UN ATTIMO ANCORA (cap 35)
Il mattino era già piombato nella stanza da un po', ma Charles e Josie sembravano non voler dare inizio alla loro routine quotidiana.
Chiusi nella camera del monegasco, in quell'appartamento poco lontano dal centro di Monte Carlo, si erano persi con sensualità tra le calde lenzuola.
Avevano aperto gli occhi alle prime luci del giorno, ma incapaci di abbandonare quel loro nido confortevole si erano crogiolati nel calore dei loro corpi.
Nemmeno il brontolio dello stomaco fu capace di farli staccare da quelle carezze appena sfiorate, da quei baci rubati, giocosi, appassionati. Era la necessità di un altro appetito ad essersi impossessata di loro. L'ardore di sentire sulla propria pelle la pelle dell'altro, due soldati in una dolce guerra di contatto tra le gambe che, silenziose, si intrecciavano sotto le coperte.
La dolcezza che inerme pian piano lasciava il dominio alla passione, alla carnalità, al bisogno fisico, mentale ed emotivo del possedersi.
Il corpo di lei era caldo sotto di lui, il piacere era dipinto sul suo splendido viso, gli occhi persi nell'oblio, e dalle sue labbra schiuse faceva capolino la lingua che timida le inumidiva.
Più si muoveva dentro di lei, più lei gemeva mordicchiandosi il labbro e inclinando la testa all'indietro. Vederla abbandonarsi così a lui, sciogliendo tutte le sue difese, lo mandava in estasi. Avrebbe fatto l'amore con lei ininterrottamente, solo per vedere la luce che irradiava quando la faceva sua.
Scivolò con la mano sul suo fianco, le prese la coscia avvolgendola amorevolmente intorno al suo bacino, palpandola la modellò come fosse creta tra le sue mani.
La sua pelle era liscia, cremosa, e sentirla a contatto con la sua era una sensazione impossibile da descrivere a parole, persino pensare di poterla spiegare era assurdo per Charles.
Si sentì estasiato da lei, dal suo profumo, dal modo in cui sfiorava con i polpastrelli sulla sua schiena, eccitandolo da morire.
Gli piaceva quando le sue labbra accarezzavano l'incavo del suo collo ansimando di piacere vicino al suo orecchio.
Si sentiva completo mentre si muoveva dentro di lei ed il modo che aveva di sussurrare il suo nome lo faceva sentire invincibile.
Era melodioso sulla sua bocca e anche in quel momento, affondando profondamente nella sua carne, lei lo aveva pronunciato e il suo respiro aveva vibrato sulla sua spalla provocandogli brividi interminabili lungo tutta la schiena.
Anche questo, insieme alle corse, era diventata la sua adrenalina.
L'orgasmo lo portò alle stelle in un istante, precipitandolo un attimo dopo di nuovo sulla terra.
Esausto. Appagato. Felice.
Abbandonò la testa tra la spalla ed il collo di Josie, i suoi capelli avevano il profumo muschiato del suo shampoo, profumavano di lui.
Era bello sentire il suo odore su di lei, lo illudeva che fosse sua, che gli appartenesse.
Ma Josie non era sua, era una anima libera troppo bella per essere proprietà di qualcuno, lui invece era completamente suo con ogni molecola del suo corpo.
L'amava così incondizionatamente che se avesse dovuto chiedere qualcosa a Dio tra quelle richieste c'era che lei restasse con lui per sempre.
Avere il suo amore per tutta la vita. Perché essere amato da Josie era la cosa più bella del mondo.
«Dio, inizio a non poter più fare a meno di questo...», sospirò affannosamente mentre il battito del suo cuore cercava di tornare regolare.
«Di cosa?», chiese lei sorridendo mentre le sue dita scivolavano su e giù per la sua schiena, dalla curva dei glutei fino a raggiungere la spalla.
Lui alzò il viso per guardarla, il suo respiro era tornato ad essere regolare, le infilò una mano tra il collo e i capelli e la baciò sensualmente.
«Di te, di ogni parte di te.», le sospirò sulle labbra.
«Non dovrai farne a meno...», sussurrò lei succhiando il suo labbro inferiore.
«Vieni con me ad Abu Dhabi, ti farò vedere dei posti meravigliosi e prenderò la camera più bella, quella con la vista mozzafiato, faremo l'amore tutta la notte e...»
«Ma chi sei tu?! Un diavolo tentatore travestito da angelo?!», disse lei ridendo, spostandosi un po' e coprendosi appena con il lenzuolo, permettendo così a lui di sollevarsi dal suo corpo e adagiarsi al suo fianco.
«Se fossi un diavolo non te lo chiederei, staremmo già tra le lenzuola degli Emirati Arabi.», le bisbigliò all'orecchio mentre una mano le accarezzava l'interno della coscia rimasta scoperta.
Josie rise stringendosi a lui e abbandonandosi alle sue labbra che delicatamente stavano scendendo sul collo appena sotto al lobo.
«Mmm... no... tu sei decisamente un diavolo con le ali...», mugugnò beandosi delle sue effusioni.
«Allora di' di sì... lasciati tentare... vieni ad Abu Dhabi con me.», ripeté ancora sfiorando la sua pelle e risalendo con le lunghe dita verso il suo centro caldo, pronto per ricominciare tutto da capo.
Josie appoggiò la mano su quella di lui, bloccandola proprio alla fine della coscia, poco distante dalla sua intimità.
«Non vale provocarmi in questo modo, Leclerc, mi fai essere poco lucida...», sussurrò mordendogli piano le labbra e scivolando sensualmente con la punta della lingua tra loro.
«Speri ti dica di sì seducendomi?»
Charles rise maliziosamente e famelico spostò gli occhi sulle labbra di lei.
«L'idea era quella. Farei di tutto per un tuo sì...», rispose assecondando il suo gioco e, afferrando la testa dietro la nuca, strinse delicatamente i suoi capelli nella mano tirandola a sé e baciandola voracemente.
Josie aprì la sua bocca, lo spinse contro il materasso e salì a cavalcioni su di lui, sussurrando sulle sue labbra: «Hai già ogni mio sì, Charles, ma non posso venire ad Abu Dhabi con te.»
Il monegasco portò le mani alla fine della sua schiena lasciata scoperta dal lenzuolo ormai aggrovigliato tra i loro corpi nudi.
Sfiorò con il naso con quello di lei più volte, baciando dolcemente le sue labbra.
«Lo so, è che... mi piace quando sei con me.»
La ragazza sorrise, «Anche a me piace quando sono con te... e sarà così. Io sarò con te qui.», asserì dolcemente puntando il suo indice su una tempia di lui, «E qui.», sussurrò scivolando con il palmo sul suo petto, proprio dove batteva il cuore.
Charles annuì baciandola ancora, audace lei fece scivolare lentamente la mano sul suo addome fino a raggiungere l'inguine.
«E se lo vorrai... anche se lontani... in qualche modo potrei essere anche qui...», sospirò cercando disperatamente la sua bocca mentre lo sentiva crescere di desiderio nel suo palmo.
La Stelvio dal rosso bordeaux approdò nel vialetto a Charles decisamente familiare. Spense il motore e si voltò a guardare Josie che curiosa si guardava intorno osservando ogni minimo particolare di quel cortile che un tempo, probabilmente, aveva accolto nei suoi spazi uno Charles bambino insieme ai suoi amici e fratelli.
Prima di riaccompagnare Josie allo CHERIE, aveva deciso di passare da sua madre per lasciarle il bucato da fare. Era capace di farsi le lavatrici da solo, ma c'erano alcuni indumenti che aveva il terrore di rovinare, per cui quando poteva approfittava dell'amorevole disponibilità della mamma.
Quella mattina crogiolarsi nel confort del letto e nella lussuria dei loro corpi aveva fatto perdere ad entrambi la cognizione del tempo, arrivando così all'ora di pranzo senza che loro se ne accorgessero.
«Sei sicura di non voler entrare?», le chiese Charles con aria un po' triste, voltandosi verso di lei e distraendola dai suoi pensieri di lui da bambino.
Si girò a guardarlo elaborando la sua domanda e abbassò lo sguardo sulle mani.
«Non... io non... forse è meglio di no...?!», farfugliò indecisa mordendosi imbarazzata un labbro.
Il monegasco sorrise appena e sporgendosi verso di lei le baciò la punta del naso.
«Sono quasi sicuro che non morde, è abbastanza docile e di piccola statura... a volte è anche dolce.», spiegò con ilarità descrivendo la mamma e cercando in qualche modo di tranquillizzarla.
Josie rise alle sue parole scherzose.
«Quanto sei scemo!», esclamò dandogli un buffetto sulla spalla tentando anche lei di rilassarsi.
Conoscere la mamma di Charles l'agitava, e farlo in modo così improvviso, in una mattina qualsiasi, indossando un jeans e un maglioncino qualunque, la metteva un po' a disagio.
Non che avesse chissà quali abiti importanti nell'armadio da indossare in un'occasione del genere, ma in quel momento, dopo che aveva passato tutta la mattina a fare l'amore con il figlio e si era vestita di fretta senza sapere cosa la giornata le avrebbe riservato, si sentiva completamente in disordine e in imbarazzo.
Guardò davanti a sé gli scalini che portavano alla grande casa, poi tornò a guardare Charles.
«Tu al mio posto che cosa faresti? Sì... Insomma, se fossi tu a dover incontrare mio padre così... così improvvisamente... che faresti? O meglio, che cosa avresti fatto?»
Il ragazzo allungò una mano per portarla sul suo viso e accarezzarle la guancia.
«Se potessi, morirei dalla voglia di conoscere tuo padre.», le sussurrò guardandola dritta negli occhi.
Il cuore di Josie si riempì d'emozione sentendolo dire quelle parole e sorrise ricambiando intensamente il suo sguardo.
Anche lei desiderava che il padre fosse vivo per potergli far conoscere Charles, per raccontargli di quanto fosse speciale e di quanto la rendesse felice, ma a Charles questo non era stato concesso purtroppo.
Lei però aveva la possibilità di conoscere la mamma di Charles e forse lui ci teneva che succedesse. Invece si era comportata come un'egoista, aveva pensato solo al suo stupido stato d'animo agitato, ignorando lo sguardo deluso del ragazzo quando alla sua proposta di entrare insieme a lui in casa si era irrigidita rispondendo un secco no.
Charles non meritava quel no.
«Ok.», sussurrò sulle sue labbra dopo averlo baciato, provocando su di esse un buffo sorriso.
«Ok cosa?», chiese scivolando con lo sguardo alla sua bocca.
Josie rise alla sua finta confusione. «Ok entro con te.», precisò guardandolo con timidezza cercando di nascondere il rossore sulle sue guance che sentì avvampare all'istante.
«Non voglio che ti senti costretta a salire...», disse Charles, provando a non sorridere troppo per la felicità di farla conoscere alla mamma, «...insomma, se tu non vuoi non...»
«No, no, non è che non voglio...», spiegò interrompendolo e indicando se stessa con le mani, «...è che sono in disordine... spettinata... non voglio sembr...»
«Cosa?! Josie, sei bellissima!!! Se è questo il problema non hai nulla di cui preoccuparti. Ti prego usciamo da quest'auto prima che tu ritiri quell'ok!», esclamò incredulo su ciò che aveva detto del suo aspetto.
Negli ultimi minuti, in quella dannata macchina mentre lei parlava, non aveva fatto altro che pensare a quanto fosse perfetta e lei invece aveva paura di essere inadeguata.
Il monegasco uscì dall'auto, aprì lo sportello posteriore afferrando il sacco degli indumenti e si apprestò a raggiungere Josie dall'altro lato, la quale lentamente uscì dall'abitacolo.
Salirono le scale che li portò al fatidico portone e, fermi sulla soglia, Charles suonò.
«Ho le chiavi, ma viste le circostanze...», chiarì guardandola con occhi brillanti, felice che lei fosse lì.
Quando la mamma non aprì e non accennò minimamente ad aver sentito il campanello, il monegasco tirò fuori le chiavi e le infilò nella serratura, spalancò piano la porta infilando dentro il grande sacco dei panni sporchi e facendo spazio a Josie per lasciarla entrare, seguendola subito dopo nel grande atrio della casa.
«Mamma?», chiamò.
La ragazza restò ferma vicino all'entrata, le braccia strette al corpo e le mani unite insieme abbandonate contro le proprie gambe.
«Forse dovremmo aspettare qui...», propose a voce bassa mentre Charles si muoveva verso il salone chiamandola di nuovo: «Mamma?!»
«Eccomi! Arrivo! Sono in cucina!», urlò una vocina lontana proveniente da un angolo della casa.
Sbucò dal nulla dietro ad un uscio una donna minuta, bionda e di bell'aspetto.
In mano aveva un telo di stoffa colorato, si stava asciugando distrattamente le mani mentre guardava sorridente davanti a sé.
«Stavo frullando la salsa e avevo le man...», la donna si bloccò all'istante quando vide la ragazza di fianco all'adorato figlio, il sorriso che aveva sulle labbra lentamente si spense e fece correre i suoi occhi sul corpo della giovane completamente immobile nel suo salotto, «Ciao.», disse dopo interminabili secondi di silenzio.
«Ciao!», rispose Charles sorridente avvicinandosi a lei e baciandola sulla guancia poi, voltandosi verso la piccola e agitata Moreno, disse: «Lei è Josie. Josie, mia mamma.»
Mamma Leclerc osservò attentamente la giovane poco distante da lei e diversi pensieri le balenarono alla mente, tra questi pensò che fosse graziosa, un po' magrolina, forse, non tanto alta, ma aveva dei capelli a suo avviso molto belli, di un marrone che le ricordava il bel colore delle castagne. Il suo viso era dolce, i suoi occhi erano grandi e, cosa più importante per lei, sembravano sinceri.
La ragazza timidamente si fece avanti e alzò la mano verso la bella donna bionda, per sua fortuna l'agitazione non le impedì di sorridere dolcemente e nel modo più sincero che conoscesse, «Salve, signora.»
«Pascale. Sono Pascale.», ribatté la mamma di Charles con tono pacato, non propriamente caloroso, ma gentile.
«È un piacere, signora Pascale.», precisò Josie usando il nome che le aveva appena suggerito.
«Sì... anche per me...», disse la donna, «...e una sorpresa.», specificò lanciando uno sguardo allarmato al figlio.
Il monegasco rise agli occhi sgranati della mamma e trovò molto divertente il modo in cui lei continuava a guardarlo. Aveva tutta l'aria di essere rimprovero, come se da un momento all'altro stesse per alzare una mano e tirargli le orecchie per averle fatto quella che lei, in quel momento, ne era sicuro, ritenesse un'imboscata.
Conosceva bene la donna che l'aveva messo al mondo e sapeva perfettamente che non le piaceva essere colta di sorpresa, ma neanche lui aveva pianificato quell'incontro.
Si sentiva felice e aveva il bizzarro desiderio di volerlo urlare a tutti, prima fra tutti sua mamma.
Il momento però sembrò non risultare dei migliori, perché nella grande sala scese uno strano silenzio imbarazzante, tipico di quelle situazioni inaspettate in cui vorresti dire tante cose per sdrammatizzare l'atmosfera pesante, ma qualunque cosa la mente elabori sembra stupida e banale.
Josie avrebbe voluto in quell'istante poter riavvolgere il nastro e tornare al momento della macchina, desiderò per una bella frazione di secondo di aver ripetuto il suo no categorico alla proposta di Charles e lo pensò fino a quando la donna, sorridendo improvvisamente, esclamò: «Restate a pranzo?», il modo di proporre l'invito fu incerto e un po' agitato, ma alleggerì sicuramente la situazione.
Charles girò immediatamente la testa verso la piccola Moreno.
«Non so se Josie può...», la guardò negli occhi cercando di capire se l'idea le facesse piacere.
Non voleva tirare troppo la corda e trascinarla ancora in un vortice di emozioni scomode per lei.
Ma la ragazza lo stupì.
Senza staccare gli occhi da quelli di lui, sorrise, «Per me va bene... se non diamo troppo disturbo ovviamente.», aveva capito che a Charles sarebbe piaciuto restare e voleva farlo felice.
«No, nessun disturbo!», la rassicurò Pascale con il suo tono pacato, «Stanno per arrivare anche i tuoi fratelli...», disse rivolgendosi a Charles e, incamminandosi velocemente verso la cucina, aggiunse: «Porta quei panni nella lavanderia se non ti dispiace, devo controllare l'arrosto!»
Il monegasco guardò la ragazza ancora immobile nella sala di sua madre, sembrava avesse trattenuto il respiro per tutto il tempo e solo dopo che la donna si fu allontanata la vide respirare di nuovo.
«Sei sopravvissuta.», la prese in giro ridendo e baciandole il naso una volta avvicinatosi a lei.
«Oooh... volevo sprofondare dalla vergogna e dall'imbarazzo finché non ci ha invitato a pranzo!», esclamò lei coprendosi il viso con le mani e buttandosi completamente contro il petto di lui che rise rumorosamente della sua disperazione.
«Sembra minacciosa, ma, credimi, è innocua!», asserì con un sorriso divertito stampato in faccia, poi aggiunse: «Le piaci.»
«Fossi in te non sarei così sicuro, ti guardava come se stesse per strozzarti!», bofonchiò nel suo petto.
Charles rise di cuore alla sua affermazione.
«Quello era per colpa mia, non per te! Lei odia essere colta impreparata... tutto qui. Ma le piaci. Credimi, la conosco.», le prese il viso tra le mani e alzandole testa verso di lui, si assicurò che lo guardasse negli occhi, «E poi l'importante è che piaci a me.», affermò con tono serio.
Josie non disse nulla a quell'affermazione, sorrise solo all'amorevole sguardo di lui che, pizzicandole giocosamente un fianco, aggiunse: «Vieni portiamo i panni di là.», così afferrandola per la mano la portò con sé.
***
Il pranzo fu tranquillo, perfino estremamente piacevole in diversi momenti. I fratelli di Charles erano simpatici e spigliati. Riuscirono a metterla subito a proprio agio senza farla sentire nemmeno per un secondo un'ospite, scherzarono tra loro e le raccontarono di qualunque cosa il loro fratello famoso avesse combinato quando era solo una piccola pulce.
Lorenzo, il più grande, era quello che più assomigliava a Charles.
Anche lui moro, vantava una bella chioma fluente, il suo naso era un po' più pronunciato rispetto a quello del ragazzo di cui era innamorata e fisicamente Lorenzo era più basso e mingherlino rispetto a suo fratello minore. Be', se doveva essere del tutto onesta, non era affatto paragonabile al fisico di Charles.
Arthur era molto dolce. A primo impatto guardandolo nell'insieme non avrebbe detto che assomigliasse a Charles: era biondo, occhi chiari anche lui, ma più piccoli, ed il suo viso rispetto a quello del suo pilota era più stretto e allungato. Ma, se poi si osservavano i particolari, si poteva inevitabilmente notare che avessero la stessa bocca, lo stesso modo di sorridere e spesso anche l'intensità dello sguardo le ricordava lui.
Osservando quelle differenze, Josie si voltò a guardare Charles, stava ridendo spensierato di qualcosa che Lorenzo gli aveva detto e lei non poté far a meno di pensare che per quanto i suoi fratelli gli somigliassero lui era il più bello tra i tre.
Josie fu ammaliata dal calore che c'era intorno alla tavola con tutti loro insieme e fu sorpresa di vedere una nuova parte di Charles che ancora non conosceva. Uno Charles figlio e fratello.
La sua attenzione cadde poi su quella piccola donna bionda che, alternando lo sguardo tra i suoi tre figli, dava ad ognuno la sua importanza senza preferenze. E pensò al buon lavoro che aveva fatto con loro: aveva cresciuto dei bravi ragazzi, ognuno speciale a modo proprio.
La tavola era ormai spoglia di tutte le precedenti portate e Pascale alzandosi dal suo posto fece sapere: «Prendo il dolce.»
Josie approfittando di quel momento di relax intorno al tavolo chiese: «Dovrei andare in bagno, dove lo trovo?»
Charles subito si alzò.
«Ti faccio vedere, vien...», ma Arthur, più veloce di lui, si intromise: «Ti accompagno io, è al piano di sopra e devo andare un attimo in camera. Perciò possiamo andare insieme.»
Josie sorrise al più giovane dei Leclerc ringraziandolo e seguendolo nel grande atrio che portava alle scale. Charles nel vedere la ragazza tranquilla di seguire Arthur senza nessun'ombra di imbarazzo si rilassò e li lasciò andare sereno decidendo di aiutare a sparecchiare la tavola per fare spazio al dessert.
Presi i primi piatti e appoggiati nel lavello, venne sorpreso dalla domanda di sua madre che, senza spostare l'attenzione dallo spolverare di zucchero a velo la torta paradiso, chiese: «È per lei che hai posticipato la partenza per Abu Dhabi?»
Charles aggrottò la fronte e si voltò a guardarla.
«Cosa?! No!»
«No?!», insinuò ancora Pascale fermandosi da ciò che stava facendo per guardarlo, «Mi era sembrato di capire che dovevi partire ieri sera. Sbaglio?»
«No, non sbagli, ma alcuni sponsor hanno posticipato gli incontri di questo lunedì al mercoledì per motivi loro. Così ho chiesto se potessi posticipare la partenza a stanotte. Tutto qui. Potevo e l'ho fatto.», le spiegò il ragazzo guardandola e appoggiandosi al mobile della cucina.
La donna tornò alla sua torta e accennò un silenzioso sì con la testa, poco dopo però, incapace di mettere a tacere le sue preoccupazioni o la sua curiosità, senza sapere bene cosa sentisse dentro, parlò di nuovo: «Non stai perdendo di vista i tuoi doveri e i tuoi obbiettivi per... per una ragazza... vero?»
Il pilota monegasco scoppiò in una risata amara, «Mamma?!», esclamò incredulo sgranando gli occhi.
«Cosa c'è?! Sono tua madre ed è normale farti delle domande che tu non faresti mai a te stesso.» gli spiegò lei in sua difesa.
«Oh, credimi, me le sono fatte invece. Come se non mi conoscessi! Tutta la mia vita è essere pilota e niente mi distoglierà da questo.»
Puntò i suoi occhi chiari e sicuri verso quelli verdi di lei, così simili ai suoi, la lasciò osservare tutta la loro sincerità poi, mordicchiandosi l'interno della guancia e abbassando lo sguardo per rialzarlo solo un attimo dopo, aggiunse: «Mi piace tanto. Con lei mi sento come quando sono in macchina. Non mi distoglie dal mio sogno, lo completa.»
Pascale lo guardò intenerita, suo figlio era sincero e lo poteva percepire non solo dai suoi occhi ma da ogni singola parte di lui che urlava felicità.
Tentò di nascondere le lacrime voltandosi a ritoccare quel dolce ormai perfetto, ma, incapace di spazzare via la voglia di abbracciare il ragazzo di fianco a lei, si lasciò andare al sentimentalismo e gli avvinghiò le braccia intorno al busto.
«Ok. Non sono una mamma ficcanaso. Volevo solo essere sicura. Scusa.», brontolò nella sua felpa gialla, la sua preferita, facendolo ridere.
Charles stritolò la mamma in un abbraccio soffocante e sussurrò tra i suoi capelli: «Non mi devi chiedere scusa, mamma.»
«La verità è che è gelosa del suo figlio preferito!», la prese in giro Lorenzo, rivolgendosi a Charles per sdrammatizzare la situazione.
Il maggiore dei fratelli aveva assistito alla scena da distante e sapeva perfettamente dove la mamma volesse arrivare con il suo discorso.
Voleva sentirsi dire dal figlio di mezzo che aveva tutto sotto controllo. Non poteva biasimarla in fondo: Charles era passato dall'essere il suo bambino a diventare uno dei piloti più ambiti del motorsport, l'aveva visto crescere in fretta, accantonare le sue marachelle da ragazzo per essere già a giovane età un uomo maturo con grandi decisioni da prendere. Aveva dovuto imparare a condividerlo con la popolarità, i manager, gli sponsor ed i tifosi, ed ora anche con una ragazza.
Per quanto fosse fiera di lui e di ciò che era diventato, Lorenzo sospettava che un po' le mancasse il suo bambino.
«Sta' zitto, Lorenzo!!! Per me siete tutti uguali!!!», lo sgridò la donna lanciandogli la spugna dei piatti poggiata sul ripiano.
«Il preferito di chi?», domandò Arthur di ritorno insieme a Josie.
«Di nessuno! È solo tuo fratello che fa lo scemo!», rispose Pascale prendendo la torta.
«Quale dei due?», chiese Arthur ridendo, beccandosi una spinta da Lorenzo che rideva, mentre Charles incontrò lo sguardo di Josie che sorrise.
«Josie, ti piace la torta paradiso?», domandò la mamma dei tre, afferrandola per un braccio e avvicinandola al tavolo, lasciando i ragazzi indietro a ridere delle loro prese in giro reciproche.
Lentamente, mano nella mano, si avvicinarono al portico che affiancava lo CHERIE.
Era ormai scesa la sera e le temperature si erano abbassate di qualche grado, ma nonostante quello nessuno dei due riusciva a separare le loro mani intrecciate e a darsi la buonanotte.
Charles sarebbe partito per gli Emirati Arabi di lì a qualche ora e sarebbero passate due lunghe settimane prima che si potessero rivedere.
Per quanto risultasse duro e doloroso ai loro cuori mettere fine a quella serata e sopportare i giorni a venire, sapevano che dopo Abu Dhabi avrebbero goduto di un bel po' di tempo insieme. E questo bastava per combattere la nostalgia della separazione.
«Allora, è stata così dura conoscere la mia famiglia?», le chiese Charles tirandole il braccio e bloccandola sul primo gradino del portico.
Josie si avvicinò a lui ed infilò entrambe le mani dentro il suo giaccone che teneva leggermente aperto, provando a rifugiarsi dal freddo della notte.
«No... è stato bello a dire la verità... siete simpatici insieme», gli confessò sorridendo e, appoggiando il mento al suo petto, alzò il viso per guardarlo.
«Stai dicendo che da solo sono noioso?!», brontolò spostandole i capelli dalla fronte e facendola ridere.
«No, decisamente no... sei una delle persone più divertenti che conosca... dopo Daniel, ovviamente!», lo rassicurò senza allontanarsi dal suo corpo, godendosi il calduccio della sua vicinanza e ridendo al tempo stesso quando vide sul suo viso la presa di coscienza di ciò che gli aveva appena detto.
«Daniel?! Tu stai scherzando, vero?! Stai giocando con me!», la rimproverò mettendo su un piccolo teatrino di finti rimproveri, di pizzicotti sui fianchi e di morsi al lato del collo, continuando a farla ridere sempre più forte, finché non lo implorò di smettere.
«Sveglierò tutto il quartiere se non smetti di farmi il solletico... è tardi...», la sua voce ad un tratto si affievolì e tutte le risate dell'istante prima si spensero, «...e tu devi prendere un aereo. Devi andare, Charles.»
Il monegasco sospirò rumorosamente allontanandosi dal suo collo e abbassando la testa appoggiando la fronte alla sua disse: «Lo so. Devo andare.»
La sua voce era piatta, non perché non fosse entusiasta di una nuova gara, no, non era quello. Fremeva sempre quando si trattava di una nuova sfida, di curve, velocità e adrenalina allo stato puro. E non era nemmeno per il fatto che doveva mettere fine alla sua giornata con Josie, due settimane sarebbero passate in fretta e l'avrebbe rivista presto. No, era qualcos'altro che lo turbava. C'era qualcosa che gli cresceva al centro del petto e creava una strana malinconia nell'aria. Qualcosa che non gli permetteva di staccarsi da lei, dal suo corpo, dal suono della sua voce.
La ragazza lo baciò dolcemente e prese un po' di distanza da lui.
«Allora... buonanotte... chiamami appena arrivi, ok?», gli sussurrò.
«Mmm...», mugolò con assenso guardandola scivolar via dalle sue braccia e avviarsi verso il suo portone.
Ma l'istante dopo che le sue dita si staccarono da quelle di lei, Charles le afferrò di nuovo la mano e la tirò velocemente a sé, sorprendendola.
«Aspetta...»
«Charles...», sospirò lei sorridendo.
«Aspetta, ti prego...»
Il ragazzo le prese il viso tra le mani e in silenzio lo osservò in ogni piccolo particolare, come se volesse prendersi un attimo ancora per memorizzare la sua bellezza.
Portò le mani ai suoi capelli e li accarezzò scoprendole bene i dolci lineamenti, senza dire niente continuò a guardarla fino a incatenare gli occhi a quelli di lei e perdersi completamente in quelle perle nocciola.
«Vieni ad Abu Dhabi con me.», le chiese ancora una volta.
«Charles... io n...»
«Ti prego, vieni ad Abu Dhabi con me.», ripetè di nuovo implorandola.
Il modo serio in cui Charles la stava guardando e la lieve urgenza che percepì nella sua voce la confusero. Era dalla mattina che lui le chiedeva di seguirlo ad Abu Dhabi, sapeva bene il motivo per cui non poteva andare, nonostante questo lo proponeva di nuovo. Iniziò a sospettare che ci fosse qualcosa che non le diceva.
«Lo sai perché non posso venire con te...», disse dolcemente appoggiandosi alla carezza della sua mano, «Maggie ha bisogno di aiuto, non posso lasciarla sola a quel catering... e poi hai il volo fra poco, non farei comunque in tempo a...»
«Lo so...ma...»
«È stanca, Charles... devo restare.», precisò lei.
Il monegasco chiuse gli occhi stropicciandoli con frustrazione con le dita, come se volesse allontanare qualche malsano pensiero.
«Lo so... hai ragione! Scusa, non dovevo insistere.»
«No... no, non dire così...», gli prese la mano con cui si copriva il viso e l'allontanò per poter guardare i suoi occhi, «Charles, muoio dalla voglia di venire con te... e mi piace tanto che tu mi stia pregando...», sottolineò sorridendo, «Ma ho promesso a Maggie che ci sarei stata e non voglio infrangere la promessa.»
«Lo so.», si limitò a dire mordendosi l'interno del labbro.
«Sei strano...», considerò ad un tratto lei, «...c'è qualcosa che non va? Qualcosa che non mi dici... o...»
«No, no, testolina... niente! Assolutamente niente!», si apprestò a rassicurarla.
Si sentì un perfetto idiota, aveva permesso a uno strano presentimento di prendere il sopravvento e, invece di godersi gli ultimi istanti con lei, aveva insinuato dei dubbi mettendola in confusione. Il sentimento che provava per Josie cresceva inarrestabile dentro di lui e a volte era incapace di contenerlo, non sapeva esattamente cosa stesse succedendo nel suo cuore e nella sua testa quella sera, l'unica cosa certa furono le parole che gli uscirono dalla bocca senza riflettere dando sfogo ai suoi desideri più profondi: «Vieni a vivere con me quando torno da Abu Dhabi.»
Suonava più come un'affermazione che una domanda, di sicuro era l'estremo bisogno di Charles di stringerla forte a sé e di sentirla sempre di più nella sua vita che lo avevano fatto parlare così, all'improvviso terrorizzato che quella felicità che lei gli regalava potesse sparire alla luce del nuovo giorno.
Josie restò immobile con lo sguardo intrecciato a quello speranzoso di lui, sorrise.
«Charles...»
«Non devi rispondere subito... insomma, pensaci... io posso aspettare se non sai rispondere ora.», chiarì il monegasco cercando di alleggerire la sua proposta che ad un tratto gli sembrò davvero azzardata.
«Charles... io...», la ragazza addolcì i suoi occhi su di lui, vedendo l'insicurezza rapirlo, «Dicevo sul serio stamattina. Tu hai già tutti i miei sì. Mi piacerebbe tantissimo vivere con te, ma è ancora presto. Ho capito da pochissimo cosa vuol dire amare ed essere amati e non voglio bruciare le tappe. Voglio vivere giorno per giorno scoprendo ed imparando cosa la vita ha in serbo per noi e sì, certo che voglio vivere con te, ma quando sarà il momento giusto. Abbiamo ancora tante cose da imparare l'uno dell'altra.», pronunciò ogni singola parola con tutto l'amore che aveva dentro.
Charles era diventato tutto il suo mondo e voleva viverlo a pieno e nella maniera giusta.
Era stata una giornata intensa e con tante sorprese, conoscere sua mamma era già una grande novità per lei.
Non riusciva a capire per quale motivo Charles le sembrava così strano quella sera, ma sperava con tutta se stessa di non averlo ferito con la sua risposta.
«Il momento giusto...», ripetè il monegasco abbassando gli occhi a terra.
«Sì, il momento giusto. Ti amo e non ho bisogno di pensare alla mia risposta. So già che sarebbe un sì, ma non voglio fare tutto di fretta solo perché sentiamo il bisogno di placare il desiderio di vederci e toccarci in continuazione. Mi piace fremere nell'attesa di vederti, adoro essere impaziente di toccarti. Mi piace aspettare la tua auto che svolta sul vialetto quando mi vieni a prendere, non voglio perdere questo ancora. Riesci a capirmi?»
Charles vide brillare i suoi occhi mentre pronunciava quelle parole, sorrise capendo perfettamente cosa lei intendesse dire. Anche lui viveva nella costante impazienza di vederla, toccarla e baciarla. E forse aveva ragione lei era una sensazione piacevole, in fondo l'attesa del piacere non era essa il piacere stesso?!
Si era fatto trasportare da quel suo modo strano di sentirsi e le aveva fatto quella proposta preso dal momento, ma aveva ragione lei: ogni cosa a suo tempo.
«Hai ragione.», le sussurrò sorridendo.
Accarezzò un'ultima volta il suo viso e poi la baciò. Un lungo e profondo bacio. Un bacio da portare come ricordo in quelle due lunghe settimane. Un promemoria di ciò che di speciale lo aspettava a casa.
Restò fermo su quei gradini guardandola entrare dentro e chiudersi la porta dietro, lasciando sospeso nell'aria fredda il fantasma del suo bel sorriso.
In silenzio e con lo sguardo rivolto alle stelle, scese nel vialetto, raggiunse la sua Stelvio e con quella strana malinconia ancora presente dentro di sé se ne andò.
Abu Dhabi. La progettazione della città era avvenuta negli anni '70 per una popolazione massima di 600.000 abitanti. In quel periodo vantava strade molto ampie e torri molto alte, alcune anche 60 metri. L'attrazione di quel meraviglioso angolo di paradiso era certamente il lungomare, detto per prestito dalla lingua francese Corniche. Era lungo quasi sei chilometri e decorato da parchi pubblici e bellissime fontane. La città era sede del governo degli Emirati Arabi Uniti, della famiglia degli Emiri di Abu Dhabi e del presidente degli Emirati.
Ma per chiunque si potrebbe definire il centro delle meraviglie dove la bellezza e l'originalità prendono vita, la ricchezza ti avvolge come una cascata di diamanti in una vasca bianca e la beatitudine ti stordisce.
Il Gran Premio di Abu Dhabi fece il suo esordio il 1° novembre del 2009 e Charles si sarebbe apprestato a correre sulla sua bella Ferrari numero 16 alla decima edizione dell'evento.
Da quando aveva messo piede nella sfarzosa cittadina, non era riuscito nemmeno a disfare la valigia, c'erano sponsor per cui fare il testimonial, interviste da fare e lavoro da pianificare.
Era il poleman della stagione e in quei giorni avrebbe firmato la famosa grande gomma delle pole. Lui, di pole, ne aveva collezionate sette, solo due si erano trasformate in vittoria, ma di certo il monegasco non si poteva lamentare, al suo secondo anno in Formula 1 ed al suo primo con una grande scuderia come la Ferrari, era riuscito a fare magie e regalare gioie, facendo innamorare di sé l'intera tifoseria ferrarista e non solo.
Non avrebbe mai scordato quell'anno, le emozioni che gli aveva regalato, la sensazione dopo anni di lavoro e concentrazione di sfiorare con la punta delle dita il suo grande sogno.
Essere un pilota di Formula 1 in rosso era solo un tassello di quella grande prospettiva che si era prefissato, ma era decisamente un inizio. Lui voleva essere un Campione del Mondo e aveva tutte le carte in regola per diventarlo in futuro, ma doveva avere pazienza, necessitava concentrazione e tanto tanto buon lavoro da fare.
Quel 2019 gli aveva inaspettatamente regalato anche una persona speciale che non avrebbe mai dimenticato e di cui non poteva fare più a meno.
Incontrare Josie su quei gradini a Monte Carlo era stato l'inizio di qualcosa che lo aveva segnato, prima di lei era come se al suo cuore mancasse un pezzo per poter battere alla giusta velocità della vita, amarla era così naturale che non si spiegava perché non lo avesse capito nell'esatto momento che aveva incontrato i suoi occhi.
Quel giorno, su quella scalinata, il suo sorriso lo aveva stordito, non aveva avuto motivo di accompagnarla dove era diretta, ma era stato inevitabile perché non riusciva a staccarsi da lei, come catturato da un potente magnetismo.
Era apparsa nella sua vita travolgendola completamente ed ora non voleva più farne a meno.
Oh sì, avrebbe ricordato quel 2019 per sempre.
Aveva sentito la sua voce quella stessa mattina, ma mentre si avviava ai box per la terza sezione di prove libere e per preparare le qualifiche aveva già voglia di sentirla di nuovo.
Appena atterrato in aeroporto quel martedì successivo alla loro ultima serata insieme, l'aveva chiamata subito e di lì nei giorni a seguire, in ogni momento che aveva di pace, lontano da meccanici, ingegneri e telecamere invadenti, era corso in qualche angolo tranquillo per sentire il suono del suo sorriso.
Come in quel momento.
Poco prima di entrare nel box, intravide una piccola via di fuga tra il via vai euforico del paddock e nascosto dietro ad un muretto la chiamò.
«Charles...», sorrise lei dalla parte opposta del cellulare, «Hai dimenticato di dirmi qualcosa?»
Quella mattina Josie era di turno per l'apertura dello CHERIE e aveva sentito il suo amato pilota alle prime luci dell'alba mentre nella grande sala del suo locale regnava beato un meraviglioso silenzio.
Il cielo era dipinto dai colori dell'albeggiare e il freddo di dicembre aveva invaso completamente quell'ultimo giorno di novembre.
Josie era innamorata dell'atmosfera che c'era nell'aria in quelle prime ore del giorno, il freddo l'aveva colpita costringendola a stringersi in un cardigan accogliente mentre sorseggiava caffè bollente e i pensieri si cullavano perdendosi irrimediabilmente nello spettacolo dei colori che dipingevano il cielo.
Charles sapeva perfettamente di questo suo debole perché la prima cosa che le aveva detto quando l'aveva chiamata era stato: «Quant'è bello stamattina il rosa-arancio del cielo dalla tua finestra?», lei aveva sorriso come un'adolescente civettuola, lusingata che lui fosse così attento ai particolari della vita che le piacevano.
«Non ho dimenticato niente, testolina, volevo solo sentirti di nuovo.», spiegò passandosi una mano sul viso e ammettendo silenziosamente e spudoratamente a se stesso che stava diventando schifosamente smielato. Si rimproverò mentalmente per questo, ma non riusciva a fare a meno di esserlo.
Aveva sempre preso in giro i suoi amici quando perdevano la testa dietro alle ragazze e stavano ore appiccicati al cellulare con loro. Aveva preso in giro Jules quando lo faceva e lo aveva deriso quando il francese gli aveva risposto che un giorno sarebbe successo anche a lui. Infatti il suo amico aveva avuto ragione, era capitato anche a lui e gli sembrava di vederlo in cielo il suo sorriso mentre lo sbeffeggiava.
Josie sorrise di nuovo, ultimamente ogni volta che parlava con Charles, pensava a Charles o semplicemente qualcuno nominava Charles, le si dipingeva un sorriso sulle labbra da far sembrare di avere una paralisi facciale degna della regina Elisabetta mentre salutava i suoi sudditi con la mano alzata.
Viveva costantemente tra le nuvole, nelle ultime settimane aveva fatto cadere due tazze e quattro bicchieri, si era ustionata le dita un paio di volte e aveva bruciato i muffin... quante volte?! Almeno cinque?! No, forse una decina o più probabilmente aveva perso il conto. Considerando che i muffin venivano sfornati dalla cucina dello Cherie due volte al giorno, tutti i giorni, si poteva affermare che Josie era parecchio distratta.
«Sei sicura che questo tuo pilota sia un bene? Non è che ci bruci anche la cucina la prossima volta?!», l'aveva canzonata Agata una volta mentre cercava di diradare con una mano il fumo dei muffin bruciati che aleggiava per tutta la cucina.
Aveva ridacchiato innocentemente a quella presa in giro, ma aveva deciso che doveva darsi un po' di contegno e non pensare ventiquattro ore su ventiquattro al suo sexy, dolce e bel pilota.
Ma come di consueto, il solo pensarlo le faceva mordicchiare il labbro inferiore e perdere la concentrazione, provocando così qualche altro danno di distrazione.
Sospirò a ciò che lui le disse e con aria sognante si appoggiò al muro dell'ufficio di Maggie, unico posto da cui gli altri non l'avrebbero sentita.
«Mi manchi...», ammise con occhi languidi fissi nel vuoto.
«Anche tu.», le sussurrò.
Anche quella mattina si erano confessati quelle stesse parole, aveva senso ripeterle di nuovo? Come aveva raccontato Shakespeare, nella sua "Romeo e Giulietta", sono questi "i voti che usan giurarsi gli amanti".
Chi è innamorato può ripetere una parola o una frase anche mille volte e sentirne l'intensità come fosse la prima volta che la si pronuncia.
Charles si prendeva segretamente in giro da solo per questo, ma la verità era che si sentiva fortunato a provare un sentimento così forte, puro e totalizzante. Augurava a tutti di sentirsi così, perché era l'unico sentimento che ti rendeva completo ogni singolo istante della giornata.
Anche fosse per un minuto, un ora, un giorno, un mese, valeva la pena cogliere l'attimo per viverlo.
«Sai...», bisbigliò timida lei, «...stamattina non te l'ho detto... ieri sera mi sono iscritta ad un corso di scrittura creativa... sai, per il libro... cioè, l'idea del libro... un libro che ancora non c'è ovviamente, ma forse... potrei... un giorno...», farfugliò incoerentemente parte dei pensieri che le attraversavano la testa. Durante la loro prima telefonata, non gli aveva detto nulla non per dimenticanza, ma perché si sentiva terribilmente insicura su quell'argomento.
«Per il tuo progetto sul libro delle favole? Davvero?», esclamò Charles felice e orgoglioso, spazzando via da lei ogni briciolo di incertezza che provava dentro di sé, sorrise dall'altro capo del telefono desiderando di averlo di fronte e buttargli le braccia al collo dicendogli quanto fosse perfetto.
«Non è come riprendere gli studi, ma è un inizio... abituarmi di nuovo ai libri, allo studio e... a tutto, insomma.», chiarì in modo più sicuro.
«Certo! È una bellissima notizia, lo hai detto a Maggie?», chiese curioso.
«Si, è contenta.», rispose dolcemente.
«E tu, testolina? Sei contenta?», le chiese abbassando lo sguardo sul cemento sotto i suoi piedi e sorridendo, sentendosi uno scemo di essere felice solo perché la sentiva felice.
«Sì, sono contenta!!! Sono molto, molto, molto contenta! È la prima volta dopo tanto tempo che prendo in considerazione qualcosa che ho sempre sognato e... e, cielo! Mi sento così viva!», esclamò elettrizzata provocando una divertente e fiera risata al monegasco lontano, «È così che ti senti quando sei in macchina?», gli chiese tutto ad un tratto.
«Sì, testolina, mi sento esattamente così. Vivo.», rispose orgoglioso affievolendo la sua risata.
«Allora non smettere mai, Charles. Promettimelo.», gli sussurrò intensamente.
«Te lo prometto, Josie.», giurò con la sua stessa intensità. La voce di Andrea che lo chiamava gli rimbombò nelle orecchie, riportandolo alla sua giornata, «Devo andare, testolina...»
«Certo! Vai e sta' attento... ciao!», lo salutò lei.
«Ci sentiamo più tardi.», le disse sorridendo Charles, già pensando alla faccia di Andrea che come un pazzo lo stava cercando nel paddock.
«Ma dove diavolo eri?! È un po' che ti cerco!», esclamò sconcertato il personal trainer quando il ragazzo sbucò da dietro il muretto.
«Scusa! Eccomi! Sono pronto, andiamo!», infilò in tasca l'iPhone e ghignando, guardò Andrea che allibito continuava a guardarlo.
«Non ci credo! L'hai chiamata di nuovo?!», era più un'esclamazione che una domanda e Charles rise di nuovo.
«Andiamo, Andre, altrimenti mi farai fare tardi!!!», avanzò quasi correndo di fronte all'uomo.
«Ah, certo!!! Io ti faccio fare tardi vero?!», allargò le braccia alzando gli occhi al cielo.
*****
La domenica di gara era una giornata piena di concentrazione e di cose da fare, le ore prima del via volavano e in un battito di ciglia ti ritrovavi fermo a quel semaforo con il piede sul pedale.
Era da programma per i piloti fare la loro consueta parata prima dell'inizio e mentre si apprestavano a prendere posto nei rispettivi posti dove sfilare, capitava di scambiare sempre qualche parola con gli altri piloti, era un modo per alleggerire la tensione e soprattutto era la dimostrazione che prima di essere dei piloti erano ragazzi come tanti altri che parlano del più e del meno tra sorrisi e pacche sulle spalle.
Appena oltrepassato il terzo scalino del camion adibito all'evento, Charles si accorse di avere dietro di sé Sainz, il quale per rigor di logica perversa si posizionò esattamente di fianco a lui sulle ringhiere in metallo del veicolo.
«Ehi!», lo salutò lo spagnolo incrociando le braccia dopo essersi sistemato il cappellino.
«Ciao!», rispose Charles senza guardarlo, mantenendo il sorriso e gli occhi fissi sulla folla e alzando il braccio per salutare.
«Come va?», continuò il pilota della McLaren.
«Bene. E a te?», ricambiò il monegasco continuando a sorridere ai tifosi.
Carlos prese un gran respiro.
«Bene, grazie, e...», deglutì a fatica consapevole di stare per fare una domanda scomoda, ma il bisogno di sapere fu più forte di lui, «...e Josie sta bene?», chiese infine senza ripensamenti.
Charles abbassò il braccio e si voltò verso di lui, non era infastidito dalla sua domanda, non dopo quello che era successo la sera della festa di Marta, non dopo che Carlos gli aveva dato una mano.
«Sta bene, grazie di aver chiesto.»
«Ok...», sorrise l'ispanico, felice anche di non aver avuto una reazione negativa da Charles, «Bene! Sono contento.»
Charles continuò a guardarlo mordicchiandosi l'interno di una guancia, pensando se fosse il caso di continuare il discorso o meno, dopo attimi di titubanza decise di farlo: «Sai, quella sera... be', non ti ho mai ringraziato come si deve... insomma, ero fuori di me... e se tu non fossi intervenuto...»
«L'hai fatto, invece. Tranquillo, siamo a posto così...»
«No, invece... insomma, se non mi avessi fermato... avrei potuto...», lasciò sospesa la frase in aria insicuro di sapere realmente cosa sarebbe successo.
«Ammazzarlo?! No, non lo avresti fatto. Ti saresti fermato lo stesso.», gli disse posando gli occhi su di lui con un sorriso sghembo, «A dire la verità non avrei voluto fermarti, anzi, ti avrei aiutato volentieri!», confessò riportando lo sguardo sulla folla e facendo sorridere lievemente il ferrarista.
«Allora perché l'hai fatto?», gli chiese Charles confuso.
«Perché me lo ha chiesto lei. Era terrorizzata che ti sporcassi le mani per un idiota.»
Il monegasco non rispose, la sua mente vagò alla discussione avvenuta nel suo bagno quella stessa sera, l'aveva incolpata di non fidarsi di lui, di dare credibilità a quell'idiota, convinto che la paura dipinta sul suo viso fosse il frutto del potere che avesse su di lei. Invece Josie era preoccupata per lui, per la sua carriera che rischiava di essere macchiata.
Tornò con il pensiero alle parole dello spagnolo, non sapeva per certo se davvero si sarebbe fermato come Carlos aveva detto, ma di una cosa era sicuro: lo avrebbe picchiato altre mille volte se Alberto l'avesse toccata di nuovo.
«Comunque, per quello che può valere, avrei fatto la stessa identica cosa.», chiarì Sainz, appoggiando una mano sulla sua spalla, e vedendolo pensieroso aggiunse: «Non sentirti in colpa. Quel coglione lo meritava.»
«Sì. Lo meritava.», ripetè freddo Charles, abbassando gli occhi a terra.
La gara fu tranquilla, il tracciato di Abu Dhabi non offriva molte possibilità di sorpasso, almeno sulla carta, ma poi si sapeva: sulla pista tutto era possibile.
La vettura numero 16 di Charles venne messa sotto indagine poco prima del via, in quanto la quantità di benzina si pensava fosse differente da quanto era stato dichiarato dalla Ferrari.
Sia il pilota monegasco che tutto il team vennero lasciati con un punto interrogativo che avrebbe trovato risposta a fine gara, ma questo sembrò non preoccupare più di tanto la mente di Charles che corse impeccabile e senza sbavature riuscendo a chiudere la gara in terza posizione.
Era un buon risultato per terminare quell'anno così significativo per lui. Ovviamente la vittoria era sempre ciò che voleva e sicuramente avrebbe preferito non dividere il podio con Max davanti a lui, ma aveva imparato a placare le sue impetuosità e a spegnere la sua costante impazienza.
Il segreto di ogni cosa era saper aspettare.
Lavorando, tutto sarebbe arrivato a tempo debito.
La stagione era conclusa ma i team sarebbero rimasti altri giorni nella città degli Emirati Arabi per via dei test invernali. Perciò a Charles restavano ancora un paio di giorni di lavoro prima di tornare a Monaco.
Amava alla follia il suo lavoro, lo aveva amato fin dal primo momento che aveva realizzato che sarebbe stato un pilota di Formula 1 e non ci avrebbe rinunciato mai, per nulla al mondo.
Anche per questo ogni anno per lui la pausa invernale era piacevole per ben poco tempo, passato il periodo di Natale infatti iniziava la sua tortura.
Aspettare marzo per l'inizio del nuovo mondiale era sempre molto stressante per il monegasco, ma stavolta era diverso.
Fremeva all'idea di avere del tempo libero con Josie e amava l'idea di vivere le giornate con lei senza essere costretti a guardare l'orologio.
Forse per la prima volta non avrebbe sofferto così tanto l'arrivo della primavera, anzi, aveva il dubbio che il tempo sarebbe volato via inesorabilmente.
*****
Maggie vide la sorella infilarsi il suo piumino rosso e afferrare la borsa posta sotto la cassa dietro al bancone.
«Stai andando?», le chiese mentre era al telefono con un fornitore.
«Sì, vado ora che c'è meno gente qui, così sarò di ritorno per pranzo.», le spiegò Josie controllando che avesse preso tutto.
Si era offerta di andare in banca al posto di Maggie quel giorno, voleva toglierle del lavoro da fare e nei giorni precedenti, passeggiando per il mercato, in una vetrina di una gioielleria del centro, aveva visto un braccialetto da uomo carino.
Charles amava i braccialetti, lei aveva notato che ne indossava sempre diversi, il Natale si stava avvicinando e pensò che sarebbe stato un regalo carino da fargli.
Maggie coprì la cornetta del telefono fisso con una mano e bisbigliò: «Aspetta, non andare via! Ci metto un secondo!», liquidò l'uomo al telefono con l'ultimo ordinativo e dopo aver riagganciato si avvicinò alla più piccola che era ferma davanti al bancone in attesa.
«Hai sentito Charles?»
«Sì, stamattina presto prima di aprire lo CHERIE. Perché me lo chiedi?», domandò confusa.
Maggie sapeva che si sentiva spesso durante il giorno con Charles, non c'era motivo di chiederglielo.
«E ti ha detto di preciso a che ora hanno il volo? Cioè a che ora atterreranno precisamente?», chiese la maggiore sgranando gli occhioni verdi e specificando la domanda.
«Perché mi stai chiedendo questo, Margareth?», domandò Josie osservandola sospettosa, convinta che sua sorella stesse tramando qualcosa nella sua testa.
«Perché voglio sapere quanto tempo ho per spedirti a casa di Charles e preparare una cena romantica per Daniel. Ho già pensato a tutto, Agata si occuperà della cucina, Valerie si occuperà della sala insieme a Joni e Alex provvederà per la gestione di cucina e sala. Insomma, è un mercoledì tranquillo, perciò ce la dovrebbero fare da soli. E comunque rimarrei di sopra per ogni evenienza.»
«E se dovesse andare a fuoco la cucina mentre tu stai formicando con il dio del sesso, come Daniel sostiene di essere, cosa farai? Scenderai nuda con l'estintore?», chiese con un'espressione ironica dipinta su tutto il viso.
Maggie assottigliò gli occhi nella sua direzione.
«Non vedo come qualcosa possa andare a fuoco se tu sei a casa di Charles, tu che dici?», le rispose a tono facendole alzare gli occhi al cielo.
«Dio, Maggie! Stavo solo scherzando, ti prendevo in giro... perché non riesci ad ironizzare anche su di te qualche volta, senza iniziare una guerra di battutine?!», ribatté Josie ridendo e avviandosi verso l'uscita.
«Torna per pranzo!!! Sono sola, Agata non c'è!», le urlò prima che uscisse dal locale.
«Non lo so, forse scappo!», esclamò la minore facendole la linguaccia per poi uscire definitivamente richiudendo la porta dietro di sé.
Le sembrava impossibile, ma era riuscita ad uscire dalla banca ad un orario ragionevole rispetto a quello che aveva pronosticato quando era entrata, la donna dietro allo sportello era riuscita a smaltire la lunga fila davanti a lei in modo ordinato e veloce, così Josie aveva avuto tutto il tempo di passare dalla gioielleria a comprare il bracciale che aveva visto per Charles.
Superato il panificio di Lauren, ipnotizzata dall'odore del pane che aleggiava nei suoi dintorni, aveva appena girato l'angolo del vicolo che l'avrebbe portata alla strada principale dove c'era la fermata dell'autobus sulla strada che portava allo CHERIE.
Avrebbe potuto prendere la 500 che Charles le aveva sistemato per andare a fare le sue commissioni, ma quella mattina quando era partita aveva avuto una gran voglia di fare una passeggiata e nonostante il grande freddo avesse investito il Principato in quei primi giorni di dicembre aveva deciso di procedere a piedi.
Si strinse di più la sciarpa intorno al suo collo e avanzò in quel vicolo così tranquillo guardandosi intorno, non c'erano molti passanti e solo un paio di auto parcheggiate ai margini della strada.
Alzò la testa ed incrociò una donna sulla settantina circa, tirava con una mano la sua sacca della spesa provvista di rotelle, dal suo interno si intravedevano arance e verdura a volontà insieme ad una baguette di proporzioni esorbitanti. Sorrise pensando che c'era un bel minestrone caldo in programma quella sera per quella famiglia.
La donna alzò il viso e incontrando il suo sguardo accennò educatamente un sorriso che Josie ricambiò all'istante.
Aveva superato la donna ed era arrivata sul ciglio della strada fermandosi proprio al margine del marciapiede per attraversare la strada, quando una Porche nera si fermò esattamente di fronte a lei bloccandola sul posto.
Josie non realizzò immediatamente la familiarità della macchina che le si era fermata di fronte e si rese conto di conoscere quell'auto solo quando il suo proprietario scese dal lato del guidatore: Alberto.
«Ciao, Josie.», la salutò il biondo con tono calmo.
La ragazza non rispose, terrorizzata da quell'improvvisa comparsa si voltò e camminò frettolosamente nella direzione opposta, ma Alberto non le permise di fare molta strada perché le corse dietro e, raggiungendola e afferrandola per un braccio, la fermò.
«Aspetta, Josie, per favore! Voglio solo parlare con te.»
Il suo tono era ancora pacato e sembrava una persona diversa dalla sera della festa di Marta, sul suo viso c'erano ancora i segni dei pugni di Charles e, anche se la sua voce era tranquilla, Josie notò che le mani gli tremavano e i suoi occhi erano rossi e iniettati di sangue, come se non dormisse da giorni.
«Alberto, io non voglio parlare con te!!!», affermò esplicita liberandosi con uno strattone dalla sua presa, ma non riuscì a riprendere la sua camminata perché il biondo la fermò di nuovo.
«Josie, io...»
«Io, niente! Non voglio sapere niente, mi devi lasciare in pace!!! Sparisci dalla mia vita!!!», gli urlò spintonandolo lontano da lei ignorando completamente che lo stato mentale del ragazzo fosse instabile e pericoloso.
Alberto non prese bene quella sua reazione e perdendo completamente le staffe ed il controllo la schiaffeggiò in pieno viso, le afferrò bruscamente un braccio e la trascinò con forza verso la macchina.
«Se non lo capisci con le buone, lo farai con le cattive!!!», minacciò indispettito mentre la tirava con sé.
Josie, stordita dallo schiaffo, restò inerme per pochi secondi prima di provare a divincolarsi dalla sua presa con tutte le forze che aveva, ma Alberto era decisamente più forte di lei e in poco tempo stavano raggiungendo la macchina.
«Che cosa vuoi fare? Dove mi vuoi portare? Alberto, ti prego...», continuò ad urlare la ragazza, cercando di farlo ragionare, ma soprattutto tentando di attirare l'attenzione di qualcuno nelle vicinanze, ma lui aveva studiato bene la situazione perché in quel momento non c'era anima viva intorno a loro.
«È una sorpresa, un posto tranquillo dove possiamo parlare.», le rispose accorciando sempre più le distanze dalla Porche.
Il modo in cui Alberto pronunciò quelle parole fece cadere Josie nel baratro della disperazione, in preda all'ansia e al terrore tentò ancora di liberarsi dalle sue grinfie con tutta la forza che aveva, piangendo ed urlando di lasciarla andare, ma lui non aveva nessuna intenzione di mollare la presa né tantomeno di ascoltare le sue grida.
Aveva un obbiettivo nella sua mente malata e l'avrebbe portato a termine.
Lui otteneva sempre quello che voleva.
Ed ora voleva lei, perciò l'avrebbe avuta in qualunque modo fosse stato necessario.
La tirò con veemenza verso la Porche nera, strattonandola più volte per farla collaborare.
«Sta' zitta!!! Smettila di urlare!!! Stai dando spettacolo!!!»
«Tu sei pazzo!!!», gli gridò la ragazza con l'ultimo briciolo di voce che ancora aveva e, temeraria, continuò a muoversi cercando disperatamente di liberarsi.
Quando capì che non c'era speranza di staccarsi le sue luride mani di dosso, provò l'unica cosa sensata che le venne in mente in quel momento di panico assoluto. Afferrò come meglio poteva la sua borsa e frugò disperata con una mano al suo interno, nella speranza di trovare il cellulare e di fare partire una chiamata a qualcuno.
Era così che di solito succedeva nei film, no? La ragazza rapita cercava sempre di fare la chiamata della salvezza... ma quello non era un film e non c'era un copione da seguire.
Mentre milioni di pensieri assurdi invadevano la sua mente, Josie sentì il suo telefono incontrare le sue dita e con frenesia lo tirò fuori dalla borsa, Alberto era riuscito ormai a raggiungere la macchina e aveva aperto di fretta la portiera, con più forza la spinse per farla entrare dentro al veicolo fermo.
La ragazza puntò i piedi e provò un ultimo disperato tentativo di resistenza, la paura però l'aveva ormai privata di tutte le sue forze e distrattamente, nel cercare di maneggiare con il suo cellulare, la sua borsa le si sfilò dalla spalla e cadde a terra.
Tutte le sue cose all'interno scivolarono fuori, sull'asfalto freddo, riuscì a lanciare un ultimo sguardo davanti a sé prima che Alberto la buttasse con forza nell'abitacolo, chiudendole lo sportello in faccia.
La ragazza tra le lacrime lasciò indugiare i suoi occhi sulla scatolina blu scuro con il suo fiocco rosso sgargiante che, abbandonata, giaceva insieme al resto delle sue cose sulla strada.
In fondo al vicolo, la donna anziana aveva assistito a tutta la scena, in un primo momento si era fermata ad osservare ciò che l'uomo voleva dalla bella ragazza e quando si era resa conto conto che la stava portando con sé contro la sua volontà si era messa a correre nella loro direzione, ma poco poteva fare con la sua gamba malconcia, così aveva mollato il suo carrellino con le rotelle e aveva iniziato a suonare i campanelli delle abitazioni vicine, urlando e chiedendo aiuto.
Purtroppo la reazione alle sue urla era arrivata troppo tardi: la ragazza era già stata portata via.
Ciò che rimaneva di lei era solo una borsa nera abbandonata sull'asfalto insieme a quei pochi oggetti che le appartenevano.
*****
Charles era risalito in camera, si era fatto una doccia e aveva risistemato tutte le sue cose nella valigia, dando un ultimo sguardo alla stanza per essere sicuro di non aver scordato niente.
Prese il cellulare e scivolò con il polpastrello sullo schermo per fare l'ennesima chiamata a Josie.
L'ultima volta che si erano parlati era stata quella mattina presto, dopodiché non aveva più risposto alle sue chiamate e ancora non lo aveva richiamato.
Lanciò uno sguardo al suo orologio, ad Abu Dhabi stavano per scoccare le cinque, ciò significava che a Monaco era primo pomeriggio.
Pensò che forse il pranzo allo CHERIE si era prolungato tenendola impegnata, quindi decise di non insistere oltre.
Scese un'ultima volta nel paddock per dare un ultimo saluto ai ragazzi del box, che erano ancora impegnati nelle loro attività lavorative e a vedere lo stato delle cose ne avevano ancora per molto.
Tra sorrisi e pacche sulle spalle, concedendosi ancora due parole con i meccanici, si augurarono buone feste e un arrivederci all'anno successivo, ma mentre era lì con loro la sua mente correva continuamente a quelle chiamate senza risposta a Josie.
Nonostante si ripetesse che era impegnata con il lavoro, non riusciva a scacciar via quella sensazione di presagio che aveva avuto dentro di sé da tempo.
Tentava da giorni di ignorarla, ma quelle telefonate silenziose non fecero altro che alimentarla, donò un ultimo sorriso ai ragazzi in rosso e prese di nuovo il cellulare.
Niente.
Da lei nemmeno un messaggio.
«Charles.», la voce seria di Ricciardo approdò nel suo box proprio mentre lui stava uscendo.
«Ehi! Sono pronto, devo solo pass...», ma le parole gli morirono in gola quando vide lo sguardo tetro e preoccupato dell'australiano.
«Che è successo?», chiese agitato deglutendo.
«Dobbiamo andare.», si limitò a dire Daniel, «Subito!!!»
N.A. Ciao a tutti, come state? Spero bene. Non finirò mai di ringraziarvi per tutti i messaggi e il vostro continuo e dolce supporto, è così bello riceverlo, non smettete mai. ♥️
Lo so, ora mi starete odiando per aver terminato il capitolo così, ma era necessario. Ho bisogno di raccontarvi cosa succede in questa storia anche lasciandovi un pò a bocca asciutta, ho bisogno di farvi fremere nel sapere cosa succederà.
Cercherò di non farvi aspettare molto per il prossimo capitolo, ma chi mi conosce lo sa, io ci metto un pochino ad aggiornare. Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità nel sapere cosa succede a Josie, cosa farà Alberto e come si evolverà il tutto.
Gran parte di questo capitolo è dedicato all'amore e a quali strane emozioni esso possa scatenare. Chi di noi, in fondo non è stato in un'altra dimensione quando si è innamorato? Credo tutti, nessuno escluso.
Spero vi sia piaciuto e se vi va, ditemi qual'è il momento che avete preferito tra queste righe.
Vi abbraccio e bacio virtualmente a prestissimo promesso.
Nania 😘
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