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Solo noi (cap.25)

N.A. ciao a tutti :-) perdonatemi sono in un terribile ritardo, la routine delle mie giornate lavorative hanno impegnato la maggior parte del mio tempo e ho dovuto rubare a singhiozzi i minuti per scrivere questo capitolo.

Ma ce l'ho fatta ed eccolo qui, tengo particolarmente a queste righe e non vi nascondo che sono un pò nervosa sapendo che leggerete anche voi (e spero sarete in tanti a leggere) perciò vi prego ditemi cosa ne pensate, se vi piace, se non vi piace, va bene tutto. Mi fa piacere leggere i vostri messaggi.

L'unica cosa che Josie riusciva a scorgere di fronte a lei, seduta sul sedile della Stelvio, era il lungo tratto di strada di brecciato.
Si guardava intorno cercando di captare un qualsiasi indizio per capire dove il monegasco di fianco a lei la stesse portando, ma il sole stava calando ed il buio della sera albergava ovunque e stava diventando praticamente impossibile intravedere qualcosa.
Affranta si lasciò cadere allo schienale rubando una dolce risata a Charles, intento ad osservare la strada.
«Non ami molto le sorprese, vero?»
Lei si voltò a guardarlo per niente sorpresa dal suo tono ironico, per tutto il tragitto aveva cercato di strappargli una confessione, ma lui, tenace all'inverosimile, non aveva lasciato trapelare alcun dettaglio. Divertendosi inoltre della sua impaziente curiosità.
«No... non è questo, è che non mi piace non sapere cosa mi aspetta... lo so, è sciocco.»
«Ergo, non ami le sorprese!», precisò lui ridendo.
Dopo un lasso di tempo infinito, Charles parcheggiò l'auto in un grande cortile costeggiato da alberi e quasi completamente pieno di altre vetture.
Non appena il monegasco spense il motore, la guardò sorridendo.
«Siamo arrivati!»
Togliendo le chiavi dal quadro e afferrando il cellulare tra le mani, scese dall'auto e si apprestò a raggiungere l'altro lato della macchina, ma la sua piccola e impaziente curiosona era già scesa impedendogli così di manifestare le sue doti di gentiluomo aprendole la portiera.
Sorrise compiaciuto però quando vide i suoi grandissimi occhi nocciola illuminarsi di fronte allo spettacolo che aveva davanti.
Il cortile che per quell'occasione fungeva da parcheggio era completamente decorato da piccole e infinite luci appese i cui fili pendevano da un albero all'altro, illuminando una stretta strada poco distanti da loro.
Ma ciò che fece davvero incantare Josie fu la vista del piccolo paese che s'innalzava sulla collina di fronte a loro, immerso nel buio della notte.
Era completamente illuminato dalle luci calde delle abitazioni, gli alti lampioni posti ai lati delle strade indicavano il sentiero da percorrere per raggiungerlo e le infinite stelle dall'alto del cielo creavano una dolce e surreale atmosfera.
Sembrava uno di quei paesaggi imprigionati in quelle palle di vetro che si regalano a Natale, Josie si sarebbe aspettata di vederlo avvolto da un turbinio di neve.
A rendere tutto ancora più utopico c'era la strana musica che, leggera, arrivava da lontano.
Charles non le toglieva gli occhi di dosso, voleva catturare ogni singola espressione del suo viso e tenerla per sé.
Era bellissima. Era stato il suo primo pensiero non appena l'aveva vista varcare la soglia del portone di casa sua quel tardo pomeriggio, con il suo candido vestito bianco con decorazioni in pizzo, stretto in vita e morbido sui fianchi. Due fili intrecciati facevano da spalline dell'abito, lasciandole le braccia e il décolleté scoperti.
Una graziosa collanina le decorava il collo sottile.
Aveva lasciato i capelli sciolti, e lui li amava decisamente di più di quando erano legati, le davano un tocco selvaggio contrastando tutta la sua dolcezza.
Ma ciò che lo faceva impazzire completamente era il colore bianco sulla sua pelle, risvegliava in lui ogni tipo di fantasia.
Ed iniziava a credere che lei lo avesse capito vista la frequenza con cui lo indossava, torturandolo piacevolmente.


A risvegliarlo da quei pensieri fu lo sguardo che Josie a un tratto gli dedicò, non più fisso al bel paese, ma puntato intensamente verso di lui.
«È meraviglioso, Charles! Come si chiama questo posto?»
Charles abbandonò le sue riflessioni e sorridendole si avvicinò appoggiandole una mano alla fine della schiena.
«Questo è Château de la Croix...»
Château de la Croix era un paesino sperduto nelle campagne francesi, aveva pochissimi abitanti ed in pochi ne conoscevano l'esistenza.
Tramandava di generazione in generazione una vecchia e lontana tradizione, nata da una storia avvenuta secoli e secoli prima nel cuore del paesino.
«Non tutti conoscono questo posto.», continuò Charles, «È un paese piccolo ma a lui è legata la festa a cui andremo stasera. Be', in realtà non è una festa, è più una rappresentazione...»
Josie lo guardò curiosa.
«Che tipo di rappresentazione? Di teatro?»
«No, tutto il paese.», le rispose Charles, vago, prendendola per mano e incamminandosi verso il sentiero che li avrebbe portati all'interno del borgo.
Josie era così incuriosita da ciò che lui stava dicendo che non fece caso alle loro mani unite, in realtà sentiva che era diventato un gesto del tutto naturale tra loro. Toccarsi era facile come respirare.
«In che senso tutto il paese?! Dai, Charles, non farmi implorare, spiegami!»
Charles sorrise.
«Tu fai veramente tante domande...», la prese in giro, poi continuò: «C'è una storia legata a questo posto da secoli, di generazione in generazione viene raccontata mettendo in scena ciò che realmente è accaduto all'epoca, e tutto il paese viene coinvolto. Tutto viene trasformato in stile medievale, compresi gli abitanti che interpretano conti, dame di corte, artigiani dell'epoca...»
«E com'è la storia?», domandò ancora Josie, ringraziando mentalmente se stessa per aver scelto di indossare i suoi amati stivaletti camperos, mentre camminavano in quel sentiero di breccia con piante di ulivo intorno.
«La classica storia d'amore con miracolo.», semplificò Charles, sorridendo appena e alzando lo sguardo alla luna che pian piano prendeva possesso del cielo, facendosi strada tra le stelle.
«Raccontamela!!!»
«Ahh, non sono bravo a raccontare storie così, su due piedi.», asserì Charles ridacchiando.
«Ma se racconti cose di continuo! E davanti alle telecamere anche! Dai, raccontamela!!!», insisté Josie, bloccandosi sul posto e strattonando appena il braccio di lui, sfoggiando il miglior broncio che Charles avesse mai visto.
Lui sospirò divertito e iniziò a raccontare quella storia.
«C'era un ragazzo, figlio di un costruttore, lui e il padre non avevano molti soldi, vivevano del loro lavoro. Il ragazzo aveva doti artistiche che attiravano le attenzioni di chiunque le vedesse, si spostavano di villaggio in villaggio per cercare lavoro ed un giorno arrivarono qui. Trovarono lavoro a corte. Il conte, proprietario di tutto il territorio, voleva costruire una chiesa nella piazza centrale e assunse loro. Lui aveva una figlia che si innamorò del ragazzo...»
«E lui non ricambiava?», chiese Josie confusa.
Charles la guardò di sottecchi.
«La pazienza non è il tuo forte, testolina.»
«Scusa, continua.»
Charles riprese a parlare ridendo, mentre si avvicinavano sempre più al posto: «Nonostante fossero innamorati non potevano stare insieme, lei era promessa ad un conte di qualche feudo vicino, e a quell'epoca gli affari di corte erano più importanti dell'amore, ovviamente. Allora l'artista e la ragazza scapparono di nascosto in piena notte, quando il conte si accorse della fuga li fece cercare e una volta trovati condannò il giovane all'impiccagione per rapimento.»
«Non è morto, vero?», domandò delusa.
«No... non è morto, perché avvenne un miracolo. L'impiccagione stava per avvenire nella piazza centrale, proprio dove il giovane e suo padre stavano costruendo la chiesa. Tutto il villaggio assisteva come fosse uno spettacolo, e anche la ragazza fu costretta dal padre ad assistere. Be', la storia racconta che, poco prima di ribaltare lo sgabello dove i piedi del giovane appoggiavano, la ragazza urlò disperata e da una specie di fontana posizionata di fianco alla chiesa uscì un enorme getto di vino rosso. Quasi fosse un torrente, catturando l'attenzione di tutti, compresa quella del conte che insieme alle sue guardie perse di vista il detenuto. Quando la calma si ripristinò, il ragazzo non c'era più e il cappio che avvolgeva il suo collo era miracolosamente sciolto. La cosa che fece gridare al miracolo fu però che dalla fonte, dove prima sgorgava il vino rosso pregiato, era tornata a scorrere della semplice acqua limpida e cristallina.»
Charles concluse il racconto, guardando a terra e calciando distrattamente un sassolino.
Josie restò in silenzio qualche secondo elaborando la storia che aveva appena ascoltato e poi chiese: «E la ragazza? La figlia del conte?»
«Non lo so, mi dispiace. Conosco la storia fino a qui.»
«Oh... Potremmo chiederlo a qualcuno, una volta arrivati!», esclamò con un pizzico di eccitazione e impazienza negli occhi.
«Sì, potremmo.», le rispose lui divertito dal suo entusiasmo.
«Come conosci questo posto, Charles?»
«Jules...», disse solo, per poi dopo un attimo aggiungere: «Me l'ha raccontata da ragazzino, quando facevo kart. C'era un kartodromo qua vicino e capitavano delle gare in questo periodo dell'anno. Nelle campagne c'era la vendemmia e mi ricordo che si respirava sempre un clima di festa. Spesso dopo le gare con Jules andavamo in questi paesini e una sera mi ha portato qua. Mi ha raccontato questa storia e aveva aggiunto alla fine: "Ricordati, Charles, se vuoi far colpo su una ragazza la devi portare in questo posto!", non ho dato tanta importanza a quella frase a quell'epoca, avevo solo dieci anni, non le guardavo proprio le ragazze. Per me esistevano solo i kart...», rivelò il monegasco ridendo di gusto al ricordo, ma Josie poté perfettamente vedere i suoi occhi leggermente lucidi.
Era la prima volta che le raccontava qualcosa di Jules.
Non voleva vederlo triste, perciò cercò di sdrammatizzare: «E quante ragazze ci hai portato finora per fare colpo, Charles?!»
Lui non la guardò e continuò a camminare con un malizioso sorriso sulle labbra, per poi dire: «Mmm... vediamo... Sai che ho perso il conto? Non sono sicuro di ricordare che numero sei!»
«Ehi!!!», esclamò Josie scioccata, mascherandosi dietro ad una grossa risata insicura, «Forse questo non è il caso di dirlo ad un primo appuntamento, Leclerc!»
Il monegasco rise di gusto, tirandole il braccio per avvicinarla a sé e, facendo scontrare i loro corpi e guardandola intensamente, si confessò: «È ovvio che sto scherzando. Non ho mai portato nessuna qui prima di stasera...»
Lei, ancora un po' sulle sue, ma con un lieve sorriso alle labbra rispose: «Non lo so se ti credo.»
«Giuro!»
«Perché dovrei crederti?», continuò lei sorridente.
Charles guardò a terra, poi riprese a camminare portandola con sé.
«Perché Jules era serio quando me lo diceva. Era un consiglio che non andava bene per qualunque ragazza. Ed io l'ho sempre tenuto per me, aspettando il momento giusto...»
Detto quello la guardò con una intensità che Josie giurò su se stessa di aver sentito un tonfo profondo al cuore, le gambe deboli e la bocca completamente asciutta. Così asciutta da non riuscire a dire una parola, si limitò a continuare a guardarlo come se ci fosse solo lui e nient'altro attorno.
La musica del luogo però li strappò da quel momento, facendoli tornare alla realtà, e si resero conto che erano arrivati alle porte della grande piazza centrale senza ricordare come.
Lo spettacolo che si trovarono davanti era inebriante, il popolo era in festa, persone vestite da dame e signorotti di corte danzavano al centro della piazza, in ogni angolo era allestito un banchetto con pietanze dell'epoca e una quantità di vino indescrivibile.
Ad attirare la loro attenzione fu il grande fuoco allestito al centro della piazza, dove era stato posizionato uno spiedo di grandissime dimensioni che girava su se stesso per far cuocere a puntino il maialino infilzato che c'era sopra. Vederlo faceva un certo effetto ma il tutto rendeva ancora più realistica quell'atmosfera.
Il turbamento che c'era stato pochi istanti prima, quando Charles aveva fatto quell'affermazione, sparì completamente e nei loro occhi traspariva solo stupore.
Il monegasco sorrise soddisfatto di aver seguito il consiglio del compianto amico, perché il viso di Josie non era mai stato così sorpreso e ammaliato come in quel momento.
I suoi occhi brillavano e le sue labbra perfette si aprivano in un dolce sorriso.
Il vero spettacolo era lei e lui ne era completamente incantato.
Tirò dolcemente la sua mano per attirare la sua attenzione.
«Vieni, c'è un mondo in ogni via di questo posto.»
Lei non rispose, semplicemente si lasciò condurre, continuando ad osservare ciò che li circondava.
Camminarono lentamente attraversando le piccole vie tra le mura di quel piccolo borgo e Josie non riusciva a credere a ciò che vedevano i suoi occhi.
Tutto era minuziosamente ricreato al dettaglio, in ogni vicolo che attraversavano c'erano intere famiglie con i vestiti dell'epoca che mettevano a nudo le loro abitazioni, allestite a tema per rendere tutto più reale, permettendo alla gente di entrare e goderne.
C'erano delle donne che intrecciavano cesti in vimini, uomini che lavoravano il ferro e la cosa più dolce che i suoi occhi videro fu il gruppetto di ragazzine sui sette o otto anni, sedute su alcuni sgabelli di legno ad intrecciare coroncine con spago e fiori.
Erano meravigliose nelle loro piccole vesti beige, lunghe fino ai piedi, abbellite da corpetti rosso porpora e verde scuro.
Si voltò per un attimo a guardare Charles, che, come lei, osservava ciò che accadeva intorno a loro, ma quando sentì i suoi occhi addosso si girò a guardarla e le sorrise.
Ovviamente non era la prima volta che le regalava un sorriso, ma per qualche strano motivo in quel momento il suo cuore si scaldò particolarmente.
Era frustrante conoscere il sapore delle sue labbra e non poterlo baciare. In realtà Charles non aveva dettato delle vere e proprie regole, aveva solo precisato che voleva corteggiarla prima di rubarle un altro bacio.
Come se ce ne fosse bisogno! Era già completamente persa per lui e desiderava disperatamente baciarlo ed essere baciata, ma lui era stato chiaro dicendo: "Poi ti accompagnerò a casa, e solo allora, se tu lo vorrai, ti bacerò."
Così Josie si era ritrovata a desiderare più volte di trovarsi subito a quell'esatto momento di conclusione, ma poi malediceva se stessa ogni volta, perché in realtà voleva che quella serata fosse senza fine. Persa nei suoi pensieri, abbassò gli occhi sorridendo anche lei.
Lui le baciò il dorso della mano che stringeva.
Passeggiarono ancora un po' godendo di ciò che li circondava, accettarono gli inviti dei locali ad assaggiare del vino, provare un nuovo formaggio, gustare pane appena sfornato e sidro di mele fatto in casa, e, via dopo via, arrivarono di fronte ad una grande entrata posta esattamente ai piedi di un piccolo antro, scavato artificialmente nella roccia di un rilievo montuoso, sbarrato da una porta in legno.
All'ingresso si trovata una tavola di legno dove vi era inciso a grandi lettere "LA GROTTA DI BACCO".
Josie ancora non lo sapeva ma quella sarebbe stata la loro destinazione per cena.
Charles sostò lì davanti, poi le appoggiò una mano dietro la schiena per condurla ad entrare.
Una volta superata la porta, gli occhi dei due ragazzi incontrarono la luce soffusa delle candele e una grande caverna allestita con tavoli fatti da grandi botti, tronchi d'albero e panche in legno per sedersi.
Il posto non era vuoto, molte persone si erano accomodate gustando la loro cena o il loro boccale colmo di vino.
Non tutti indossavano abiti d'epoca, molti di loro erano vestiti normali come loro.
Probabilmente anche loro in visita a quel borgo, catturati dalla sua magia.
Una donna si avvicinò, le sue vesti erano da cortigiana ed il suo viso, segnato dalle naturali rughe dell'età, era abbellito da un dolcissimo sorriso materno.
Salutò entrambi i ragazzi con calore, poi si rivolse a Charles con molta eleganza: «Signor Leclerc, vi stavamo aspettando. Prego, seguitemi, vi accompagnerò al vostro tavolo.»
Charles rispose con un cortese "grazie" e le sorrise, Josie sorpresa guardò prima la donna avviarsi, poi si voltò a guardare il ragazzo di fianco a lei che aveva un'espressione del tutto soddisfatta, fiero probabilmente di vedere lei così sorpresa.
«Charles, ma come hai fatto a prenotare in questo posto?», domandò confusa.
Era palese che non fosse un vero e proprio ristorante ed era altrettanto ovvio che avesse fatto una domanda stupida, era chiaro che Charles aveva fatto in modo di organizzare tutto.
«Ho le mie conoscenze, testolina.», le rispose lui con un sorriso malizioso e, appoggiando entrambe le mani sulla sua vita, la accompagnò a seguire la cortigiana che gentilmente li stava portando al tavolo.
Il tragitto era piuttosto buio, illuminato solo da candele poste di tanto in tanto su alcune nicchie. Le pareti erano decorate da numerosi grappoli d'uva di ogni sfumatura del bianco, del rosso e del nero, e le loro familiari foglie che davano quel tocco di autunno ormai sopraggiunto.
Sembrava che intere viti fosse miracolosamente cresciute sulle pareti in pietra.
Josie ripensò per un secondo alla storia che Charles le aveva raccontato e non poté fare a meno di credere che tutto quel luogo profumava di miracolo.
Nell'aria c'era qualcosa di speciale, qualcosa che scaldava il cuore e l'anima.
Camminava tra quelle mura fredde, mano nella mano con il suo pilota, ed era assolutamente incantata da ciò che vedeva, rapita dagli acini di quei grappoli di cui quasi sentiva il profumo.
Ad un tratto una candela si spense e il buio diventò prepotente, la cortigiana si apprestò a riaccenderla subito, ma Josie aveva già stretto con più forza la mano di Charles.
Il ragazzo sentendosi stringere la mano non poté fare a meno di sorridere.
Lei non lo aveva ammesso, ma era quasi sicuro che il buio la intimorisse.
Così, senza fare battute superflue, afferrò la mano delicata che già stringeva con l'altra mano e quella che aveva appena liberato l'avvolse alla sua vita e sorridendole la invitò a camminare davanti a lui.
Josie lo guardò con un po' di imbarazzo, forse non era stata poi così brava a nascondere la debolezza che aveva del buio, non era una vera e propria paura, più che altro era intimorita da ciò che non vedeva, e così diventava insicura.
Sorrise a quel ragazzo così meraviglioso che aveva vicino e sottovoce lo ringraziò, Charles non le rispose ma le solleticò appena la vita facendola sghignazzare.
Pochi metri dopo, arrivarono alla loro destinazione, la cortigiana accese le tre candele poste sopra al grande tronco che fungeva da tavolo e la zona si illuminò quel tanto che bastava per permettere ad entrambi di vedere bene ciò che c'era di fronte a loro.
Josie sgranò gli occhi e lasciando la mano di Charles fece un passo avanti osservando ogni minimo particolare.
Il loro tavolo si trovava in una piccola nicchia isolata, decorata da enormi e colorati grappoli d'uva tutt'intorno. Gli acini bianchi e viola guarnivano anche la base delle tre candele rendendo l'ambiente ancora più bucolico.
Ma la cosa che stupì di più Josie fu il forte e piacevole odore di mosto che c'era nell'aria. Era così persistente che anche ad occhi aperti poteva figurarsi la scena di una tipica vendemmia nelle campagne.
Non aveva mai assistito ad una vera raccolta d'uva o alla lavorazione del vino, ma aveva sentito tante volte suo padre raccontarle di quelle lunghe giornate di lavoro in Italia, tra le viti di casa sua, quando era molto giovane.
La cortigiana, dopo essersi assicurata che il posto fosse di loro gradimento, si allontanò lasciandoli soli.
Quel silenzio da parte di Josie che ne seguì provocò in Charles un forte senso di preoccupazione.
Ad un tratto non fu più così sicuro di aver fatto la cosa giusta.
Per lei voleva qualcosa di originale e aveva pensato che quel posto fosse perfetto, ma ora che erano lì l'assenza di parole di lei spazzò via tutta la sua sicurezza.
«Forse non era ciò che ti aspettavi, magari ti aspettavi caviale, champagne e un ristorante di lusso. Credimi, ce ne sono tanti e sono tutti uguali... Volevo qualcosa di unico e di semplice... anzi, qualcosa di VERO... questa è la parola giusta... ma ora che non parli... credo di aver sbagliato...»
Josie ascoltò senza voltarsi verso di lui quel fiume di parole agitate che uscirono dalla bocca del monegasco.
Era raro vedere Charles insicuro, ma quando accadeva ai suoi occhi diventava ancora più perfetto.
Si girò non appena terminò di parlare e velocemente si avvicinò a lui, si alzò in punta di piedi e gli sfiorò le labbra.
Un brevissimo e leggero bacio, senza imbarazzo, come se fosse la cosa più naturale del mondo, per poi staccarsi e guardarlo dritto negli occhi.
«È perfetto, Charles. Odio champagne e caviale.»
Poi, come se nulla fosse, si mise di nuovo ad ammirare l'ambiente e si diresse verso il tavolo.
Charles restò immobile, incantato da quel bacio.
Era la prima volta che lei prendeva l'iniziativa avvicinandosi così a lui, e lo fece con una semplicità che lo spiazzò.
Ma del resto, era questo che lo aveva catturato di lei sin dall'inizio, la sua naturalezza nel rendere speciale ogni singolo momento passato insieme, anche il più semplice.
Perfino i momenti di rabbia e di tristezza che a volte aveva provato erano stati spazzati via dal suo sorriso.
Tutto con lei sembrava acquistare valore.
Non sapeva esattamente quando fosse successo, ma la ragazza di fronte a lui, che gli stava sorridendo in quel preciso istante, aveva rivoluzionato la sua vita e lui non poteva, e non voleva, più farne a meno.
Presto il loro tavolo venne imbandito dalle pietanze cucinate secondo i costumi del medioevo.
Il posto non prevedeva un menù da cui scegliere e i due ragazzi vennero piacevolmente sorpresi anche in quello.
La cameriera si avvicinò a loro poggiando sul tavolo un grande tagliere, rigorosamente in legno, colmo di formaggi, accompagnato da pane fatto in casa e una ciotola piena di grappoli d'uva, subito seguito da una brocca di vino rosso della casa.
Ringraziarono entrambi la donna al loro servizio e restarono soli.
«Ti piace il vino?», chiese Charles afferrando la brocca, mentre le offriva il liquido corposo.
«Sì, grazie.», gli rispose lei sorridendo.
Charles le riempì il bicchiere e fece lo stesso con il suo.
«Ok, credo sia d'obbligo un brindisi.», disse il monegasco alzando leggermente il bicchiere, «Vediamo, fammi pensare...», pronunciò pensieroso.
«A Jules!», esclamò lei spiazzandolo completamente.
La guardò addolcendo i suoi occhi, non le chiese il perché, ma quella domanda era espressamente scritta su tutto il suo viso e Josie sorrise.
«Jules aveva ragione... è il posto più bello in cui un ragazzo mi abbia portato... Perciò, a Jules!»
«E Jules sia!», concordò Charles guardandola, disegnando sulle sue labbra un enorme sorriso.
Ringraziò segretamente dentro di sé quel suo amico che ormai da tempo non era più fra loro, ma che in qualche modo anche lì, in quella serata per Charles così importante, era stato presente e d'aiuto.
La cena fu estremamente piacevole, parlarono di tante cose, dalle più banali, come il cibo preferito, il colore che più amavano o gli hobby che più li divertivano, a cose più serie e delicate, come l'avventura di Charles nei kart, il suo amore per quella macchina rossa che tanto ammirava fin da bambino e il grande sogno realizzato di guidarla.
Parlarono della morte dei genitori di Josie e del dolore che ne era seguito, dell'incidente di Jules e della perdita di Hervé, il papà di Charles.
Le loro emozioni vennero messe a nudo, pur restando in qualche modo riservati e fedeli al loro cuore, non tutti i loro sentimenti potevano essere messi a rivelati subito.
Ciò che li rendeva fragili al mondo doveva essere scoperto piano piano e con cautela.
Risero, risero tanto.
Un po' la colpa fu del vino. Quel liquido rosso così corposo, che si beveva meravigliosamente bene tanto da rendere tutto più facile, scioglieva i momenti di imbarazzo, accentuava le loro risate e li rendeva disinibiti.
Giocavano con le loro mani che erano desiderose di un contatto con l'altra persona.
Cercavano qualsiasi scusa possibile per toccarsi, accarezzarsi e sfiorarsi.
Mille sorrisi nascevano dai loro sguardi, a volte intensi e maliziosi, altri imbarazzanti e divertiti.
Grandi risate che si scatenarono quando con la zuppa di lumache che fu loro servita Charles schizzò se stesso e tutto ciò che lo circondava, nel tentativo di tirarne una fuori.
Quel guscio oleoso che aveva tra le dita gli scivolò dalla presa ricadendo nel piatto colmo di brodo.
Continuarono a ridere per un buon quarto d'ora, rievocando ininterrottamente la scena fino a rinunciare definitivamente alla pietanza.
Terminata la cena tornarono a passeggiare tra le vie in festa e, guidati dalla musica che suonava nell'aria, arrivarono di nuovo alla piazza centrale.
La serata era nel pieno svolgimento e tutti erano impegnati nella rappresentazione di un ballo di corte intorno al fuoco, dame e cavalieri volteggiavano in movimenti eleganti scambiandosi sguardi d'intesa, sorrisi cortesi e gesti eleganti.
Si fermarono a guardare quello spettacolo meraviglioso e Josie fu completamente catturata dall'atmosfera.
Era tutto così reale, sembrava davvero di essere tornata indietro di secoli.
Si guardò attorno e vide che c'erano anche altri spettatori a guardare quelle meraviglie e si rese conto che Charles aveva ragione, non c'erano molte persone che conoscessero quel luogo.
C'erano certamente altri ospiti a visitare il posto ma non era una grande folla, dando all'evento un tono particolarmente intimo e raccolto.
La storia che lui le aveva raccontato l'aveva affascinata, incuriosita.
Be', tutte le storie che parlavano di amori impossibili erano affascinanti, ma quella storia aveva un profumo diverso.
L'atmosfera, il vino e i grappoli d'uva miracolosi facevano trasportare nell'aria quell'amore così sbagliato ma al tempo stesso così giusto tra una fanciulla di corte e un povero artista di strada.
Charles aveva scelto il posto perfetto e lei era incredibilmente sorpresa da quanto il ragazzo riuscisse a stupirla ogni volta.
Completamente immersa nei suoi pensieri, non si accorse che il ballo rappresentativo era finito e tornò alla realtà solo quando un uomo di mezza età, vestito in calzamaglia e di una veste verde scuro a metà gamba, guarnito di cinturone e spada, si avvicinò a loro facendo un inchino.
Sorridendo si rivolse a Charles: «Una fanciulla di tale bellezza non può non essere invitata a danzare.»
Per poi spostare la sua attenzione su Josie, che sgranò sconvolta gli occhi, "Cosa significa quello che ha appena detto?!", si domandò terrorizzata.
«Pienamente d'accordo con lei.», rispose ridendo Charles, «Signor...?»
«Conte... Sono il Conte Mont Saint.», replicò l'uomo.
«Conte, certo... Sono d'accordo con lei, merita di danzare...», approvò Charles appoggiandole una mano dietro la schiena e spingendola dolcemente verso il finto conte.
«Ehi... aspetta, cosa...? No, no, no... Charles, sei...», blaterò sottovoce Josie, terrorizzata, cercando di resistere alla gentile spinta del monegasco, «...impazzito?! Io non voglio ballare!»
«Mi sono solo dimenticato di dirti che a volte capita che la rappresentazione interagisca con il pubblico... Avanti non vorrai offendere il conte con il tuo rifiuto!», le sussurrò all'orecchio ridendo di gusto.
Il signor Conte la guardò nascondendo anche lui un sorriso beffardo e cortesemente domandò: «Rendereste un uomo felice, accettando di danzare con me?»
Josie lo guardò in imbarazzo, mordendosi il labbro inferiore, il suo viso era in fiamme e temporeggiando a quel modo stava attirando tutti gli sguardi su di sé.
Non aveva molta scelta, doveva accettare.
«Ok, ma l'avverto: non sono una brava ballerina... anzi, sono del tutto incapace.»
Afferrò la mano dell'uomo che era sospesa a mezzaria, protesa verso di lei, e allontanandosi da Charles si lasciò guidare al centro della piazza.
Nel tragitto si voltò a guardare il monegasco che compiaciuto rideva osservandola.
Gli riservò uno sguardo assassino e mimò con le labbra un "ti odio", facendolo ridere ancora di più.
La musica era vivace e Josie non sembrava un vero disastro come lei aveva detto di essere, si lasciò guidare dalle braccia di quel signore vestito da conte e volteggiò intorno al fuoco con eleganza e dolcezza.
Charles non le staccò gli occhi di dosso nemmeno una volta, anche in quel contesto così diverso dalla realtà lei sembrava perfetta.
Il suo vestito bianco era ancora più luminoso, irradiato dalla luce del fuoco, l'aria scompigliava i suoi capelli mostrando a tratti il suo collo delicato ed il suo viso aveva un'aria angelica.
In quel preciso istante si rese conto che era completamente perso per lei, avrebbe fatto qualsiasi cosa per quella ragazza.
La musica terminò e Josie venne salutata dal conte con un baciamano.
Una volta ricambiato il saluto si avvicinò di nuovo a Charles sorridendo.
«Vedo che ti sei divertita.»
Il monegasco sorrise soddisfatto.
«Non credere che, siccome sto sorridendo, io non sia furibonda con te. La mia allegria è solo merito del Conte Mont Saint. Un uomo cortese e di buon gusto!», ribatté lei usando un gergo antico facendolo ridere di cuore.
«Certo, sicuro... Ti sei divertita, ammettilo!»
Lei nascose di nuovo il sorriso e strizzando gli occhi verso di lui replicò: «Non te lo dico.»
Lui scosse la testa divertito e afferrandole la mano la riportò a girovagare nei dintorni.
Ammirarono i vari giochi medievali messi in scena e le diverse performance dei giullari di corte, fin quando non arrivarono alla zona con il tiro con l'arco.
Anche lì venivano coinvolti gli spettatori e fu allora che Josie non perse l'occasione alla domanda dell'ennesimo Robin Hood in calzamaglia di fronte a loro che a gran voce incitava a farsi avanti e dimostrare il proprio talento.
Lei alzò immediatamente il braccio attirando l'attenzione e subito dopo indicò Charles di fianco a sé.
«Bene abbiamo un volontario!»
Charles la guardò interdetto e lei con un sorriso dispettoso gli disse: «Hai detto che è richiesto di interagire perciò fagli vedere cosa sai fare, non vorrai rifiutare facendoli rimanere male!»
Charles rise affranto, pensando a quanto fosse terribile dietro quel viso angelico.
Sorrise al Robin Hood di turno, afferrò l'arco dalle sue mani e si posizionò esattamente dove l'uomo gli indicò, guardò il bersaglio davanti a lui e sospirando si eresse in tutto il suo splendore tendendo bene la corda dell'arco.
La sua posizione sembrava perfetta, un braccio in avanti sull'arco, l'altro perfettamente dietro con la mano all'altezza del viso e lo sguardo concentrato davanti a sé.
Un attimo e scoccò la freccia, scatenando un boato tutto intorno e lasciando Josie a bocca aperta strabiliata da ciò che era riuscito a fare.
Il monegasco non aveva raggiunto perfettamente il centro del bersaglio, ma ci era andato maledettamente vicino, a differenza di tutti gli altri che il bersaglio non l'avevano nemmeno preso.
L'uomo si complimentò con lui e riprese il suo arco, Charles lo ringraziò e sorridendo soddisfatto tornò da Josie ancora scioccata dalle sue gesta.
Sapeva che Charles era bravo in molte cose, quasi tutto ciò che faceva gli veniva bene.
Oltre ad essere un talento come pilota, era naturale di fronte alla telecamera, sapeva suonare la chitarra e creare dolci melodie con il pianoforte.
Ma mai avrebbe pensato di vederlo tendere la corda di un arco con quella eleganza, rischiando per giunta di colpire il centro.
Lei voleva giocare un po' mettendolo in imbarazzo come aveva fatto lui con lei e invece non si era resa conto che Charles del brutto anatroccolo non aveva nulla.
Tutto in lui aveva le caratteristiche di un cigno.
«C'è qualcosa che non sai fare?», domandò lei affascinata, mentre lui avvolgendole un fianco la invitava a continuare il loro giro.
«Certo, non so fare tantissime cose!»
«Tipo? Dimmene una... perché faccio fatica a crederti al momento.»
Lui rise abbassando la testa.
«Non so cucinare, per esempio.»
«Ah, capirai, bella consolazione.», si lamentò lei con il broncio.
«Scherzi?! È una risorsa saper cucinare! Devo assolutamente imparare, conosci qualcuno che mi può insegnare?»
«Ah, molto spiritoso.», rise lei pizzicando il suo braccio.
Ad un tratto Charles si bloccò, l'afferrò in vita e stringendola energicamente a sé disse: «Ti porto in un posto.»
Josie non riuscì nemmeno a rispondere che già le aveva stretto la mano trascinandola con lui.
Charles riusciva ad essere estremamente calmo e riflessivo un momento, per poi scoppiare in un mix di energia e calore quello dopo, quando meno se lo aspettava, sorprendendola e lasciandola del tutto senza fiato.
Aveva capito di essere innamorata di lui solo dopo quel bacio a Singapore, ma più passavano il tempo insieme, più si rendeva conto che il suo cuore aveva fatto le capriole già la prima volta che lui le aveva parlato su quelle scale del paddock su cui era scivolata.
Charles era un vulcano calmo e tranquillo, ma quando fuoriusciva la sua lava non potevi salvarti.
Salirono la collina un po' distante dal centro del paese e arrivarono ad un antico castello, parte di esso era completamente in rovina, e, nonostante fosse notte, potevano scorgere le macerie sul grande prato verde che si espandeva su tutta la zona antistante.
Entrarono nella parte agibile salendo dei gradini alti e stretti, poche persone stavano visitando il luogo in quel momento, pertanto il silenzio faceva loro compagnia.
«Charles, sei sicuro che possiamo salire fin lassù?», chiese Josie alzando lo sguardo alla grande torre sulla quale stavano arrancando.
«Sì, testolina, stai tranquilla. Perché sei così diffidente su ogni cosa?!»
«Non sono diffidente! Sei tu che sei imprevedibile a volte.»
Charles non rispose, si limitò solo a ridere.
Al termine di quella scalinata lunga e stretta trovarono una zona terrazzata con una straordinaria vista su tutto il paese. 
Da quel punto così alto si poteva scorgere ogni singolo punto del luogo e in particolare la strada principale che portava all'entrata delle mura di quello che in passato era stato un villaggio medievale.
«La vista è da togliere il fiato!», sospirò Josie ammirando quelle piccole luci che si irradiavano come lucciole in aperta campagna.
Si avvicinò al parapetto fatto di mattoni di quel terrazzamento e si appoggiò per guardare meglio.
Charles avanzò dietro di lei e appoggiò a sua volta le mani sulla balaustra, imprigionandola nel cerchio delle sue braccia.
«Da quassù le sentinelle controllavano chi entrava e usciva dalle mura del villaggio, ma soprattutto tenevano sotto controllo eventuali attacchi nemici.», spiegò lui con calma indicandole in lontananza quello che rimaneva delle mura che circondavano il paesino.
«È così strano pensare a come la vita fosse così diversa da ora.», sussurrò lei.
«Già.»
Entrambi alzarono la testa per scorgere quell'infinito soffitto di stelle e Josie sospirando disse: «Conosci i nomi delle stelle e le loro costellazioni?»
«No, ho letto qualcosa a proposito, ma onestamente non ricordo nulla. E tu?», rispose il monegasco avvicinando il viso a quello di lei, continuando a fissare, guancia contro guancia, il cielo stellato.
«No, mi ricordo solo un nome: Cassiopea... Di solito è evidente nelle notti stellate autunnali, ma non so minimamente riconoscerla perché so della sua esistenza solo grazie al film "Serendipity".», ammise Josie ridendo e stringendosi al corpo di lui.
«Di che parla il film?»
«Non di stelle in realtà, parla del destino. Di una ragazza che vive la sua vita affidandosi completamente alle coincidenze e al fato. Secondo lei ognuno ha il suo destino scritto, che deve compiersi», spiegò, «Tu credi nel destino, Charles?»
«Non lo so... Credo che ognuno di noi abbia una linea guida appena accennata, poi sta a noi definirla con le nostre scelte.»
Josie fissò intensamente i suoi occhi e con un tono sicuro disse.
«La Ferrari è il tuo destino, sono sicura di questo. Sarete grandi insieme!»
Lui la guardò sorridendo appena.
«Lo spero...»
«Sarà così.», ribatté Josie tornando a guardare le stelle.
«E noi?», chiese Charles senza distogliere lo sguardo dal suo profilo dolcemente rivolto al cielo.
Cos'erano loro? Erano destinati ad essere insieme? Era una casualità l'essersi incontrati? Quel sentimento che cresceva tra loro sempre più era già scritto da qualche parte e aspettava solo di essere compiuto oppure no?
Forse non avrebbero mai avuto una risposta certa a quelle domande, ma di una cosa il monegasco era sicuro: non l'avrebbe lasciata andare mai, e se il destino si fosse messo tra loro lo avrebbe sfidato.
Sentiva di appartenere a quella ragazza dagli occhi nocciola.
Lei si voltò completamente verso lui dando le spalle a quel meraviglioso panorama, si spostò ancora più vicino al suo viso e alzò le mani al colletto della sua camicia.
«Noi siamo solo due semplici ragazzi che si sono incontrati.», gli sussurrò sfiorando con le dita sottili la pelle del suo collo.
Charles poteva sentire l'intensità del suo profumo alla vaniglia invadergli le narici, era bella ed era lì con lui.
«Josie, lo so che ho detto che non l'avrei fatto finché non...», s'interruppe deglutendo e fissando ammaliato quelle labbra rosa di fronte a lui, «Ma se non ti bacio ora, credo che impazzirò e...»
Non riuscì a terminare, perché Josie afferrandogli il viso con le sue esili mani lo baciò.
Charles la strinse alla vita avvicinandola passionalmente a sé.
Affamato ricambiò quel bacio e schiudendole la bocca rubò il suo sapore.
Avevano desiderato quel bacio disperatamente ed entrambi si sentirono terribilmente stupidi ad aver aspettato così tanto.
Il vortice della passione li travolse.
Spostandosi da un muro all'altro, urtarono accidentalmente contro i muri le loro schiene, senza sentire alcun dolore.
Si dimenticarono del luogo, del tempo.
C'erano solo loro e il forte desiderio che avevano di toccarsi, baciarsi e accarezzarsi in ogni singola parte del corpo.
Avide le mani di lui le accarezzavano la schiena, scivolando maliziosamente verso il fondoschiena e guidandola ansioso verso il suo bacino.
La voleva, la desiderava come non aveva mai desiderato nessuna.
Complice il dolce lamento che uscì dalle sue labbra, la spinse smanioso contro il muro dietro di lei, baciandola voracemente.
Un nuovo gemito proruppe dalla gola di Josie, avvicinandolo a sé ancora di più, stringendogli la camicia, diventata quasi una barriera fastidiosa.
La maglia della ragazza, indossata per riscaldarsi dal freddo, venne fatta scivolare da lui dalla sua spalla scoprendo quella pelle delicata d'alabastro.
Charles completamente offuscato dalla passione, abbandonò le sue labbra e scivolò dalla mandibola al collo, baciandolo e assaporandolo.
«Charles...», ansimò lei.
Poi all'improvviso un rumore, un tac inaspettato dietro la schiena di Josie, la fece precipitare nel vuoto totale portandosi dietro Charles che avvinghiato a lei non la lasciò.
Entrambi finirono a terra, lei sotto e lui con tutto il peso sopra di lei.
Per fortuna riuscì istintivamente a metterle una mano dietro la nuca, evitandole così un doloroso impatto con il pavimento sottostante.
In preda alla loro passione non si erano minimamente accorti di essersi appoggiati ad una porta di sicurezza, premendo involontariamente nella foga del momento il sistema d'apertura finendo entrambi sul pavimento.
«Oddio, scusa! Ti sei fatta male?», chiese lui serio e preoccupato, sollevandosi subito dal suo corpo ed evitando così di continuare a premerle addosso con il suo peso e schiacciarla.
«No, sto bene.», rispose lei ancora un po' confusa.
«Che stupido, non mi sono accorto di questa maledetta porta. Sicura di stare bene?», si informò di nuovo accarezzandole una guancia.
«Sì, sto bene.», lo rassicurò di nuovo, sorridendo alla sua preoccupazione, «Nemmeno io ho visto quella porta.», continuò arrossendo e abbassando lo sguardo.
Charles si guardò intorno, scompigliandosi i capelli, cercando di capire dove erano approdati, ma la stanza che avevano di fronte era immersa nel buio e c'era solo un insieme di mattoni accatastanti in un angolo.
«È un miracolo che non sia suonato alcun tipo di allarme, altrimenti sai che show che ne veniva fuori?!», esclamò lui con un tono tra il preoccupato e il divertito.
Poi la guardò di nuovo, le sue labbra erano ancora rosse e gonfie dai suoi baci.
Si era fatto trasportare dall'eccitazione trascurando completamente dove si trovassero.
Non osava immaginare cosa sarebbe potuto succedere se quella porta non li avesse scaraventati a terra.
I loro occhi si incrociarono e, un po' per imbarazzo, un po' per la comicità del momento, scoppiarono a ridere.
Lui si alzò e le allungò una mano, Josie l'afferrò e si alzò a sua volta.
«Usciamo di qui, prima che qualcuno ci scopra.», la incitò il monegasco spingendola fuori dalla porta e chiudendosela alle spalle.
Si avviarono verso la discesa, ma qualche passo dopo Josie si voltò di scatto e alzandosi in punta di piedi lo baciò di nuovo, sorprendendolo.
Accarezzò il suo collo e sfiorò i suoi capelli, poi si staccò e lo guardò mordicchiandosi il labbro inferiore.
Abbassò gli occhi nascondendo un po' di quella luce maliziosa che li attraversò e, come se nulla fosse, si voltò di nuovo riprendendo a camminare.
Charles la osservò ondeggiare davanti a sé.
Sorrise, fece un gran respiro e buttò fuori tutta la frustrazione che provava nel non poterla afferrare e fare sua in quel preciso istante.
Poi ancora sorridendo la raggiunse, abbracciandola affettuosamente da dietro.

*****

Quella meravigliosa serata stava ormai volgendo al termine.
Il viaggio di ritorno in macchina fu piacevolmente diverso da quello di andata.
In loro si era sprigionata una complicità diversa, più intima.
Si cercavano in tutti i modi in cui potevano trovarsi: con gli occhi, con le mani e con le labbra.
Una volta di fronte allo CHERIE Charles spense il motore, la guardò e la vide sorridergli.
«Ti accompagno alla porta.», le sussurrò dolcemente lui.
Entrambi scesero e insieme raggiunsero il portico appena illuminato. Saliti i tre gradini si fermarono, Josie continuò a sorridergli e, spostando insicura lo sguardo tra lui e l'entrata, gli domandò: «Ti va di entrare?»
Eccitazione e consapevolezza attraversarono lo sguardo di Charles, cosciente che se avesse attraversato quella porta a fatica sarebbe riuscito a resistere alla tentazione. Voleva andarci piano con lei, voleva vivere e assaporare ogni istante fino in fondo. Perché tutto con lei doveva essere vissuto nel giusto momento.
«È meglio di no, testolina.», disse senza staccare gli occhi da quelli di lei.
«Oh... ok... come vuoi... io volevo... non importa, io...»
Restò delusa dalla sua risposta e desiderò di non aver fatto quella proposta.
Evidentemente si era spinta oltre o forse lui aveva frainteso.
La verità era che non voleva che quella serata finisse.
Voleva restare con lui ancora e ancora.
A Charles non passò inosservato il lampo di tristezza negli occhi di Josie, così l'afferrò per la vita attirandola a sé e interrompendo ciò che lei stava dicendo avvicinò le labbra al suo orecchio.
«Non so se riuscirei a controllarmi là dentro. Sono un bravo ragazzo, Josie, ma non sono un santo.», le bisbigliò con voce roca sfiorando con le labbra il morbido lobo, scivolando lentamente fino sotto al collo.
Una forte scarica di eccitazione attraversò ogni singola parte del corpo di Josie e sentì una strana debolezza alle gambe, così forte da doversi appoggiare alle braccia di lui.
«Charles...», sospirò inerme con un sottile filo di voce.
Lui inspirò profondamente il suo profumo.
«Dio, quanto sei bella...», fuoriuscì dalle labbra sfiorando ancora la sua pelle. D'improvviso si staccò, lasciandole un immediato senso di vuoto, si allontanò appena da lei e le accarezzò una guancia.
«È meglio che io vada... prima che...», disse ridendo malizioso, non finì la frase ma lasciò intendere perfettamente ciò che gli passava per la testa.
Nessuno dei due voleva mettere fine a quella serata, ma lui l'indomani avrebbe avuto un aereo da prendere, che lo avrebbe portato negli Stati Uniti, di nuovo lontano, e lei un locale da portare avanti come da routine.
Entrambi sapevano che tutto doveva avvenire a suo tempo, per quanto loro desiderassero accelerare.
Josie sorrise accoccolandosi a quella carezza e Charles dolcemente la baciò.
«Ci sentiamo domani.», bisbigliò lui contro le sue labbra.
«Sì.», rispose lei nel bacio.
«Buonanotte, testolina.»
«'Notte.», sospirò lei lasciandolo andare.

"Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prima ancora che i corpi si vedano."
-Paulo Coelho-

[Dovrebbe esserci un GIF o un video qui. Aggiorna l'app ora per scoprirlo.]

N.A. Due note importanti, sia il luogo che ho menzionato (Château de la croix) e sia la storia che Charles racconta a Josie, sull'amore tra il giovane artista e la figlia del conte sono frutto della mia fantasia, perciò non esistono.

Spero tanto vi sia piaciuto e spero tanto di leggere i vostri messaggi e vedere tante stelline.

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