Dèjá vu (cap 36)
N. A. Ciao a tutti di solito non lascio messaggi all'inizio del capitolo ma questa volta è un pò diverso. Questo capitolo è un pò speciale per me e vorrei chiedervi di leggerlo con il cuore aperto, godendovi ogni emozione che riesca a suscitarvi e vi prego di fidarvi di me. ♥️
Le porte a vetro automatiche si aprirono di fronte a Maggie permettendole di entrare. Passo dopo passo, frettolosamente ed in preda al panico, attraversò il grande atrio davanti a sé, l'odore forte di antisettico a lei molto familiare le invase bruscamente le narici, odiandolo con tutta se stessa. I ricordi le attraversarono la mente ancora una volta prorompendo prepotentemente dentro di lei e spazzando via ogni briciolo di positività che aveva cercato di costruirsi nel tragitto dallo CHERIE all'ospedale.
La notizia le era piombata addosso nel primo pomeriggio, non sentiva Josie da quando era uscita quella mattina. L'aspettava per pranzo, ma la ragazza non solo non era rientrata, ma non aveva avvisato e non rispondeva a nessuna delle innumerevoli chiamate
della maggiore. Camminando avanti ed indietro nella grande sala del loro locale, Maggie cercava di mantenere la calma continuando a sperare che sua sorella apparisse con il suo dolce sorriso da un momento all'altro affacciandosi dalla porta d'entrata.
Stringeva il suo telefono tra le mani, pregando che nulla di brutto le fosse accaduto, ma le sue speranze si frantumarono in un unico squillo.
Non ricordava bene cosa era accaduto dopo, come e in che condizioni aveva raggiunto l'ospedale Principessa Grace, continuava solo a ripetere a se stessa come un mantra: "Non di nuovo! Non di nuovo!"
Agitata raggiunse il bancone della reception del grande atrio, esasperata e affranta dal vortice dei pensieri creati dal non sapere,
si accasciò sul banco e appoggiò le mani sul bordo rosso scuro della superficie, le sue nocche diventarono bianche dalla forza che mise nello stringerlo.
«Sono Margareth Moreno, mi avete chiamato poco fa. Mia sorella Josie... Josephine...», il nodo alla gola si fece più forte e le lacrime le riempirono i grandi occhi verdi, «Josephine Moreno è stata portata qui...»
«Sì, signorina, ho fatto io la chiamata. Che grado di parentela ha detto di avere con la signorina Joseph...?»
«Sorella.», rispose Maggie non lasciando il tempo all'infermiera bionda, nascosta in parte dal bancone, di finire di porre la domanda. La donna nella sua divisa azzurra si avvicinò al computer digitando velocemente sui tasti.
«Può darmi un documento?»
«Co...cosa?», chiese Maggie confusa.
«Un documento, signorina. Ho bisogno di un documento che mi rassicuri sulla sua identità.», ripetè gentilmente la donna.
Maggie si spostò distrattamente i capelli dalla fronte.
«Sì! Sì, certo! Un documento...», frugò con le mani tremanti nella sua borsa cercando più veloce che poteva il portafogli, riuscì ad afferrarlo solo dopo un tempo che le sembrò interminabile, «Eccolo. Tenga. Mi può dire dov'è mia sorella e cosa le è successo?», domandò in preda alla disperazione mentre l'infermiera registrava i suoi dati.
«La stanno visitando, signorina. Può accomodarsi nella sala d'attesa, non appena il medico avrà terminato l'aggiornerà sulle condizioni della paziente.», le parole arrivarono fredde e distaccate alle orecchie di Maggie.
Come da protocollo la donna aveva detto ciò era tenuta a riferire ai familiari del paziente, ovvero di attendere.
Conosceva bene quella fase: aspettare infiniti minuti, a volte ore, nell'agonia e nel terrore che alla persona cara fosse capitato il peggio. Non poteva rivivere di nuovo tutto quello. Al solo pensiero, Maggie si sentì mancare. Un impeto di rabbia si impossessò di lei ed interminabili lacrime le ricoprirono il viso.
Scagliò tutta la sua tristezza e frustrazione contro la povera donna che stava solo facendo il suo lavoro.
«Non aspetterò qui inerme che mi diciate che mia sorella è in fin di vita!!! Voglio sapere cosa è successo!!! Quanto è grave? Non voglio aspettare, voglio saperlo subito!!! Ho diritto di saperlo!!!», urlò battendo più volte le mani sul bancone di fronte a lei, facendo spaventare la donna bionda e minuta dietro di esso.
«Signorina, si calmi! Si calmi, la prego!!!», le ripetè l'infermiera portando le sue piccole mani in aria e cercando di tranquillizzarla,
senza tuttavia avere successo.
Maggie non fermò la sua rabbia e continuò ad urlare contro l'unica persona che aveva davanti in quel momento.
«Non mi dica di calmarmi! Mi ha chiamato dicendo che Josie era stata portata qui! Ora sono qui, voglio sapere dov'è e che cosa le è successo!»
«Lei ha tutto il diritto di saperlo, ma io non posso rispondere alle sue domande perché non sono al corrente della situazione. È stata portata dentro dal medico e stanno verificando le sue condizioni, non posso dirle altro, signorina Moreno. Mi dispiace.», la donna le parlò in modo pacato scandendo bene le parole e appoggiando le mani su quelle della ragazza mora, provò come meglio poteva di trasmetterle tutta la sua solidarietà, «Margareth, purtroppo non posso dirle più di questo, ma le prometto che il medico la metterà al corrente di ogni cosa non appena terminerà la visita. La prego, si calmi e si accomodi in sala.»
La ragazza continuò a piangere ascoltando le parole dell'infermiera,
la donna aveva ragione e lei lo sapeva benissimo, non poteva darle altre informazioni senza l'autorizzazione del dottore.
Prese un gran respiro fece scivolare via le mani da sotto quelle della bionda in divisa e si asciugò le lacrime, riacquistando per quanto le fosse possibile la calma.
«Mi... mi dispiace... io sono un po' nervosa... non ho notizie di lei da stamattina e... e... sentivo che non era normale... ma continuavo a ripetermi che...», un singhiozzo incontrollato le sfuggì dalla bocca, tentò di bloccarlo con la mano coprendosi, ma senza successo scoppiò a piangere di nuovo, «Mi scusi... mi scusi...», farfugliò mentre si girò verso le sedie libere nella stanza.
L'infermiera intenerita dalla sua disperazione superò il bancone e la raggiunse.
«C'è un distributore all'angolo, perché non si prende qualcosa di caldo?! L'aiuterà nell'attesa.», le sussurrò amorevolmente passandole una scatola di fazzoletti usa e getta.
«No... la ringrazio... sto bene, ora mi calmo.», sospirò sfilandone uno e soffiandosi il naso. La disperazione l'aveva travolta come un fiume in piena, ma sapeva perfettamente che piangere e urlare non avrebbe risolto la situazione.
Doveva solo sedersi e aspettare.
Un pensiero immediatamente le saltò alla mente: Charles.
Avrebbe dovuto avvertirlo, metterlo al corrente di cosa era accaduto, ma poi si chiese: "Cosa gli dico? Non so nemmeno io cosa è successo!", la disperazione tornò e si prese la testa tra le mani, puntando i gomiti sulle ginocchia, seduta sulla sedia più isolata di quell'enorme sala.
No, avrebbe aspettato di parlare con il medico prima di chiamarlo. Fu allora che due figure in uniforme le si avvicinarono.
«Signorina Moreno?»
Maggie alzò subito la testa guardando dinanzi a lei i due uomini della polizia monegasca.
«Sì, sono io.», rispose sorpresa mentre l'ansia e la preoccupazione le invasero il petto, «Che succede?», boccheggiò deglutendo. «Signorina Moreno, abbiamo ricevuto una chiamata: delle persone hanno trovato degli oggetti personali di una ragazza sul ciglio di un vicolo in centro. Abbiamo ragione di credere che si tratti di una sua
parente visti i documenti presenti all'interno.», l'uomo più alto tra i due, le porse la borsa nera di Josie che reggeva tra le mani, era avvolta da una busta trasparente di plastica.
Maggie alla visione dell'involucro tremò, ammutolita lentamente si alzò dalla sedia e si coprì la bocca con una mano cercando di reprimere un lamento e con l'altra afferrò la borsa.
I due poliziotti si scambiarono uno sguardo fugace di fronte al silenzio della ragazza e uno dei due, scegliendo accuratamente le parole, continuò a parlare: «Una testimone dice di aver visto una ragazza mora essere portata via da un uomo biondo con un lungo cappotto blu su una Porche nera. Come le dicevo, pensiamo si tratti di Josephine Moreno. L'infermiera alla reception ci ha detto che è sua sorella, è corretto?»
«Oddio...», sospirò debolmente Maggie, spostando lo sguardo sulla borsa di pelle della sua sorellina.
Josie amava tanto quella borsa, gliel'aveva regalata lei il Natale precedente e l'aveva presa in giro per tutto il tempo, dicendole che per quanto l'aveva pagata se la doveva far bastare anche come regalo di compleanno. La sua piccola Josie aveva riso abbracciandola e baciandole la guancia, ignorando completamente il suo commento
di simulato cinismo.
La voce del poliziotto la riportò al presente: «Signorina Margareth, mi sente? Ha capito cosa le ho chiesto?»
La maggiore delle Moreno portò lo sguardo sull'uomo in divisa e chiuse gli occhi per ritrovare la concentrazione.
«Onestamente... io... io... credo di avere un po' di confusione. L'ospedale mi ha chiamato dicendomi che mia sorella ha avuto un incidente e ora voi... voi mi dite che è stata rapita... cosa... cos...»
«La prego, Signorina Moreno, sediamoci un attimo e cercheremo di chiarirle la situazione.»
Maggie si sedette di nuovo stringendo la borsa di Josie tra le mani e puntò i suoi occhi confusi e affranti su entrambi gli uomini in divisa. L'uomo che le aveva consegnato la borsa, moro, sulla cinquantina, con due grandi occhi neri e la carnagione scura, iniziò a spiegarle: «Un paio d'ore dopo aver fatto il sopralluogo dove ci è stata indicata la scomparsa della ragazza a bordo di un'automobile nera, abbiamo ricevuto una chiamata, la quale menzionava il ritrovamento di un
veicolo presso una zona di Cap d'Ail. Dalla descrizione del testimone è risultato trattarsi una Porche nera.»
«Cap d'Ail?!», domandò la ragazza terrorizzata, «No, la prego... non mi dica questo... non me lo dica, la prego...», ripetè sgranando i suoi occhi ormai totalmente rossi dal pianto.
«Sì, Cap d'Ail, signorina.», le confermò l'ufficiale, riluttante all'infliggere un ulteriore dolore alla ragazza che aveva di fronte, «Non sappiamo ancora la dinamica dell'incidente. Il testimone si è fermato sul posto a collisione avvenuta, trovando l'auto giù da una scarpata.», affievolì appena la voce nella parte finale della frase.
Un sorriso triste e amaro si disegnò sul viso di Maggie mentre le lacrime scendevano come una pioggia torrenziale.
«Una scarpata, ha detto?! Non ci posso credere... questo... questo è solo un incubo... Sto rivivendo un incubo!», blaterò buttando la testa
all'indietro e prendendo dei grandi respiri, provando con tutte le sue forze a restare lucida.
Conosceva bene quel luogo, in verità tutta Monaco ricordava bene quelle strade repentine. In una di quelle scarpate era morta la bella Principessa Grace, come dimenticare quella tragedia?!
Lei e Josie non erano nate quando accadde, ma sua mamma Abigail e Joseph spesso l'avevano menzionato, soprattutto quando lei aveva
preso la patente. Ricordava perfettamente la preoccupazione della mamma ogni volta che andava in quelle zone per un qualche motivo. «Perciò mi sta dicendo che era la stessa auto che ha portato via mia sorella?», balbettò timorosa di ascoltare una risposta che già conosceva.
Il poliziotto sospirò profondamente abbassando lo sguardo a terra. «Sì. Era la stessa auto con a bordo sua sorella. Entrambi erano nell'abitacolo e quando siamo arrivati sul luogo dell'incidente c'erano già i soccorsi.»
Maggie iniziò a tremare, la disperazione prese il posto di quel briciolo di autocontrollo che si era imposta e abbandonandosi completamente ad essa sbottò in un pianto inconsolabile.
«È... era...», provò a fare la domanda che ormai le aveva invaso la testa, ma non riusciva a dirla ad alta voce. Non riusciva proprio.
«No, signorina. Josephine era viva nel momento che l'hanno tirata fuori dall'abitacolo. Non so dirle le sue condizioni attuali, ma so che era viva quando l'hanno soccorsa.»
Maggie alzò immediatamente la testa. «Era viva?»
«Sì, signorina, ma non so dirle altro per ora.»
Un singhiozzo le uscì dalla bocca mentre sulle labbra le si formò un timidissimo e debole sorriso di speranza.
«Grazie... grazie...», ripetè più volte portando le braccia intorno al collo dell'uomo in divisa e abbracciandolo impetuosamente. «Signorina, la prego...», farfugliò l'uomo preso di sorpresa da quella reazione.
«Quello che il mio collega le sta dicendo...», precisò l'altro poliziotto, cercando di far staccare la ragazza dal compagno di lavoro, «È che non sappiamo quali siano le sue condizioni al momento, perciò non vorremmo darle false speranze. Lo capisce questo, signorina Moreno? Deve aspettare il medico per avere certezze.»
Maggie abbandonò la presa sul poliziotto che, imbarazzato, si ricompose.
La ragazza si asciugò le lacrime e tornando seria annuì con la testa. «Ho capito. Certo. Posso chiedervi se avete scoperto chi è l'uomo della Porche?»
«Dai documenti dell'auto siamo risaliti all'avvocato Alb...»
L'uomo in divisa non riuscì a concludere la frase che le porte
automatiche dell'ospedale si spalancarono all'improvviso, una barella con un uomo sopra fece irruzione nel grande atrio, spinta energicamente e con grande velocità da medici e infermieri del pronto soccorso.
«Codice rosso! Codice rosso!», urlava uno di loro mentre spingevano la barella.
L'uomo era coperto da un lenzuolo verde in gran parte sporco di sangue, Maggie osservò tutta la scena attentamente provando a vedere il suo volto, ma fu impossibile riuscire a riconoscerlo.
Era coperto dal respiratore e dal braccio di un'infermiera che lo teneva in funzione; a fatica ed in modo disturbato, riuscì a sentire le brevi frase urlate dal personale che lo scortavano lungo il corridoio. «Il paziente non è cosciente... difficoltà respiratorie... preparate la sala operatoria...»
Mentre guardava la barella allontanarsi sempre più dall'atrio, intravide una chioma bionda sporca di sangue.
Si voltò verso i poliziotti ancora vicino a lei, anche loro spettatori di
quel tragico momento che aveva ipnotizzato la sala d'attesa, e fissando i loro volti indecifrabili e freddi chiese con voce tremante: «Qual è il nome dell'uomo che era alla guida della Porche?»
Il moro riportò l'attenzione sulla ragazza: «Alberto Farnesi.»
*****
Qualche ora prima, Cap d'Ail
«Che cosa hai in mente?!», domandò Josie con voce ferma tentando di non far trapelare la paura che pian piano cresceva sempre più dentro di lei.
Aveva infilato il cellulare nella manica del suo golfino, coprendolo meticolosamente con il suo piumino.
Aspettava un segno di distrazione da parte di Alberto, intento nella guida della sua tanto amata Porche nera.
Josie aveva bene in testa il ricordo di quando il ragazzo le aveva sventolato davanti agli occhi le chiavi della vettura nuova di zecca che il suo ricco papà che lui tanto odiava gli aveva regalato.
Lo aveva reso un figlio in una gabbia dorata ricoprendolo di infiniti regali pur di comprare il suo rispetto.
Un senso di nausea la invase ripensando a quei momenti e al disagio che sentiva ad averli vissuti.
«Oh, bambolina, non far sembrare tutto come un complotto. Voglio passare del tempo con te e lo voglio passare con estrema calma. Senza sorelle maggiori isteriche e piloti sopravvalutati pieni di ego...»
«Non parlare di loro... non ti permettere di parlare di loro... tu...», farfugliò Josie irritata.
«Cosa, tesoro? Non sono all'altezza?! Ah!», una risata malefica gli uscì dalla bocca e divertito dalle parole della ragazza la guardò, «Sei sempre la solita ingenua, innamorata dell'amore... una sognatrice.
Pensi davvero che quell'idiota sia innamorato di te?!», la provocò aspettando una sua risposta, quando lo sguardo pieno di lacrime di Josie si puntò su di lui, rise ancora, «Oooh... Lo pensi davvero! Povera piccola ingenua.», cantilenò imitando una vocina amorevole femminile.
Fece un ironico broncio per poi tornare al suo tono normale di voce: «Vedi, bambolina, tu non hai mai compreso davvero il tuo potenziale. Insomma, guardati, hai un aspetto da far invidia a qualsiasi ragazza. Sei un bellissimo trofeo da sfoggiare e un corpo caldo da scopare... ti è così difficile da capire?! Gli scaldi il letto!»
Josie deglutì a fatica cercando di allontanare da sé l'influenza negativa che le parole di Alberto stavano insinuando in lei.
Conosceva Charles e solo loro due sapevano cosa realmente sentivano l'uno per l'altra.
Alberto non sapeva assolutamente nulla della loro storia, di Charles... di cosa provavano.
Non rispose alle sue provocazioni e il biondo, ridendo del suo silenzio, continuò: «Quando si sarà annoiato di te... della routine... cambierà. Pensi che la sua fama non lo preceda? Gli basterà uno schiocco di dita per trovarne altre mille che gli scalderanno il letto... e tu, povera illusa, crogiolerai nelle lacrime della delusione.»
La piccola Moreno ricacciò indietro altre lacrime che stavano minacciando di scendere e con una sottile vena ironica mista a profonda tristezza lo derise: «Non lo consideravi un pilota sopravvalutato?!»
«Certo!!! Lo è!!!», rispose lui ridendo mentre i suoi occhi continuavano a puntare la strada dritta di fronte a lui.
«Eppure hai detto che la sua fama lo precede... elogi il suo fascino con le ragazze... sembrano cose a cui tu ambisci da una vita, sei forse invidioso del suo successo?!»
Alberto si voltò di scatto verso di lei, perdendo immediatamente il ghigno che aveva precedentemente stampato sulle labbra.
«Non essere ridicola. Io invidioso di quell'idiota? È un sopravvalutato, ma purtroppo di gente intelligente da capirlo ce n'è poca in giro. A Monaco sembra che tutti pensino che sia un eroe... per cosa poi?! Perché guida una macchina?! Ah! Ho sempre pensato fosse uno sport stupido e di poco valore.»
Josie si rese immediatamente conto di aver colpito nel segno, non era
più una risposta a ciò che lei gli aveva chiesto, ma era diventato un monologo pieno di ego, prepotenza e frustrazione.
La voce di Alberto riempiva fastidiosamente l'abitacolo e la ragazza chiuse gli occhi provando con tutte le sue forze a cercare dentro lei un ricordo felice, un posto sicuro dove rifugiare la sua mente e allontanare dalle sue orecchie l'irritante tono proveniente dal suo fianco.
Non le fu difficile, nell'istante esatto che le sue palpebre si abbassarono il volto di Charles le apparve limpido come fosse reale. Seguì mentalmente il contorno delle sue labbra, lo immaginò sorridere e mostrare inconsapevolmente le sue dolci e sexy fossette. Involontariamente sorrise anche lei e il suo sogno bruscamente si dissolse come una nuvola di fumo.
«Cos'hai da sorridere?!», chiese Alberto irritato, «Stai ridendo di me?»
«No!!!», rispose lei in modo agitato.
«Sì, stavi sorridendo!», ribadì più arrabbiato.
«No, ti sbagli... io stavo solo...»
«Stavi solo, cosa?! Eh? Perché balbetti? Rispondi!», le intimò.
«Non sto... io non... non...»
«Ah, no?! Te lo dico io! Non hai una scusa pronta da rifilarmi... ecco perché balbetti! Pensi che sono stupido?»
«No! Non l'ho mai pensato.», provò a rassicurarlo lei cercando di non farlo arrabbiare ulteriormente e a non far accadere il peggio.
Capì in quell'istante esatto che se voleva uscire illesa da tutta quell'assurda situazione doveva entrare nel ruolo che aveva sempre interpretato in passato con lui.
Stavano attraversando le repentine curve di Cap d'Ail mentre il loro dialogo si era alzato di toni ed era meglio non far perdere la testa ad Alberto, perciò finse di essere ancora una volta la sua bambolina. «Dove vuoi andare per parlare di noi?», gli domandò dolcemente guardandolo in modo languido.
Alberto notando l'atteggiamento più docile della ragazza, si rilassò e il suono della sua voce così pacata lo calmò del tutto.
«Voglio portarti nella casa della mamma, quella dove andavamo d'estate ogni tanto... ricordi? Ti piaceva andare lì...»
«Sì, mi ricordo. È bello lì.», affermò Josie fingendo un sorriso entusiasta.
Alberto sorrise immediatamente e voltò il viso di nuovo sulla strada.
«Sì, ti è sempre piaciuto andarci.», sopirò sognante e vagò con lo sguardo al cielo azzurro sopra di loro.
«Sai, ricordo perfettamente la prima volta che ti ho vista.», disse con un tono stranamente dolce, «Maggie aveva dato una festa, cos'erano...? I suoi vent'anni?», chiese ad un tratto guardandola.
Josie restò inerme a fissarlo, sorpresa da quell'atteggiamento completamente diverso rispetto a quello di qualche istante prima, sembrava improvvisamente calmo e persino felice.
Accennò un gesto di assenso con la testa, continuando a sorridere debolmente.
Il ragazzo le sorrise di rimando e continuò perdendosi nei suoi ricordi: «Avevi una coroncina di perle bianche tra i capelli e indossavi un vestitino blu abbinato alle tue amate Converse. Sedici anni e sembravi già una piccola donnina. Sono rimasto incantato dal modo in cui ti
destreggiavi in sala servendo i baci di dama di tua madre... Oh, i baci di dama di Abigail... erano i più buoni al mondo!!! Nessuno li fa come li faceva lei!»
Josie era irritata dal sentirlo parlare di quel tempo ormai lontano, di sua madre e di come tutto ai suoi occhi sembrasse idilliaco, ma tentò con tutte le sue forze di restare calma e di nascondere dietro lenti respiri la voglia di urlargli contro e dirgli quanto ipocrita lui fosse.
Ma più lui parlava e più ai suoi occhi tornava ad apparire quel semplice ragazzo di tanti anni fa.
Osservò attentamente il suo sguardo perso mentre parlava di quei ricordi e per una frazione di secondo credette di vedere in lui del rimpianto.
«Sì, la mamma faceva dei baci di dama unici.», disse debolmente continuando a studiare il suo viso.
«Assolutamente, bambolina! Assolutamente! Nemmeno Agata riesce a farli come lei, ma, ti prego, non dirglielo. Mi è sempre piaciuta quella donna.», dichiarò ridendo della sua affermazione.
«No, non lo farò.», rispose lei fingendo l'ennesima espressione divertita e remissiva.
«Eri la più bella creatura che avessi mai visto ed ero così felice che tuo padre ti avesse dato il permesso di uscire con me! È stato il periodo più bello... volevo iscrivermi ad archeologia, volevo viaggiare e volevo portarti con me ovunque...», la sua voce si affievolì e le sue mani strinsero con forza il volante, «Cosa è successo dopo, Josie? Perché
tutto è andato a rotoli?!», chiese ad un tratto con tono deluso, lo sguardo fisso sulla strada di fronte a sé.
Josie lo guardò con gli occhi lucidi.
«Penso... forse... hai smesso di credere nei tuoi sogni...», pronunciò timorosa.
Il ragazzo s'irrigidì all'istante stringendo più forte le mani intorno al volante, si voltò verso di lei e la luce sognante di appena un attimo prima sparì di nuovo.
«Sono stato costretto!», ringhiò a denti stretti, «Pensi davvero avessi una scelta?!»
«C'è sempre una scelta, Alberto, siamo noi che decidiamo chi vogliamo essere nella vita.», non voleva irritarlo, ma le parole le uscirono spontanee.
Era ciò che pensava e non poteva fingere, non più.
Nella sua giovane vita aveva già perso tanto, in gran parte per un disegno divino più grande di lei, ma il privarsi delle emozioni, dei suoi sogni e di tutto ciò in cui credeva era stata una sua scelta.
Incontrare Charles e lasciarsi andare al suo amore l'aveva fatta sentire viva per la prima volta dopo tanto tempo, con lui riusciva a vedere il mondo con occhi nuovi e i suoi sogni, quello che un tempo aveva desiderato, erano tornati alla luce e le scelte da fare erano state
così chiare e semplici che non c'era stato bisogno di dover fingere. Ovviamente il giovane avvocato non prese bene la sua affermazione, si irritò parecchio e in un gesto frenetico, allentò la cravatta intorno al suo collo, sbandando distrattamente con l'auto sulla strada.
«Stai forse dicendo che non ho avuto le palle per ribellarmi a mio padre?! Ma cosa ne sai tu, povera bambina viziata, di cosa sia il rispetto?! Mio padre ha sempre voluto il meglio per me!!! Ed il meglio non era certo vagare per il mondo con una principessina di bell'aspetto a studiare stupidi scavi senza senso...», mentre le parole gli uscivano dalla bocca, la rabbia invase i suoi occhi.
Le sue pupille si dilatarono e piccoli fili rossi circondarono tutto il bianco intorno, iniettandolo di sangue.
«No... no, non volevo dire questo, Alberto. Ti prego, guarda la strada... ti prego.», affermò Josie cercando di mitigare la situazione e riportare la calma nell'abitacolo, ma tutto stava degenerando: Alberto aveva capito il suo giochetto e tra le urla di rabbia, alternava qualche risata amara, blaterando affermazioni su come la bellezza femminile fosse
legata al diavolo, pronta ad ammaliare l'essere umano distogliendolo dal suo intento.
Non capì bene a cosa realmente si stesse riferendo, ciò che sapeva con certezza era che la rabbia del ragazzo era sfociata ad un punto di non ritorno e non le sarebbe bastato il suo teatrino di docile ragazza soprammobile per farlo tornare alla calma.
Agitata e spaventata, tentò di reggersi al sedile senza essere sballottolata, ma una brusca frenata la sbalzò in avanti e buttando d'istinto le mani sul cruscotto il cellulare le scivolò dal nascondiglio dove lei lo aveva accuratamente celato in precedenza, convinta che alla prima occasione avrebbe potuto procedere con la chiamata della salvezza, che però non aveva avuto occasione di esserci. Gli occhi di Alberto vennero catturati dal movimento improvviso dell'oggetto e
dal tonfo leggero che fece cadendo sul tappetino vicino ai piedi di Josie.
«Cos'era quello?», chiese vomitando rabbia ed irritazione.
La ragazza deglutì terrorizzata.
«Niente.», rispose quasi tremando restando immobile appoggiata ancora al cruscotto.
«Cosa cazzo era? Il cellulare?!», urlò spostandosi più vicino al suo viso.
«Brutta stronza di una puttana! Ci stavi registrando?!», insinuò rabbioso sbandando ancora con la macchina.
«No... no...», tentò di rassicurarlo Josie ormai piangendo spaventata, «Ti prego, Alberto, ferma la macchina. Ferma la macchina.», lo implorò singhiozzando e appoggiando completamente la testa sul cruscotto, le braccia distese appoggiate ad esso.
La sua mente continuava a proiettare quell'incidente ormai lontano e disperata pensò che la sua vita fosse solo un maledetto déjà vu.
Il ragazzo biondo, l'incarnazione dell'ira e della frustrazione, afferrò i capelli di Josie all'altezza della nuca e le alzò la testa per guardare ancora il suo viso mentre la insultava e colpevolizzava di tutti i suoi mali e forse anche dei mali del mondo intero e fu in quel preciso istante che la sola mano a reggere il volante non bastò a controllare l'auto che urtò qualcosa. Forse un sasso, o forse un animale.
L'auto finì contro il guardrail e rotolò giù dalla scarpata.
Fu come un déjà vu.
*****
«Cosa ti ha detto esattamente Maggie al telefono? E perché non ha chiamato anche me per dirmelo? Insomma, sono il suo...», stava per dire che era il suo ragazzo, ma Charles si bloccò.
Non aveva mai parlato di questo con Josie, si sentì improvvisamente un perfetto idiota.
Le aveva chiesto di andare a vivere con lui, ma non le aveva mai domandato se poteva considerarla la sua ragazza.
Quel pensiero maturò nell'istante esatto che si era formato: certo che era la sua ragazza! Lo era anche se non l'avevano mai detto ad alta voce e promise a se stesso di farlo appena l'avrebbe stretta tra
le braccia.
Josie stava bene e presto l'avrebbe stretta di nuovo a sé per non lasciarla mai più, ne era convinto.
«Non mi ha detto molto, Charles...», rispose Daniel mentre afferrò la bottiglietta d'acqua che l'hostess gli aveva lasciato sul tavolino di fronte a lui.
Avevano preso il Jet privato di Ferrari appena era stato messo al corrente Charles di ciò che Maggie, tra le lacrime, aveva riferito a Daniel.
Tralasciando ovviamente di menzionare lo stato d'ansia in cui era la maggiore delle sorelle Moreno.
Aveva deciso di addolcire la pillola al pilota monegasco, cercando di mantenerlo calmo almeno fino all'ospedale, dove realmente avrebbero saputo la verità dei fatti.
Nemmeno lui aveva la situazione molto chiara, al telefono Maggie parlava in modo sconclusionato e spaventato, e l'unica cosa che desiderava l'australiano era arrivare presto a Monaco.
«Ha detto che Josie è in ospedale a causa di un piccolo incidente... che la stanno visitando e...»
«Perciò sta bene?! Ti ha detto che la stanno visitando, perciò sta bene e stanno solo...?!»
«Non lo so, Charles... ha detto che la stanno visitando. Non è entrata nei dettagli.», rispose di nuovo Daniel senza guardarlo in viso, abbassando i suoi occhi a terra, convinto che se avesse posato lo sguardo, anche solo per un istante, sugli occhi chiari del ragazzo di fronte a lui si sarebbe tradito.
Gli avrebbe detto che l'incidente non era affatto piccolo e che Maggie ancora non aveva notizie delle reali condizioni di Josie. Charles guardò fuori dal finestrino cercando di convincersi che le parole di Ricciardo fossero esaustive delle sue domande, ma la verità era che dentro sé un vulcano era pronto ad esplodere.
Doveva insistere di più quella sera di due settimane prima, doveva implorarla ancora e ancora, finché non le avrebbe strappato un "sì" e forse invece che essere su un jet diretto ad una meta come quella magari sarebbero stati su una spiaggia a godersi il sole sulla pelle. Quella premonizione che lo aveva perseguitato ormai da settimane si era concretizzata e lui l'aveva sottovalutata, aveva capito che c'era qualcosa che non andava, che Josie doveva stare vicino a lui, non gli
importava di avere la presunzione di credere di poterla proteggere sempre da ogni cosa.
Non gli importava.
Voleva solo che Josie fosse con lui.
«Charles...», lo chiamò Daniel facendolo voltare, «Parla con me, non perderti nei tuoi pensieri.»
«Avrei dovuto insistere e portarla ad Abu Dhabi con me.», affermò il monegasco con un sorriso triste.
Daniel sospirò profondamente, strinse con i polpastrelli i lati del suo labbro inferiore facendolo arricciare e pensò attentamente alla cosa giusta da dire prima di parlare.
«Non si vive di se e di ma, la vita è fatta di decisioni, di destino... di situazioni. Puoi fare le tue scelte, ma non puoi imporle a qualcun altro... Josie aveva fatto una promessa a Maggie e anche se l'avessi implorata una volta in più, per quanto avrebbe desiderato seguirti, non sarebbe venuta comunque.»
«Già.», sospirò Charles portando lo sguardo sullo schermo del
cellulare, lo toccò con un dito portandolo ad illuminarsi.
L'immagine di sfondo era di loro due insieme sorridenti, sotto al portico di lei in una delle tante sere in cui, incapaci di darsi la buonanotte, erano rimasti per ore seduti sui gradini.
«Ascolta...», l'australiano attirò di nuovo la sua attenzione, «Josie sta bene, arriveremo in quell'ospedale e lo vedremo con i nostri occhi. Ora pensa ad altro, cerca di distrarti, manca poco e saremo a Nizza.» Charles abbandonò la testa all'indietro appoggiandosi al sedile, annuì al suo amico e collega, ma l'espressione sul suo viso confermava a Daniel di non averlo affatto convinto.
«Hai pensato di portarla in qualche posto speciale durante queste vacanze?», lo interrogo provando a strapparlo dalla sua preoccupazione.
Il monegasco sorrise debolmente abbassando gli occhi sulle sue mani.
«In realtà ho pensato a mille posti... ma nessuno di loro alla fine sembrava alla sua altezza e... ho rinunciato.»
Il ragazzo di fronte a lui rise scuotendo la testa, conosceva perfettamente quella sensazione, gli succedeva ogni volta con Maggie.
Capitava a tutti i ragazzi innamorati o era una caratteristica che scatenavano solo le ragazze Moreno? Si domandò il pilota tornando a guardare Charles che aveva gli occhi fissi di nuovo sulle nuvole fuori dal finestrino.
«Perché non venite in Australia con me e Maggie?»
Charles lo guardò sorpreso.
«Non so... non credo le ragazze possano lasciare entrambe lo CHERIE.»
«Perché no?! Potremmo proporlo e vedere che reazione avrà su di loro, magari dicono di sì.... e se così non fosse, pazienza! Noi ci abbiamo provato.»
Era semplice a sentirlo dire da Daniel, ma Charles sapeva quanto Maggie fosse contraria nel prendere decisioni di quel tipo sul loro locale, una risposta negativa era quasi certa.
Ma apprezzò il tentativo del suo amico di proporlo, sarebbe stato bello portarla in Australia.
«Sì, possiamo provare.»
«Sì, possiamo.», gli fece eco Ricciardo, lasciandolo poi tornare a seguire il nulla fuori dal finestrino e, pregando che la più piccola delle Moreno stesse bene, seguì il suo esempio.
*****
Dopo essere stata sconvolta dalla notizia che i poliziotti le avevano dato sull'identità dell'uomo che aveva rapito Josie, Maggie venne finalmente a conoscenza delle condizioni cliniche della sorella.
Il medico del pronto soccorso che l'aveva visitata la informò che Josie non presentava alcuna lesione preoccupante se non una ferita alla testa per la quale non si poteva escludere un trauma cranico dovuto presumibilmente ad un colpo subìto nell'incidente, di cui le perizie ancora in atto non ne avevano rivelato la dinamica.
L'evidente trauma cranico che la ragazza riportava lasciava il forte sospetto di una presunta commozione cerebrale, pertanto la ragazza venne spostata con urgenza nel reparto di neurologia per una TAC. Mentre cercava di mantenere la calma e raggiungere il reparto dove avevano trasferito Josie, chiamò Daniel e lo mise al corrente di ciò che era accaduto, pregandolo di avvertire Charles.
Nonostante fosse consapevole che spettava a lei spiegare la
situazione al monegasco, nell'esatto momento che stava per farlo non ebbe il coraggio e cercò conforto nella voce dell'australiano. Non sapeva nemmeno lei da quante ore era seduta sulla scomoda sedia di quell'elegante e silenziosa sala d'attesa.
Era una situazione che già conosceva e ricordava quanto fosse fastidioso attendere qualcosa che sembrava non arrivare mai.
Ma esserci dentro in quel momento le fece capire che quel ricordo che le sembrava così vivido non era altro che una leggera sfumatura della paura che stava provando.
Aveva la testa bassa, gli occhi chiusi e le mani unite palmo a palmo, implorava il Dio in cui credeva tanto e qualsiasi creatura o forza ultraterrena che potesse esistere di ascoltare le sue preghiere.
«Vi prego, non portatemi via anche lei.», pronunciò sottovoce più volte.
I suoi occhi scivolarono sulla sedia al suo fianco dove aveva appoggiato la borsa di Josie che pochi attimi prima la polizia le aveva restituito.
L'afferrò e senza sapere davvero cosa stesse per fare l'aprì e diede uno sguardo al suo interno.
Non c'era poi molto tra gli oggetti personali di sua sorella, le tipiche cose che si trovano nella borsa di una ragazza: il portafogli, le chiavi di casa, delle caramelle alla menta, un pacchetto di fazzoletti e il suo burro cacao preferito alla vaniglia. Sorrise al pensiero di lei che se lo stendeva, Josie era sempre stata una ragazza acqua e sapone. Mentre risistemava quei pochi oggetti al suo posto nella borsa della sorella notò all'interno una scatolina blu scuro avvolta da un fiocco rosso. L'afferrò e sciolse il nastro di quello che aveva tutta l'aria di essere un regalo, prima di aprirla del tutto però si bloccò.
Forse non era giusto sbirciare una cosa che forse sua sorella avrebbe voluto fosse una sorpresa, ma Josie non era lì per
rimproverarla e lei aveva bisogno di qualcosa che gliela facesse sentire più vicina.
Così l'aprì.
Si trovò tra le mani un bracciale da uomo in pelle nera intrecciata con la chiusura a moschettone e una fine piastrina d'argento con inciso il numero 2019 in caratteri elaborati ma molto maschili. Maggie lo strinse tra le mani mentre una lacrima le rigò la guancia,
ora sapeva perché sua sorella aveva insistito tanto per andare al suo posto in centro quella mattina: doveva ritirare il regalo di Natale per Charles.
I passi pesanti e veloci che si manifestarono nel lungo corridoio di quel quarto piano estremamente silenzioso fecero alzare di scatto la testa alla maggiore delle Moreno, infilò subito il bracciale e la scatolina di nuovo nella borsa e si voltò con la speranza che fosse il medico a portarle notizie.
Invece i suoi occhi si riempirono di lacrime quando a comparire poco lontano da lei, come una visione salvifica, furono Daniel e Charles, due cavalieri dall'armatura scintillante pronti a darle tutto il loro sostegno e supporto.
Quando i due furono finalmente di fronte a lei, Maggie scoppiò in un pianto di liberazione e angoscia insieme, si gettò tra le braccia di Daniel e pianse tutte le lacrime che aveva.
Si sentì sollevata di non essere più sola in una situazione del genere, non aveva avuto tale fortuna la volta precedente che era stata lì, in
quell'occasione si era sentita persa, sconvolta e spaesata.
Averli con lei era di estremo conforto.
«Ehi... Ehi... Shh... calmati, Mag... calmati.», le sussurrò Daniel cullandola sul suo petto mentre le accarezzava i capelli.
Maggie continuò a singhiozzare come una bambina finché la voce spezzata di Charles non l'allontanò dal conforto dell'australiano.
La ragazza alzò lo sguardo sul moro di fianco a lei, gli occhi puntati dritti ai suoi.
«Dov'è Josie?»
«Charles...», sospirò Maggie costernata.
«In quale stanza l'hanno portata?», chiese agitato ignorando volutamente lo sguardo triste della ragazza.
«Non ha ancora una stanza... l'hanno portata a fare una TAC e... e ancora non ho avuto notizie.», gli spiegò lei con voce tremante.
«Una TAC...?! Perché la TAC...?! Quanto è grave?», milioni di domande gli invasero la mente, desiderò urlare ognuna di quelle fino a farsi scoppiare i polmoni, «Hai detto che non era...», constatò guardando Daniel ma la sua voce si affievolì piano piano realizzando che non gli aveva detto tutta la verità.
Spostò lo sguardo dal viso dell'amico a quello di Maggie che strinse le labbra mentre una lacrima scivolava sulla sua guancia.
«Cos'è successo a Josie, Maggie?», chiese in tono freddo con gli occhi vitrei.
«Era uscita per delle commissioni... doveva tornare per l'ora di pranzo, ma...», deglutì cercando di trattenere le lacrime e poi continuò: «Alberto l'ha costretta a salire nella sua auto, non sappiamo dove avesse intenzione di portarla...»
«A... A... Alberto?!», ripetè confuso Charles senza riuscire immediatamente a capire il nesso tra l'incidente di Josie e la menzione di quel bastardo, «Aspetta, aspetta, che vuol dire l'ha costretta a salire?»
«Dei testimoni hanno detto di averlo visto prenderla con la forza e portarla via in macchina. Hanno... hanno ritrovato la sua borsa sul ciglio della strada.», concluse con un singhiozzo mentre si coprì la bocca con la mano.
Charles si sentì mancare mentre Maggie parlava, quel presentimento che sentiva sotto la pelle, quel peso sul petto che l'aveva perseguitato per giorni, era stato davvero un presagio.
Si voltò verso il muro e distese lentamente le braccia appoggiandole per sorreggersi, lo sguardo cadde a terra e inspirò con tutta la forza che aveva, cercando di non esplodere mentre la rabbia ed il terrore percorrevano ogni centimetro del suo corpo.
«Hanno avuto un incidente in una delle curve di Cap d'Ail e...», Maggie provò a spiegare tutto quello che sapeva, ma non riuscì a continuare vedendo lo sguardo che le rivolse il monegasco alla menzione del luogo.
«Cap d'Ail? Dove...?», Charles non riuscì a finire la frase quando il cigolio di una porta seguito da dei passi pesanti li fece voltare immediatamente nella direzione del rumore.
Una donna mora, sulla quarantina, e un portamento molto elegante nella sua divisa da medico, si avvicinò ai tre che immobili puntarono i loro occhi sulla sua figura.
«Salve, sono la dottoressa Blanchard. Lei è la sorella di Josephine Moreno?», chiese la donna rivolgendo la sua attenzione a Maggie. «Sì, sono io. Come sta Josie?», domandò immediatamente la ragazza, ignorando le sue presentazioni, troppo impaziente di sapere.
La donna sorrise.
«Se gentilmente potete scusarmi, vorrei parlare in privato con la Signorina Moreno.», affermò lanciando uno sguardo ai due ragazzi
presenti.
«Può parlare in loro presenza, sono di famiglia.», si affrettò a precisare la maggiore stringendo più forte la mano di Daniel.
La dottoressa sorrise ancora accennando un gesto di consenso con il capo.
«Bene. Come le ha detto il mio collega del pronto soccorso, Josephine presenta una commozione cerebrale dovuta all'impatto con il parabrezza dell'auto. In genere questi tipi di traumi sono reversibili e tendono a scomparire intorno alle quattro o cinque settimane, ma è estremamente importante che la paziente stia a riposo fisico e cognitivo. Ed è per questo motivo che l'abbiamo indotta ad un coma farmacologico precauzionale...»
«Cosa? Coma?», esclamò Maggie sconvolta, interrompendola.
«È solo per precauzione.», si affrettò a spiegare la dottoressa, «Signorina Moreno, considerando la gravità dell'incidente in cui sua sorella è stata coinvolta, posso assicurarle che è avvenuto un miracolo. Josephine, escluso il trauma alla testa, è completamente
illesa. Non presenta alcuna frattura, nessuna lesione interna, le funzioni vitali sono perfette e confido che, sotto stretto monitoraggio e riposo, Josephine possa tornare presto a casa. Mi creda, è un miracolo.»
Charles che fino a quel momento aveva ascoltato attentamente ogni singola parola della dottoressa fece un passo avanti.
«Per quanto tempo la terrete in coma farmacologico?», chiese con tono estremamente serio.
«Ho optato per un paio di settimane, ripeto sarà monitorata continuamente ed in base a questo potrò essere più precisa.», gli spiegò il medico.
«Ha detto che non è grave, perciò al risveglio starà bene? Non avrà nessun problema?», ciò che si voleva sentir dire Charles era che la sua Josie sarebbe tornata esattamente come la ricordava.
Voleva la certezza che lei sarebbe stata bene.
La dottoressa sospirò guardandolo attentamente negli occhi. «Signor...?»
«Charles, mi chiami pure Charles...», rispose educatamente il monegasco.
«Ok. Vede, Charles, per esperienza devo dirle che nel mio campo non possiamo dare certezze, il cervello umano è in gran parte
ancora un grande mistero per la medicina. Quello che posso assicurarle ora è che Josephine ha una commozione cerebrale reversibile e ha bisogno di estremo riposo per rigenerarsi. Solo così potrà stare bene. So che siete preoccupati ma vi chiedo di fidarvi di me, so fare bene il mio lavoro.», ribadì la donna nell'intento di confortarli.
«Possiamo vederla?», chiese Charles.
Dalla sua voce si poteva percepire tutta l'impazienza di andare da lei.
La dottoressa sorrise al monegasco.
«Certo. Potete, ma vi chiedo di evitare affollamenti nella stanza. Non più di due persone alla volta. Deve stare a riposo.», posò poi lo sguardo sul viso di Maggie, stanco e triste, «Se avete altre domande mi trovate nel mio studio. L'infermiera vi accompagnerà alla camera di Josephine.»
«Grazie.», sospirò Maggie seguendo Charles già sulla scia della ragazza in divisa. Appena qualche passo dopo però, la maggiore
delle Moreno si voltò.
«Dottoressa?», la richiamò facendola voltare.
«Sì?»
«Come sta il ragazzo che era alla guida?», pose la domanda con gli occhi pieni di rabbia.
La donna abbassò gli occhi al pavimento.
Prima di parlare con i familiari della sua paziente, si era ovviamente informata di cosa fosse accaduto alla ragazza.
Aveva parlato con la polizia ed era venuta a conoscenza della dinamica dell'incidente e della situazione di Alberto Farnesi.
Il ragazzo aveva riportato dei gravi danni fisici, era stato portato in sala operatoria ed operato d'urgenza, ma non poteva divulgare informazioni a chi non fosse parte della famiglia.
«Mi dispiace, ma non posso darle questo tipo di informazioni. Dovrà chiedere alla polizia.»
Maggie si limitò ad annuire con la testa e si lasciò tirare dolcemente da Daniel che non aveva mai lasciato la sua mano.
*****
Il corpo di Josie era disteso addormentato sul letto freddo di quella stanza in penombra.
I monitor a lei collegati riportavano tutte le sue funzioni vitali ed il costante "bip" del macchinario faceva da colonna sonora a quella situazione che a Charles sembrava totalmente surreale.
In lui era ancora vivido il ricordo di quell'ultimo bacio sotto al portico prima di partire e la sua voce, sentita quella mattina stessa, era perfettamente limpida nella sua testa mentre gli diceva che non vedeva l'ora di rivederlo.
Le aveva promesso che l'avrebbe portata a cena nel posto più bizzarro che conosceva e lei aveva riso.
Invece ora si trovava con le spalle al muro che la osservava tra quelle lenzuola rigide mentre era costretta a dormire, ignara di tutto.
I suoi lunghi capelli cioccolato erano adagiati sparpagliati sul sottile cuscino bianco, la sua fronte era in parte coperta da una benda e le sue labbra erano appena socchiuse, il suo respiro era lento e
regolare, quasi ipnotico.
«Sarei dovuta andare io in banca, ma lei ha detto che doveva fare una commissione in centro e... e così...», sussurrò Maggie mentre la sua mano sfiorava delicatamente quella di Josie, «Se fossi andata io tutto questo non sarebbe successo. Quello stronzo non l'avrebbe vista e...»
«Non puoi saperlo...», la interruppe improvvisamente Charles, «Josie era convinta che Alberto non avrebbe rinunciato facilmente a darle fastidio... le avevo detto che si sbagliava, ma ero io a sbagliarmi. Probabilmente la seguiva... lei aveva paura di lui ed io...», deglutì faticosamente mentre i suoi occhi si riempirono di lacrime, «Dovevo denunciarlo! Sono stato un coglione!!! Le avevo promesso che non si sarebbe più avvicinato a lei ed invece...», sputò con rabbia.
«Ed invece niente! Josie starà bene! Lei è una combattente.», esclamò Maggie decisa mentre si avvicinava a lui ancora immobile in fondo alla stanza, «Non è colpa tua, né mia. Questo direbbe lei.» «Avrei dov...»
«Non avresti potuto fare niente! Charles, a volte purtroppo le cose avvengono e non si può fare nulla per impedirlo.», Maggie parlò con calma afferrando le braccia del ragazzo perso nella sua
inquietudine.
Non lo lasciò andare finché il suo respiro non tornò regolare, si voltò appena verso il letto della sorellina e poi guardandolo di nuovo lo incoraggiò: «Va' vicino a lei... può sentirti...»
«Sì.», sospirò lui infilando le mani nelle tasche dei jeans.
Maggie sorrise.
«Vi lascio un po' soli... torno subito, ho bisogno di fare una telefonata.»
La ragazza uscì dalla camera e si precipitò nel corridoio cercando un posto dove il cellulare avesse una buona ricezione.
Appena lo trovò, compose il numero della stazione di polizia, voleva sapere delle condizioni di quel bastardo di Alberto, se stava abbastanza bene da riuscire a sentire tutto l'odio che provava per lui prima che lo accusassero.
Ma poco prima di pigiare sull'icona della cornetta verde, sentì le urla di una donna provenire da un ambiente adiacente, non riuscì a capire bene cosa stesse dicendo, sembrava più un lamento.
Uscì lentamente dalla stanza cercando di capire da dove arrivasse tutta quell'angoscia e dopo pochi metri si ritrovò in un atrio dove una donna accasciata a terra piangeva lacrime disperate mentre un uomo in giacca e cravatta tentava di tirarla su.
Riconobbe subito le loro figure: erano i genitori di Alberto.
Il medico vicino a loro, dopo un'occhiata fugace ad un'impietrita Maggie nel corridoio, se ne andò.
La mamma di Alberto la vide e immediatamente si alzò, il marito seguendo lo sguardo della moglie si voltò per vedere chi aveva attirato la sua attenzione tanto da farla reagire.
«Margareth.», la chiamò la donna tra le lacrime.
«Signora.», rispose lei fredda.
«Come sta Josephine?», chiese la donna.
La signora Farnesi era stata sempre gentile con Josie, era decisamente la parte bella di quella famiglia, un fiore in una distesa arida.
«In coma, signora.», si limitò a dire Maggie senza spiegare realmente la situazione.
Non voleva far sentire in colpa la donna per gli errori che aveva commesso il figlio, ma il dolore e la rabbia che provava per Alberto
erano più grandi di qualsiasi altro sentimento in quel momento.
«E Alberto?», domandò poi a sua volta.
«Alberto è morto.», affermò con angoscia e disperazione scoppiando di nuovo a piangere.
Maggie tremò a sentirle pronunciare quelle parole, una singola lacrima le scivolò sulla guancia.
«Mi dispiace, signora, per la sua perdita, ma l'unico dispiacere che ho nei confronti di suo figlio è quello di non averlo potuto insultare prima che morisse.», disse freddamente la ragazza.
«Come si permette?», esclamò indignato il signor Farnesi che fino a quel momento non aveva proferito parola.
La giovane gli riservò uno sguardo disgustato prima di ribattere: «Mia sorella è in coma per colpa di Alberto, perciò mi permetto eccome...»
«Lei è un'insensibile! Se ne vada!», le urlò l'uomo avanzando verso di lei.
«Non si scomodi.», lo avvertì Maggie alzando una mano di fronte a
sé, «Me ne vado volentieri... arrivederci, signora Farnesi.», esplicitò il saluto all'unica persona meritevole del suo rispetto per poi andarsene e lasciarli soli con il loro dolore. A nessuno si augura di perdere chi si ama e Maggie conosceva bene quella sofferenza. Era solidale verso quei genitori che avevano perso il loro unico figlio, ma non poteva fare a meno di sentirsi più leggera dopo aver saputo che Alberto non sarebbe più stato un problema per la sua famiglia.
*****
Charles nelle settimane successive all'incidente spese quasi ogni attimo del suo tempo in ospedale, si limitava a tornare a casa solo per una doccia veloce e poi era di nuovo al fianco del letto di lei a guardarla respirare.
Le raccontava le sue giornate, dove era stato, cosa aveva fatto e di come aveva decorato casa per l'arrivo del Natale, confessandole più volte di quanto fosse impaziente di mostrargliela.
Non era sicuro che lei potesse davvero ascoltare le sue parole ed il più delle volte si sentiva un idiota, ma per qualche ragione continuava a parlarle, finendo spesso addormentato con il capo abbandonato contro il suo braccio stringendo la sua mano.
Quel sabato mattina varcò la soglia dell'ospedale Principessa Grace con un'energia completamente diversa.
Erano passati pochi giorni dal Natale e nel primo pomeriggio di quel 28 dicembre Josie sarebbe stata svegliata dal coma farmacologico. Le sue condizioni erano migliorate giorno dopo giorno e la dottoressa Blanchard si dichiarava molto soddisfatta del suo recupero.
Aveva deciso così di mettere fine al suo sonno forzato e di riportarla ai suoi affetti.
Era stata molto chiara con loro sui tempi di recupero dei pazienti dopo un coma, sia lui che Maggie erano perfettamente consapevoli che ci sarebbe voluto un po' di tempo prima che Josie potesse tornare a fare tutto ciò che faceva prima.
Ma Charles avrebbe aspettato tutto il tempo del mondo, l'importante era solo vederla sorridere di nuovo.
In un lampo raggiunse il piano dove si trovava Josie e quando entrò nella stanza della ragazza trovò Maggie intenta a sistemare un
mazzo di fiori sul davanzale della finestra.
«Buongiorno.», la salutò con euforia facendola voltare.
«Buongiorno a te, Charles. Vedo che siamo di buonumore stamattina.», lo prese in giro lei bonariamente.
Il monegasco le sorrise avvicinandosi al letto.
«Sì. Lo sono.», affermò con dolcezza sfiorando la fronte di Josie con un bacio, conquistando così uno sguardo amorevole da parte di Maggie.
«Dov'è Daniel?», chiese il monegasco guardandosi intorno.
Anche l'australiano come lui passava la maggior parte del suo tempo in ospedale, supportando Maggie ogni minuto.
Era diventato quasi la sua ombra.
«È andato a prendermi un cappuccino.», lo informò la più grande avvicinandosi ai piedi del letto, poi tutto d'un fiato con euforia e
mordicchiandosi il labbro inferiore esordì: «La dottoressa è passata poco fa e ha deciso di anticipare il risveglio di Josie a prima di pranzo!»
Un immenso sorriso si disegnò sulle labbra di Charles che la guardò sgranando i suoi occhi.
«Davvero?»
«Sì.», rise lei felice.
«E quando esattamente?», chiese impaziente.
«Credo a momenti, Charles. Ancora un po' e potremmo riaverla con noi.», gli fece sapere con amore.
*****
Le palpebre di Josie si aprirono lentamente.
Nonostante la luce nella stanza fosse soffusa per agevolare il suo risveglio, la ragazza sbatté ripetutamente le sue lunghe ciglia, disturbata da una lievissima patina che le rendeva la visuale offuscata.
Si guardò velocemente intorno per poi poggiare il suo sguardo su Maggie in piedi vicino a lei.
Mise subito a fuoco il viso familiare della sorella e aprendo completamente i suoi occhi sospirò con appena un filo di voce: «Maggie.»
«Ehi, ciao, tesoro.», le sussurrò la maggiore avvicinandosi e stringendole la mano al suo fianco.
«Dove siamo?», domandò debolmente la più piccola, palesemente ignara di dove fosse.
Maggie le accarezzò i capelli amorevolmente e con voce calma rispose alla sua domanda: «Siamo in ospedale, Josie, ma stai tranquilla, ora la dottoressa ti spiegherà tutto.»
Sul viso della ragazza si palesò tutta la confusione che quella spiegazione le aveva causato, ma sentendosi ancora molto debole non riuscì ad avere immediatamente una reazione.
Si limitò a voltare lentamente lo sguardo di fronte a sé, dove una donna mora con un camice bianco ed una cartella tra le mani le sorrise.
«Ciao, Josie, sono la dottoressa Blanchard. Hai avuto un incidente e hai riportato una ferita alla testa con una lieve commozione cerebrale...», la donna parlò molto lentamente scandendo ogni singola parola, assicurandosi che la ragazza comprendesse il messaggio senza agitarsi, «...ed è per questo che ti è stato indotto il coma farmacologico. Per essere più chiara, hai dormito per un po' di giorni, in modo che il tuo cervello fosse a completo riposo fisico- cognitivo. Comprendi ciò che ti sto dicendo?»
Josie accennò un lieve movimento della testa, confermando di aver capito cosa la donna le stesse dicendo.
Spostò piano i suoi occhi su una figura maschile al lato opposto di
dove si trovava Maggie e scorse un ragazzo moro e alto.
Chiuse brevemente gli occhi per poi riaprirli subito dopo per cercare di mettere a fuoco il suo aspetto, ma venne distratta dalla dottoressa che riprese a parlare.
«Come ti senti? Hai dolore da qualche parte? Fai fatica a parlare?» «No... ho solo un po' di mal di testa e... mi sento stanca.», rispose la piccola Moreno con un tono più sicuro di quello precedente.
«È normale, Josie, ci vuole qualche giorno prima che tu possa riprendere un po' di energia, è l'effetto dei farmaci che ti abbiamo somministrato.», le spiegò il medico sorridendole, poi voltandosi verso i presenti nella stanza, aggiunse: «Bene, vi lascio un po' con lei, ma non stancatela troppo, ha bisogno di recupero. Passerò più tardi a visitarla.», salutò Josie con un sorriso e uscì dalla camera.
La ragazza tornò a guardare il ragazzo vicino a lei, sentì un piacevole calore alla sua mano destra e vide che lui la teneva stretta nella sua. Spostò i suoi occhi sul suo viso e lo vide sorridere, lei contraccambiò debolmente poi guardò subito Maggie, trovando un sorriso sulle labbra della sorella mentre la osservava.
Josie restò qualche secondo in silenzio poi riportò la sua attenzione al viso di lui, ai suoi grandi occhi verdi e dolcemente gli chiese: «Ci
conosciamo?»
Il cuore di Charles perse un battito, si sentì sprofondare, la sua salivazione si bloccò lasciandogli la bocca asciutta e deglutì faticosamente mentre il suo sorriso lentamente spariva dalle labbra. «Che...che hai detto?», balbettò sperando di aver frainteso la sua domanda.
Josie imbarazzata sfilò educatamente la mano dalla sua.
«Scusa... io... io intendevo... Sei un infermiere?», gli domandò anche se escludeva che lo fosse, visto che non indossava un camice, ma vedere uno sconosciuto stringerle la mano le fece tirare le conclusioni a suo avviso più plausibili.
Gli occhi di Charles diventarono umidi e corrucciò la fronte per lo sconforto, «Sono Charles...», sospirò timoroso.
La ragazza continuò a fissarlo senza capire, il nome con cui lui si era presentato non le diceva assolutamente niente, continuava a fissare i suoi occhi e nonostante fosse sicura di non conoscere il bel ragazzo di fianco a lei non escludeva di aver già visto da qualche parte il suo
viso.
«Mi... mi dispiace, io non...», pronunciò mortificata di dargli un dispiacere.
«Josie, ma cosa dici?! È Charles!», intervenne Maggie ridendo divertita dall'assurda situazione che si era creata tra i due.
Ma quando vide il viso della sorella cadere nel completo smarrimento e nell'agitazione smise di sorridere e tornando seria le chiese: «Qual è l'ultima cosa che ricordi, tesoro?»
La ragazza scosse leggermente la testa ripensando all'ultima cosa che aveva fatto e alzando le spalle, con fare ovvio, rispose: «Ieri sera?! I noodles a casa di Agata... il compleanno di Valerie.»
Maggie sgranò i suoi occhi sorridendo agitata facendo voltare Charles verso di lei e preoccupare subito Josie per ciò che ricordava. «Ho detto qualcosa di sbagliato?», chiese la più piccola con ansia.
«No... no, tesoro... tranquilla, ora chiamerò la dottoressa e vediamo che succede... non ti preoccupare.»
«Che vuol dire che non mi devo preoccupare?! Dici che non ho detto nulla di sbagliato, ma vuoi chiamare la dottoressa! Che c'è che non va?», esclamò Josie inquieta.
«Maggie!», affermò Charles invitandola ad essere chiara con entrambi.
La maggiore sopirò affranta.
«Be'... i noodles a casa di Agata risalgono all'estate dell'anno scorso.», confessò incapace di guardare i suoi occhi.
Charles dall'altra parte del letto emise una sconsolata risata amara, passandosi frustrato una mano sul viso.
«L'estate dell'anno scorso? Cosa stai dicendo, Maggie...?! Io... io ricordo perfettamente tutto...», farfugliò la minore con fare spaesato.
«Ok, calmati, Josie! Risolverò questo problema, ma tu non ti agitare. Vado a cercare la dottoressa.», cercò di tranquillizzarla, provando a non disperare anche lei, «Puoi restare con lei?», chiese rivolgendosi al monegasco.
«Certo! Be', se lei è d'accordo naturalmente...», rispose lui guardando con la paura di un rifiuto la ragazza che amava.
Josie timidamente lo guardò e con un cenno del capo acconsentì abbassando subito dopo lo sguardo.
*****
«Purtroppo quando parliamo di traumi e commozioni cerebrali, non possiamo essere certi delle conseguenze che essi porteranno.», spiegò con voce ferma la dottoressa Blanchard, dietro la scrivania del suo studio.
Dopo che Maggie l'aveva messa al corrente del problema che Josie aveva presentato, la donna l'aveva accuratamente visitata e le aveva posto diverse domande su cosa ricordava e cosa no.
Era emerso che aveva rimosso solo ed esclusivamente gli avvenimenti accaduti nel corso dell'ultimo anno e mezzo, pertanto la sua memoria a lungo termine era completamente intatta.
«Lei aveva detto che sarebbe stata bene! Che sarebbe tornata la stessa Josie!», urlò Charles in piedi davanti alla scrivania mentre Maggie afferrandolo per un braccio tentava di farlo sedere di nuovo. «Charles, la prego, si calmi! È vero, ho detto così e lo confermo, è la stessa Josie, ma a volte le lievi lesioni cerebrali possono portare piccole complicanze e non c'è dato venirne a conoscenza finché il paziente non è cosciente.», tentò di spiegare la Blanchard.
«Piccole complicanze?! Lei non si ricorda di me!!! Non si ricorda di NOI!», urlò invaso dalla rabbia, ma soprattutto da un estremo sconforto.
«Charles, ti prego, calmati.», lo implorò Maggie alzandosi di fronte a lui e aggrappando le mani sulla sua felpa, provando a placarlo.
«Josie ha battuto il lobo frontale della testa e questo ha compromesso la sua memoria a breve termine, con questi tipi di traumi a volte può accadere, ho sperato che così non fosse, ma può succedere. Quello che però è importante è che lei è viva. Quella ragazza è un miracolo vivente e niente può escludere che con il tempo tornino anche i ricordi persi. Tutto è possibile con il giusto allenamento, ci sono delle terapie intensive per il recupero della memoria molto valide.», affermò con decisione il medico anche lei in piedi di fronte alla reazione del monegasco.
Non c'era molto altro da aggiungere, solo il tempo avrebbe dato risposte a tutta quella situazione.
Charles desiderava disperatamente fermare la sua mente che imperterrita ripercorreva gli ultimi momenti passati con lei prima di partire per Abu Dhabi, continuando a colpevolizzarsi per non aver insistito di più a portarla con sé.
Era sicuro che se lei fosse stata con lui niente le sarebbe accaduto. Anche se Daniel aveva cercato di convincerlo del contrario e Maggie aveva tentato di allontanare i suoi sensi di colpa, lui continuava a ripensare alle lacrime di Josie la sera del compleanno di Marta, quando gli aveva confessato di aver paura che Alberto lo avrebbe allontanato da lei.
Ingenuamente le aveva promesso che non sarebbe mai accaduto, ma ora aveva capito che non c'era niente di più fragile di una promessa. I due ragazzi chiusero la porta alle loro spalle e alzando gli occhi videro arrivare da loro Daniel con in mano il caffè.
«Allora? Che ha detto?», chiese ad entrambi impaziente.
«Che a volte possono capitare delle complicanze dopo un trauma di questo genere... e che Josie ha battuto il lobo frontale perdendo la memoria a breve termine. Per questo non ricorda l'ultimo anno.», spiegò Maggie con le lacrime agli occhi all'australiano.
Daniel si voltò immediatamente a guardare Charles che, immobile e perso in chissà quali pensieri, aveva gli occhi puntati a terra.
«Il bastardo ci è riuscito. Voleva allontanarmi da lei e lo ha fatto.»,
affermò il monegasco dando la schiena ad entrambi e avviandosi verso l'uscita.
«Charles!», lo richiamò Maggie rincorrendolo, ma Daniel seguendola la fermò.
«Lascialo andare, Mag, ha bisogno di metabolizzare la cosa. Tornerà, stai tranquilla. Non la lascerà andare.», la rassicurò il ragazzo porgendole il caffè.
*****
«Allora, sei pronta a rivedere tutti?! Sono così impazienti di dimostrarti il loro affetto.», esclamò Maggie sfoggiando un sorriso birichino mentre era concentrata alla guida della sua Jeep.
Le due settimane di convalescenza di Josie, in seguito al risveglio dal coma farmacologico, erano passate velocemente e la ragazza aveva migliorato il suo stato di salute giorno dopo giorno.
La maggiore delle due, nonostante avesse adottato un
atteggiamento positivo di fronte a tutta quella situazione, non riusciva a mettere a tacere la paura che la sua sorellina tornasse a chiudersi in se stessa, rinunciando ancora una volta all'intensità delle emozioni che la vita poteva offrirle.
Ma la luce che intravedeva nei suoi occhi le dimostrava ogni giorno in più che si stava sbagliando.
Dal suo risveglio sembrava esserci qualcosa di diverso in lei, era come se fosse avvolta costantemente da un'aurea nuova, ovviamente era sempre la stessa dolce Josie, ma era più... luminosa. In lei c'era una particolare tranquillità, capace di rendere tutto ciò che le era intorno ed ogni minuto passato in sua compagnia speciale.
«Sì, Maggie, sto bene. Sta' tranquilla.», rispose sorridendo alla milionesima variante della stessa domanda della sorella.
«Lo so che me lo hai già detto, ma voglio averne la certezza.»
«Sto bene. Te lo giuro, e anch'io non vedo l'ora di rivederli.», rincarò la dose la ragazza riservandole un sorriso premuroso.
«Sai, sono tutti euforici di farti questa festa a sorpresa, non hanno la minima idea che ti sto portando là, loro ti aspettano per l'ora di cena, non alle sei del pomeriggio! Charles ed io abbiamo ripetuto loro molte volte che odi le sorprese, ma loro...»
«Tu e... e Charles...?», chiese mordendosi appena il labbro, arrossendo un po'.
Maggie si voltò a guardarla, curiosa di vedere l'espressione del suo viso alla menzione del bel pilota.
«Sì, Charles. Ho saputo che avete passato molto tempo insieme in questi giorni in ospedale.», indagò sperando di scoprire i suoi pensieri.
Josie giocando con un filo bianco dei suoi jeans strappati, accennò con la testa a una timida risposta positiva.
«Sì, è venuto da me tutti i giorni.», confessò.
«E...?»
«E cosa?», ribatté la ragazza arrossendo prepotentemente, immaginando dove volesse arrivare Maggie. Non ricordava di Charles e della loro storia, ma conosceva perfettamente la malizia che caratterizzava sua sorella maggiore.
«Lo sai cosa voglio sapere!!! Hai avuto un ragazzo meraviglioso al tuo capezzale che ti ha ricoperto di attenzioni, so che ti sei fatta
un'idea su di lui! Voglio saperla, perciò sputa il rospo, Josephine Moreno!», esclamò pensando che era come se fossero tornate indietro nei mesi a quando Josie aveva incontrato per la prima volta il monegasco.
«Certo che mi sono fatta un idea di lui... ma è tutto così strano... sì, insomma lui già mi conosce... ed io... lo sai.», ammise alzando gli occhi al cielo, ma dopo lo sguardo che Maggie le riservò confessò: «È gentile... e carino.»
«Carino?», ripetè Maggie con un sopracciglio alzato.
«Ok, ok! Mooolto carino.», precisò scuotendo divertita la testa, poi sorrise mentre un pensiero le affiorò alla mente: «Ed è molto premuroso...», sussurrò ridendo lievemente.
«Perché ridi?! Cos'è che mi nascondi?», chiese insospettita la sorella.
«L'altra mattina mi ha portato del caffè americano, gli ho detto che non mi era permesso ancora berlo e che se lo scoprivano non sarebbero stati d'accordo. Ma lui mi ha fatto l'occhiolino dicendomi che era stato veloce e che nessuno lo aveva visto.», le raccontò sorridendo imbarazzata con gli occhi fissi davanti a sé.
«Cosa?! Josie non puoi bere caffè ancora!!! La dottoressa era stata chiara, la caffeina potrebbe agitarti e...»
«Lo sooo!!! E gliel'ho detto anch'io, ma lui ha sorriso... e... e... e comunque l'ho solo annusato.», Josie non continuò la frase e arrossì di nuovo pensando a come le sue fossette erano carine mentre rideva.
Non ricordava affatto di aver conosciuto Charles, men che meno di aver provato sentimenti per lui, ma non poteva negare che la sua bellezza aveva un certo ascendente su di lei.
Maggie sorrise al suo imbarazzo e ridendo sdrammatizzò: «Che sia veloce non si discute, è il suo lavoro.»
«Non me lo ricordare, devo ancora metabolizzare che Kimi Räikkönen non è più alla Ferrari.», affermò delusa, affrettandosi poi ad aggiungere: «Non lo dire a Charles però. Non voglio che sappia che penso questo.», le sembrava ancora tutto estremamente assurdo, aveva rimosso dalla sua testa un intero anno della sua vita e tante cose erano cambiate, sicuramente il fatto che la Ferrari avesse un nuovo pilota passava in secondo piano davanti alla notizia che quello stesso pilota avesse una relazione con lei.
Più ci pensava e più le sembrava tutto incredibilmente surreale, non aveva immaginato quello scenario nemmeno nei suoi sogni più segreti.
Una forte risata scrosciò da Maggie.
«Croce sul cuore che non glielo dico, anche perché non so come la prenderebbe... credo sia un po' permaloso...», affermò ancora in balia della sua risata, «Ma penso che cambierai idea molto presto. Non ci capisco nulla di Formula 1, lo sai, ma lui sembra essere bravo, quest'anno ha vinto a Monza...», le fece sapere Maggie lasciando la frase in sospeso, immaginando che la reazione di sua sorella minore potesse essere la stessa che aveva avuto a fatto avvenuto quando lo aveva vissuto di persona.
Josie sgranò gli occhi e si voltò verso la sorella, «Cosa? Ha vinto a Monza? Erano nove anni che...»
«Che la Ferrari non vinceva! Sì, Josie, me lo hai ripetuto anche quando è successo e... ti dirò di più, tu eri là e hai visto tutto.», le comunicò Maggie con tono giocoso.
«Io... io ero a Monza?! Con lui?!», chiese sorpresa sgranando i suoi grandi occhi nocciola.
«Sì, eri a Monza, ma... è una storia lunga, avremo tutto il tempo di parlarne, hai sentito cosa ha detto la dottoressa, non dobbiamo
avere fretta con i ricordi, concentriamoci sul presente e viviamo la giornata. Sono sicura che tutto andrà bene ed ogni cosa tornerà al suo posto.», la maggiore cercò di non approfondire troppo l'argomento, Josie non era ancora in grado di sostenere tutte le verità di un anno intero quasi.
Era giusto che scoprisse le cose a piccoli passi.
«Secondo te ricorderò prima o poi?», le domandò improvvisamente la più piccola.
«Non lo so, tesoro... ma sei viva ed è questo l'importante.», nonostante il sorriso che Josie le riservò, non poté fare a meno di notare la delusione nel suo sguardo.
La dottoressa Blanchard era stata molto chiara, non doveva subire particolari stress emotivi, era importante per lei vivere la sua normale quotidianità, passare le giornate come era abituata a fare normalmente e sperare che con il tempo i ricordi ritornassero spontaneamente, anche se la certezza che ciò potesse accadere non le era stata data.
A Maggie spezzava il cuore il pensiero che lei potesse non ricordare più l'anno meraviglioso che aveva trascorso, ma era certa che in un modo o nell'altro sarebbe stata bene.
Poi un pensiero le balenò alla mente.
«Forse nel diario che hai a casa, quello in cui scrivi spesso, puoi trovare qualcosa che ti aiuti a ricordare... non credi?»
Josie la guardò, forse sua sorella aveva ragione, quel diario era la sua terapia e ci scriveva praticamente tutto.
«Sì, potrei.», le sorrise annuendo, promettendo a se stessa di farlo appena avesse avuto un momento da sola. L'immagine degli occhi di Charles le attraversò la mente e sperò con tutta se stessa di trovare qualcosa su di lui scritto in quelle pagine.
*****
Parcheggiata la macchina nel vialetto, si accinsero a raggiungere lo CHERIE passando dal retro dalla porta che dava sulla cucina. Raggiunta la sala e aperte le porte a soffietto, le sorelle trovarono i presenti tutti concentrati nelle loro mansioni: Agata era intenta ad imbandire la tavola insieme a Valerie, Beatrice e Daniel stavano
sistemando le birre e i drink, i camerieri Joni e Alex stavano posizionando i tavoli ai lati della sala per avere tutto lo spazio necessario per una festa in piena regola ed infine Charles e Gustav, entrambi in bilico, uno su una scala e l'altro sulla sedia, stavano sistemando lo striscione di bentornata in bella vista.
Nessuno di loro si accorse delle ragazze che fecero il loro ingresso nella sala, a causa della musica rock a tutto volume che, a detta di Maggie, aveva messo sicuramente Beatrice.
La maggiore delle due sorelle spense d'improvviso la console sorprendendo tutti e facendoli girare nella loro direzione. Ognuno di loro sgranò gli occhi e spalancò la bocca, esclusi Charles e Daniel che erano al corrente del boicottaggio di Maggie.
«Ma come?! Che ci fai già qui?! Era una sorpresa!!!», esclamò delusa Agata andando incontro alle ragazze protesa ad abbracciare Josie,
«Bambina mia!», le sussurrò tra le lacrime mentre la stringeva, «Fatti guardare!», la invitò staccandosi un po' da lei e accarezzando i suoi capelli mentre osservava ogni particolare del suo viso.
«È così bello vederti a casa! Maggie ha detto che stai bene ed ha ragione, ti trovo bene! Un po' sciupata forse... chissà che cosa ti hanno rifilato da mangiare in ospedale!», sospirò con fare materno sorridendo.
«Sto bene, Agata, e sono felice anch'io di rivederti.», le rispose Josie donandole il più bel sorriso che avesse emesso quella mattina, «Sta' tranquilla, recupererò con la tua cucina!», le bisbigliò all'orecchio facendola ridere.
Congedandosi da lei salutò tutti gli altri che pian piano aspettavano il loro turno per abbracciarla, pronto ognuno ad un sorriso e ad una parola di conforto per lei, finché non rimase solo Charles che si tenne in disparte, senza dare segno di volersi avvicinare, pensando di dover dare spazio alle persone che non la vedevano da più tempo rispetto a lui che in fondo aveva avuto il privilegio di vederla ogni giorno.
Josie lo notò e timidamente fu lei ad avvicinarsi.
«Ciao.», disse sorridendo.
«Ciao.», respirò lui ricambiando il suo sorriso, «Come stai?», chiese con premura.
«Bene. Grazie per aver contribuito a dare una mano.», gli disse ridendo leggermente e guardando il martello che aveva tra le mani.
Charles seguì il suo sguardo.
«Gustav non sapeva dove mettere le mani.», rispose con un ghigno divertito e ironico scherzando sul loro tuttofare pur di strapparle un sorriso, e ci riuscì.
Josie rise alla sua battuta e lui la trovò bellissima.
La dottoressa aveva ragione: poteva non ricordarsi di essere innamorata di lui, ma di certo era la stessa Josie.
Dopo i saluti, la calda accoglienza ed i lamenti di qualcuno contro Maggie che aveva rovinato la sorpresa, ognuno di loro tornò al lavoro e Josie poté salire in camera per una doccia veloce e ridiscendere poco dopo per la sua festa di bentornata.
Appena entrò in cucina venne avvolta dal profumo della torta di mele di Agata e vide appoggiati sui tavoli ogni tipo di dolci, cupcakes, cheesecakes di tutti i gusti e altre interminabili leccornie.
«Credi davvero che mi abbiano fatto morire di fame in ospedale?», chiese retorica la ragazza sorprendendo la donna concentrata sui fornelli.
Agata rise vedendola avvicinarsi al tavolo.
«Lo sai che mi piace che gli ospiti non vadano via affamati.»
«Sì, lo so.», rispose sorridendo e abbracciandola quando la donna si avvicinò a lei.
«Sei molto carina.», affermò Agata osservandola nel vestito vivace che aveva scelto per l'occasione.
«Grazie.», ribatté avvicinandosi all'oblò delle porte a soffietto e lanciando uno sguardo fugace a tutta la sala, già occupata dai primi invitati, soffermandosi poi sul monegasco che in un angolo conversava con Gustav e Daniel e sorseggiava con loro una birra direttamente dalla bottiglia.
«È arrivato stamattina qui allo CHERIE e ci ha aiutato a fare ogni cosa, si è allontanato solo per una doccia.», specificò la donna notando subito dove lo sguardo della piccola Moreno era caduto. Josie sorrise senza essere sorpresa della cosa, Charles in quelle due settimane si era mostrato un ragazzo davvero gentile e premuroso e più soffermava gli occhi su di lui più le sembrava impossibile che lui fosse lì per lei.
Mentre era salita nella sua stanza per fare la doccia, aveva velocemente aperto il suo diario alle ultime pagine e, leggendo brevemente, aveva scoperto che c'era scritto ogni minuto passato insieme a lui.
Ciò che l'aveva sorpresa era la felicità che quelle righe descrivevano. «Agata, come è possibile che non riesca a ricordarmi di una persona così speciale?», chiese ad un tratto Josie puntando ancora gli occhi su di lui.
La donna le accarezzò i capelli spostandoli di lato per poterla vedere bene in viso.
«Non ho una risposta a questa domanda, bambina, ma posso assicurarti che per lui vale la pena aprire ancora il tuo cuore e conoscerlo di nuovo.»
*****
La festa aveva preso il via ormai da un paio d'ore.
Di certo non si erano contenuti: praticamente tutta la via era stata invitata al ritorno a casa della minore delle Moreno.
L'intero quartiere era passato al locale per un breve saluto alla ragazza, abbracciandola e mostrandole affetto.
Josie era davvero sorpresa da tutta quell'attenzione riservatale e per quanto fosse felice di ricevere affetto dalle persone era davvero esausta di sorridere e ripetere in modo ininterrotto che stava bene. Aveva salutato e parlato con così tante persone che non era riuscita a scambiare più di due parole con Charles, ogni volta che si avvicinavano e tentavano di dirsi qualcosa qualcuno piombava fra loro riempiendola di domande e allontanandola da lui.
Aveva notato più di una volta la delusione negli occhi del monegasco, nonostante tentasse di nasconderla dietro ad un sorriso.
Provò ad allontanarsi un po' dalla mischia appoggiandosi ad un tavolo in un angolo della sala, notò che su un vassoio era rimasto un ultimo pezzo di torta al cioccolato, distrattamente, senza guardare, prese un piatto di plastica impilato e nel farlo le sue dita finirono per scontrarsi appena con una mano calda.
«Hai intenzione di mangiare l'ultimo pezzo rimasto di torta al cioccolato?», le domandò Charles con un sorriso sghembo.
Josie sorrise vedendolo, contenta che fosse lui.
«In realtà no. Speravo che se qualcuno mi vedesse mangiare qualcosa magari mi avrebbe lasciato tranquilla per qualche secondo.», spiegò dopo aver appoggiato la torta sul piatto e spostata verso il pilota, «Puoi prenderla tu, non mi va veramente.»
«Se vuoi stare un po' tranquilla, ti lascio in pace... io non volevo disturbarti...»
«Nooo! Non era riferito a te!», si affrettò a dire la ragazza appoggiando una mano sul suo braccio, spostandola subito dopo imbarazzata dal contatto, «Non voglio che te ne vai. Anzi, perdonami per prima, la signora Tina non ha molto tatto nelle cose, mi ha portato via e non sono riuscita nemmeno a chiederti scusa.», affermò osservando bene i suoi occhi.
Charles sorrise. «Non preoccuparti, sei la star della serata, è normale. E poi sei mancata a tutti loro.», "E a me!", avrebbe voluto aggiungere, come avrebbe voluto prenderle il viso tra le mani e baciarla, ma non fece né l'una né l'altra cosa ovviamente.
«Grazie per aver contribuito ad evitare di farmi una sorpresa, è già tutto "troppo" così, non posso immaginare se fossi tornata a casa e avessi trovato coriandoli e trombette. Non mi piacciono le sorprese.», confessò vergognandosi un po'.
«Lo so che non le ami.», constatò Charles ridendo, facendola voltare
subito verso di lui.
«Oddio, ho... ho per caso reagito male a qualche tua sorpresa?», domandò d'istinto rendendosi conto solo dopo di aver fatto riferimento a qualche loro momento insieme e arrossì immediatamente all'allusione.
Il ragazzo rise ancora della sua reazione.
«In verità hai reagito sempre molto bene alle mie sorprese.», considerò pavoneggiandosi e facendola arrossire ancora di più, tanto da portarla ad abbassare lo sguardo a terra, facendole intuire a cosa si riferisse.
Un risolino agitato le uscì dalle labbra e quasi in un sussurro rispose: «Ok... allora... io credo non ci sia bisogno di scusarmi.» «No.», sospirò lui sorridendo.
Gli occhi di Charles incontrarono quelli di lei e scese il silenzio tra loro per lasciare spazio immediatamente dopo ad una risata ricca di imbarazzo ma anche di divertimento.
«Ti va di fare una passeggiata?», le propose lui, desideroso di stare
un po' da solo con lei.
Josie stava per rispondere quando le piombò davanti Marie, la sorella di Agata.
Non vedeva la signora dai capelli biondo ossigenato da una vita. Fu incredibilmente sorpresa di trovarla lì.
«Oh! Bambina mia! Agata mi ha detto della tua brutale sventura! Come stai?», le domandò afferrandole le mani e allontanandola involontariamente dal monegasco.
«Marie!», esclamò Josie, scioccata dall'enfasi della donna, «Bene, grazie!», rispose guardando di sfuggita Charles che lentamente si era spostato dietro la signora corpulenta. La donna seguì il suo sguardo e osservando il ragazzo alle sue spalle si giustificò: «Mi perdoni, ma sono mesi che non la vedo.»
«Certo, signora, ci mancherebbe.», replicò Charles gentilmente mentre fecero per allontanarsi.
Dall'altro lato della sala, Maggie e Beatrice avevano osservato tutta la scena e avevano visto il pilota monegasco attraversare tutta la sala e dirigersi senza cappotto verso l'uscita.
«Maggie, dobbiamo fare qualcosa, è tutta la sera che quel ragazzo tenta di parlare con Josie e ogni volta qualcuno è piombato su di lei
come un avvoltoio. Portandola via.», borbottò Beatrice mentre sorseggiava la sua birra.
«Lo so, l'ho notato, ma stasera è così. Vogliono tutti parlare con lei, salutarla. Sono sicura che Charles avrà tanto tempo per stare con Josie.», le rispose Maggie scansionando la sala probabilmente per deformazione personale.
«Ma cosa diavolo stai dicendo?! La metà delle persone sono qui perché il cibo è gratis e non perché vogliono abbracciare tua sorella.», la riprese schietta la rossa.
«Possibile che vedi il marcio ovunque?», replicò la Moreno infastidita.
«Sai anche tu che è così! E non vedo il marcio ovunque. Non lo vedo per esempio in Charles. Diamine, Maggie! Quel ragazzo è pazzo di tua sorella! Non è giusto, anch'io ho bisogno di uno Charles nella mia vita! Ma se ci passo un po' di tempo io con lui?! Solo finché Josie non riacquista la memoria?!», propose Beatrice guardandola soddisfatta di quell'idea.
«Sei scema per caso?! Quante birre ti sei bevuta?!», le domandò sconvolta Maggie.
«Ma dai! Sto scherzando! Anche volendo il bel pilota non mi vede proprio. Credo abbia molto altro per la testa, la tristezza che aveva in viso mentre usciva era palese. Devi fare qualcosa.», suggerì tornando ad essere seria.
«Sì, ma cosa?», chiese Maggie sconsolata.
«Non lo so! Qualcosa! Intanto forse è il caso che gli porti il cappotto o congelerà là fuori! E... magari potresti parlare un po' con lui.», le consigliò l'amica, sorridendo poi maliziosa mentre aggiunse scherzosamente: «O potrei andare io a scaldarlo...»
«Faccio finta di non averti sentito! Sei impossibile, Bea!», esclamò alzando gli occhi al cielo e facendola ridere di cuore.
Maggie attraversò il vialetto a fianco dello CHERIE e lo vide seduto sui gradini sotto al loro porticato.
«Allora Daniel ha ragione: voi piloti siete dei supereroi che non sentono nemmeno il freddo! Charles, che ci fai qua fuori? Si gela!», gli disse avvicinandosi e porgendogli il suo cappotto.
«Avevo bisogno di aria fresca.», rispose lui con la testa bassa.
«Che succede?», domandò Maggie sedendosi al suo fianco e stringendosi il piumino più vicino al corpo.
«Niente.»
«Niente? Attraversi la sala con la tristezza negli occhi e sfidi il freddo ed il gelo di gennaio senza motivo?», lo prese in giro ironica. Charles sospirò alzando la testa e guardandola dritta negli occhi.
«E se lei non dovesse più ricordarsi di me? Che cosa faccio?»
«Charles...», sussurrò Maggie amorevolmente, «Ne abbiamo già parlato, ci vuole un po' di tempo e pazienza...»
«Sì, ma se lei non ricorderà?», ripetè con più enfasi.
«Allora farai tutto da capo. Vi conoscerete di nuovo e lei si inn...»
«Ti prego, Maggie!», esclamò interrompendola, «Sono uno come tanti altri per lei. Non si sarà nemmeno accorta che me ne sono andato da là dentro!», diede sfogo ai suoi timori più nascosti.
La più grande delle sorelle sorrise.
«Sai anche tu che non è così, lei ti osserva molto ed io lo so per certo... lei ha solo bis...», non riuscì a finire la frase perché il ticchettio di tacchi sul legno del porticato li fece voltare.
In piedi poco lontano da loro c'era Josie avvolta dal suo piumino con in mano il piatto con la torta al cioccolato.
Maggie sorrise e voltandosi verso il monegasco bisbigliò: «Dicevi?!» Il ragazzo non rispose, troppo impegnato a guardare la ragazza che subito fu proprio di fronte a loro.
«Hai dimenticato la torta prima.», esordì dolcemente puntando gli occhi su di lui.
La sorella maggiore si alzò lasciandole il suo posto.
«Vado ad assicurarmi che Beatrice non finisca tutto l'alcool in sala, inizia già a straparlare.», farfugliò facendo sorridere entrambi.
Josie si sedette al fianco di lui porgendogli la torta e Charles l'afferrò.
«L'avevo lasciata per te nel caso avessi bisogno di tenere lontano qualcuno.», scherzò riferendosi a cosa lei gli aveva detto prima.
«Ma tu ami il cioccolato, io invece posso rinunciarci.», affermò cercando di convincerlo e subito scorse in lui uno sguardo speranzoso nel sentire la sua costatazione, forse pensando che lei avesse ricordato un particolare di lui.
«Me lo ha detto Agata che ti piace il cioccolato.», confessò poco dopo spazzando via quella speranza.
«Sì... certo. Agata, giusto. Sì, comunque è vero, adoro il cioccolato.», precisò lui sdrammatizzando il momento.
«Allora è tutta tua.», sorrise lei timidamente.
«Che ne dici se la mangiamo insieme?», le propose.
Josie lo guardò un istante e poi mordendosi lievemente il labbro tirò fuori un cucchiaino dalla tasca e lo sollevò a livello del suo naso. «Speravo me lo chiedessi.», se ne uscì facendolo ridere.
Restarono per il resto della serata lì fuori, sotto a quel portico che era stato lo scenario di tante altre sere di quell'anno trascorse insieme.
Lei non lo ricordava, per colpa della sua amnesia non conosceva più nulla di Charles, ma le piacevano le sue fossette quando sorrideva e parlare con lui era facile come respirare.
Non sapeva cosa dovesse aspettarsi dal tempo a venire, ma avrebbe vissuto giorno per giorno per scoprirlo.
Spero con tutto il cuore vi sia piaciuto questo capitolo, come vi ho accennato all'inizio, per me è molto speciale. Vi ringrazio immensamente per il vostro continuo supporto 😘❤️.
Vi prego ditemi cosa ne pensate, raccontatemi ciò che avete provato, le vostre emozioni, tutto!! Mi piace leggere i vostri pensieri, ve lo dico sempre e continuerò a farlo perché sono importanti per me. Aspetto i vostri messaggi.
Detto ciò vi devo dare anche l'amara notizia che stiamo arrivando alla fine di questa storia. Il prossimo capitolo amici miei sarà l'ultimo capitolo di My Passion e vi lascio immaginare come si sente e il mio cuore. Avrò un ultimo capitolo ancora per raccontarvi cosa succederà fra Charles e Josie e non vedo l'ora di farlo perciò a prestissimo. 😘
Nania ❤️♥️
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