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Ricordi (Cap 32)

Aprile 2015, Principato di Monaco

Maggie fissava il muro color crema davanti a sé, conosceva ormai a memoria l'esatta tonalità del grigio metallizzato che caratterizzava la porta di quella stanza.
In alto sulla sinistra, il piccolo quadratino con inciso il numero undici nero. Era tatuato nella sua mente ormai da diversi giorni.
Esausta, con i capelli stravolti e le occhiaie di una che non dorme da diverso tempo, aveva poggiato la schiena alla parete di fronte, in piedi, in quel corridoio vuoto dell'ospedale intitolato alla Principessa Grace. Aspettava.
Erano ormai passati esattamente trentadue giorni da quando quel terribile incidente aveva cambiato tutta la sua vita, i suoi genitori erano morti e sua sorella minore giaceva in condizioni critiche in un freddo letto d'ospedale, attaccata ad un macchinario che ne monitorava i parametri e una gamba immobile completamente ingessata.
Dopo che l'auto di Joseph ed Abigail Moreno era stata ritrovata nella buia scarpata dove si era ripetutamente capovolta su se stessa, i soccorritori erano riusciti a tirare fuori l'unica superstite di quel tragico schianto.
Josie era rimasta per ore incastrata tra le lamiere, davanti a lei il corpo senza vita di entrambi i genitori. Era in fin di vita quando l'avevano trovata, non si muoveva e respirava a malapena, ma era miracolosamente cosciente.
I soccorsi si erano attivati nel minor tempo possibile tagliando le lamiere e cercando disperatamente di liberare il suo corpo da ciò che la bloccava, un vigile del fuoco sulla cinquantina, Jill, le aveva parlato per tutto il tempo tentando di tenerla sveglia, e ci era riuscito.
Era ormai calata la notte quando la piccola Moreno era stata liberata dal suo incubo.
L'orologio aveva segnato le undici e il suono del telefono allo CHERIE aveva destato Maggie dai suoi mille pensieri. La ragazza, ignara di tutto, non aveva avuto notizie della sua famiglia per ore, si erano allontanati dalla loro tavola calda nel tardo pomeriggio per fare spesa e da allora erano spariti lasciandola da sola ad allestire la festa per i diciotto anni di Josie.
Nelle prime ore di attesa si era lasciata andare a rabbia ed insulti verso i suoi genitori, l'avevano lasciata sola e con un gran lavoro da svolgere, ma con il passare delle ore il panico aveva iniziato a dilagare dentro di lei.
Nessuno di loro rispondeva alle decine di chiamate che lei aveva fatto, così in preda alla preoccupazione aveva chiamato Alberto, l'unico che forse poteva saperne più di lei, ma il ragazzo non era stato d'aiuto.
Anche lui non aveva notizie di Josie da ore, gli invitati avevano ormai riempito la grande sala dello CHERIE, minuziosamente addobbata per la grande festa, ma a caratterizzare la serata non erano state la musica, le risate, né tantomeno candeline da spegnere.
Lo squillo del telefono era riecheggiato limpido tra quelle mura bloccando il bisbiglio dei presenti in sala.
L'orologio aveva segnato le undici di sera quando la vita di Maggie era cambiata per sempre.
Continuava a fissare il rettangolo di metallo con il numero undici nero stampato, affisso sulla parete color crema, un numero che non le aveva mai detto niente nella vita. Lei amava il tredici perché era il giorno del suo compleanno, custodiva il diciassette che era il giorno di Josie, e l'uno che quello di sua mamma e di Joseph, e molti altri numeri che le ricordavano giorni felici e giorni difficili, ma non l'undici. Fino a quell'esatto momento non aveva mai significato nulla per lei l'undici, non aveva mai associato niente della sua vita a quel numero fino a quel 17 aprile del 2015.
Da quella sera il numero undici aveva assunto un ricordo. Alle undici di sera il telefono aveva squillato. La camera dove Josie era bloccata era la undici.
«Signorina Moreno?!»
La voce del dottor Roché la risvegliò dai suoi contorti pensieri. Un uomo in camice bianco, sulla quarantina, con i capelli appena brizzolati e uno sguardo rincuorante, la fissava aspettando una sua reazione.
«Salve, dottore.», biascicò un debole saluto staccandosi dal muro, cercò di restare calma mentre si avvicinava a piccoli passi a lui, cosciente che era arrivato il momento di avere delle notizie della sorella.
Josie era stata sottoposta a due interventi.
Nel disastroso incidente aveva riportato diverse microfratture alla gamba destra che, secondo gli specialisti, non avrebbero trovato difficoltà a guarire. Ma ce n'era una al femore che aveva complicato tutto il quadro clinico.
Il primo intervento non aveva dato risultati positivi, l'osso al quale era stato inserito il perno si era rivelato troppo friabile, pertanto non in grado di lavorare adeguatamente con la chiodatura metallica che l'avrebbero rimessa in piedi. Era stata sottoposta ad un nuovo intervento per rimuovere il perno e posizionarlo in un altro punto dell'osso.
L'operazione era durata a lungo, ma era andata bene ed i medici erano fiduciosi. Quella loro positività però poteva essere confermata solo dopo alcuni giorni, dopo aver dato il tempo all'osso di abituarsi al corpo estraneo inserito e di iniziare il processo di calcificazione.
Erano passati dieci giorni dal secondo intervento e quella mattina Maggie avrebbe avuto la sua risposta.
«Si sieda, signorina Moreno.», disse il dottor Roché invitandola ad accomodarsi sulla sedia di fronte alla scrivania, dopo che erano entrati nel suo studio.
Appena la ragazza era entrata nella stanza aveva visto immediatamente la figura di una donna, sulla quarantina, viso magro, occhi scuri nascosti dietro a due grandi occhiali quadrati neri ed una lunga chioma rossa, legata dietro la nuca. Aveva salutato educatamente quella presenza poi aveva preso posto alla scrivania.
«Allora, signorina More...»
«La prego, mi chiami Maggie, dottore. Ho visto più lei in questi giorni che mia mam...», stava per nominare sua mamma, ma poi si era bloccata, ricordando che non aveva più una madre. Era tutto ancora estremamente assurdo e surreale. Inghiottì faticosamente ignorando il grande magone che le si era formato alla base della gola. «Mi chiami Maggie, la prego.»
«Come vuole, Maggie.»
«Grazie.»
«Andrò subito al dunque.», tirò fuori le lastre del femore di Josie e le posizionò di fronte ai suoi occhi e indicando meticolosamente ogni punto in questione, le spiegò: «Questa seconda operazione è andata bene. Il punto in cui abbiamo inserito il chiodo non è friabile, anzi è estremamente solido, sembra che non abbia rigettato il metallo e abbia iniziato il processo di calcificazione.»
«È una buona notizia questa, no?», chiese speranzosa la ragazza implorando con gli occhi il suo interlocutore di rassicurarla.
«Sì, Maggie, è un'ottima notizia. Tuttavia, voglio che lei sia consapevole che ci vorrà tanto tempo per Josie per far sì che torni a camminare bene di nuovo. Avrà bisogno di tanta convalescenza, assistenze adeguate e molta fisioterapia. Sarà accompagnata da una sedia a rotelle prima e da stampelle successivamente, man mano che riuscirà a muovere i primi passi. Non sarà facile, Maggie, voglio che lei lo sappia, ma le assicuro che Josie tornerà a camminare.»
La voce dell'uomo era molto calma e rassicurante, ma Maggie a fatica aveva trattenuto le lacrime. Nonostante il sollievo nel ricevere quella notizia non poteva fare a meno di pensare che si trovava da sola ad affrontare tutta quella situazione.
Il panico l'assalì, avrebbe dovuto pensare ad ogni cosa da sola: l'assistenza sanitaria, la terapia, lo CHERIE e la sua università. Come avrebbe fatto a trovare una soluzione per tutto se non sapeva nemmeno da dove iniziare?
«Io non so come... insomma, è la prima volta che... non so a chi rivolgermi.», constatò con voce tremante e lacrime disperate sulle guance.
«Stia tranquilla, per questo l'aiuteremo noi, le diremo come muoversi e a chi rivolgersi. Ma la questione di cui volevo parlarle è un'altra.», fece una piccola pausa attirando lo sguardo confuso di lei su di sé, «Volevo presentarle la dottoressa Dobois, è una psicologa e psichiatra, specializzata nel trattare con pazienti reduci da forti traumi, lei potrebbe...»
«Mia sorella non ha bisogno di uno psichiatra.», lo interruppe con tono severo.
«Maggie, quello che...»
«So quello che sta cercando di dirmi, dottor Roché! Ed io le rispondo che mia sorella non è pazza!»
«No, sua sorella non è pazza. E, mi creda, lo so bene, ma dopo gli eventi che sono accaduti credo abbia bisogno di un supporto psicologico per superare la situazione. Non sarà facile per lei affrontare la convalescenza dopo ciò che è accaduto.», l'uomo cercò di essere il più dolce possibile nell'esporre l'argomento, ma da qualsiasi lato la si guardasse, la situazione non era delle migliori. Due vite erano state spezzate e due giovani anime erano state abbandonate al dolore.
Maggie sostenne lo sguardo dell'uomo ignorando completamente la donna al suo fianco e con voce ferma ma alquanto alterata asserì: «Non capisco, dottore, mi ha appena detto che Josie sta bene, a parte una lunga e dolorosa convalescenza. Ora cosa c'entra questo con la sanità mentale di mia sorella? È già stata messa al corrente della morte dei nostri genitori! Cavolo, li ha visti morire! Ci ha anche risparmiato lo scomodo di doverla informare... lei conosce la sua situazione, era cosciente e...»
«Maggie, si calmi e mi ascolti, ciò che vogl...»
«No, non mi calmo! Sta dicendo che mia sorella è pazza e ha bisogn...»
«Quello che il dottor Roché le sta dicendo, Maggie, è che Josie ha bisogno di elaborare il lutto!», si intromise bruscamente la dottoressa Dobois, attirando i grandi occhi verdi di Maggie su di sé. Dopo aver avuto la sua completa attenzione, assunse un tono più dolce: «Maggie, quando muore qualcuno di così importante nella nostra vita, il dolore è così forte che ci fa comportare in modo del tutto anomalo. Può capitare che tendiamo apparentemente a comportarci come se tutto fosse normale, ma niente è normale. Il nostro cervello può elaborare l'accaduto in mille modi diversi e per quanto una persona possa essere in un perfetto stato di salute fisica, potrebbe aver elaborato la sofferenza emotiva nella maniera più sbagliata possibile. Cadendo in una profonda depressione, ad esempio, a volte irreversibile. Capisce, Maggie, cosa voglio dire?», le spiegò la donna appoggiando delicatamente una mano su quella della ragazza che, precedentemente, aveva afferrato una delle lastre sulla scrivania.
Maggie liberò la mano da quella presa e si asciugò una lacrima che le stava rigando la guancia, annuì con la testa e continuò a guardare gli occhi della psicologa. La donna avvicinò la seconda poltrona alla scrivania di fianco a Roché e continuò a parlare: «Ho visitato Josie stamattina sotto richiesta nel dottore qui presente, il quale sospettava un leggero stato depressivo nei comportamenti della ragazza.»
«Ma è normale!», esclamò tra le lacrime cercando nello sguardo dell'uomo di fronte a lei una comprensione che nella donna non trovava. «Ha visto morire mamma e papà! Non può tornare a ridere o ballare come se nulla fosse!»
«Maggie, la prego, ascolti cosa la dottoressa vuole dirle, la situazione non è così semplice.»
La ragazza singhiozzò spaventata, nonostante fosse consapevole che sua sorella in quei trentadue lunghi giorni non era più la stessa persona che conosceva da sempre aveva paura di sentirsi dire la cruda verità della situazione.
Ma strinse gli occhi più forte che poteva e ripensò alle parole di Joseph: "Si ha coraggio solo quando si ha paura."
Respirò profondamente e, una volta aperti di nuovo gli occhi, li puntò dritti sul viso della rossa dai grandi occhiali. Un piccolo cenno con la testa e la psicologa capì che era pronta ad ascoltare.
«Maggie, Josie presenta un palese disturbo depressivo. Non parla, non risponde a nessun tipo di domanda che le viene posta e si rifiuta di mangiare. I giorni stanno passando velocemente e ha bisogno di forze per rimettersi e guarire. Ora, le chiedo, con lei ha parlato in questo mese di ricovero?»
«No.», sospirò debolmente Maggie guardando a terra.
«Capisce che la situazione è un po' delicata? Josie non migliorerà senza una giusta terapia, senza un supporto psicologico adeguato. Per esperienza le dico che, anche se fuori sembra estremamente tranquilla, dentro di lei sta succedendo di tutto. I suoi pensieri si mescolano in un groviglio irrazionale, non è più in grado di capire cosa sia giusto o sbagliato, i naturali equilibri della vita sono stati violati e niente è più limpido come dovrebbe essere.»
Seguì un lunghissimo e triste silenzio da parte della maggiore delle sorelle che, nel miglior modo possibile, cercava di elaborare ciò che le era stato appena detto. Entrambi i dottori dietro a quella tipica scrivania da medico aspettarono con estrema calma che la ragazza assimilasse quelle crude spiegazioni e, solo dopo interminabili minuti, parlò.
«Ok. Cosa c'è da fare?»
La psicologa sorrise sollevata dalla decisione della Moreno di starla a sentire.
«Mi occuperò personalmente di Josie, inizierò la terapia oggi stesso.»
«In che consiste la terapia?», chiese la ragazza.
«Al centro della terapia ci sono dei colloqui di circa sessanta minuti ognuno, i primi tempi probabilmente avremo bisogno di aiutarci con qualche farmaco. Ma nulla di aggressivo, qualcosa che possa aiutare a risollevarle l'umore.»
«Ok, quanto tempo ci vorrà prima che Josie riesca a riprendersi?»
«A questa domanda non posso darle una risposta. Purtroppo i tempi di guarigione da questo tipo di disturbo sono diversi a seconda del paziente.»
«Ma si può guarire? Quindi Josie farà questa terapia e poi starà meglio?»
Maggie osservò lo sguardo incerto che i due medici si scambiarono e attese che loro rispondessero alla domanda, fu ancora la dottoressa Dobois a parlare.
«La depressione è una malattia invisibile e dalle mille sfaccettature. Ci sono tante terapie per trattarla ed in genere i disturbi depressivi scatenati da un trauma possono essere risanati elaborando e superando il trauma stesso. Ci tengo a precisare però che nell'arco della vita del paziente, a seguito di altri dispiaceri o forti delusioni, il soggetto potrebbe ricadere in stato depressivo.»
«Perciò potrebbe succederle ancora anche se guarirà?»
«Sì, potrebbe esserci questa eventualità, così come potrebbe non accadere.», la psicologa guardò affettuosamente la ragazza, consapevole di quanto fosse difficile comprendere questi discorsi quando il cuore è a pezzi, ma era fermamente convinta che sia Maggie che Josie avevano la forza di superare tutto quel dolore, e lei le avrebbe aiutate dando tutta se stessa. Sorrise e, piena di speranza, esclamò: «Maggie, forza! Non è il momento di abbatterci! Pensiamo a superare e risolvere questa fase, ok?»
«Ok.», sospirò la ragazza.

*****

Tre mesi dopo l'incidente, Principato di Monaco

«Josie, ti prego, devi mangiare!», la voce di Maggie era esausta e sconfortata dall'ennesimo rifiuto della piccola Moreno.
Era passato circa un mese da quando era stata dimessa dall'ospedale e riportata a casa, dove aveva ricevuto tutte le cure e attenzioni di cui aveva bisogno. Ogni giorno, puntuale come un orologio svizzero, riceveva la visita del fisioterapista, Massimo, lavoravano insieme per un'intera ora per poterla far tornare a camminare perfettamente. E Josie era sempre bravissima, nonostante il dolore fosse palese sul suo bel viso, eseguiva gli esercizi senza mai lamentarsi.
La situazione era decisamente migliorata da quando era uscita dall'ospedale, la terapia della dottoressa Dobois aveva dato i suoi frutti e Josie lentamente aveva ricominciato a parlare.
Ovviamente della vecchia e dolce ragazza che era prima non era rimasto niente, ma almeno era tornata a rispondere alle domande, e Maggie si accontentava di riuscire a sentire di nuovo il suono della sua voce.
Altra storia era riuscire a farla mangiare, erano riusciti a togliere il sondino ormai da due settimane e, a piccole dosi, la ragazza aveva iniziato a nutrirsi da sola, ma ogni volta era una lotta continua per convincerla.
«Josie, ti prego, non farmi ripetere sempre le stesse cose! Se non mangi non avrai abbastanza forza per tornare a camminare di nuovo. E poi hai sentito il fisioterapista, devi alzarti e provare ad usare da sola le stampelle.»
«Sì, Maggie, ho sentito ciò che ha detto Massimo.», rispose apatica con il viso rivolto verso la finestra, senza muovere nemmeno un muscolo per afferrare la torta di mele, poggiata da sua sorella sul comodino, o accennare un minimo movimento con i piedi verso il pavimento.
La maggiore sospirò pesantemente e sfregandosi il viso con le mani sussurrò: «Josie, ti prego, aiutami.»
La ragazza, distesa sul suo letto ormai diventato parte del suo corpo, allontanò i suoi occhi dalla finestra e li portò sulla sorella. Avrebbe voluto aiutarla, eccome se avrebbe voluto, ma non sapeva come fare.
Dentro di sé c'era il vuoto, si sentiva come in un lungo sentiero deserto in piena notte d'inverno dove, attraversato da una grande folata di vento, nulla si muove, se non le foglie secche giacenti a terra. Anzi dentro di lei era anche peggio, lei non sentiva nemmeno quelle foglie secche.
Come poteva trovare la forza di aiutarla, se non sapeva cosa fare di se stessa, non riusciva nemmeno a capire se volesse vivere o morire.
«Maggie, ti prego, vattene.»
La più grande non disse nulla, si voltò e se ne andò, consapevole che erano solo le nove del mattino e aveva una lunga giornata davanti, quello era solo l'inizio di una tremenda quotidianità ormai a lei molto familiare.
Scese le scale di casa, uscì dal portone e si diresse allo CHERIE, entrò dal retro ritrovandosi nella grande cucina della tavola calda. Ai fornelli, come sempre, c'era la cara Agata, che da quando i loro genitori se n'erano andati aveva fatto anche i doppi turni per aiutarla. Spesso era rimasta anche oltre l'orario di chiusura per consolare il suo pianto disperato che, nell'oscurità della notte, prendeva il sopravvento.
«Allora, ha mangiato?», chiese la donna preoccupata.
«No.», rispose Maggie versandosi un po' di caffè.
«Vedrai che mangerà più tardi.», la rassicurò girando il contenuto della grande pentola in metallo.
Maggie non rispose, la guardò facendo una smorfia e sorseggiò il suo caffè appoggiandosi al grande tavolo dietro di lei.
Ad un tratto le porte a soffietto si aprirono e Alberto fece la sua comparsa approdando a testa alta nella cucina. Indossava un ridicolo completo da barca, il suo viso era rilassato come quello di un bambino dopo dodici ore di sonno profondo, i capelli erano perfettamente scolpiti dal gel che faceva risplendere le ciocche bionde più chiare e aveva stampato sulle labbra un sorriso idiota che a Maggie ricordava la bocca di uno squalo.
«Buongiorno!», esordì sfregandosi le mani tra loro, «Che cucini di buono oggi, Agata?», domandò avvicinandosi alla donna che, dopo aver lanciato uno sguardo sconcertato a Maggie, lo guardò di sottecchi.
«Niente che tu possa provare, è per i clienti! Perciò sparisci.», lo intimò allontanandolo con la mano libera.
«Wow, siamo di buon umore stamattina, vedo.», ironizzò voltandosi verso la ragazza appoggiata al tavolo, per poi lamentarsi: «Non mi merito nemmeno un saluto?»
«Ma hai lasciato il cervello da qualche parte o cosa?» gli esclamò Maggie guardandolo con disgusto.
«Non so di che parli.», le rispose alzando gli occhi al cielo, esasperato.
«Non sai di cosa parlo?! Allora te lo spiego! Sei sparito da due settimane, non ti sei degnato di farle nemmeno una cazzo di telefonata e ora piombi qui come se nulla fosse e, da coglione quale sei, pretendi da noi sorrisi e pacche sulle spalle?! Ma che problemi hai?!», gli vomitò addosso guardandolo.
«Quante parolacce in bocca ad una ragazza. Maggie dovresti moderare il linguaggio.», la sua voce era tanto ignobile e beffarda che fece scatenare l'ira di Maggie.
«Vaffanculo, Alberto!!!», lo maledisse appoggiando bruscamente la tazza sul tavolo e avvicinandosi pericolosamente a lui, «L'hai adocchiata che era solo una ragazzina. L'hai fatta innamorare di te facendole credere che fossi il principe azzurro delle fottute favole. L'hai soggiogata, manipolata, l'hai convinta di non essere in grado di saper fare nulla nella vita, se non la tua bella bambolina da sfoggiare...»
«Maggie, ti prego, ancora con questa stupida storia...?!»
«Le hai fatto credere di meritare solo questo tipo di amore, dove tu la muovi come una marionetta!!! Hai trasformato mia sorella in una di quelle persone che hanno paura di tutto, anche di pensare da sole!!!», esclamò puntandogli un dito contro con una tale forza da farlo indietreggiare bruscamente, «Ed ora che ha un estremo bisogno di te, e non riesco a capire come lei possa ancora credere in te, tu sei latitante da settimane! Che cazzo hai nella testa?!», gli urlò contro la ragazza ormai in preda alla più furiosa rabbia accumulata nel tempo.
«Lei non è più la stessa!!!», sbraitò a sua volta il biondo guardandola in cagnesco.
«Ah! Non è più la stessa!», rise beffarda per poi tornare improvvisamente seria e inferocita: «Vuoi dire non è più la tua dolce bambolina?! Non ti piace più perché il suo meraviglioso sorriso non c'è più?! Oppure, aspetta, fammi pensare...», si poggiò una mano sotto il mento alzando lo sguardo al soffitto, «Ah, sì, ecco! Certo non è più agile, non puoi più sfoggiarla alle tue stupide feste private che organizza quel coglione di tuo padre!», lo accusò urlandogli in faccia la parte finale.
«Porta rispetto per mio padre!», la ammonì Alberto con riluttanza.
«Perché?! Altrimenti che fai?! Eh, Alberto?! Che fai, mi sgridi come fai con Josie?! Mi punisci non parlandomi per giorni?! Oppure non mi porti al cinema?! O mi spezzi la collanina di perle che mi hai regalato?!»
Maggie elencò con rabbia tutto ciò che Josie le aveva raccontato essere successo in passato dopo i lunghi litigi con lui, quando, rientrando a casa in lacrime, era convita di aver perso il grande ed unico vero amore della sua vita.
Lei inerme ed arrabbiata restava a consolarla senza poter fare niente, senza riuscire a convincerla che quello non era amore, era solo una falsa parvenza di esso. Non si poteva palare nemmeno di litigi per altro, perché in realtà ciò che accadeva era sempre lo stesso: lei faceva qualcosa che a lui dava fastidio e lui la puniva.
Aveva guardato e sopportato per due lunghi anni sua sorella sgretolare la propria personalità per rincorrere un amore che non esisteva, ed ora era stanca.
Vedere lui completamente disinteressato a ciò che stava succedendo a Josie la mandava su tutte le furie.
Nonostante lo reputasse da sempre un pessimo individuo, sperava che in un momento così delicato l'avrebbe aiutata a salvare sua sorella dall'oblio, ed invece peggiorava solo in modo drastico la situazione.
Alberto non amava Josie, per lui era unicamente un oggetto di sua proprietà, un oggetto che si era rotto e non gli era più utile, al contrario gli era d'intralcio.
Lui non rispose allo sfogo isterico di Maggie, si limitò a guardarla con il suo solito fare altezzoso e, dandole poi le spalle, si incamminò verso l'uscita sul retro.
«Dove credi di andare?!», domandò la ragazza.
«Da Josie. È per questo che sono venuto.»
A malincuore lo lasciò andare, non era d'accordo con la sua frequentazione con sua sorella, ma aveva la debole speranza che la sua presenza poteva essere un modo per risvegliarla dall'apatia e farla tornare alla vita. Purtroppo, non poteva ignorare che gli unici momenti in cui aveva visto in Josie un piccolo e debole bagliore in quei lunghi e tristi mesi dopo l'incidente erano stati quando nominava il suo nome o si degnava di farle visita.
Alberto entrò nella camera della ragazza a piccoli passi e la vide distesa sul letto con lo sguardo perso alla finestra.
«Ciao, bambolina.»
Josie si voltò di scatto sentendo la sua voce e guardandolo accennò un lieve e minuscolo sorriso.
«Ciao.», sospirò continuando a guardarlo.
«Come ti senti oggi?»
«Normale.», rispose la ragazza senza entusiasmo, «Come ieri.»
«Be', forse dovresti impegnarti un po' di più per stare meglio, non credi?!», precisò lui scrutando il piatto sul comodino e le stampelle appoggiate al muro.
Josie seguì il suo sguardo e corrucciò in confusione la fronte. «Non è così facile, Alberto, credi che non ci provo? Ma ogni volta che...»
«Senti, non sono venuto qui per sentirti lagnare...», sospirò alzando gli occhi al soffitto, «Tesoro, cosa credi?! La vita è dura! Le persone muoiono e non ci possiamo fare niente, Josie! Mi dispiace per ciò che è successo a Joseph e ad Abigail, ma non si può tornare indietro. Tu sei viva e sei qui, e credo sia tuo dovere continuare a vivere decentemente!»
Probabilmente il suo discorso aveva un fondo di verità, ma non erano esattamente le parole giuste da dire ad una ragazza in piena crisi emotiva e con tanti ostacoli da superare.
Andava bene spronarla e scuoterla dal torpore dello sconforto, ma di certo tutto doveva essere accompagnato da una buona dose di affetto, comprensione e compassionevole presenza. Una presenza che da parte del ragazzo era praticamente inesistente. Invece di esserle vicino e cercare di salvare ciò che c'era da salvare, si era dileguato, incapace di caricarsi di quella sofferenza, convinto che qualche breve apparizione nell'arco di quei mesi sarebbe bastata.
Josie lo guardò inerme e stanca. «Forse... io credo che... che tu non ti renda conto veramente di ciò che hai detto... insomma, non puoi averlo detto davvero...», la voce si affievolì pian piano sperando che lui potesse giustificare in qualche modo quella sua uscita, ma non successe, al contrario continuò a guardarla freddamente convinto di aver fatto un ottimo discorso.
«Alberto, papà e Abigail non ci son più... io li ho visti morire davanti a me... e continuo a vedere i loro corpi senza vita e coperti di sangue, ogni volta che chiudo gli occhi... e...»
«E allora cosa vuoi fare? Usare a vita questa scusa per non fare più niente?! Vuoi continuare a fare la pazza e la disabile in un letto?! Se è questo che vuoi io non starò qui a guardarti. Ho altri progetti per la mia vita, che fare il badante!», chiarì puntando freddamente gli occhi chiari su quelli nocciola di lei che immediatamente si riempirono di lacrime.
«Non ti ho mai chiesto di farmi da badante!», ribatté irrimediabilmente scioccata e ferita dalle sue parole.
«Forse non ti rendi conto del tuo atteggiamento!»
La ragazza strinse la coperta tra le sue mani e abbassò lo sguardo su di esse, convita che di lì a poco sarebbe arrivato l'ennesimo rimprovero per cui lei non capiva il motivo, ma che sicuramente aveva a che fare con qualcosa che lo aveva infastidito. Era mortificata di non essere all'altezza delle sue aspettative, ma il dolore che sentiva nel cuore le impediva di reagire, di impegnarsi ad essere ciò di cui lui aveva bisogno, sicura che, se lo avesse fatto, non sarebbe comunque stato abbastanza per lui. Avrebbe sicuramente chiesto di più, e lei era così stanca.
«Io ho bisogno solo di un po' di tempo, e poi tornerò ad essere quel...»
«Ti prego, Josie, non rendermi la cosa più difficile... sai anche tu che ho tante cose per la testa. Devo laurearmi ed entrare a far parte dell'Associazione Farnesi. Non posso stare qui a leccarti le ferite!»
Josie alzò lo sguardo non capendo affatto dove lui volesse arrivare con quel discorso, «Non capisco... io non ti ho chiesto questo. Lo so che hai tante cose per la testa e cerco sempre di non darti fastidio... io non capisco...»
«Sarò chiaro, Josie, è meglio per tutti.», Alberto respirò profondamente facendo una pausa e guardando ovunque tranne che lei, «Non credo la nostra storia possa continuare.»
Un grande e profondo senso di vuoto si insinuò nel petto della ragazza.
Ad un tratto il respiro le si spezzò ed un nodo le si aggrovigliò in gola.
Quella notte, incastrata tra le lamiere e consapevole di cosa stava accadendo, aveva provato il più forte dei dolori, il dispiacere più grande nella sua giovane vita e ciò che le aveva appena detto Alberto non era nemmeno un minimo paragonabile a quella sofferenza. Ma per qualche strano motivo tutto le crollò addosso e le lacrime che in tre mesi non erano mai state buttate fuori uscirono come un fiume in piena senza riuscire a fermarle.
Lo vide alzarsi dal suo letto dove si era seduto e lentamente raggiungere la porta, l'immagine delle sue spalle era appannata e le sue parole erano lontane e ovattate: «Forse questo non è il nostro destino... o magari non è il momento. Forse ci rincontreremo, chi può saperlo.», si congedò lui passo dopo passo, allontanandosi da lei.
Josie non capì cosa le stava dicendo mentre abbandonava la stanza, ma il senso era chiaro: non l'avrebbe più rivisto.
Lei, stupida ragazzina depressa e insignificante, come poteva pensare che lui sarebbe rimasto?!
E si rivelò vero: Alberto sparì dalla vita delle sorelle Moreno.
Più tardi Maggie venne a conoscenza che era scappato per un po' ad Ibiza con una delle tante ragazze che gli gironzolavano intorno, una tal Patricia, sua compagna di corso.
I piccoli progressi che Josie aveva fatto nell'arco di quei mesi sparirono di colpo: tornò a non parlare, si rifiutava di mangiare e piangeva notte e giorno, persa in incontrollate e incessanti crisi emotive. Non sembravano esserci spiragli di luce o soluzioni all'orizzonte, niente pareva essere d'aiuto.
Giorno dopo giorno, Maggie vedeva la vita abbandonare sua sorella, ormai arresa e persa in oscuri pensieri. Lei inerme restava lì, senza poter fare nulla se non amarla in silenzio.
Poi una mattina d'agosto, il sole era caldo in cielo e nell'aria c'era il profumo del mare, Maggie era intenta a girare l'impasto della torta allo yogurt quando vide entrare Josie dalla porta della cucina dello CHERIE.
Le braccia erano appoggiate alle stampelle, indossava un grazioso vestitino rosso che le arrivava al ginocchio e ai piedi le sue amate converse. I suoi capelli erano legati in una treccia laterale che metteva in evidenza la sua grande perdita di peso, ma questo non le toglieva la sua bellezza.
Restò annichilita, sorpresa dalla sua presenza, da non riuscire a proferire parola, continuava a guardarla mentre si avvicinava alla macchina del caffè americano.
La vide poggiare una delle stampelle e prendere con difficoltà la polvere di caffè.
In un attimo Maggie si pulì le mani e si precipitò al suo fianco per aiutarla, ma lei guardandola disse: «Voglio farlo da sola!»
La maggiore si bloccò indietreggiando e poco dopo Josie parlò ancora: «Ma non te ne andare. Non so se ne sono capace.»
Maggie sorrise piangendo, riproducendo un sì entusiasta con la testa.
Non sapeva se tutto si sarebbe risolto, ma quello era sicuramente un inizio.

*****

Novembre 2019, Monaco

Il fruscio dell'ascensore che si chiudeva li accompagnò fino alla porta d'ingresso, i loro corpi erano aggrovigliati e le labbra infuocate si cercavano mordendosi.
Charles aveva le mani aggrappate alla sua vita e tentava disperatamente di infilarle sotto la sua camicetta per toccare la sua pelle.
Si mossero in fretta e senza guardarsi intorno, troppo occupati a studiare l'una il corpo dell'altro.
Josie gli afferrò i capelli scompigliandoli e morse delicatamente il suo labbro inferiore facendolo mugolare.
«Scusa.», sussurrò convinta di avergli fatto male.
Ma il mugolio di Charles era stato tutt'altro che di dolore.
La strinse con più forza tra le braccia, immergendo la lingua nella sua bocca e accompagnandola con enfasi verso la porta, non si rese conto che lo spazio tra loro ed il portoncino fosse un sottile foglio d'aria, sbattendo così la sua schiena contro di essa. «Scusa!», esclamò a sua volta lui con le labbra ancora sulla sua bocca.
Josie sorrise.
«Non fa niente. Sbrigati ad aprire!»
Frettolosamente Charles allontanò una mano da lei, portandola alla tasca dei jeans, e cercò velocemente di tirare fuori le chiavi, continuando disperatamente a baciarla.
Fallì miseramente dal dover lasciare quelle labbra invitanti per dare attenzione alle maledette chiavi, immediatamente le sfilò fuori e cercò quella giusta da infilare nella serratura, sotto la continua distrazione di Josie che, impaziente, aveva sbottonato il primo bottone della camicia bianca, baciando il collo possente che amava tanto, rendendolo ulteriormente rallentato nell'aprire la porta.
Appena il suono della serratura che scattava diede loro il via libera, la scaraventò con energia dentro l'appartamento facendola ridere e con il piede chiuse bruscamente il portone dietro di lui.
Tornò affamato a succhiarle le labbra, leccandole e aprendole per sentirne il gusto.
La schiena di Josie trovò ancora il muro, impaziente le sfilò la camicetta di seta dai jeans e accarezzò finalmente la sua pelle liscia. La fece tremare non appena le dita le sfiorarono il fianco nudo e gemette nella sua bocca, desiderosa di averne di più.
Charles scivolò con le mani dietro la sua schiena infilando prepotentemente i polpastrelli nel bordo dei suoi pantaloni, proprio dove le sue natiche prendevano forma.
La strinse di più a sé, verso il suo bacino, e Josie poté sentire perfettamente la sua eccitazione, si fece spostare facilmente dal muro e guidare nel buio corridoio che portava alla camera da letto.
Nel tragitto però, entrambi posseduti dall'estasi del momento, non si accorsero del mobiletto adiacente al muro.
Lo colpirono in piena foga facendo cadere la foto di un Charles bambino con una coppa in mano. Senza dare alcuna importanza all'accaduto continuarono a baciarsi affamati, le afferrò il sedere appoggiandola sul mobiletto dietro di loro, frettolosamente e senza staccare mai le labbra dalle sue le sbottonò i jeans skinny che, a suo parere, le facevano un sedere da Dio, ma che in quel preciso momento odiava con tutto se stesso per la difficoltà che stava avendo nel sfilarli via.
«Amo come ti stanno questi jeans ma adesso vorrei disintegrarli!», le ansimò all'orecchio facendola ridere.
Guardandolo maliziosamente negli occhi lo aiutò a farli scivolare via dalle sue gambe e con frenesia lui le sfilò via anche le decolté rosse, facendoli cadere velocemente sul pavimento.
«Mmm... così è molto meglio.», le sussurrò mentre scorreva con le mani sulle gambe nude e baciava ardentemente una sua spalla scoperta.
Sentire la sua bocca sulla pelle la disarmava, impaziente gli spinse giù dalle spalle la camicia e studiò al tatto ogni singola parte del suo petto, scivolò sui suoi addominali e impaziente sganciò e tirò verso il basso i jeans di lui.
«Aspetta!», biascicò lui contro la sua bocca, afferrando prontamente i pantaloni prima che toccassero il pavimento.
Infilò una mano nella tasca e prese un quadratino di platica dal colore blu.
«Forse dovremmo andare in camera...», le suggerì tornando a baciarla.
«No.», ansimò afferrando il bordo dei suoi boxer tirandoli via, «Voglio farlo qui. Ora.»
Non fu necessario dire altro, infilò il preservativo e le tolse le mutandine, la penetrò con urgenza, bisognoso di averla.
Con una mano le afferrò una coscia portandosela alla vita e con l'altra si appoggiò al muro per sorreggersi.
Spinse ritmicamente in lei andando sempre più in profondità, annegando il piacere tra i suoi capelli ad ogni spinta. Era davvero al limite. Bastò infatti il gemito con cui lei sospirò il suo nome per fargli perdere il controllo.
Josie afferrò il suo sedere e lo attirò ancor più dentro di sé, accompagnandolo in un'ultima spinta che la colpì nel punto più sensibile. Il piacere arrivò investendola all'improvviso, portando con sé anche l'estasi di Charles che raggiunse l'orgasmo appena dopo di lei.
Respirò profondamente baciandole la bocca, mentre Josie lo stringeva forte senza volerlo lasciar andare.
Si guardarono intorno rendendosi conto di essere nell'atrio e una risata complice si formò sulle loro labbra.
«È stato veloce... Scusa.», affermò un po' imbarazzato lui.
«È stato intenso... perfetto...», gli sussurrò lei baciando dolcemente le sue labbra ancora gonfie e calde.
Charles sorrise spostandosi dalle sue gambe quel tanto che bastava per tirarsi su i suoi indumenti, allacciò velocemente i jeans e ancora mezza svestita la prese in braccio avviandosi in camera, «Allora dobbiamo rifarlo.», propose sentendo la sua risata vibrargli sul collo mentre lei lo abbracciava.

*****

Il timido sole del primo mattino filtrava tra le fessure delle persiane, illuminando in gran parte la stanza.
Josie giaceva nuda a pancia sotto, la testa era appoggiata comodamente sul cuscino morbido e sotto di esso erano infilate parte delle braccia.
Il lenzuolo copriva solo metà del suo corpo, arrivando appena sopra al sedere, lasciando scoperte le due adorabili fossette poste poco prima dell'incurvatura della sua schiena.
Charles era vicino a lei, disteso su un fianco, anche lui nudo, con il lenzuolo che lo copriva in vita, un braccio tra la testa ed il cuscino e l'altro disteso tra loro indugiava tra i due corpi.
Avevano fatto l'amore altre due volte quella notte, finché esausti non erano caduti entrambi addormentati, ed ora alle prime ore del mattino Charles si gustava l'angelica immagine di lei completamente rapita dal sonno.
Osservò attentamente il suo viso rivolto dalla sua parte, rilassata poggiava una guancia sul soffice cuscino, la sua bocca era leggermente socchiusa e le labbra, nonostante il sonno profondo, sembravano sorridere. Non riuscì a resistere e allungò la mano verso la sua schiena, dolcemente accarezzò con i polpastrelli la pelle vellutata e risalendo il sentiero delle sue curve raggiunse le sue spalle. Delicatamente, cercando di non svegliarla, spostò una ciocca dei suoi capelli e le sfiorò il collo perfetto. La debole carezza però, nonostante fosse stata quasi impercettibile, la destò dal suo riposo.
La ragazza schiuse gli occhi ed incontrò immediatamente quelli di lui.
«Buongiorno.», le sussurrò Charles mordendosi dolcemente il labbro facendola illuminare in un sorriso.
Era bella, pensò.
Continuò a sfiorarle la schiena scendendo verso le cremose natiche, fermandosi appena sopra al lenzuolo e disegnando dei piccoli cerchi intorno ad una delle due fossette.
«Quando parti per Abu Dhabi?», domandò lei improvvisamente.
«Hai sognato Abu Dhabi?», le ribatté lui con un sorrisetto sghembo.
Lei continuò a guardarlo senza ricambiare il suo sorriso e Charles tornò serio.
«Domenica. Perché me lo chiedi?»
«Così...», rispose facendo spallucce.
Lui si avvicinò al suo viso e le baciò la punta del naso.
«Parti con me.»
Josie rise, «Non posso.»
«Perché?»
«Ci sarà un convegno di medici a Monte Carlo ed il dottore che mi ha avuto in cura dopo l'incidente ha chiesto a me e Maggie di occuparci del catering.»
«Oooh, al diavolo il convegno!», sussurrò accostandosi al suo orecchio e lasciando un bacio proprio sotto di esso.
Lei rise ancora inclinando leggermente la testa di lato.
«Non posso lasciare Maggie, è già in preda al panico.»
Si staccò dal suo collo e tornò a guardarla facendo scorrere gli occhi su ogni centimetro della sua schiena fino a fermarsi sulla piccola voglia color caffè che aveva appena sopra il sedere.
«L'amore che hai per il caffè è dipinto sul tuo corpo.», constatò puntando maliziosamente gli occhi su di lei, facendola sorridere dolcemente.
«Devo confessarti una cosa.», disse improvvisamente serio, lasciandola sorpresa e un tantino preoccupata, «Non bevo caffè.»
«Cosa?», domandò confusa.
«Non bevo caffè.», ripetè di nuovo.
«Charles...», sospirò sollevata, «Mi hai fatto preoccupare, pensavo fosse una cosa seria... e poi che significa non bevi caffè?!», chiese sollevando le spalle, «Abbiamo bevuto insieme del caffè.», gli fece notare.
«In realtà no...», ammise tirandosi a sedere sul letto e accostando la testa ad un braccio.
«Sì, lo abbiamo fatto a Monza... e ancor prima al Belvedere.»
Charles rise, «Sì, tu pensavi fosse caffè, ma nel mio bicchiere al Belvedere c'era una spremuta.»
«Cosa?!», sbuffò lei ridendo e sollevando un po' la testa.
«Sì.», rispose divertito.
«E a Monza?», chiese ancora la ragazza stupita.
«Coca-cola.», rispose cercando di non ridere mentre lei lo guardava sgranando i suoi grandi occhi nocciola.
«Ma li hai ordinati di fronte a me!»
Charles fece una smorfia, «Precedentemente ero passato allo stand e mi ero messo d'accordo con il proprietario in cambio di un cappellino autografato.»
Josie continuava a guardarlo sorpresa, sulle labbra l'accenno di un sorriso confuso.
«Ma perché non mi hai semplicemente detto che non bevi caffè?!»
«Perché tu ami il caffè e non volevo discutere sulle sue proprietà con la ragazza che stavo corteggiando, perciò ho omesso...», ammise accennando un sorriso.
Josie puntò il suo sguardo dritto negli occhi di lui, «Scusa che hai detto?!»
«Che non volevo discutere sul caffè.», ripetè di nuovo scivolando distrattamente con i polpastrelli sulla sua schiena.
«No, dopo. Subito dopo il caffè, che cosa hai detto?»
Charles rise avvicinando il viso al suo, «Che ero con la ragazza che stavo corteggiando.»
Restò immobile con gli occhi incatenati ai suoi.
«Ma tu avevi detto... amici.», farfugliò incoerente ripensando a quei giorni, «Non sembrava di certo che tu mi stessi... corteggiando... altrimenti...»
Charles spostò gli occhi in basso cercando di sfuggire al suo sguardo attento e pieno di domande.
«Altrimenti...?!», la interrogò dolcemente tornando a guardarla, «Stavi con un altro, un mio collega per giunta, se ti avessi detto che mi piacevi mi avresti allontanato.», buttò fuori un gran respiro e le sorrise, «Volevo solo passare del tempo con te ed il caffè mi sembrava un ottimo stratagemma.»
Josie si sentì così triste ripensando a quel giorno, si erano abbracciati l'istante prima che lui salisse sul podio, le aveva chiesto di restare e aspettarlo ed invece lei se ne era andata in Italia con Carlos.
Aveva scelto di scappare da quel sentimento convinta di non essere in grado di viverlo e così facendo aveva infranto tre cuori.
«Anch'io volevo stare con te.», i suoi occhi si fecero umidi, «Ma ho scelto Carlos per...»
«Josie, non devi spiegar...»
«Shh.», lo zittì poggiando un dito sulle sue labbra, «Ho scelto Carlos perché non provavo niente per lui. Con te era diverso, ogni volta che mi guardi o mi parli il mio cuore inizia a battere veloce, e io non... non capivo più niente. Provo delle emozioni che non sento più da tanto tempo ed ero terrorizzata...», sorrise arrossendo un po', «Pensavo di non riuscire a controllare la situazione. Non funziono bene emotivamente, ora lo sai. Ero convinta che ciò che sentivo per te mi avrebbe fatto del male. Carlos era qualcosa che sapevo come gestire perché non sentivo niente per lui, ma più passavano i giorni e più volevo te.», si mise a sedere avvolgendo il lenzuolo sul suo corpo e si avvicinò di più a lui, «Mi dispiace, credevo di fare la cosa giusta. Io credev...»
«Lo so, testolina, non mi devi chiedere scusa.», le afferrò il viso tra le mani e la baciò, «È passato, non parliamone più. Ok?»
«Ok.», sospirò con un timido tono di voce.
Il monegasco era riuscito ad unire quasi tutti i pezzi del puzzle mancante sul passato di Josie, ora riusciva a comprendere con più chiarezza i comportamenti che lei gli aveva riservato in quei mesi.
Continuava a sentirsi responsabile della storia che lei aveva avuto con Sainz: se avesse mostrato subito il suo interesse per lei, probabilmente ora non ne starebbero parlando.
Ma dopo tutto ciò che aveva saputo di lei capì che non sarebbe stato comunque facile farle aprire il suo cuore. A dirla tutta era ancora timoroso di non aver fatto abbastanza per conquistare completamente la sua fiducia, temeva che da un momento all'altro lei potesse scivolargli via dalle dita senza riuscire a fare niente. Ed il solo pensiero di questo lo faceva impazzire.

*****

La colazione era il momento che Josie amava di più, le piaceva preparare pancake per tutti fin da quando era bambina ed era soddisfatta quasi sempre del risultato che otteneva. Stupita che nella cucina di Charles fosse riuscita a trovare le uova, la farina e persino dei mirtilli. Certo, congelati, ma erano comunque buoni.
Quella mattina fu felice di vedere che le sue doti culinarie erano state impeccabili, anzi le erano venuti fuori dei pancake morbidi e corposi, meglio di tante altre mattine. Guardandoli non poté far a meno di sorridere e ripensare a ciò che mamma Abigail diceva sempre: «Quando si prepara qualcosa bisogna metterci amore, altrimenti non verrà mai bene.»
Spostò lo sguardo su Charles che affamato stava divorando il terzo pezzo e arrivò alla conclusione che sua mamma aveva ragione. Per tutto c'era bisogno d'amore.
«Perché mi guardi e ridi?», chiese il pilota con la bocca piena.
«Perché hai il miele sulla guancia.», gli rispose pulendolo con il tovagliolo.
«Com'è il caffè?», le chiese, preoccupato che la moka o la miscela non fossero di suo gradimento.
Avrebbe voluto scendere al locale sotto casa per prendergliene uno d'asporto ma lei si era rifiutata categoricamente ripetendo più volte che il caffè era buono in tutte le sue forme, sottolineando incredula che fosse così assurdo che lui non bevesse caffè, facendolo ridere e ripensare che era esattamente quello il motivo per cui mesi prima aveva deciso per quella piccola omissione.
«Buono!», lo rassicurò sorridendo.
Terminò il liquido nella tazzina e si alzò dalla sedia afferrando il piatto di vetro ormai vuoto dei pancake. Si voltò verso il lavello ma improvvisamente il cristallo le scivolò dalla mano e si frantumò a terra in mille pezzi.

«Come hai fatto a farlo cadere?!», sbraitò Alberto voltandosi di scatto verso di lei.
«Scusa! Mi è scivolato... non l'ho fatto apposta!», gli rispose mortificata abbassandosi subito a terra a raccogliere i cocci.
La ciotola di porcellana usata per l'insalata era scivolata dalle mani di Josie cadendo bruscamente a terra spaccandosi in mille pezzi, facendo schizzare le scivolose foglie verdi in ogni angolo della cucina. Quello che la ragazza non sapeva era che quella faceva parte della collezione privata della mamma di Alberto, si trattava di antiche porcellane decorate a mano da un famoso artista dell'Umbria.
«Merda, mia madre mi ucciderà quando lo verrà a sapere!», esclamò sbuffando, «Perché devi essere sempre così maldestra?! Non puoi stare più attenta?! Quello era un pezzo raro!!», Urlò poi, rivolgendosi a lei.
Josie era pietrificata a terra, tentava di raccogliere tutti i pezzi nonostante il piccolo tremolio delle mani, evitò di alzare lo sguardo non volendo vedere gli occhi degli altri su di lei.
Si vergognava.
Alberto ed un suo amico insieme alla ragazza di quest'ultimo avevano deciso di passare un paio di giorni nella casa in montagna di sua proprietà.
Fino a quel momento avevano trascorso delle ore meravigliose, il biondo con lei era stato molto dolce e premuroso, aveva trascorso quasi tutto il tempo con lei, accompagnandola in lunghe passeggiate tra le colline e scambiandosi coccole sul dondolo sotto il portico della casa.
Il weekend stava volgendo al termine e tutto sembrava splendido, almeno fino a quando lei non aveva commesso quel gesto maldestro.
«Alberto!», lo richiamò Lorel, la ragazza del suo amico, «Credo che tu stia esagerando, poteva succedere a chiunque!», affermò affiancando Josie e aiutandola a raccogliere i pezzi.
La piccola a terra sussurrò un timido grazie, appena udibile perché completamente sovrastato dal continuo blaterare del ragazzo che rispondeva all'amica.
«Ma è successo a lei però! Perché è disattenta e non ha grazia nel muoversi!!!»
Lorel incontrò gli occhi di Josie e vide che erano ricoperti di lacrime non versate, restava lì a terra a testa bassa a prendersi gli insulti senza dire nulla, così spazientita e disturbata dalla situazione, la ragazza più grande si alzò e rispose al suo posto: «Io credo che tu debba smetterla!!! È solo uno stupido pezzo di ceramica e tu sei davvero uno stronzo!!!»
Alberto non prese bene quella risposta ed il weekend finì nel peggiore dei modi.
Urla e parolacce invasero la stanza, Lorel lo accusava di essere un insulso maschilista.
Josie restò a terra desiderando con tutta se stessa di riavvolgere il nastro e tornare a quel momento sul dondolo, dove il sole al tramonto aveva preso un caldo colore arancione, nell'aria c'era il profumo del grano, il silenzio era così piacevole da sembrare una melodia e Alberto le sorrideva.
Invece nella testa aveva solo quel fragoroso rumore della porcellana sul pavimento.

«Oddio, Charles, mi dispiace!!! Scusami... io non l'ho fatto apposta!», Josie si precipitò a terra per raccogliere i pezzi del piatto frantumato sul pavimento.
«Sono sempre maldestra, mi succede continuamente, scusami!», ripeteva agitata mentre afferrava il primo pezzo.
Il monegasco si piegò all'istante al suo fianco.
«Ferma, Josie! Non è successo niente, non ti preoccupare!!», si apprestò a dire per tranquillizzarla, ma la ragazza sembrava essere completamente assente.
Ignorando le sue parole continuò a muovere nervosamente le mani tra quei frantumi.
«No, davvero... io... io sistemo tutto! Mi dispiace, non doveva succedere, scusami!!!»
«Josie, stai attenta, è vetro!», non finì di dirlo che la ragazza esclamò un "ahi" portandosi subito un dito alla bocca. Ma l'istante dopo era di nuovo sui pezzi di vetro a raccoglierli freneticamente.
A quel punto Charles le afferrò immediatamente le mani richiamando la sua attenzione.
«Josie, fermati!!!»
Non appena alzò il viso verso di lui vide i suoi occhi spaventati e colmi di lacrime non versate, capì immediatamente che in quell'istante nella testa della piccola Moreno era accaduto qualcosa.
«Non è successo niente, è solo un piatto.»
Quelle lacrime trattenute a fatica scivolarono libere sulle sue guance, «Dovevo stare più attenta.»
«No! Non devi stare attenta quando sei con me.», la rassicurò dolcemente. Sapevano entrambi che non stavano parlando del piatto caduto a terra.
«Io non sono lui, Josie. Non devi aver paura di me.»
Gli occhi di lei scivolarono sulle grandi mani strette sopra le sue, il sangue continuava ad uscirle dal polpastrello tagliato e gocciolava insistentemente sul pavimento, aveva sporcato anche i pantaloni di lui.
«Ti ho sporcato la tuta.», bisbigliò timidamente mentre tirava su con il naso.
Charles sorrise baciandole il naso.
«Vieni con me, testolina, prendiamo un cerotto prima che ti dissangui nel mio appartamento.», la tirò in piedi spingendola amorevolmente davanti a sé.
La ragazza si guardò il dito e sussurrò: «Credo che ce ne vorrà più di uno.»
«Sì, credo anch'io.», concordò sorridendo e, abbracciandola da dietro, passo dopo passo, si avviarono verso il bagno.

*****

Era metà pomeriggio quando Josie fece ritorno allo CHERIE, Charles l'accompagnò fin dentro la grande sala, indeciso se realmente lasciarla sola dopo la reazione che aveva avuto quel mattino nella sua cucina.
Non era minimamente preoccupato per l'ipotetica possibilità che Josie potesse avere una ricaduta nello stato depressivo avuto in passato, amava quella ragazza e tutto ciò che faceva parte di lei.
Aveva vissuto sulla sua pelle il dolore della perdita più di una volta, conosceva perfettamente il modo in cui la mente ed il cuore cercano di proteggersi da tutto ciò che può distruggerli. Combattere contro qualcosa che fa male ma non si vede è una battaglia infinita e personale, dall'esterno è facile giudicare, consigliare e affrontare. Ma dentro, nel profondo, diventa difficile persino respirare.
E la ragazza che amava era stata così forte che, nonostante il dolore che aveva dentro, era riuscita a superare un ostacolo così grande come la depressione.
Ogni volta che sorrideva i suoi occhi acquistavano una luce particolare, piena di vita. La luce di chi aveva superato qualcosa di grande. Mostravano l'ingenuità di non sapere quanta bellezza era presente in quelle cicatrici. Una luce di cui Charles aveva capito di non poter fare a meno.
Quello che realmente non lo faceva stare tranquillo era il fantasma di Alberto, la sua presenza sembrava non andarsene mai davvero.
Quella mattina dopo che il piatto era caduto accidentalmente a terra, aveva strappato dagli occhi di Josie tutta la sua serenità, catapultandola improvvisamente in un tempo lontano, distante da lui.
E anche se era lì, e continuava a chiamarla e toccare il suo viso, lei era terrorizzata da qualcosa che non c'era più ma che era stato.
Era riuscito a farla tornare da lui dopo brevissimi istanti che gli erano sembrati eterni.
L'aveva stretta tra le braccia e coccolata per il resto della mattinata, cercando di spazzare via quella paura.
Aveva provato con tutto se stesso a colmare quel vuoto che aveva visto in quel frangente, e ci era riuscito. Lei si era illuminata di nuovo e lui era stato felice della sua vittoria, ma dalla mente non riusciva a scacciare quella ricorrente domanda: come può un ragazzo che diceva di amarla averle fatto questo?
Dentro di lui la rabbia per Alberto alimentava sempre di più ed insieme ad essa il costante timore che tutto l'amore che era pronto a darle potesse non bastare per uccidere il ricordo di quel fantasma.
«Ciao, stranieri!!!», li salutò Maggie riportandolo alla realtà, facendogli accantonare per un po' i suoi pensieri.
«Ciao, Maggie.», sorrise tranquilla Josie.
«Come mai qui? Non avete il compleanno di Marta?», chiese la maggiore continuando ad asciugare i bicchieri dietro al bancone.
«Sì, ma devo sbrigare delle cose nel pomeriggio e Josie voleva cambiarsi prima.», spiegò Charles, anticipando la più piccola delle sorelle che subito gli sorrise e avvicinandosi di più a lui gli fece sapere: «Allora io salgo... ci vediamo dopo, ok?»
Charles allungò una mano e le afferrò in modo giocoso il viso costringendola ad imbronciare le labbra, per poi schioccarle un rumoroso bacio scherzoso.
«Sì, ti passo a prendere verso le nove.», la rassicurò.
«Ok.», rispose lei facendo gli occhi dolci, sparendo poi dietro le porte a soffietto, diretta in cucina.
Maggie sorrise smielata di fronte a quel tenero scambio di effusioni e non poté far a meno di scrutare lo sguardo di lui, che l'aveva seguita ammaliato finché non era sparita dalla sua vista. «Bevi qualcosa con me?», gli chiese la sorella rimasta in sala.
«No, grazie, Maggie, devo andare, vorrei passare da mia madre.», rispose lui gettando uno sguardo al suo orologio da polso.
«In realtà speravo mi dicessi di sì. Sai, non abbiamo parlato dopo quello che è successo a casa l'altra sera. Vorrei chiederti scusa.», confessò Maggie picchiettando un po' agitata le unghie sul bancone.
«Non hai niente di cui scusarti. Avevo bisogno di sapere la verità.», ribatté senza nascondere la sua perplessità.
«Sì, ma doveva essere lei a parlartene ed invece mi sono fatta prendere dall'ansia e ho spiattellato tutto in uno strillo. Scusa.», affranta abbassò lo sguardo al bancone.
Charles sorrise appena.
«Lei non me lo avrebbe mai detto.»
«No... non lo avrebbe fatto.», sospirò rassegnata, «Ma solo perché era terrorizzata di perderti. E credo che lo sia ancora.»
«Non succederà!», chiarì sicuro di sé e Maggie sorrise di nuovo.
La ragazza si mosse lentamente e afferrò due bicchieri da vino, ne poggiò uno sul bancone per Charles e uno per lei.
Il ragazzo subito alzò una mano, «Per me no, grazie.», allora Maggie lo versò solo per sé.
Sistemò la bottiglia al suo posto e respirò pesantemente mentre lui fece qualche passo avvicinandosi, intuendo facilmente che la maggiore delle Moreno voleva parlare.
«Ciò che hai saputo quella sera ti fa paura?», domandò la ragazza con cautela.
Il monegasco sbuffò una risata e puntando gli occhi su quelli verdi di lei affermò: «Maggie, niente mi fa paura se si tratta di Josie.»
Le aveva da subito fatto una buona impressione il giovane pilota monegasco, ma la sua sicurezza e la determinazione nei confronti della sua sorellina la stupiva ogni volta.
Benché però le sue parole fossero cariche di certezza e coraggio, in quella frase poteva percepire un "ma" nascosto tra le righe.
«Ma qualcosa ti preoccupa, sbaglio?», lo interrogò cercando di stuzzicarlo.
«Non c'è niente che mi preoccupa.», chiarì facendo spallucce, «Conosco la sofferenza, Maggie. So come ci si sente.»
«Lo so.», gli fece sapere la ragazza essendo venuta a conoscenza di quanto anche lui avesse perso nella vita.
Roteando il bicchiere tra le mani e puntando gli occhi sul vino, ammise: «Daniel mi ha detto del biglietto che hai trovato sulla tua macchina. Perciò ti chiedo di nuovo: sei preoccupato?»
«Sono incazzato.», precisò immediatamente con tono rude, «Non voglio che si avvicini di nuovo a lei! Odio che le abbia fatto del male! E, soprattutto, mi fa perdere il controllo il pensiero che lei abbia paura di lui.», confessò tutto di un fiato, «Oggi solo il rumore di un piatto rotto l'ha fatta agitare, continuava a chiedermi scusa e a giustificarsi, come se si aspettasse una sfuriata!», esclamò irrequieto.
Maggie riservò al ragazzo uno sguardo apprensivo.
«Mi dispiace, Charles.»
«Vorrei poter fare di più! Voglio che si senta al sicuro con me!», ammise alla ragazza, manifestandole per la prima volta un velo di fragilità.
«Charles, lei si sente al sicuro con te!!!», gli disse nel tentativo di rincuorarlo.
«Forse non abbastanza... forse non sono capace di...»
«No... no, no... Charles, non devi pensarlo minimante questo! Sei fuori strada!!!», respirò profondamente rabboccandosi il vino nel bicchiere, poi tornando a guardare il bel monegasco davanti a lei, lo invitò indicando lo sgabello tra loro: «Siediti.»
«I mesi dopo l'incidente sono stati il periodo più difficile della nostra vita, ci continuavano a ripetere che era stato un miracolo averla trovata viva, e anch'io la pensavo così...», fece una pausa, lisciando con entrambe le mani la base del suo calice, «Ma non credo che Josie la pensasse allo stesso modo. Non lo ha mai ammesso, ma credo che avrebbe preferito morire con loro in quell'incidente.»
Charles non appena sentì quelle parole alzò gli occhi per guardarla, sapeva con certezza che Josie quel pensiero lo aveva in testa, lei stessa quella notte lontana glielo aveva confessato. Ma non ne fece parola con Maggie, non c'era bisogno di darle conferma di una cosa così triste, restò in silenzio lasciandola continuare nel suo racconto.
«Lei era davvero molto attaccata a suo padre, non c'è da stupirsi: Joseph era davvero un uomo buono ed il loro legame era speciale... il legame che avevamo tutti noi era bello.», ammise nostalgica, addolorata nel dirlo, ma contenta di avere quel ricordo, «Comunque... credo che il senso di colpa per essere viva l'abbia divorata ampliando il suo dolore. Alberto non ha fatto altro che darle il colpo di grazia: le ha spezzato il cuore facendola sprofondare in un purgatorio infinito, colmo di sofferenza e colpe non espiate.», respirò profondamente scuotendo la testa a quella spiacevole memoria, «Non è uscita più dalla sua camera e si è chiusa in se stessa per così tanto tempo che ho quasi dimenticato persino il suono della sua voce. Pensavo fosse finita e che prima o poi avrei perso anche lei, ero sul punto di rinunciare a sperare, quando una mattina inaspettatamente me la sono trovata in cucina.»
Si fermò dal raccontare e asciugò una lacrima scesa a rigarle una guancia, poi guardando gli occhi del monegasco fissi nei suoi, sorrise appena.
«Camminava maldestra con le sue stampelle, diretta verso il suo caffè. Era così magra e debilitata che pensavo non avrebbe mai raggiunto la macchinetta, ed invece mi ha stupita.»
Maggie rise gioiosa ripensando a quel momento. E Charles rise con lei aggiungendo: «Ama il suo caffè!»
«Sì, lo ama davvero tanto.», concordò la maggiore, «Quella mattina non sapevo se le cose sarebbero migliorate, tanto meno se sarebbero andate bene, ma sapevo che era scattato in lei qualcosa. E doveva bastare per darmi speranza. Josie nell'arco dei mesi successivi è migliorata a vista d'occhio. Certo, non è stato affatto facile: ci sono stati momenti di crisi, pianti disperati, rabbia e frustrazione, ma con pazienza e tenacia la terapia è sembrata funzionare, e a poco a poco quella tristezza e quella solitudine sono sembrate lasciarla. Sono passati più di due anni prima di vederla sorridere realmente di nuovo e tornare ad essere la dolce ragazza che tutti conoscevamo. Almeno così lei faceva credere, ma dentro di lei implodeva, io lo sapevo, la conosco. Aveva completamente chiuso il cuore alle emozioni, convinta che se non avesse più provato sentimenti non avrebbe più sofferto. Ed in parte è stato così: è diventata più forte, nulla l'ha scalfita, in lei ha regnato una spaventosa calma. Ma il prezzo da pagare è stato alto: l'amore.»
Il silenzio la rapì un istante, scolò il liquido restante nel suo calice e poi con tono squillante esclamò: «Ma poi sei arrivato tu!»
«Io?!», chiese curioso Charles.
«Sì, tu! Non appena l'ho vista poggiare gli occhi su di te, in quella sala del Paddock, ho capito che mia sorella si sarebbe innamorata di nuovo.», osservò attentamente il viso di Charles e lo vide per la prima volta arrossire, sbuffò una risata compiaciuta e continuò: «Sul suo viso è stato come vedere spuntare un giorno di primavera dopo un lungo e freddo inverno. Le emozioni riaffioravano nei suoi occhi e, per quanto lei cercasse di reprimerle, loro fiorivano come rose in una notte d'estate. Il sentimento per te cresceva inaspettatamente giorno dopo giorno e non ha potuto fare niente, se non arrendersi a ciò che provava.»
Charles continuò a fissare il suo viso mentre lei parlava, sentì il fiato corto ad ascoltare ciò che lei diceva.
Se solo avesse saputo cosa lei provava per lui non avrebbe esitato: l'avrebbe strappata immediatamente dalle braccia di Carlos e non avrebbero sprecato il loro tempo.
Gli occhi gli si inumidirono ma non perse la concentrazione, mentre Maggie continuava a parlare: «Però aveva paura... a dire il vero era completamente terrorizzata. Gli unici sentimenti d'amore che aveva provato erano per quel deficiente che l'aveva portata ad annullare se stessa e a perdere il suo cuore. Perciò come poteva non avere timore?!»
Charles abbassò la testa e deglutì rumorosamente, cercando per l'ennesima volta in quella giornata di restare calmo e mettere da parte la rabbia nei confronti di quello stronzo per lui senza volto. Maggie, nel frattempo, fece il giro del bancone e si mise in piedi di fianco a lui, facendolo alzare dallo sgabello.
«Ma tu...», gli disse puntandogli l'indice sulla spalla, «...sei stato perfetto con lei! Sei riuscito ad aprirle il cuore con una delicatezza così rara che a volte ho pensato tu venga da un'altra epoca. Hai conquistato completamente la sua fiducia, tanto da far tornare il sorriso dentro di lei. Non ho mai avuto dubbi su di te! Sì, be', certo... ci hai messo un po'...», scherzò sgranando gli occhi.
«Sì, un po' tanto! Sono stato un coglione.», ammise ridendo e passandosi una mano sui capelli.
«Ah, non esagerare!!! Era solo questione di tempo, avevate entrambi bisogno di capirlo. Sappi comunque che ho sempre tifato per te.», confessò fiera di aver puntato sul cavallo vincente.
«Grazie per la fiducia.», disse ridendo Charles, così in imbarazzo per quel complimento da non riuscire a guardarla.
Maggie sorrise ancora una volta vedendolo così.
Charles appariva sempre come un ragazzo vissuto, più grande della sua età, sicuro di sé e temerario, ma nascondeva un cuore davvero tenero. E in quel momento era più che evidente.
«Charles, Josie non ha paura di Alberto, lei ha paura di perdere te. Teme di non essere capace di amare e ha timore di svegliarsi una mattina e non trovarti.»
«Non succederà. Gliel'ho detto.»
«Continua a ripeterglielo e andrà tutto bene.»

"Se tutto è imperfetto in questo imperfetto mondo,
l'amore invece è perfetto nella sua assoluta e squisita imperfezione."
-Ingmar Bergman-

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N.A.
Ciao a tutti, vi abbraccio virtualmente e vi ringrazio per i tanti meravigliosi messaggi che ho ricevuto, siete splendidi e soprattutto ci tengo a dirvi che riceverli è stato tanto utile per me. Mi piace sapere cosa pensate e com'è la vostra visione della storia, sapere come voi percepite i personaggi e le loro emozioni, mi aiuta a capire e a confrontarmi con chi legge. Perciò vi prego, non smettete e scrivetemi ciò che pensate.

Questo capitolo è stato molto intenso, era già scritto da un pò, ma ho avuto bisogno di riflettere tanto prima di pubblicarlo. Rivederlo e aggiustare un pò i pensieri che avevo espresso precedentemente nella prima stesura.

Spero che vi piaccia e fatemi sapere la vostre sensazioni.

A prestissimo. Grazie ancora ♥️

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