4 - Insostituibile
Dopo aver terminato i compiti per l'indomani, quella stessa sera, uscii dalla mia camera per cercare Abel, trovandolo nientemeno che sopra il tetto di casa, comodamente seduto sulle tegole rossastre. Fu una scena piuttosto bizzarra che mi strappò un'esclamazione di stupore e un sorriso, ma in fondo perché no, visto che Abel poteva volare? In mano aveva qualcosa che riconobbi solo quando mi raggiunse a terra: un vecchio libro universitario di mio padre, di quelli che aveva deciso di conservare per il suo lavoro di biologo.
«Che facevi sul tetto? Leggevi?» mi stupii quando mi fu accanto.
«Sì. In camera di tuo padre ce ne sono tantissimi, di questi» mi indicò. Stringeva quel libro tra le braccia come se fosse un piccolo tesoro.
Ricordavo quel tomo, un paio di anni prima avevo provato a studiarci sopra, ma si era rivelato troppo approfondito per me.
«E hai letto per tutto questo tempo?».
«Sì, ero curioso. Nel mio mondo queste cose non esistono, le conoscenze si trasmettono quasi del tutto oralmente».
Non riuscii a nascondere lo stupore. Se avessi avuto ancora qualche dubbio, questa era la conferma della disumanità del ragazzo che avevo davanti: era riuscito a trovare interessante un libro universitario senza avere nemmeno confidenza con la lettura. Ero davvero impressionata.
Rientrammo in casa subito, dato che di sera le temperature avevano già iniziato ad abbassarsi, ed io ebbi la pessima idea di andare a riporre personalmente il libro di mio padre nello scaffale della sua camera.
Grazie ad Abel stavo sopportando relativamente bene la sua perdita, ma quando mi trovai da sola nella stanza, ancora piena delle sue cose, fui travolta dai ricordi. Sulla sua scrivania c'era una foto di noi due scattata anni prima, durante un pomeriggio autunnale come questo...
Senza nemmeno accorgermene, mi rannicchiai sul letto ad osservarla, rimanendo così per molto tempo. Troppo tempo, perché Abel venne in camera e mi trovò ancora in quella posizione.
«Sarah» mi chiamò a voce bassa.
Si avvicinò in silenzio. Non aveva bisogno di spiegazioni per capire cosa accadeva.
«Mi manca così tanto...».
Il mio angelo si sdraiò accanto a me, avvolgendomi con le sue braccia forti e le ali morbide. Non disse nulla, si limitò ad accarezzarmi i capelli con movimenti regolari e delicati che riuscirono a farmi rilassare in poco tempo. Chissà come, trovava sempre il modo di farmi stare meglio.
Chiusi gli occhi tra le sue braccia e improvvisamente sentii tutta la stanchezza di quella lunghissima giornata, tanto da cadere in un sonno profondo senza nemmeno rendermene conto.
*
Sognai l'incidente sotto la pioggia scrosciante, poi candide ali che accompagnavano mio padre in un luogo migliore, simile al paradiso terrestre che mi aveva descritto Abel.
Al mio risveglio, ore dopo, lui era ancora sul letto accanto a me.
Quando aprii gli occhi non riuscii a ricordare subito cos'era accaduto; notai solo che aveva il viso un po' assonnato e l'espressione di chi era in difficoltà. ...E che attraverso le persiane filtrava la luce del mattino.
«Ehm, buongiorno» mi salutò con un mezzo sorriso.
«Abel! Che ci fai nel mio...». Un momento, mi stavo sbagliando, quello non era il mio letto! «Ma questa non è la mia camera! Che cosa è successo?».
«Ehm... ieri sera ti sei addormentata qui, non ti ricordi?».
Me ne ricordai solo in quel momento e mi sentii immediatamente avvampare dalla vergogna. Accidenti, sicuramente lo avevo messo in difficoltà. «Scusami! Ehm, potevi svegliarmi».
«Ma no, stavi dormendo così bene... piuttosto, oggi dovevi andare di nuovo a scuola, giusto?». Mi stava guardando con un'espressione colpevole.
«Sì, perché? La sveglia non è ancora suonata».
«In realtà... credo che invece tu stia facendo tardi».
Mi voltai subito verso l'orologio sul comodino di mio padre: le 10.30. Era tardi, troppo tardi anche solo per entrare in seconda ora.
«Accidenti! Ma certo che la sveglia ha suonato, sono io che da qui non l'ho sentita» realizzai.
«E' quello che temevo».
Era mortificato, ma la colpa era mia. Mi ero lasciata vincere dal sonno mentre ero nella sua camera, ancora vestita, senza nemmeno aver cenato. E Abel mi era stato vicino per tutta la notte, mi aveva perfino coperta per non farmi raffreddare. Chissà se era almeno riuscito a dormire bene in mia presenza... non avevo il coraggio di chiederglielo.
Mi alzai subito e andai a preparare la colazione per entrambi. Pochi minuti dopo eravamo insieme a mangiare latte e cereali, mentre mi lamentavo di aver sprecato il pomeriggio precedente a fare i compiti inutilmente, oltre che di aver saltato scuola già al secondo giorno. Ma Abel era più propositivo di me e da queste lamentele trasse una bella idea: potevamo recuperare le ore perse uscendo quel mattino stesso.
Accettai con entusiasmo, così mi propose di andare al grande parco vicino al mio liceo che aveva notato il giorno prima. Mi sembrava un'ottima idea, dovevo solo fare attenzione a non farmi vedere da studenti e professori.
Uscimmo poco dopo, chiacchierando per tutto il tempo del tragitto. Abel mi fece domande su di me e su tutto ciò che gli veniva in mente, perfino su cosa avevo studiato il giorno prima.
Al parco, per fortuna, non c'era quasi nessuno, così potemmo fermarci a parlare in uno spiazzo molto suggestivo, con delle panchine in legno e una grande fontana circolare in muratura. Guardai il mio angelo sedersi pieno d'interesse sul suo bordo bianco, mentre il suo sguardo guizzava tra l'acqua che scorreva e i pesci che nuotavano nel fondo. I suoi occhi verde scuro, sotto la luce del sole, erano ancora più belli.
«Sai? Tra i libri di tuo padre ce ne sono alcuni che parlano della natura. Sembrano davvero interessanti» mi raccontava, intanto, con aria sognante. Se fosse stato un ragazzo normale sarebbe stato sicuramente un bravo studente, un'ottima persona da molti punti di vista. «Non vedo l'ora di leggerli, ci sono ancora così tante cose che devo imparare... dovrai avere ancora un po' di pazienza con me».
Sorrisi, anche se lui non mi vedeva. Abel non conosceva questioni basilari come la scuola, era vero, ma faceva così tanto per me che spiegargli anche le cose più ovvie non mi pesava affatto.
«Non è un problema, lo sai. E poi anche io ho delle domande per te». Me ne venivano in mente di nuove continuamente, e questo mi sembrava un ottimo momento per porgliene qualcuna.
«Per esempio?» si incuriosì.
«Per esempio... tutti gli umani hanno un loro angelo?».
La sua prima reazione fu un po' stupita, probabilmente perché per lui quelle cose erano ovvie al pari della scuola per me. Poi mi fece un altro dei suoi bei sorrisi e si sedette composto sul bordo della fontana per darmi le spiegazioni che cercavo.
«No, non tutti. Non siamo come gli angeli custodi della tradizione religiosa, in realtà noi siamo davvero pochi rispetto agli esseri umani».
«Ma allora perché alcune persone hanno questa fortuna e altre no?».
«"Fortuna" non è un termine adatto, purtroppo. Noi arriviamo solo quando un essere umano ha disperatamente bisogno di noi. Ogni volta che nasce un umano destinato a perdere tutto ciò che ha di importante, nasce anche un angelo per lui. E' solo grazie alla Natura, che nella sua perfezione predispone tutto nel migliore dei modi possibili: quando l'umano si troverà in queste condizioni, il suo angelo arriverà da lui, con lo scopo di rimanergli accanto fino a che non ci sarà qualcuno o qualcosa per cui la sua presenza non sarà più necessaria».
La sua risposta mi lasciò una sensazione sgradevole. Non mi piaceva sentir parlare Abel di sé come di qualcuno destinato a non servire più, non avrei mai potuto pensare una cosa simile.
«E se avessi bisogno di te per sempre? Cosa accadrebbe?» mi preoccupai.
«Non succederà». Aveva lo sguardo fisso verso il cielo.
«Non puoi dirlo con certezza!».
«Sì, invece. E' sempre stato così».
«Ma se io mi affezionassi a te non per la tua compagnia, ma per quello che sei? In questo caso niente e nessuno potrebbe sostituirti».
Rimase spiazzato. Effettivamente non era da me dare risposte così dirette, inoltre mi accorsi troppo tardi che le mie parole risultavano ambigue.
«Non fraintendermi, non sto dicendo che non voglio lasciarti andare» tentai di rimediare. «Intendevo dire che, secondo me, una persona non si può sostituire come se fosse un oggetto. Con il passare del tempo, tra un angelo e il suo protetto si creerà sicuramente un legame molto forte».
Ora mi fissava con aria seria, che imbarazzo... probabilmente ero anche arrossita.
«Certo, è normale che si instauri un forte legame, ma è nell'ordine naturale delle cose: arriverà un momento in cui non avrai più bisogno di me e a quel punto io me ne andrò, nonostante tutto».
Incapace di insistere ancora, non potei che accettare le sue parole, ma senza esserne davvero convinta. Ormai era da un po'che Abel ed io vivevamo insieme e già sentivo che non volevo assolutamente perderlo. Non riuscivo nemmeno a immaginare di non avere più bisogno di lui, nemmeno tra moltissimo tempo.
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