Vaffanculo a catinelle
Katsuki pov's
Mi avvicino piano a lui, pretendendo un braccio verso il letto su cui è rannicchiato.
Ha le gambe incollate al petto e le braccia gli coprono parte del viso in una posizione difensiva.
Ma perché?
Che è successo?
I miei occhi si incatenano nei suoi e per un'attimo riesco a scorgere l'incertezza e la paura.
Una paura tremenda, viscerale.
Mi avvicino ancora e lui sussulta.
Le sue pupille sono due puntini in mezzo ad un mare di verde.
Sto gattonando lentamente verso il suo letto.
Una volta abbastanza vicino mi alzo in piedi.
Anche lui scatta in piedi, veloce come un fulmine.
Attiva il suo quirk e mi oltrepassa, si ferma davanti alla finestra.
Terrorizzato, con il fiatone, il sudore che gli cola lungo le guance e sugli occhi.
La bocca aperta nel tentativo di riprendere quel poco fiato che aveva.
Non riesco a parlare.
La mia bocca sembra non reagire ai comandi.
Vorrei abbracciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, ma ogni volta che faccio un passo in avanti lui ne fa uno indietro.
Adesso è contro il vetro della finestra.
Non può arretrare ancora.
...
E tutto successe così in fretta.
Non appena feci un passo lui colpì la vetrata con un pugno mandandola in frantumi.
Il vetro esplose letteralmente.
Feci appena in tempo a parlarmi gli occhi con le braccia.
Sentivo il vetro perforarmi la pelle e le schegge più grandi conficcarsi nelle mie braccia.
Una volta finito tutto, ignorando il dolore ed il sangue che ormai colava incessante dalle mie ferite, mi alzai in piedi e lo guardai.
Era sul bordo della finestra.
In piedi.
Mi sembrò fragile.
Indifeso.
Talmente leggero che un colpo di vento più forte avrebbe potuto portarmelo via.
Mi guardava.
Non più spaventato.
O almeno non lo sembrava.
Il suo volto era piegato in un sorriso.
Ma non il suo sorriso dolce e premuroso, quel sorriso che tanto amavo.
Era un sorriso tirato, folle, di qualcuno che non ha più speranza.
Il suo volto era un misto di emozioni.
Tante.
Troppe per poterle analizzare in quel momento così caotico.
Alzai un braccio e mi protesi verso di lui.
Istintivamente fece per indietreggiare.
La paura che potesse cadere mi invase il petto.
Il mio corpo era scosso da tremiti di terrore puro, sentivo le mani sudare ed il mio respiro farsi irregolare.
Ecco, questa è la paura.
La paura di perdere qualcuno.
La paura che non ci fosse più un domani.
La paura di non poter agire.
La paura di perdere un pezzo della tua anima.
Mi ritrassi e mi allontana di un passo.
Solo ora la mia voce uscì.
Una voce flebile, tremolante, incerta, impaurita.
La mia voce, così diversa dal solito ringhio profondo, simile ad un miagolio di un gattino <<...ti prego Izuku...>>
Lui si girò e guardò in basso.
Saremmo stati come minimo al quarto piano.
Se fosse saltato sarebbe morto sul colpo.
La scena mi passò davanti agli occhi e il terrore cominciò a pulsare dentro di me.
La paura, lei, quella che per anni avevo rifiutato, che avevo lasciato in una parte remota della mia coscienza, adesso aveva preso possesso di tutto il mio corpo.
Quella maledetta paura.
Quella sensazione di impotenza.
Il mio non essere all'altezza.
Tutto.
Tutto quello che avevo.
Tutto quello che ero. E che sono.
Mi teneva incatenato al terreno.
Incapace di fare un singolo passo.
Incapace di alzare la testa e guardarlo.
Incapace di fissare quegli occhi disperati, stranamente privi di lacrime, e dire che lo amavo.
Volevo dirlo.
Volevo.
Davvero.
Perché lo amavo.
Non ci sono riuscito.
Non ce l'ho fatta.
La bocca che nessuno riusciva a chiudere ed azzittire adesso era sigillata.
Tra noi c'era il silenzio, interrotto solamente dai fischi del vento e dal suo respiro irregolare.
Lo guardai.
Vidi ancora quel sorriso triste.
E poi le sue labbra muoversi.
Perché sorrideva?
Non era felice.
Lui mi lesse nella mente, oppure lo dissi, non ne sono sicuro.
<<Qualcuno mi ha detto di sorridere sempre>> disse con una voce atona, monotona, priva di qualsiasi emozione.
Pensavo di odiare quel suo lato piagnucolone.
Piangeva per tutto ed odiavo quelle lacrime, tal volta insensate.
Ma avrei preferito mille volte di più sentire quella sua tipica voce rotta dal pianto che questo tono.
Non riuscivo ancora a parlare.
Lui mi sorrise ancora <<Credevo di amarti... credevo anche che tu provassi per lo meno affetto per me, ma mi sbagliavo>> la mia testa scattò in alto e la mia bocca si spalancò nell'ennesimo tentativo inutile di parlare <<Tu mi hai sempre odiato. Ti sentivi migliore e hai pensato che fosse giusto trattarmi come se fossi un sassolino nella scarpa>>
Si girò a fissare il cielo terso, senza nemmeno una nuvola e sorrise ancora.
Una risatina.
Debole.
Orribile.
Un pianto tramutato in un sorriso.
Quella risata piena di disperazione non mi avrebbe mai più lasciato.
Fino alla fine avrei sognato incessantemente quel momento, quel momento in cui avrei potuto muovermi.
Fare qualche passo e cambiare le cose.
Quel momento in cui ho capito di essere un debole ed un codardo.
Quando finalmente si girò verso di me mi guardò serio.
Mi fermai a fissare le sue braccia scoperte, piene di vecchie cicatrici e nuovi tagli dovuti ai vetri.
Il suo fisico muscoloso e definito.
I suoi capelli indomabili mossi dal vento.
Quegli occhi grandi e sempre pieni di gioia, ora un vacuo ricordo.
Mi stampai quell'immagine nella mente.
Il suo volto, la sua espressione, i suoi capelli disordinati.
Erano stampati a fuoco nella mia memoria.
E lo sarebbero stati per sempre.
Un ricordo.
<<Ti ricordi Kacchan?>> io lo fissai sempre mantenendo quell'odioso silenzio <<Quando non avevo un quirk, quando non avevo ancora incontrato All Might, quando non avevo nulla, quando non ero nessuno>>
Dei ricordi si stavano accumulando nella mia memoria.
<<Te lo ricordi Kacchan?>> ricordavo i bulli, io ero uno di loro, i maltrattamenti e la sua espressione disperata <<Ricordi il mio dolore, le suppliche? Io me le ricordo, ricordo tutte le volte che ho mentito a mia madre, che le ho nascosto le ferite che mi provocavi. Mi ricordo di come mi trattavi>>
Lo ricordavo anche io.
Mi salì la bile in gola al ricordo di tutto quello che avevo fatto.
Perché l'avevo fatto?
Ero un ragazzino stupido pieno di paranoie e complessi.
Perché l'ho trattato così?
Perché era la preda perfetta per scaricare il mio stress.
L'ho trattato come un sacco da box.
Ed in quel momento fui io a piangere.
Avevo la vista appannata e sentivo gli occhi bruciare.
La gola chiusa in un singulto disperato.
Sentii le lacrime scendere lungo il mio viso ed abbattersi sul mio petto, coperto dalla maglia.
Lo guardai. Ancora.
Non potevo fare altro che fissarlo.
Il suo profilo in contro luce.
<<Te lo ricordi Kacchan?>> disse girandosi l'ultima volta e sorridendomi <<Ti ricordi quando alla fine delle medie mi hai detto "sali sul tetto e spera di avere un quirk nella tua prossima vita">> il mio cuore saltò un battito.
Il panico.
Si lo ricordavo, ricordavo perfettamente quel momento.
In seguito mi sono pentito di averlo detto.
Ma non mi sono mai scusato.
Non ho mai detto "mi dispiace" anche se avrei dovuto.
Lui si meritava di ricevere delle scuse, ma io non ho mai avuto il coraggio di fargliele apertamente.
Mi sentivo un vile. Un codardo.
Lì immobile a fissarlo.
<<Sai non so se ti ricordi. Ma non importa. Io non sono mai stato necessario nella tua vita. Quindi va bene se non ti ricordi di me... va tutto bene, perché anche se tu non hai memoria di me io voglio comunque farti un regalo>> mi sorrise un sorriso gentile, dolce e triste.
<<Addio Kacchan>> fece un passo in dietro e sparì oltre il davanzale della finestra.
Feci uno scatto. Provai ad afferrarlo.
Ma non feci in tempo.
Quando guardai in basso mi cadde il mondo addosso.
Sangue.
Sangue ovunque.
Urlai.
Urlai con tutte le mie forze.
Urali piangendo e correndo giù da lui.
Urlai per la paura.
Urlai per disperazione.
Quando lo raggiunsi lo chiamai.
Più e più volte. Senza ottenere alcuna risposta.
Il sangue mi inzuppava i vestiti, le mani, ero coperto del suo sangue.
Appoggiai delicatamente l'orecchio contro il suo petto e il mio intero mondo andò in pezzi.
Come uno specchio che si frantuma cadendo a terra.
Non batteva.
Guardò il suo viso.
Coperto di sangue.
Gli occhi chiusi.
Sembrava stesse dormendo.
L'espressione rilassata.
Era bellissimo.
E mi resi conto che non lo avrei potuto riabbracciare mai più.
Gli accarezzai i capelli e pensai a tutto quello che avevamo.
Tutto quello che non ho detto.
Tutto quello che avrei dovuto dire.
Tutto quello che avrei potuto fare.
E piansi.
Piansi urlando il suo nome.
Piansi chiedendogli scusa.
Piansi per non avergli detto un'ultima volta:
Ti amo.
PESCE D'APRILE!!!!
...
ORA MI AMMAZZANO HAHAHAHAHAHAH.
Io sono cattiva con gli scherzi e ne vado fiera.
Sono famosa per questo.
I miei amici mi odiano.
Però ricordate che vi voglio bene.
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