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La Campana (cap.11)



Dopo mille indecisioni e riflessioni sui pro e sui contro, alla fine era lì, in piedi in quella tavola calda. E lei era davanti a lui che lo fissava.
Il tempo sembrò fermarsi per alcuni secondi.
Ad un tratto tutta la sicurezza che aveva nell'entrare e dirle tutto quello che desiderava farle sapere era sparita per lasciare spazio al silenzio dell'imbarazzo.

Circa tre settimane prima, una volta che l'aveva vista allontanarsi con Carlos da quella discoteca, aveva capito che era il momento adatto per mettere nel dimenticatoio tutta quella situazione; così dopo aver avvertito Andrea se n'era andato dal locale ed era tornato a casa.

Si era infilato sotto le lenzuola e si era fatto cullare dalle braccia di Morfeo. Dopotutto, domani sarebbe stato un altro giorno, avrebbe scansato dalla testa la ragazza al profumo di vaniglia dai capelli color castagna e si sarebbe concentrato su tutti i suoi impegni lavorativi.
E così era stato.

Dal giorno seguente si era buttato a capofitto nel suo lavoro e nei suoi nuovi progetti che aveva in programma.
Si era concentrato sullo sviluppo del suo marchio di Kart e sull'idea di avere una linea di abbigliamento tutta sua. Aveva tanto per la testa e la prima settimana era passata alla velocità della luce.

La sera arrivava distrutto e solo il sonno gli faceva compagnia. La settimana successiva era stata settimana di gara, perciò si era concentrato totalmente sulla corsa ed era riuscito a portare a casa un terzo posto.
Un'altra settimana stava per iniziare e lui era di nuovo pronto per affrontarla al meglio.
Era presente ad ogni impegno pubblico e viaggiava tra Monaco e Maranello come se fosse ad una sola via di distanza.

Regalava sorrisi a chiunque e mostrava al mondo la sua gratitudine per il periodo bellissimo che stava vivendo... ma... ma quando chiudeva i suoi occhi, la sera, nel suo letto, in qualunque posto si trovasse, c'era quel momento, prima di cadere nel sonno, che l'immagine di lei era limpidissima nella sua mente.
Non se n'era mai andata, l'aveva solo nascosta con i suoi mille impegni, ma lei era lì che gli sorrideva.
Poi si addormentava.


Subito dopo il gran premio d'Austria, che aveva dominato per tutti e tre i giorni per poi finire con l'amaro in bocca per aver portato a casa solo un secondo posto dietro ad un irritante Verstappen, la sognò.
Era seduta vicino a lui, al margine del letto, e giocava con il suo ciuffo spettinato sulla fronte sussurrando dolcemente: "Svegliati, Charles, è tardi... svegliati!"
Era un sogno così limpido che al risveglio pensava di averla davvero vicina.
Voleva rivederla, per quanto potesse combattere questo desiderio.
Voleva rivedere il suo sorriso e sapeva come fare.

Ed ora era lì.
Goffamente aprì la bocca per dire qualcosa ma l'unico suono che ne uscì fu un banalissimo: «Ehi!».
Josie era completamente pietrificata, incapace di riuscire a parlare, era davvero lui?
Con voce tremolante come un eco rispose: «Ehi.»

Charles continuava a ripetersi che doveva parlare, dire una qualsiasi cosa, o lei gli avrebbe dato del pazzo. Ma Josie fu più veloce: «Se sei venuto per la pizza, mi dispiace, ma la cucina è chiusa.», disse con un filo di voce, stringendo la scopa che aveva tra le mani davanti a sé, come se si volesse difendere da tutte quelle emozioni che lui stava creando dentro di lei. 

Sul viso di Charles apparì un debole sorriso.
A ciò che lei aveva appena detto sapeva perfettamente come rispondere: «No... Non è per la pizza che sono qui.»
E bum, tutto il mondo di Josie iniziò a girare come un tornado.
Per tre lunghe settimane aveva combattuto col ricordo di lui. Un ricordo che doveva dimenticare, ed ora l'unica cosa che voleva fare era corrergli incontro.
Abbracciarlo.
Urlargli il perché ci avesse messo così tanto.
Ma non fece niente di tutto ciò.
Al contrario respirò lentamente e continuò a fissarlo aspettando che lui dicesse qualcos'altro.

Lo sguardo di lei lo paralizzava, era così facile per lui gestire la pressione e la tensione in una monoposto, ed ora davanti ai suoi occhi era terrorizzato di dire la cosa sbagliata.
Per uscire da quell'impasse immaginò di essere ancora nel suo mondo fatto di motori dove si sentiva a suo agio sotto pressione e si fece coraggio a parlare: «Io... io, ecco... passavo da queste parti... e... e ho pensato che potevo farti un saluto.», non la più brillante delle sue uscite, ma aveva balbettato quella mezza verità per vedere la sua reazione.

Lei ancora lo fissava senza dire niente, secondi che a Charles sembravano interminabili.
«Noi... noi stavamo chiudendo.», disse lei mordendosi immediatamente la lingua: per quale diavolo di motivo aveva detto quella cosa?! La sua mente ed il suo cuore viaggiavano a due lunghezze d'onda diverse.
Chiuse gli occhi e subito aggiunse: «Cioè, voglio dire...»

Lui sovrastò le sue parole ed i suoi pensieri dicendo: «Lo so, però magari posso farti compagnia... non so... mentre ti accompagno a casa... se vuoi ovviamente.»
Udendo le sue parole, a Josie tornò quella strana sensazione allo stomaco. Il battito del suo cuore accelerò così forte che forse anche i muri potevano percepirlo.

Era consapevole di avere le guance completamente rosse e avrebbe giurato che in quell'istante l'ossigeno non le arrivasse correttamente al cervello, perché disse la cosa più stupida che potesse dire.
«Non serve, grazie... abitiamo qui sopra.»
Josie ebbe l'impressione di vedere negli occhi del monegasco un velo di tristezza, ma lei non era abbastanza lucida per giudicare realmente tutta la situazione.

Lui si sentì davvero stupido, cosa si aspettava a presentarsi a quell'ora dopo giorni e giorni che non si vedevano? Era più che normale quella freddezza nei suoi confronti.
«Ovvio, certo, non è distante.», blaterò Charles con una risata amara.
Aveva avuto un'idea stupida, faceva meglio ad andarsene. Indietreggiò leggermente con il corpo cercando nella sua testa un saluto dignitoso per concludere il suo ridicolo altarino, quando una voce squillante spazzò via tutto l'imbarazzo che si era creato nella grande sala.
«Ma ciao! Questa sì che è una sorpresa! Come stai?»
Maggie fece la sua entrata trionfale facendo girare di scatto Josie e guadagnandosi un mezzo sorriso da Charles, che cortesemente rispose alla maggiore: «Bene, grazie, e tu?»
«Anche per me non c'è male, grazie!», rispose una Maggie tutta sorridente, «Scusate, non sono affari miei, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare, e...»

«Maggieee!!!», Josie, imbarazzata, l'ammonì interrompendola.
«Che c'è? È vero, non l'ho fatto di proposito! Si sente tutto dalla cucina...», si giustificò Maggie strappando dalle mani di Josie, sia la scopa che il grembiule da sala.
«E come dicevo, abbiamo avuto una giornata veramente lunga oggi, perciò io credo che ti farebbe bene una passeggiata notturna, non credi anche tu?»
Maggie guardava dritta negli occhi la sorellina, cercando di farle capire, nel modo più discreto possibile, di non fare stronzate di cui poteva pentirsi.
Poi riservò un innocente sorriso al monegasco davanti a loro, che non si fece sfuggire l'assist che Maggie gli aveva appena servito, e, avanzando di qualche passo, prima che Josie potesse rispondere, esclamò: «Ha ragione! Stasera è perfetta per una passeggiata!»

Maggie lo guardò e sorrise.
«Visto?! Ho ragione! come sempre, del resto! Vai, che qui ci penso io!»
Josie era completamente stordita dalle sue stesse emozioni. 
Ovviamente voleva dire sì, un enorme sì.
Ma c'era qualcosa che la spaventava in quello che provava quando vedeva o pensava al ragazzo di fronte a lei.
Lo guardò intensamente e, come era successo tutte le altre volte, si perse nei suoi occhi. 
Non c'era niente che voleva di più al mondo se non passare del tempo con lui.


*****

Avevano raggiunto il viale alberato proprio di fronte alla tavola calda.
La luna era alta in cielo; non era ancora piena, ma sarebbe stata questione di giorni.
Nei brevi secondi dall'uscita dello CHERIE al viale non avevano proferito parola.
Lui le aveva sorriso, aprendole la porta e lei aveva ricambiato ringraziandolo.
Josie continuava a giocherellare con un pezzo di carta tra le mani torcendolo in tutti i modi possibili, nella speranza di alleviare la tensione dentro di lei.
Charles camminava osservando le loro ombre sull'asfalto, un passo e poi un altro.
Le loro braccia si sfiorarono delicatamente. Un piccolo tocco e i loro occhi si incontrarono.
Contemporaneamente esclamarono: «Scusa!»
Sorrisero entrambi e nello stesso istante parlarono insieme di nuovo: «Come stai?», disse lui, «Sei sparito.», disse lei.
Josie non sentì minimamente la domanda di Charles perché era completamente sorpresa dalle sue stesse parole; non credeva di averlo detto davvero ad alta voce.
Come se lui le avesse promesso chissà cosa! Che stupida che era.
Charles aveva sentito ciò che lei aveva detto ma voleva esserne sicuro, così le chiese: «Dicevi?»
Lei sperava che non l'avesse sentita, e tergiversò.
«Niente... niente... tu dicevi?»
Ma Charles aveva sentito bene: era vero, era sparito, ma non credeva che lei si fosse resa conto di questo.
«Io... io ho avuto del lavoro che mi ha tenuto impegnato parecchio.», cercò di giustificarsi in qualche modo, anche se non sapeva esattamente su cosa dovesse giustificarsi. Tra loro non c'era un accordo, un impegno o una qualche tipo di promessa, ma comunque sentiva il bisogno di farlo.

Josie continuava a torturare il piccolo pezzo di carta tra le mani e allarmata esclamò: «Non devi darmi spiegazioni... io non volevo dire che... non eravamo rimasti... insomma non dovevamo...»
Sospirò imbarazzata incapace di dire una frase di senso compiuto e continuava ad attorcigliare quel maledetto pezzo di carta senza risultato, fino a quando lui rise e le afferrò le mani per fermare quel frenetico movimento.
La carta cadde a terra ed entrambi si fermarono uno di fronte all'altra.
«Cosa ti ha mai fatto quel pezzo di carta per essere ucciso così?!», asserì lui ridendo.
Lei lo guardò confusa poi spostò i suoi occhi sulla carta a terra e di nuovo sugli occhi del bel monegasco.
Dio solo sa quanto aveva desiderato guardarli di nuovo.
Gli sorrise.
Un vero sorriso stavolta, e lui guardandola pensò di non aver sbagliato ad andare in quella tavola calda.
Almeno l'aveva vista e sentita ridere di nuovo.
Le loro mani erano ancora in contatto e, quando Josie se ne rese conto, allontanò velocemente la sua cercando di sembrare più naturale possibile.
Ma Charles se ne accorse e a malincuore la lasciò andare.
Si guardarono intorno e si resero conto di aver camminato fino al parco per bambini della zona.
Lui notò due altalene e con un gesto della testa invitò Josie a sedersi. Se non andava errato, alle ragazze di solito piacevano le altalene. E aveva ragione perché negli occhi di lei vide un guizzo di entusiasmo.

Si sedettero e iniziarono a dondolare lentamente. Josie, piano piano, si rilassò e mentre spostava con un piede il brecciolino sotto di lei iniziò a parlare.
«Ho visto i Gran Premi, hai raggiunto il podio tutte e tre le volte... devi essere contento.»
«Mmm... contento per il podio, sì... ma non completamente soddisfatto. È il primo posto che voglio.», disse deciso.
Lei gli sorrise dolcemente.
«Ambizioso!»
Lui rise.
«Non dovrei esserlo?»
«Assolutamente sì! Puoi averlo quel posto!», rispose timidamente senza nemmeno guardarlo.

Era ancora più carina quando gli faceva i complimenti e poi si imbarazzava, pensò Charles.
«E tu, invece... che hai fatto in queste settimane?», chiese il monegasco, curioso di sapere di lei.
"Ho cercato di non pensare a te in tutti i modi possibili che conosco...", questo è quello che Josie avrebbe voluto dire, ma invece si limitò a rispondere quello che quotidianamente aveva fatto: «Niente di così speciale, abbiamo lavorato tanto. Sai, dopo quel famoso buffet, la clientela è raddoppiata... sono venute tante persone... devi vedere Maggie! È al settimo cielo!»
«Immagino... ho visto che è di buon umore. Mi fa piacere. Allora possiamo dire che è un podio anche il tuo!»

Lei rise al suo paragone.
«Non è proprio come il tuo podio, ma mi accontento. Sai, sono venute tante persone del mondo della Formula 1 a trovarci... ci hanno reso davvero felici, sono brave persone.»
«Sì, ho saputo. Ho visto Pierre, mi ha detto che Caterina vuole venire a mangiare la pizza.»
A quelle parole il sangue di Josie gelò, smise di dondolare e nella sua testa fecero capolino tante domande.
Pierre? Ma allora sapeva? Ma allora sapeva delle uscite con Carlos...? Quindi aveva parlato con Pierre di lei o solo della pizza?
Cercò di osservare la sua espressione per capire se sapesse qualcosa, ma lui era con lo sguardo fisso a terra.
Solo quando si rese conto che lei era in silenzio, si voltò a guardarla. E lei poté scrutare i suoi occhi chiari, completamente indecifrabili, come un perfetto giocatore di poker.

«Ho conosciuto Caterina... È davvero simpatica!», disse Josie cercando di essere più naturale possibile, sperando che lui non facesse domande.
Non voleva parlare di Carlos.
Non con lui.
Charles sorrise e distrattamente disse: «Sì, Cate è forte.»
Il giovane pilota si domandò se lei avesse capito che era a conoscenza del fatto che si sentisse con Carlos.
Pierre, in una delle loro uscite, gli raccontò vagamente dell'ennesima stronzata che aveva detto Max, ma senza precisi particolari, e lui non chiese i dettagli.
Gli era bastato però per capire che si frequentava con Carlos. Quali erano stati i suoi sentimenti a riguardo? Non lo sapeva neanche lui.

Ad un tratto si alzò di scatto e guardandosi intorno esclamò: «Qui c'è una campana gigante!»
Lei confusa lo guardò.
«Una campana gigante?»
«Sì, dai! La campana! Non la conosci?! Vieni, ti faccio vedere!»
Le sfiorò un braccio per invitarla ad alzarsi dall'altalena e a seguirlo. Andò nella direzione opposta da dove erano venuti, e lei lo seguì.
«Ma dove vai? Aspetta, spiegami...»
«Ragazza di poca fede, seguimi e vedrai!»

C'era una grande campana a dondolo nel bel mezzo del parco, era tutta in metallo massiccio, realizzata pochi anni prima in onore di un frate amante delle campane. Era una sorta di campana a dondolo gigante, ci si poteva posizionare ai piedi e oscillando un po' si riusciva a farla muovere facendo sì che emettesse un suono. Più era forte l'oscillazione, più potente era il suono.

Arrivati davanti alla campana, Charles ci salì sopra ed iniziò a muoversi avanti e indietro, Josie lo guardava tra il perplesso e il divertito.
«Ma cosa stai facendo?», gli chiese sorridendo.
«Avanti, sali, aiutami... sali su...»
Josie si guardò intorno e vide che non c'era nessuno in giro, guardò l'orologio per scoprire che era già l'una passata.
«Ma Charles... non so se...»
«Oooh... dai, sali! È divertente, fidati!», affermò lui impaziente.

Josie rise del suo entusiasmo: sembrava un bimbo.
Così scuotendo la testa decise di salire poco lontano da dove era lui, si aggrappò al poggia-mani nella parte alta del grande oggetto di metallo e lo guardò.
«Ecco... ora oscilla!», le spiegò facendole vedere il movimento.
Lei iniziò a muoversi, prima lentamente, e poi, seguendo il movimento di Charles, andò sempre più veloce fino a quando un suono riecheggiò nell'aria.
Subito dopo un altro e poi un altro ancora.
Il silenzio che li circondava lo rese alle loro orecchie ancora più forte ed entrambi si guardarono con occhi sbalorditi. Era decisamente più forte suonato nel silenzio della notte, pochi secondi dopo una voce stridula lontana li fece sobbalzare.
«MA VI RENDETE CONTO DI CHE ORE SONO?! INCOSCIENTI! ANDATE A DORMIRE!»
Charles sbottò a ridere e Josie si coprì la bocca con una mano per bloccare la sua risata. 
"Che figura! Sgridati come due bambini!", pensò imbarazzata la ragazza. La campana ancora oscillava con loro sopra ed emise un altro forte rintocco, la voce lontana urlò di nuovo, o forse ne era un'altra, chi poteva dirlo.
«BASTA! C'È GENTE CHE VUOL DORMIRE!»
Josie terrorizzata scese subito dalla campana e tirò immediatamente la maglia di Charles, che ancora era arrampicato, per far scendere anche lui.
«Charles, basta! Scendi... scendi!» 
Lui fece una leggerissima resistenza mentre continuava a ridere. 
«Charles...ti prego, scendi... è tardi... ora ci scannano!», continuò Josie ridendo un po' anche lei.
Lui si lasciò tirare giù mentre non smetteva di ridere e all'improvviso urlò: «Ci scusi, signora! Ma era troppo divertente... ci scusi!»
Josie, sconvolta, gli mise una mano sulla bocca per ammutolirlo.
«Che fai?! Sei pazzo?! Zitto!», esclamò agitata.
«È importante scusarsi.», asserì ridendo, spostandole gentilmente la mano dalla bocca.
E di nuovo cogliendola di sorpresa urlò: «Andiamo via, signora, le auguriamo una buona notte e ci scusi ancora!»
«Charles, basta! Ti prego, io ci vivo in questo quartiere!»
Lo prese per mano e lo trascinò più lontano possibile da quella campana.
Lui ancora rideva e, quando furono abbastanza lontani dal parco, lei si fermò e, voltandosi, lo guardò allibita.
Ma quando vide la sua faccia ancora rapita dal divertimento, scoppiò a ridere anche lei di cuore.
«Tu sei pazzo!», esclamò allegra.
Charles guardò il luccichio che avevano assunto i suoi occhi e non poté far a meno di pensare a quanto fosse bella.
Il suo viso era illuminato dalla luce del lampione e la felicità che era dipinta nelle sue iridi veniva messa in risalto.
«No, tu sei pazza!», disse lui in tono giocoso, «Vivi qui e non conosci la campana?!»
«E sentiamo, tu come la conosci?»
«A volte veniamo da queste parti con degli amici e... diciamo che le oscillazioni... ci aiutano a smaltire la LIEVE sbornia...»
«Lieve, eh? Allora, dietro quel bel faccino c'è un cattivo ragazzo?!», chiese Josie presa dall'ilarità del momento, provando però imbarazzo nell'istante stesso che pronunciò quelle parole.
«Allora pensi che abbia un bel faccino?», la prese in giro Charles, stuzzicato dalla vista delle sue guance leggermente arrossate. 
Sapeva di avere un certo ascendente sulle ragazze, ma con Josie era diverso.
Non riusciva a capire se la ragazza aveva lo stesso interesse a conoscere lui che lui aveva di conoscere lei.
«Stupido... Andiamo, che è tardi!», disse lei con tono permaloso, incamminandosi nella direzione dello CHERIE.
Lui sorrise e la seguì.

Una volta davanti al piccolo vialetto che portava al portone di casa, Josie si fermò e si voltò verso di lui, facendolo arrestare a sua volta.
Aveva le mani in tasca e la guardava senza dire niente.
Ormai l'euforia delle risate di poco prima era scemata e sul viso di Charles le labbra erano distese in un meraviglioso sorriso appena accennato.

Josie osservò attentamente i lineamenti di quel viso così delicati ma al tempo stesso così decisi.
Non lo conosceva benissimo, ma aveva la sensazione che anche la sua personalità avesse le stesse caratteristiche. Dolce ma forte.
E quella sera aveva scoperto che era anche divertente.
«Bene, io sono arrivata.», disse lei indicando il portone di casa.
«Così sembra...», disse lui con un sorriso.
«Grazie per la passeggiata, mi sono divertita.»
«La campana non delude mai.»
Entrambi risero.
Restarono pochi attimi a guardarsi, l'uno nella speranza che l'altra dicesse qualcosa.
Poco dopo fu lei la prima a salutarlo: «Be', allora buonanotte...»
«'Notte Josie.», sospirò lui.
Lei si girò, dandogli le spalle, e si avviò verso il portone.

Mentre camminava, nella sua testa c'era solo una domanda che le martellava da tutta la sera.
Senza essere conscia di quello che il suo corpo le aveva imposto di fare, si ritrovò all'improvviso a voltarsi verso di lui.
Charles era ancora lì, esattamente dove lo aveva lasciato.
La guardava.
Senza aspettare un secondo di più gli chiese: «Perché sei venuto stasera?»
Trattenne il respiro mentre i loro sguardi erano impegnati in una battaglia dolce e silenziosa, finché lui rispose: «Avevo voglia di vederti.»

N.A. Ciao a tutti 😊 eccomi con un nuovo capitolo, Charles finalmente ha ceduto alla voglia di rivederla... cosa succederà ora??? Vedremo 🙈
Fatemi sapere se vi è piaciuto! Adoro leggere i vostri commenti, un bacio virtuale a tutti 😘

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