vestito con la sua bella tuta della Ferrari, lei cercava di parlare con lui ma lui non la sentiva e diventava sempre più distante, più lontano, fin quando non cadde in un enorme buco nero.
Si svegliò di soprassalto, ricoperta di sudore e completamente in preda al panico
Buttò l'occhio sulla sveglia che segnava le tre del mattino, pensò che non potesse chiamarlo in piena notte. Perciò si rigirò nel letto aspettando il mattino, senza più chiudere occhio.
Scoccarono le otto e, ormai al limite dell'impazienza, prese il telefono e lo chiamò.
Risultò di nuovo spento, continuò a tentare di chiamarlo fino alle dieci del mattino, ma niente, sempre irraggiungibile.
Sospirò affranta quando una pazza idea le assalì la mente.
Senza pensarci a lungo, prese le chiavi dell'auto di Maggie, afferrò la borsa da sotto il ripianto del bancone che ospitava la cassa e andò in cucina dove si trovava la sorella e le disse con voce frenetica: «Ho preso le chiavi della tua macchina, mi serve, devo fare una cosa.»
Maggie la guardò perplessa: «Cosa? Che succ...?»
Ma Josie non le permise di continuare, asserendo concisa: «Non fare domande, ti prego!»
E scappò verso l'uscita dello CHERIE, lasciando Maggie basita in cucina.
*****
Parcheggiò l'auto dove le sembrò più comodo, spense il motore e guardò davanti a sé la strada che la portava al Belvedere, nella sua mente le parole di Charles il giorno della loro prima uscita "Qualsiasi emozione io stia provando questo posto la placa".
Forse stava sbagliando, magari andare in quel posto era la cosa più stupida che potesse fare, ma decise di ascoltare il suo cuore, e in quel momento le stava dicendo di andare lì.
Camminò decisa fino ad arrivare al punto dove erano stati quella volta, si fermò davanti a una piccola duna di terra e muschio e senza indugiare ancora, la risalì.
Seguì il breve sentiero davanti a lei e superato l'ennesimo cespuglio, si bloccò.
Il suo cuore aveva avuto ragione.
Charles era a pochissimi passi da lei, di spalle, con le braccia stese lungo i fianchi.
Josie sospirò e senza aspettare un minuto di più eliminò quella breve distanza tra loro e avvolse delicatamente le sue piccole braccia intorno al suo corpo appoggiando la testa sulla sua schiena.
Charles fu sorpreso da quel contatto inaspettato, ma percepì immediatamente quel profumo di vaniglia così familiare, e non ebbe bisogno di girarsi per capire chi fosse a stringerlo in maniera così dolce ma decisa. Sospirò profondamente prima di alzare entrambe le mani e appoggiarle su quelle di lei, non disse nulla, voleva solo assicurarsi che lei rimanesse esattamente dov'era.
Josie trattenne il respiro terrorizzata dalla sua reazione a quell'abbraccio, temeva di essere respinta, poi però sentì il calore di quelle mani sulle sue, allora chiuse gli occhi e sussurrò: «Mi dispiace così tanto... mi dispiace tanto per tutto, Charles, per Hubert e per quello che ti ho detto... scusami, ti prego.»
Lui rimase in silenzio senza dire una parola, lentamente si voltò e lei lo lasciò libero dal suo abbraccio facendo un piccolo passo indietro.
Aveva gli occhiali da sole, perciò Josie non poteva vedere i suoi occhi, ma percepiva il suo sguardo su di lei.
«Come facevi a sapere che ero qui?», chiese Charles con voce rauca e profonda.
«Io... io non lo sapevo, ho provato a chiamarti ma il...»
«Ho spento il telefono.», disse lui interrompendola e continuando a guardarla attraverso gli occhiali.
Lei non sopportava di non poter vedere i suoi occhi così, senza timidezza, alzò le mani e glieli sfilò dal viso. Non rimase sorpresa di scorgere i suoi occhi rossi e gonfi, ma non la sbalordì neanche il fatto che non scendesse neanche una lacrima. Sapeva quanto fosse forte e fermo emotivamente.
Ciò che davvero la sorprese fu lo sguardo dolce che le riservò mentre la guardava. Pensava che fosse arrabbiato con lei ed invece non c'era nessuna traccia di quel sentimento sul suo viso, solo tanta dolcezza ed evidente dolore.
Senza spostare gli occhi da lei, con un filo di voce, le disse: «Pensavo non mi volessi nell...»
«Non era vero, ero arrabbiata, delusa e avevo paura.», lo interruppe dicendo tutto di un fiato.
Non voleva sentirlo ripetere quelle stupide parole.
L'unica parola che rimase impressa in Charles fu paura.
Lei aveva paura di lui?
«Paura di cosa? Non capisco, Josie...», disse Charles, completamente spiazzato dalla sua precedente affermazione.
Lei abbassò la testa sospirando, ora doveva dire qualcosa, non poteva ignorare le sue stesse parole e cambiare discorso, ma cosa poteva dirgli? "Avevo paura di scoprire di non piacerti... paura di sperare in qualcosa che non c'è... paura di arrivare al punto di non poter fare a meno di te."? No, non voleva e non poteva dare nessuna di queste spiegazioni, perciò disse qualcosa che assomigliava alla verità.
«Avevo paura che ti fossi allontanato da me per colpa di qualcosa che avevo detto o fatto... e che magari ti eri reso conto che non valeva la pena essere mio amico...»
Charles la guardò confuso e si affrettò a smentire le sue parole: «Cosa? Assolutamente no, Josie, tu non... tu sei...», sospirò passandosi una mano sul viso esausto, «Josie... adoro essere tuo amico, io ero solo confuso per cose mie... cose stupide... Mi sono comportato da coglione, scusami... io...»
«Non fa niente, Charles, è passato, è tutto ok ora.»
Non voleva continuare ancora quel discorso, il pilota davanti a lei aveva pensieri molto più grandi e più seri per la testa che darle spiegazioni.
Cercò di cambiare argomento e, stupendo anche se stessa per quello che le venne in mente, gli propose: «Ti va di venire in un posto con me?»
Trattenne il respiro in trepidazione finché il monegasco non rispose.
«Certo! Il problema è che non ho la macchina, mi sono fatto lasciare qui da Arthur, mio fratello.»
Josie sorrise e gli mostrò le sue chiavi che, prese dalla tasca, appese a un dito dall'anello del portachiavi.
«Se ti accontenti di salire su una semplice Jeep...»
Lui fece il primo sorriso di quella mattina.
«Cercherò di sopportarlo...», disse ridendo ancora di più.
«O mio Dio, non ci credo che l'hai detto davvero!», lo canzonò Josie, portandosi una mano al petto e fingendo shock, mentre si avviavano alla macchina.
«Hai una Jeep quindi?», le domandò lui.
«No, non è mia, io non ho una macchina... è di Maggie.»
Il tempo di dare quella risposta ed erano già all'auto.
Prima di salire, Charles la guardò e stese una mano verso di lei: «Le chiavi, testolina.»
Inutile discutere con un pilota, pensò Josie, e poi era felice che aveva usato ancora quel nomignolo: iniziava a piacerle.
Sorrise e gli consegnò le chiavi.
*****
Agata entrò nella cucina dello CHERIE come tutti gli altri giorni lavorativi, si guardò intorno e vedendo solo Maggie, intenta a tagliare le verdure, domandò: «Josie non c'è?»
«No, non c'è.», rispose Maggie, guardandola con aria ironica.
«E dov'è?»
«È una bella domanda questa, piacerebbe saperlo anche a me...», ribatté la ragazza con crescente sarcasmo.
«Non sarà mica di nuovo scappata a Madrid?!», esclamò ridendo Agata.
Maggie sospirò lasciando perdere le sue verdure e disse: «Spero non sia andata troppo lontano, visto che ha la mia macchina... Ultimamente è così strana!»
«Precisamente, è strana da domenica...»
«Sì, l'incidente di quel pilota l'ha turbata... poi tutta la storia Charles e Carlos... sai...»
«Sei preoccupata?», le chiese Agata mentre indossava la divisa da lavoro.
«Un po'... Non fraintendermi, è bello vederla provare tante emozioni, ma la vedo anche tanto confusa su questa storia e non vorrei che diventi tutto troppo per lei... Non voglio che soffra!»
«Maggie, Josie non è una bambina e conosce perfettamente i suoi sentimenti, se ne deve solo rendere conto, falle vivere la sua confusione. E poi credo sia così palese! Non credo ci metterà molto.», rise Agata, pronunciando quelle ultime parole.
«Sì, credo anch'io che sia palese e prima o poi sarà chiarissimo anche a lei... voglio solo che stia bene e nessuno dei due la ferisca...»
«Maggie, ne avete passate tante e siete dovute crescere in fretta. Josie è una ragazza forte, vedrai che saprà fare le proprie scelte e sono sicura che, se avrà bisogno, tu sarai la prima persona che cercherà.»
«Sì, forse hai ragione...», disse Maggie tornando alle sue verdure.
Nonostante lo scambio di parole con Agata, non riusciva a smettere di essere preoccupata.
*****
Sotto precise indicazioni di Josie, Charles parcheggiò la Jeep in un posteggio di una piccola piazza davanti a uno stabile con una grande saracinesca.
In alto, sulla destra, un'insegna spenta e impolverata, tanto da nasconderne la scritta.
Scesero entrambi dall'auto, il monegasco, nonostante fosse curioso, non fece domande e attese pazientemente guardando tutti i movimenti di Josie, la quale tirò fuori dalla sua borsa delle chiavi e le infilò nella serratura della serranda, poi si voltò verso Charles e gentilmente gli chiese: «Mi daresti una mano a tirarla su?»
«Certo, faccio io, tranquilla.»
Con un gesto veloce e senza particolare sforzo fece salire la saracinesca, Josie fece un passo all'interno e accese la luce, quello che Charles si trovò davanti agli occhi quando la seguì dentro lo lasciò completamente sorpreso.
Davanti a lui un'officina in piena regola, con tutti gli attrezzi del mestiere al loro posto, al centro si trovava una Fiat 500 ABARTH 595 apparentemente perfetta, solo parecchio impolverata.
Accennò sulle labbra un leggero sorriso, si girò verso Josie, che era rimasta un po' indietro e in silenzio, e si guardarono.
«Di chi è questo posto?»
Lei deglutì appena, temporeggiò qualche secondo e poi con un debole filo di voce disse: «Questa è l'officina di mio padre.»
Charles continuò a fissarla intensamente, lei abbassò gli occhi intimidita dal suo sguardo.
«Tuo padre era un meccanico?»
Lei fece solo cenno affermativo con la testa, senza rispondere a parole.
Si vergognava un po' di aver portato Charles in quel posto, voleva distrarlo dai suoi pensieri e aveva pensato fosse una buona idea portarlo lì, ma ora non ne era più così sicura. Per lei quello era un posto speciale, ma non ci entrava da molto tempo, forse dal funerale di suo padre e di Abigail, ed ora era lì con lui che gli mostrava un altro pezzettino di se stessa.
La sua preoccupazione però fu se a lui potesse sembrare una cosa stupida quella di finire in una dismessa e impolverata officina, con al suo interno solo una vecchia auto. Poi, però, Charles si girò verso di lei e la luce curiosa che aveva negli occhi spazzò via la sua insicurezza.
«Posso entrarci?», chiese riferendosi alla meravigliosa 500 davanti a loro.
«Certo che puoi.», disse avvicinandosi di più a lui.
Charles aprì lo sportello e si accomodò sul sedile del guidatore, si voltò verso Josie che era rimasta di fianco a lui ed inclinando la testa verso il sedile del passeggero disse: «Sali, dai!»
Josie scosse la testa e con un velo di tristezza negli occhi sussurrò: «Meglio di no, troppi ricordi.»
Charles sorrise, le prese gentilmente il polso e disse: «Possiamo crearne di nuovi...»
Non c'era nessuna malizia nella frase che aveva appena pronunciato, solo tanta dolcezza per la ragazza davanti a lui che gli aveva appena mostrato qualcosa di molto personale che la faceva sentire fragile.
Josie non poteva non convincersi quando lui la guardava in quel modo, c'erano dei momenti in cui Charles era davvero di una dolcezza disarmante.
Così sorrise e salì in macchina.
Lui osservò ogni piccola cosa in quell'abitacolo, guardò il rosario marrone avvolto al cambio, sfiorò appena il profumatore Arbre Magique alla vaniglia appeso allo specchietto e sorrise, iniziava ad amare davvero la vaniglia.
Due fototessere sul cruscotto che immortalavano due bimbe catturarono la sua attenzione, una era sicuramente Maggie, dati gli occhi chiari, e l'altra... Be', avrebbe riconosciuto quegli occhi nocciola ovunque.
Prese la foto in mano e le chiese: «Quanti anni avevi qui?»
Lei sorrise e ci pensò un po', poi disse: «Quattro o cinque, credo... A papà piacevano le foto, le metteva ovunque...»
Charles notò che il sorriso di Josie piano piano stava svanendo e per distrarla le rivelò: «Anch'io ho una 500 come questa.»
Funzionò, perché lei alzò lo sguardo e incredula esclamò: «Non è vero!»
«Giuro!», ribatté lui ridendo e contagiando anche lei, poi aggiunse: «Dovresti farla ripartire, credo sia in buono stato...»
«Sai, l'unico meccanico che conoscevo è... be'... è morto...», disse cercando di essere un po' ironica.
«Be'... forse io un paio di meccanici bravi li conosco...», la canzonò lui.
E risero entrambi.
Era bello quando rideva, pensò Josie.
«Come stai?», chiese lei ad un tratto, facendolo voltare verso di sé.
«Ora sto meglio.», rispose serio guardandola dritto negli occhi.
A Josie, tutto ad un tratto, l'interno della 500 cominciò a sembrare decisamente molto piccolo, lui era davvero tanto vicino da sentire il calore del suo respiro, così vicino da riuscire a distinguere le minuscole striature grigie nel verde delle sue iridi, e, per un secondo, nell'istante in cui Charles spostò lo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra, pensò che qualcosa stava per accadere.
Ma lo squillo di un cellulare fece sussultare entrambi spezzando qualunque cosa si fosse creata tra loro.
Josie afferrò il telefono dalla sua piccola borsa e vide che era Maggie. Decise di non rispondere ma notò l'ora: erano passate le due del pomeriggio e lei era sparita dalla mattina senza farsi sentire.
Era il caso di tornare allo CHERIE.
«Tutto ok?», chiese Charles notando il suo sguardo preoccupato.
«Oh sì, solo Maggie, sai sono scappata con la sua macchina stamattina, senza dirle dove stavo andando, mi avrà data per dispersa...», rise agitata, «Forse è meglio che torni allo CHERIE.»
«Sì, è il caso di andare anche per me, devo preparare la valigia per andare a Maranello e poi a Monza.»
Uscirono entrambi dall'auto e si avvicinarono alla saracinesca.
Stavano per chiudere quando Josie disse: «Ci sarò anch'io a Monza.»
Non aveva detto nulla a Maggie, e nemmeno a Carlos, in realtà neanche lei sapeva di aver deciso finché Charles non ebbe menzionato Monza, allora lei non ebbe dubbi: voleva andare.
Charles la guardò.
«Con Sainz.»
Non era una domanda ma un'affermazione, tuttavia Josie sentì il bisogno di rispondere: «Sì.», gli rivelò in un sospiro, «Magari... potrei passare...»
«Al box Ferrari?», continuò lui interrompendola e lei sorrise, grata che lo avesse proposto lui.
«Sì, se ti va... Sai, per un saluto...», pronunciò con tono insicuro, quasi avesse paura a dirlo.
«Certo che mi va, testolina!»
Lo faceva impazzire il pensiero di lei a Monza con Sainz, lo faceva impazzire l'idea di lei con Sainz in generale, ma avrebbe fatto l'amico, perciò la rassicurò con uno dei suoi perfetti sorrisi.
Josie riprese la Jeep e cercò di convincere il monegasco a non tornare a casa a piedi, ma Charles continuava a ripeterle che casa sua non era distante e che aveva voglia di fare una camminata, perciò lei lo lasciò andare e tornò allo CHERIE.
*****
Venerdì di prove libere, Monza
L'atmosfera di Monza era indescrivibile, il calore italiano era davvero coinvolgente per chiunque, ovunque ti giravi poi c'erano distese umane di colore rosso.
Non c'era alcun dubbio che Monza fosse il circuito della tifoseria Ferrari.
La mano di Carlos stringeva quella di lei come se avesse paura che potesse scappare da un momento all'altro, avevano attraversato il paddock per vie traverse evitando giornalisti e fotografi e avevano raggiunto velocemente e senza intoppi il box della McLaren.
Josie era felice di aver accettato la proposta di Carlos, ma nel momento che aveva messo piede lì, i suoi occhi lo avevano cercato in ogni angolo, ma di Charles neanche l'ombra.
Sapeva che prima o poi lo avrebbe visto, ma tutto ad un tratto ne era incredibilmente impaziente.
Sospirò attirando l'attenzione di Carlos che, premuroso come sempre, le chiese: «Stai bene?»
«Sì, certo!», rispose lei cercando di essere il più convincente possibile.
«Ok, ascolta, io ora devo andare, tu fai ciò che ti va di fare e se hai bisogno di qualcosa chiedi ai ragazzi nel box.», precisò Carlos poi le sfiorò le labbra con un bacio e andò a fare il suo lavoro.
Per Josie era tutto straordinariamente ammaliante: girovagava per il paddock incantata da ciò che la circondava.
Conosceva l'italiano, perciò riusciva a capire qualche discorso in atto vicino a lei e si trovò a sorridere a qualche battuta detta qua e là da giornalisti del posto, oppure da tifosi che aspettavano i loro beniamini.
Teneva stretto il suo pass appeso al collo e, mentre camminava intenta a guardare un bimbo bellissimo con la bandiera dell'Italia dipinta sulle sue guance paffute, finì dritta tra due grandi mani che le afferrarono le braccia impedendole una collisione.
Josie si girò di scatto e lo vide in tutto il suo splendore, con la sua bella tuta rossa e il suo viso così fiero di indossarla.
«Allora ci sei davvero...», le disse sorridendo.
Lei ricambiò il sorriso all'istante e con occhi carichi di gioia, gli rispose: «Te l'avevo detto che ci sarei stata!»
Buttò l'occhio alle spalle del pilota e vide la sagoma di Andrea, la sua ombra, allora educatamente gli sorrise e salutò anche lui:
«Ciao, Andrea.»
Sorpreso che lei si ricordasse il suo nome, lui ricambiò calorosamente il suo sorriso con un: «Ciao!», poi arretrò leggermente per dare ai due ragazzi un po' di privacy.
Il monegasco guardò intensamente negli occhi della ragazza, era felice di vederla e l'impulso di portarla con sé, di farle vedere il suo mondo, la sua macchina, e di passare il tempo con lei era fortissimo ma era consapevole che era lì con un altro, perciò continuando a sorridere le chiese: «Come stai?»
Ma Josie non poté rispondere perché dal nulla sbucò una biondina vestita di rosso, sul pass c'era scritto: "Mia - Press Officier", si avvicinò a Charles e con tono deciso gli disse: «Siamo in ritardo, Charles, ci sono le interviste, dobbiamo andare.»
Charles si girò in direzione di quest'ultima, le fece un cenno di assenso con la testa, le disse: «Arrivo!», poi si voltò di nuovo verso Josie e sospirando si scusò: «Mi dispiace... devo andare...»
«Lo so, stai tranquillo!
Sulle sue labbra un sorriso comprensivo.
Si scambiarono un ultimo lunghissimo sguardo, quasi a voler memorizzare ognuno il viso dell'altro, poi si allontanò da lei e andò via confondendosi tra la folla.
Josie rimase immobile, si guardò intorno circondata dai rumori e dalle persone, ma non riusciva a sentire niente se non il battito del suo cuore che tamburellava all'impazzata nel suo petto.
*****
Il venerdì di prove libere passò in fretta lasciando spazio al sabato di qualifica, ben più importante per i piloti, in quanto avrebbe definito la griglia di partenza.
Fu decisamente un sabato agitato e confuso, tra strategie e incomprensioni di pista.
Una qualifica del tutto anomala, ma Charles segnò il miglior tempo, ciò significava un'altra pole.
Josie si tolse le grandi cuffie che le avevano dato nel box della McLaren e non poté nascondere il piccolo sorriso che le si formò sulle labbra.
Charles era dannatamente veloce!
Di certo era fiera di entrambi i suoi piloti, anche Carlos era stato bravo, si mise in un angolo con i suoi pensieri a tenerle compagnia e attese il rientro dello spagnolo che avvenne dopo poco.
Lo vide uscire dall'abitacolo della sua monoposto, sfilarsi il casco e dopo aver scambiato qualche parola con i meccanici avvicinarsi a lei.
Era completamente sudato, con un gesto veloce della mano si slacciò la cerniera della tuta e con un asciugamano si tamponò il sudore, Josie non poté negare che fosse davvero sexy: l'abbronzatura dorata della sua pelle e quegli occhi profondi color cioccolato toglievano inevitabilmente il respiro.
Lei non era per niente immune al suo fascino, ma si rese conto che il suo cuore non ebbe la stessa reazione del giorno prima all'incontro con Charles nel paddock.
Una volta vicino, Carlos la salutò: «Ehi, ti sei annoiata?»
«Scherzi? No! Mi piace, lo sai!»
Josie sorrise.
«Ascolta, devo parlare con il team di alcune cose, puoi avere un altro po' di pazienza?», chiese Carlos preoccupato che lei potesse sentirsi ignorata
«Certo, figurati! Non è un problema!»
Le diede un bacio sulla guancia, evitando troppe effusioni. Per quanto fra loro ci fosse intimità, Carlos sapeva che Josie non voleva avere una relazione ufficiale e a malincuore accettava la cosa.
Non appena lo spagnolo si allontanò, il cellulare nelle mani di lei vibrò per l'arrivo di un messaggio, guardò il display e il suo cuore riprese di nuovo con i suoi battiti anomali.
Da: Charles
Caffè? Puoi?
Josie si lasciò sfuggire un sorriso e digitò subito una risposta.
Da: Josie
Volentieri!
Il nuovo messaggio di Charles arrivò un secondo dopo il suo.
Da: Charles
Due minuti e sono lì.
Da: Josie
Ok.
Si guardò intorno e vide che non c'erano molte persone, quasi tutti erano impegnati nella riunione, perciò nessuno si sarebbe accorto della sua piccola fuga.
Aspettò un minuto ancora e poi si incamminò all'esterno del box.
Appoggiato ad una parete in un angolo, Charles la stava aspettando mentre maneggiava il suo cellulare.
Era impossibile non notarlo avvolto da tutto quel rosso, ma era normale che ci fossero i piloti in giro nel paddock, per cui nessuno dette particolare importanza alla sua presenza se non lei che si avvicinò sorridendo.
«Ehi, straniero!»
Lui alzò il viso e sfoggiò il suo luminoso sorriso.
Camminarono lontano dalla confusione, il monegasco conosceva vie più isolate, in modo da non essere disturbati da giornalisti e fans.
Non era particolarmente assolato quel pomeriggio ma faceva comunque caldo.
Charles si sfilò la parte superiore della sua tuta rossa e la legò in vita dalle maniche, rimanendo così con la sottotuta bianca aderente.
Involontariamente gli occhi di Josie si soffermarono sul suo fisico asciutto, poteva notare ogni singolo muscolo ben definito, le spalle larghe e il suo collo. Sì, Charles aveva proprio un bel collo, pensò.
Sentì una forte scossa di calore proveniente dal basso propagarsi in tutto il suo corpo, come una vampa infuocata, e il pensiero di essere accarezzata da lui le invase la mente.
Charles si accorse del suo sguardo su di lui, si girò e sorridendo le chiese: «Che c'è?»
Josie arrossì imbarazzata e velocizzò il passo, balbettando un "niente" a mezza bocca, provocando in lui un sorriso malizioso appena pronunciato.
Arrivarono davanti un piccolo fabbricato adibito in occasione del paddock che faceva caffè di ogni genere.
Charles si avvicinò e ordinò due caffè americani d'asporto.
Con i loro bicchieri in mano si appoggiarono ad un muretto vicino, e Charles disse: «Allora, com'è sentire il rombo di un motore dai box?»
Josie gli riservò uno sguardo pensieroso e poi sorridendo, pronunciò: «Adrenalinico?»
«Ottima risposta!», si complimentò Charles ridendo.
Erano fianco a fianco e sorseggiavano i loro caffè, le loro braccia si sfioravano e ad entrambi piaceva quella sensazione, era come se avessero bisogno di quel piccolo e innocente contatto tra loro per sentirsi completi.
«Allora, un'altra pole, eh!», lo stuzzicò gioiosa.
«Sì!», affermò lui sorridendo.
«Ho trattenuto il respiro per tutto il tempo! E poi... e poi sei stato bravissimo!»
«Oggi è successo un gran caos, ma è andata bene, ora devo pensare a domani... è tutta gioia oggi, però voglio che sia tutta gioia anche domani...», rise un po' delle sue stesse parole, ci teneva davvero a vincere a Monza.
Josie lo guardava e vedeva l'emozione con cui pronunciò quelle frasi, Charles era così speciale che si meritava ogni cosa, anche la luna, se la desiderava.
«Sarà tutta gioia anche domani, vedrai!», disse e si avvicinò a lui posandogli un leggerissimo bacio sulla guancia, poi gli sussurrò sorridendo: «Domani vincerai.»
«Come lo sai?», chiese serio guardandola.
«Me lo sento...», rispose lei, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Continuava a fissarla dritta negli occhi e pensò che fossero davvero belli, così grandi e profondi. Uno di quei giorni avrebbe dovuto dirglielo... Sì, doveva decisamente dirle che aveva degli occhi bellissimi.
«Josie, io...»
Fece appena in tempo a pronunciare il suo nome che venne interrotto da una voce che la richiamò con un tono più alto.
«JOSIE!»
Si girarono entrambi di scatto in direzione del richiamo, trovandosi Carlos poco distante da loro che spostava lo sguardo da Josie a Charles e poi di nuovo sulla ragazza che si alzò immediatamente.
«Carlos!», disse il suo nome sorridendo, forse con un pizzico di nervosismo.
Intanto il monegasco si era raddrizzato dietro di lei salutando con un gesto della mano il collega spagnolo.
«Ti cercavo... ma nessuno ti aveva vista.», l'accusò gettando uno sguardo poco amichevole a Leclerc dietro di lei.
«Scusami, ho incontrato Charles e abbiamo preso un caffè insieme!», spiegò con un tono molto più tranquillo di prima, in fondo era un po' la verità e non avevano fatto niente di male... e poi non c'era motivo di essere nervosi.
Carlos la guardò per una frazione di secondo in silenzio, fu allora che Charles fece un piccolo passo avanti fino a stare di fianco a lei, così che, nel caso di un alterata reazione di Sainz, avrebbe potuto prendersi lui la colpa di quel caffè.
Ma lo spagnolo restò tranquillo e disse solo: «Se non ti dispiace, vorrei tornare in albergo adesso.»
«Sì, certo, arrivo!»
A Josie non piacque molto il tono di Carlos, ma non voleva farglielo notare in quel momento davanti a Charles, perciò gli rispose mantenendo un tono gentile.
Poi si voltò verso il ferrarista: «Grazie per il caffè e buona fortuna per domani!»
Sorrise e si avvicinò a Carlos, che non poté fare a meno di avvolgere un braccio intorno al collo della ragazza mentre si voltavano.
Charles li vide allontanarsi e un fastidioso bruciore gli si annidò alla bocca dello stomaco.
*****
Mentre si allontanavano dal monegasco, Carlos non perse tempo e le domandò: «Cos'era tutta quella confidenza con Leclerc?»
«Siamo amici.», rispose lei, senza distogliere lo sguardo dall'asfalto.
«E esattamente da quando siete così amici da prendere il caffè insieme?»
«Precisamente dal Gran Premio di Monte Carlo!», esclamò infastidita dal tono sprezzante della voce di lui.
«E perché non mi hai mai detto niente?», continuò lui senza cambiare il suo tono provocatorio.
«Non me lo hai mai chiesto.», rispose lei freddamente.
Iniziava ad innervosirsi da tutte quelle domande e insinuazioni, ma lui sembrò non recepire il messaggio perché continuò imperterrito: «Non mi era sembrato di vedere tanta confidenza tra voi in barca.»
Questa volta il suo tono fu parecchio aggressivo, tanto che Josie si staccò immediatamente da lui e indispettita disse: «Be', ti sbagli! Quella volta in barca mentre tu eri svenuto, io ero incastrata in quella dispensa ricoperta d'acqua e, se non fosse stato per Charles che mi è venuto a cercare e mi ha aiutata, non so se sarei qui a parlarne con te!»
Fece una pausa riflettendo anche lei sulle sue stesse parole, poi continuò: «Perciò sì, siamo amici. Mi piace essere sua amica e se non ti sta bene non è un mio problema.», detto ciò, accelerò il passo e si diresse verso l'uscita del paddock.
Quella sera non fu tra le migliori tra loro, lei seduta sul letto della camera che condivideva con Carlos si teneva occupata al cellulare, completamente in silenzio.
Lui era appena uscito dalla doccia, silenzioso quanto lei, e girovagava per la stanza a petto nudo con solo un asciugamano in vita, finché non si fermò ai piedi del letto di fronte a lei.
«Non volevo litigare prima, ma mi ha dato fastidio vederti con un altro.», le disse con voce pacata, nel tentativo di chiarire la questione tra loro e fare pace.
«Non sono tua, Carlos, mi sembrava di essere stata chiara su questo. E posso avere degli amici! Lui è un amico e io voglio essere sua amica.»
Si alzò dal letto e si avvicinò a lui.
«Neanch'io voglio litigare, perciò possiamo non parlarne?»
Josie sperava che così dicendo avrebbe messo a tacere le domande di Carlos, ma anche le sue di perplessità, perché ciò che provava per Charles stava esplodendo giorno per giorno.
Qualunque cosa fosse, stava crescendo prepotentemente nel suo cuore, insieme alla confusione nella sua testa.
Carlos si avvicinò a lei, appoggiò le mani ai suoi fianchi stringendola a sé e sfiorandole il collo con le labbra, lei chiuse gli occhi alla piacevole sensazione di calore che le dava il suo corpo e si abbandonò sul letto sospinta da lui.
Era sicuramente un buon modo per fare pace, ma Josie non riusciva a lasciarsi andare.
Quella sera la sua mente era occupata da un altro sorriso.
Si staccò da Carlos, gli accarezzò il viso e disse: «Scusami, ma stasera no.»
«È tutto ok?», sussurrò lui.
«Sì, sono solo stanca.», mentì, poi sorrise e lo baciò dolcemente.
*****
8 settembre Monza
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Tutto era pronto per l'inizio di quella gara tutta italiana, le monoposto erano a riposo nelle loro posizioni sulla griglia di partenza, i fotografi cercavano di rubare gli ultimi scatti prima del fuoco della corsa.
Alcuni piloti terminavano le ultime interviste pre-gara, altri salutavano il pubblico caloroso e altri ancora si avvicinavano alla linea dove si sarebbe svolta l'esibizione delle frecce tricolore e sarebbe stato intonato l'inno italiano.
Charles era già in posizione, fissando il suo cappellino tolto per rispetto verso l'inno, quando gli si affiancò Sainz, alzò lo sguardo verso di lui e lo salutò con un cenno del capo e una sorta di sorriso, se così si poteva chiamare.
Carlos ricambiò il saluto dicendo: «Leclerc.», sembrava fosse finito lì il loro confronto, ma poi lo spagnolo con tono determinato aggiunse: «Sta' lontano da lei.»
Charles si voltò di scatto verso di lui e vide i suoi occhi tutt'altro che amichevoli, il monegasco respirò profondamente, ridusse gli occhi a fessura scrutando il suo viso poi guardò di nuovo il cappellino rosso che stringeva tra le mani e rispose: «Finché non sarà lei a dirmelo, non andrò da nessuna parte.»
La sua voce era seria e decisa: voleva la guerra? Lui era pronto.
Carlos si girò a guardarlo sorpreso e irritato dalla risposta del ferrarista, stava per parlare ma l'inno scandì le sue prime note concludendo così la questione.
Una delle gare più intense che Josie avesse mai visto in vita sua, ma forse fu così perché era la prima volta che il suo cuore era in gara insieme alle monoposto per ben due motivi.
Il primo fu che Sainz non concluse la gara, costretto al ritiro, e, una volta sceso dalla macchina, non si avvicinò a lei, le fece solo un cenno veloce, per poi essere rapito da alcuni del team, probabilmente per interviste e altro; sta di fatto che sparì.
Il secondo fu per Leclerc. Sì, Charles era il motivo per cui le mani le sudavano terribilmente e il suo cuore accelerava e decelerava ad ogni curva e rettilineo di quella pista insieme con la sua monoposto.
Aveva gli occhi completamente fissi su quello schermo, mancavano gli ultimi tre giri e poteva sentire dal respiro e dalla voce di Charles nel team radio che era completamente esausto.
Poi le parole del cronista misero fine a quel calvario: «Il predestinato vince il Gran Premio di Monza!»
Dopodiché ci fu il delirio.
Un'intensa gioia scoppiò nel cuore di Josie che si guardò intorno nel box: di Carlos non c'era neanche l'ombra e nessuno prestava attenzione a lei, quasi tutti attratti dal caos esterno.
Il suo corpo iniziò a muoversi spontaneamente, dapprima camminando, poi un passo dopo l'altro sempre più veloce fino a ritrovarsi a correre e farsi spazio fra quelle persone.
Raggiunse il box Ferrari ed entrò, sapeva perfettamente che lui non c'era ma voleva cercare qualcuno che potesse portarla da lui, per sua fortuna si scontrò con Andrea che vedendola un po' agitata le chiese: «Josie, tutto ok?»
Lei fece un grande sorriso e affermò: «Sì, ma devo vederlo.»
Andrea non aveva bisogno di far precisare a Josie di chi stesse parlando, lo sapeva perfettamente, così sorridendo a sua volta l'afferrò per un braccio e le disse: «Seguimi.»
Attraversarono tutta la parte posteriore del paddock e arrivarono ad una scalinata di ferro che portava ad una porta sul retro di un edificio.
Prima di salire le scale Josie lo fermò e disse: «Aspetta, Andrea, se ci sono telecamere è meglio di no, perc...»
Andrea non la lasciò finire: «Nessuna telecamera, tranquilla, ma ci dobbiamo sbrigare.»
Ripresero a spostarsi, salendo le scale, entrarono in un corridoio lungo e stretto fino a raggiungere una porta di sicurezza, Andrea si fermò e bloccò anche lei: «Resta ferma qui, non ti muovere per nessun motivo al mondo finché non torno.»
«In che senso...? Ma perché, dove vai...?», gli domandò Josie agitata.
«Resta solo qui, in silenzio, fidati. Tranquilla!»
Sospirò e fece come lui le aveva detto, Andrea sparì dietro quella porta e a Josie si presentarono nella mente tutti gli scenari più assurdi.
Cosa le era passato per la testa? Cos'era quel posto? Si era fidata di Andrea, ma non lo conosceva per niente e se era un pazzo?!
Alcune voci aldilà della porta e il rumore della porta stessa che si apriva cicolando la strapparono dai suoi strani pensieri.
Si girò verso di essa facendo un paio di timidi passi.
Era nervosa, molto nervosa. Con una mano si appoggiò al muro per avere più sostegno e poi la porta si aprì completamente e Charles entrò in quel corridoio.
La guardò e appena i loro occhi si incrociarono si sorrisero.
Lui immediatamente si precipitò da lei e, sorprendendola, la strinse tra le braccia sollevandola un po' da terra, lei ridendo a quel gesto inaspettato lo abbracciò, incastrando il viso nell'incavo del suo collo e disse: «Te lo avevo detto che avresti vinto.»
Lui la strinse ancora di più facendola ridere più forte, stare tra le sue braccia era così perfetto che Josie non avrebbe voluto staccarsi mai più.
Nonostante Charles fosse completamente sudato aveva comunque un buonissimo odore, un odore così dolce e familiare.
Avrebbe voluto stare lì e fermare il tempo, ma non poteva essere così.
Dopo pochi secondi, lui l'appoggiò di nuovo a terra, si staccò da lei prendendole il viso tra le mani e la guardò dritta negli occhi, lei appoggiò le mani su quelle di lui e ricambiò lo sguardo sorridendo.
«Josie, io...»
Era la seconda volta che Charles cercava di parlarle per dirle che lei era importante per lui, per dirle che i suoi occhi erano bellissimi.
Ma si rese conto che non era né il luogo né il momento adatto, aveva bisogno di tempo per quello e adesso non lo aveva: doveva salire sul podio, su uno dei podi più belli della stagione, su quel podio che lui desiderava da tantissimo ed ora lei lo aveva reso ancora più speciale perché era andata lì per lui.
La porta si aprì di nuovo ed entrò Andrea, interrompendo il loro momento, dietro Andrea sbucò anche Mia che gli disse: «Charles, un minuto ancora e devi essere sul podio.»
Il monegasco allontanò le mani dal viso di lei e rispose con un semplice: «Arrivo!», senza distogliere lo sguardo da Josie.
Andrea fece un cenno a Mia, facendole capire che ci avrebbe pensato lui, così Mia chiuse la porta dietro di sé.
Josie dolcemente gli disse: «È meglio che vai, Charles, devi ritirare una coppa!», e rise emozionata.
«Sì, devo!», poi buttò fuori un grosso sospirò.
Andrea discretamente parlò: «Charles... devi...»
«Lo so, lo so.», guardò di nuovo lei e le disse con rammarico: «Devo andare!»
«Vai!», gli sussurrò sgranando gli occhi e sorridendo di nuovo.
«Ok, noi ci vediamo dopo. Non andare via, testolina, dico sul serio! Non andare via!»
Le prese di nuovo il viso tra le mani e la baciò velocemente sulla testa, il suo naso tra i profumati capelli di lei, poi si girò e uscì dalla porta dove era entrato, lasciando Josie lì, inerme.
Ancora sentiva la sensazione delle sue labbra sulla sua fronte.
Il suo sorriso gioioso pian piano si spense, consapevole che non sarebbe potuta rimanere.
Aveva promesso a Carlos che avrebbe passato due giorni in Italia con lui, solo loro due, e lei manteneva le sue promesse.
Andrea osservò il suo viso non più luminoso come qualche istante prima e le disse: «Non resterai, vero?»
Lei lo guardò tristemente e rispose: «Non posso.»
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