Sean
Ero in un prato, davanti a una vista incredibile.
Mi avvicinai al bordo della banchina, quando una voce da dietro mi fermo:" attenta, se cadi poi ti devo venire a prendere."
Conoscevo quella voce, divertita, irritante, raramente preoccupata, almeno quando discuteva con me.
"Sean! Non sono una bambina." Dissi mettendo il muso.
"Come vuoi..." rispose, prendendo due bibite e passandomi la seconda.
"Grazie" mormorai, scorgendo un accenno di sorriso sul suo viso.
"Allora, che facciamo?" Domandò.
"Foto." Risposi ovvia, alzando la polaroid instax tra le mie mani.
"A cosa?" Continuò.
"A tutto: ai fiori, il panorama. A te." Risposi.
"A me? Sprecheresti una cartuccia con me?" Disse divertito.
"Si. Sono convinta di essere talmente brava da rendere fotogenico anche un antipatico come te." Spiegai orgogliosa.
"Tu sei pazza." Commentò.
"Su su! Vai più avanti! Ci vuole un bello sfondo!" Esclamai.
"Come vuoi capo..." sbuffo lui, posizionandosi più avanti come gli avevo detto.
Lo inquadrai dentro la fotocamera e gli dissi:"dimmi qualcosa di bello".
Ma il suo viso divenne solo confuso.
"Bello! Non confusionario." Sospirai.
"La bellezza può essere confusionaria." Replicò.
"Davvero? Tipo cosa?" Lo sfidai.
"Tipo te." Rispose, volgendo un sorriso divertito, dolce e rassicurante.
Scattai e mi concentrai sulla foto che stava per uscire dalla macchina.
Lui intanto si era avvicinato.
La foto era uscita, ma si doveva formare.
"Non guardare! Chiudi gli occhi! Sarà una sorpresa!" Gli ordinai, mettendo all'ombra la foto.
Lui chiuse gli occhi annoiato, poi mi avvicinai io, baciandogli, meglio dire sfiorandogli appena, la guancia e mormorando un "grazie" incerto.
Mi allontanai velocemente, senza nemmeno guardarlo in faccia e tornai dalla foto che era ormai pronta.
"Fatto! Apri! Apri ! Apri!" Ripetei colpendogli il braccio.
"Ferma, è fastidioso." Mi interruppe prendendomi il polso, per poi allungare la mano e acciuffare la foto.
"Bella, ti credevo una fotografa orribile." Commentò con un sorriso.
Io sospirai e mi diressi alla macchina.
Mi svegliai nella mia stanza confusa, era un sogno, non ci voleva un genio per capirlo, ma era stato parecchio realistico pur mandando una buona porzione dello scherno nelle nostre conversazioni.
Mi alzai e lanciai un occhiata alla mia sorellona incinta.
Mi dispiaceva per lei: chi mai vorrebbe un figlio tanto presto con pure una profezia in sospeso?
Però sapevo che sarebbe stato forte ed intelligente come lei, buon sangue non mente.
Vestendomi silenziosamente con la magia, cercai di uscire di casa, passando davanti ai ragazzi che dormivano nel divano-letto stravaccati come lucertole al sole.
Sul punto di chiudere la porta, fui però colta in flagrante da una voce.
"Sei un elefante in cristalleria la mattina." Mormorò il castano con voce roca dal sonno.
"Vado a prendere dei caffè." Lo avvertii.
"Io con miele e latte, anche del cacao magari."chiese.
Annuii e poi chiusi la porta dietro di me, lasciando casa.
In realtà non avevo soldi con me, ma sapevo come farne...
Andai al parco chiedendo mance per dei trucchi di magia.
Avevo iniziato per caso, un giorno che ero a corto di monetine e troppo lontana da casa per tornare indietro, feci quindi alcuni incantesimi semplici, affascinando i piccoletti e prendendo ben dieci dollari in un ora.
Essendo le dieci al parco era pieno di anziani, madri, casalinghe, passanti che speravano nella scorciatoia.
Pubblico difficile, dato che non si sarebbero fermati facilmente.
Con qualche asso nella manica e mezz'ora di tempo, raccolsi la bellezza di quattordici dollari.
Mi era andata molto bene, anche se avevo dovuto alzare il livello con cose tipo la trasfigurazione o la levitazione e la lettura della mente.
Corsi al primo bar caffetteria e presi il mio caffèlatte, quello al miele di Sean, il tè verde orientale di Kilian e anche il tè inglese con zenzero e limone per Marianna.
Mi rimasero perfino due dollari e tornai a casa trionfante.
Tornata a casa, Sean era seduto sul divano a riposare, leggendo una rivista e sbuffando al fastidio sei capelli bagnati.
Il divano letto era stato riposto come precedentemente.
Alzò il viso e mi lanciò un occhiata severa.
"Dove sei stata?" Chiese.
"A prendere i caffè. Gli altri?" Domandai a mia volta dopo avergli mostrato le tazze.
"Diana dorme, Kilian sta facendo la doccia.
Ma tu dov'eri? Ci hai messo un ora! Holland! Volevi farci preoccupare? In che cavolo di bar sei andata? Dall'altra parte della città? Se non fosse stato per la pazienza e tranquillità di Kilian saremmo già usciti a cercarti.
Avevi detto che prendevi i caffè. Implica qualche minuto fuori, non sessanta!" Mi biasimò.
Io feci una faccia seccata, mettendogli davanti alla faccia il suo, che prese ancora arrabbiato.
Poggiai gli altri due sul tavolo e poi sorseggiai un po' del mio.
Rimanemmo in silenzio, con lui che mi fissava ustionante.
La situazione tornò normale quando fece il suo ingresso Ludo, in mutande, che mi chiese quale fosse il suo e lo prese ringraziandomi.
"Come fai a essere così tranquillo? Ha solo sedici anni! Non dovremmo lasciarla andare in giro così senza farci informare." Sbottò il castano.
"Andiamo, ne compie diciassette tra un mese. Mi fido di lei, è un po' matta, ma sa difendersi più di te." Sbuffò Ludo.
"Ma che cavolo dici?" Esclamò sbigottito.
"Papà due, potresti star tranquillo come papà uno per una volta tanto?" Domandai con scherno.
"Non sto tranquillo, non mi avevi detto un ora e poi perché sarei io papà due?" Replicò,
"Perché con te non ho legami di parentela." Sorrisi.
"Allora, che giro hai fatto?" Chiede mio fratello.
"Sono andata al parco, poi alla caffetteria vicino a Tiger." Risposi.
"Brava, questo caffè mi piace molto. Hai del resto?" Chiese.
"No." Borbottai.
"Holland..." insistette.
"Tieni..." sbuffai dandogli i soldi.
"Ottimo, lì metto nel tesoretto. Brava sorellina." Disse felice, dandomi un bacio in fronte e sparendo in camera.
"Quando ti ha dato quei soldi?" Chiese Sean sospettoso.
"Sono miei." Sputai acida, andando anche io in camera, mentre il corvino tornava dall'amico.
Ludovico mi conosceva, sapeva che ogni tanto usavo alcuni trucchi per fare dei soldi, così non si era fatto problemi a chiedermeli, ma era meglio se Sean non lo sapesse, per qualche ragione che neppure io capivo appieno, forse per orgoglio, non volevo che lo sapesse.
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