4 - Vita sociale
Il giorno in cui Sarah iniziò a riprendersi, fu anche quello in cui mi parlò per la prima volta di ciò che più avrei odiato del suo mondo: la scuola.
Questa fantastica invenzione umana avrebbe tenuto impegnata la mia protetta in attività che non piacevano nemmeno a lei per sei lunghissime mattinate su sette, dall'indomani fino ai nove mesi successivi, tutto per chissà quale investimento a lunghissimo termine in una vita breve come quella umana. Sarah non volle nemmeno permettermi di stare a lezione con lei, ottenni solo di poterla accompagnare all'andata e al ritorno.
La prima mattina fu traumatica. Non solo dovemmo alzarci prestissimo, ma la giornata si rivelò pessima non appena mettemmo piede fuori dal cancello, quando il viso ancora assonnato della mia protetta si pietrificò completamente alla vista di un'automobile scura mai vista prima, che si fermava davanti al cancello accanto al nostro. Fissava la persona che ne stava scendendo - sicuramente il vicino di casa che finora non c'era stato - e io non capii subito il perché di quella reazione.
Lui era un normalissimo ragazzo di qualche anno più grande di noi, con lo sguardo maturo e la postura impeccabile. Aveva vestiti formali ed era di bell'aspetto, con i capelli biondo cenere e gli occhi dai toni altrettanto chiari e caldi. Quando la mia protetta gli si avvicinò per salutarlo, lui si dimostrò gentile, eppure... qualcosa in lui mi mise in difficoltà.
Che fosse il suo rapporto con Sarah? Lei, in effetti, era piuttosto agitata. Anzi, a dire il vero era quasi palese che lui le piacesse, e non potei fare a meno di sentirmi deluso all'idea che non mi avesse reso partecipe di questa importante parte dei suoi pensieri. Chissà cosa ne pensava lui... in realtà si comportava in modo troppo formale per lasciar credere che la ricambiasse.
Continuai a sentirmi a disagio per tutta la durata della loro conversazione, scoprendo, tra l'altro, che era davvero sgradevole non essere visto da qualcuno che mi era proprio davanti. Lo guardavo nei suoi occhi color sabbia mentre lui non vedeva i miei e, se anche li volgeva nella mia direzione, il suo sguardo mi trapassava come se non esistessi. Era agghiacciante.
Per fortuna il ragazzo venne liquidato abbastanza in fretta, perché volente o nolente, Sarah doveva andare a lezione. A quanto pareva era fondamentale che non arrivasse in ritardo al suo primo giorno.
Appena rimasti di nuovo soli, non riuscii a trattenermi. «Allora? Chi è quel ragazzo?» la stuzzicai.
Sarah divenne tutta rossa, era adorabile. La sua espressione dolce e buffa riuscì ad allontanare ogni mia emozione negativa.
«Ehm, ecco, lui... è David, il mio vicino di casa». Pensava davvero di cavarsela con così poco?
«Questo lo avevo capito, ma mi è sembrato un po' più di un vicino».
«Beh, lo conosco da anni e lui... hai visto com'è gentile?».
«L'ho notato, ma non me la dai a bere, si vede che hai una cotta per lui» insistei, realizzando solo dopo che forse ero stato troppo invadente.
Sarah divenne ancora più rossa di prima. «Si vede tanto, eh» ammise. Per fortuna non se l'era presa per la mia mancanza di delicatezza.
«Un pochino. Non me ne avevi mai parlato».
Dovevo ammettere che mi sentivo ancora un po' deluso dal fatto che mi avesse tenuto all'oscuro di una cosa così importante. In ogni caso mi mostrai sereno e tentai di darle un po' di fiducia in se stessa, perché fin dal primo giorno mi era stato chiaro che Sarah non si rendeva conto né della sua bellezza, né delle sue incredibili qualità. E infatti sembrò considerare impossibile qualunque interessamento da parte di lui. Non sopportavo di vederla così abbattuta. Dovevo trovare il modo di aiutarla, ma se ci fossi riuscito... Mi veniva quasi da ridere all'idea che, anche in questa parte della mia vita, il mio obiettivo principale mi avrebbe allontanato dalla persona a cui tenevo di più. D'altra parte ero il suo angelo, e la nostra differenza di genere, per una volta, poteva andare a nostro favore.
Mi trovai a terminare i miei pensieri davanti a un enorme cancello di metallo, al di là del quale c'era un edificio grigiastro e malandato di almeno due piani. Mi ricordò la storia che una volta un giovane angelo aveva raccontato ad Azalee e me: il suo protetto andava sempre a trovare i suoi genitori in un edificio chiamato prigione. Qui non mancava nulla, c'erano perfino le sbarre alle finestre più basse... e l'umore generale che intuivo dalle facce degli altri studenti non mi rassicurava di certo.
All'interno della recinzione esterna, almeno, vidi degli spazi erbosi con delle panchine in pietra bianca che sembravano un bel posto per attenderla prima delle lezioni. Alcune di esse erano abbastanza isolate da permettere a Sarah di parlarmi senza essere udita da altri.
«Ci vediamo qui tra cinque ore, mi troverai davanti al cancello come stabilito» la salutai.
Inutile aspettare una risposta, Sarah era già stata contornata da una folla di altri ragazzi che non potevano vedermi. Il mondo umano era incredibilmente popolato, rispetto agli standard angelici.
Restai ad osservarla per qualche secondo mentre salutava alcuni amici, che la accolsero con gioia non appena la videro, poi stiracchiai le ali e mi alzai in volo. Sarebbero state cinque ore lunghissime, ma mi dissi che Sarah stava bene e che era l'occasione migliore per imparare qualcosa di nuovo sul suo mondo. Volevo sfruttare quel tempo al meglio.
Volai in alto per vedere il quartiere nella sua interezza, ripetei il tragitto appena compiuto per memorizzarlo e riuscii a crearmi una mappa mentale di tutto ciò che avevo intorno. Scoprii alcuni parchi molto belli, tra i quali il mio preferito era quello vicino al suo liceo, perché in alcuni tratti assomigliava alle distese erbose tipiche dell'Ovest; proseguendo nella stessa direzione vidi un paio di laghetti e tantissime strade piene di case o di negozi, mentre all'orizzonte scorsi perfino il mare, che però non raggiunsi perché avevo perso la concezione del tempo e temevo di fare tardi.
In realtà, invece, tornai a scuola troppo presto, perché arrivai nel momento della ricreazione, che riconobbi dalla presenza di tantissimi alunni negli spazi verdi.
C'era anche lei, proprio su una delle panchine su cui avrei voluto attenderla. Era in compagnia di un ragazzo che prima non avevo visto e sembravano entrambi molto presi da una conversazione piuttosto seria, viso contro viso.
E ora... chi era questo ragazzo con cui Sarah sembrava tanto in confidenza? Ero felice che avesse ripreso i contatti con i suoi amici, ma perché non mi aveva mai parlato nemmeno di lui, oltre che del suo vicino di casa? E a questo punto... chi o che altro mi teneva nascosto?
La preoccupazione ebbe il sopravvento e mi avvicinai a loro di qualche passo, nonostante lei non potesse vedermi da quella posizione, appena in tempo per sentire che il ragazzo le stava proponendo di tornare a casa insieme e che lei aveva accettato.
Fantastico, perciò la mia presenza al ritorno l'avrebbe solo messa in difficoltà.
A questo punto non mi restava che attenderla in casa...
Mi lasciai andare ad un sospiro e decisi di tornare indietro subito, troppo di cattivo umore per proseguire nella mia esplorazione. Volai svogliatamente, attraversai la parete ed andai a sedermi sul divano del soggiorno, dove restai a vagare con la mente fino al suo arrivo, ben due ore dopo. Mi sembrò un'attesa lunghissima, durante la quale giunsi all'amara consapevolezza che, con la scuola, le cose tra noi sarebbero cambiate drasticamente. Tutto ciò iniziava a spaventarmi.
Quando Sarah arrivò, le spiegai il motivo della mia assenza all'uscita di scuola tentando di non mostrarle la mia preoccupazione, eppure finii col farla sentire in colpa lo stesso. Non andava bene, non volevo che sentisse di doversi giustificare con me, volevo essere un punto di riferimento e non certo una fonte di problemi. Così stavolta fui io a scusarmi di fronte alla sua preoccupazione. Sarah in qualche modo riuscì a fidarsi di me, e alla fine di quella specie di chiarimento decise di raccontarmi la triste storia del suo amico, che lui le stava spiegando proprio al momento del mio arrivo.
Quel povero ragazzo aveva perso suo fratello in un incidente, e siccome quei due vivevano insieme e dipendeva economicamente da lui, insieme al lutto aveva dovuto affrontare il trasloco da una città lontana per tornare a vivere qui dal padre, con il quale aveva un pessimo rapporto.
Sarah lo chiamava confidenzialmente Chris, ed erano stati molto legati nei tempi in cui, da bambini, vivevano entrambi in questo quartiere. Non potevo stupirmi se lei gli era stata vicino, quella mattina, e non avevo sbagliato a pensare che stessero parlando di qualcosa di molto serio. Mi dispiacque sinceramente per lui, ma una parte di me si preoccupò di quanto la sua situazione fosse simile a quella di Sarah, perché ciò avrebbe potuto unirli abbastanza da farmi andare via troppo presto. Se non altro, mi tranquillizzai perché stavolta Sarah non mi aveva nascosto nulla; semplicemente, non sapeva del suo ritorno.
*
Da quel momento pensammo solo a noi due. Avevamo preparato il pranzo e ci sedemmo a mangiare l'uno accanto all'altra come da abitudine. Sarah provò a darmi qualche informazione poco comprensibile sulla scuola e infine decise di farmi anche lei delle domande, ma del tutto inattese. Era l'ultimo argomento che mi sarei aspettato di prendere quel giorno.
«Abel, io... non ti ho mai chiesto del tuo passato. Come vivevi prima di arrivare qui?».
Mi colse alla sprovvista. Non mi aveva mai chiesto nulla del mio mondo e ormai mi ero convinto che la mia vecchia vita non le importasse. Quell'interesse improvviso mi mise un po' in imbarazzo.
«Ehm, non saprei bene come spiegartelo. Vuoi sapere qualcosa in particolare?».
«Non so, vieni dal paradiso?» tentò.
«Puoi chiamarlo così, se vuoi». Molti umani usavano quello strano nome per il nostro mondo.
Iniziai a raccontarle le prime cose che mi vennero in mente, accorgendomi che mi piaceva renderla partecipe anche di quella parte della mia vita. Le spiegai che il mondo angelico era un po' come sarebbe stato il suo senza la presenza di costruzioni e tecnologie, dato che noi non necessitavamo di edifici per ripararci dal freddo, né di cibo, né di mezzi di trasporto per via delle nostre ali. Avevamo bisogno solo della natura e dei rapporti con gli altri angeli. Beh, e dei nostri protetti.
Lei mi guardava con una dolcissima aria sognante. «Mio padre è in quel paradiso?» si chiese prima di qualunque altra cosa. Non era la prima umana ad ipotizzarlo.
Se fosse stato così, avrei tanto voluto conoscerlo... «No, mi dispiace. Non so cosa succede a chi muore, il mio mondo non ha nulla a che fare con l'Aldilà. Gli angeli invecchiano e muoiono proprio come gli esseri umani, anche se l'aspettativa di vita, per noi, è di circa tre volte la vostra».
La guardai di sottecchi, sperando che non fosse rimasta troppo delusa dalla risposta. Non mi sembrava che lo fosse, ma iniziavo a conoscerla abbastanza bene da capire che stava trattenendo le sue reazioni per non mortificare me. In compenso, l'idea che noi vivessimo così a lungo rispetto agli umani la entusiasmò molto e divenne ancora più curiosa.
«E tu cosa hai fatto in tutti questi anni? Aspetta! Quanti anni hai?».
Mi strappò un sorriso. «Ho la tua stessa età, naturalmente. Sono nato per te, nel momento in cui sei nata tu».
Mi sembrava una cosa così ovvia che non avevo mai pensato di spiegargliela, invece lei sgranò gli occhi dalla sorpresa.
«Sei nato per me!?». Evidentemente non era poi così scontato.
Annuii in risposta e lei lasciò la tavola per sedersi sul divano, scioccata.
«Ma io non vivrò a lungo quanto te. Tu che farai, dopo?».
La seguii, sperando che non sentisse il bisogno di approfondire il discorso più del necessario.
«Nel momento in cui non avrai più bisogno di me, io tornerò nel mio mondo. Lì il tempo pesa molto meno che in questo, dove tutto è in rapida trasformazione; ritroverò tutto ciò che avevo lasciato e le nostre vite diventeranno indipendenti l'una dall'altra».
Erano frasi che tutti gli angeli conoscevano a memoria, anche se mi era difficile immaginarmi indipendente da lei, ora che l'avevo conosciuta. Come temevo, Sarah non sembrava soddisfatta della mia risposta, o meglio sembrava che qualcosa la turbasse, e non mi fu difficile intuire cosa.
«Non preoccuparti. Qui sto bene, non sento il bisogno di tornare nel mio mondo».
Vidi nel suo sguardo che non riusciva a credermi. Era normale, un essere umano non poteva rendersi conto di quanto la mia vecchia vita era diventata solo una piccola parentesi, ora che ero davanti al protetto per cui ero nato. Gli stessi angeli, prima del Viaggio, faticavano a capacitarsene. Purtroppo sapevo già di non poterle far capire un sentimento tanto naturale per gli angeli quanto inconcepibile per gli umani, e come se non fosse bastato questo, con il mio modo di fare impulsivo finii col peggiorare ancora la situazione. Quando Sarah, poco dopo, mi chiese come vivevo abitualmente nel mio mondo, le parlai di quanto fosse importante per noi stare insieme agli altri e... beh, non potevo parlarle sinceramente della mia vita passata senza raccontarle almeno di Azalee.
«Spesso passavo il tempo ascoltando le storie degli angeli che erano tornati indietro o visitando luoghi nuovi in volo, e poi... c'era la mia ragazza».
La sentii sussultare, a conferma dei miei timori di aver detto troppo. Con Azalee ormai era tutto incerto, ma di una cosa ero sicuro: se lei ora fosse stata qui, l'avrei delusa per l'ennesima volta: a causa della mia eccessiva sincerità, la mia protetta si sarebbe preoccupata per me molto più del necessario.
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