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'Lie...

Corro per le strade, quasi non accorgendomi delle auto che mi suonano, o la gente che mi grida contro perché le ho urtate. Sono l'ultima cosa che mi interessa, adesso.

Ho la vista appannata dalle lacrime; senza volerlo non posso fare a meno di ricordare tutte le volte che ho passato con quel ragazzino così sveglio e combattivo: all'ospedale la prima volta che gli ho portato i fiori, a casa Grier, davanti scuola, e quella volta di nuovo all'ospedale, quando mi ha implorato di fare quella promessa per lui.
Il suo rossore sulle guance quando parlava di Skylynn, la risata vivace di chi cerca di non pensare al fatto di avere i giorni contati.

Basta, BASTA!

L'ospedale è praticamente vuoto, se non fosse per quei pochi pazienti, le infermiere di qua e di là e i medici in camici verdi.

Secondo piano: stanza 221.
Secondo piano: stanza 221.
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Scorro a passo veloce ogni stanza: so che probabilmente lui non sarà lì. Se la cosa è grave come mia madre la faceva sembrare... allora vuol dire che starà già in qualche sala specializzata per il suo problema. Una sala chirurgica, operatoria...

220...
221

La porta è socchiusa, non si sente un rumore.
Entro: nessuno. Tutti i letti sono vuoti.
Guardo l'orologio appeso al muro, e mi accascio allo stipite della porta.

È orario di visita.

Lo sguardo mi si posa sul suo letto. L'ultimo in fondo, sulla destra, accanto alla finestra.
Non c'è nessuna dottoressa, nessuna infermiera a cui chiedere, tanto meno mia madre; così mi dirigo verso la brandina e un sorriso triste compare sulle mie labbra.

Piccolo... ti prego, non andare via anche tu.

Carezzo il cuscino, mentre una lacrima riga la mia guancia.

Da quando... sono diventata così emotiva..?

Vorrei sorridere a quel pensiero, eppure singhiozzo: perché sì, ho imparato ad essere così emotiva conoscendo persone come Nash, come Skylynn, come Charlie, persone a cui mi sono terribilmente affezionata e di cui non potrei sopportare l'assenza.

Mi siedo sul lettino e riesco a figurarmi l'immagine del bambino, seduto lì con me e Skylynn, mentre sorride vivace e racconta l'ennesima battuta esilarante.

Prendo una sedia e l'accosto al materasso, per poi sedermici sopra e posare il busto e le braccia su di esso.

Perché.. perché proprio tu?
Perché sempre chi non se lo merita soffre così tanto?

Penso a Jessie con Karl, a me e mio padre, a Charlie e il suo temibile male.

Neanche mi accorgo di essermi addormentata quando il ripetitivo ticchettio dell'orologio diventa solo un suono lontano, perfettamente confondibile col chiasso dei miei pensieri.

«Lara, ehi. Svegliati, Lara»
Apro gli occhi, con estrema lentezza.

Mamma?

Poi realizzo. Mi alzo dal materasso, mettendomi a sedere «Mamma! Cosa..?» mi guardo attorno: ci siamo io, mia madre e una signora all'incirca della sua età.
Nessuna traccia di Charlie.
«Lui.. lui dov'è?»

La signora al fianco della mamma sembra sorpresa dal fatto che io conosca il bambino: ma chi è?
Mia madre la indica, ignorando la mia domanda allarmata «Lara, lei è la signora Campbell, la mamma di Charlie »
Mi alzo, stringendole la mano e presentandomi; cerco di fare un sorriso, ma credo mi sia uscita più una smorfia.
La donna si chiama Clare: i capelli biondo scuro e gli occhi azzurri, non come il figlio che di certo ha preso dal padre, non è molto alta ed è visibilmente stanca.
Scopro essere una persona molto dolce e affettuosa, disposta al tutto per tutto per il figlio.

Il carattere è proprio quello di Charlie, eh...

Sorrido, al pensiero.
«Quindi sei la babysitter della bambina per cui 'Lie ha una cotta» commenta teneramente.
Annuisco «Già, Charlie me ne ha parlato, ma Skylynn non sa ancora niente; quindi..» poso l'indice sulle labbra.

La donna ridacchia «Lo so, lo so. Giá me lo immagino il mio piccolo rosso come un pomodoro dall'imbarazzo, se lei dovesse venirlo a sapere»
«Oh ma guardi, Signora Campbell, che Skylynn non è da meno!»

Lei sembra sollevata, mentre mi sorride «Oh, chiamami Clare. E comunque meno male; è una bella fortuna»

Presto arriva un'infermiera con dei moduli e delle carte da far firmare alla mamma di Charlie, così salutando tutti, mi dileguo.

Voglio far visita ad una certa persona...

Sfortunatamente il negozio di fiori del Sensei è chiuso.

Cavoli, ci sarebbe davvero voluto adesso un bel fiore speranzoso. Magari qualcosa come un mazzo di quadrifogli; cosa altamente improbabile.

Faccio per tornare dentro la struttura quando, passando per un vialetto di ciottoli ombreggiato dagli alberi, sento qualcuno chiamarmi.

«Vieni spesso a visitare Charlie»
Non è una domanda, bensì un'affermazione decisa di chi ne sa parecchio.
Mi volto; la voce proveniva da un bambino, probabilmente dell'età di 'Lie o poco più grande.

Giá l'ho visto...

«Come, scusa?» mi avvicino.
«Sei sua sorella?»

Non capisco, ma chi è? Ha un volto familiare...

«No, Charlie non ha fratelli, né sorelle. Lui non ha nessuno, se non Clare»

Conosce Clare?

Lo guardo attentamente, poi ricordo.

È il bambino giapponese, l'amico e compagno di stanza di Lie.

«Sei...?» ma lui giusto m'interrompe.
«Eiji Harada? Sì, sono io.»
«Oh, piacere io mi chiamo...»
Mi interrompe di nuovo «Lara Shane, la babysitter della cotta di Charlie»

Mi sta un tantino innervosendo questo marmocchio. Potrebbe evitare di interrompermi??

«Sì, sono io» annuisco.
«Lo so.» un attimo di silenzio «Charlie.. come sta?» chiede.

Scuoto la testa «Non lo so. Non mi hanno dato sue notizie, solo... i famigliari, dicono. Giustamente»

Il bambino dai capelli neri stringe i pugnetti «No. No che non è giusto. Io VOGLIO sapere» dice, serrando i denti con rabbia.

Sgrano gli occhi, sorpresa.

Questo ragazzino non è di certo come gli altri. Non urla, non grida la sua frustrazione; eppure è talmente arrabbiato che potrebbe spaccare qualsiasi cosa.

«Ehi, calma. Questo non sapere non mi piace neanche a me, ma le cose stanno così e non sono nessuno per cambiarle»
Lui sembra tranquillizzarsi, e torna alla maschera indecifrabile e apatica di poco fa.
«Quindi tu sai che cosa ha Charlie» afferma.
Mi gratto nervosamente la nuca «No, in realtà no»
Mi guarda, uno sguardo incomprensibile «Quindi non ti interessa di lui»
Le mie sopracciglia scattano in alto, allarmate «No! Certo che mi interessa, solo che ho pensato sarebbe stato meglio non chiederglielo direttamente»

Eiji Harada incrocia le braccia, e nonostante la sua notevole bassezza in confronto a me ha un'espressione che pare sovrastarmi «Ma essendo tua madre la sua dottoressa potevi benissimo chiederlo a lei» ribatte, duro.

Ha superato il limite.

«Senti ragazzino, tu sai fin troppe cose. E per quanto riguarda mia madre, non è così semplice; lei non può mica spifferare ai quattro venti le malattie dei suoi pazienti, sai»
Lui non risponde, semplicemente sbuffa.
«Sai cos'ho io?» mi chiede, d'un tratto.
«No»
«Vuoi saperlo?»
«No, grazie»
«Ho il cancro»

Sgrano gli occhi, prima sorpresa, poi arrabbiata.

Chi si crede di essere per comportarsi così?

«Non te l'avevo chiesto»
«Ma io volevo dirtelo»
Restiamo un poco in silenzio, che viene interrotto dal bambino asiatico «Allora? Dove sono le tue condoglianze? Dov'è la tua pietà?»  ribatte. Non è irato, forse solo un po' sorpreso.
«Condoglianze? Pietà? Ma di che stai parlando?»
«Di solito la gente quando viene a sapere cos'ho si scusa sempre, dice "mi dispiace", mi guarda con quello sguardo triste; come se fossi già sottoterra. Tu no » commenta, impassibile.

Certo che è strano questo bambino.

«Beh, è ovvio che non mi faccia piacere che tu stia male, ma non capisco perché dovrei avere pietà di te. Sei qui con me adesso.»
Solo allora il piccolo sorride «Charlie me lo aveva detto»
Mi incuriosisco «Cosa?»
«Che sei diversa, che sei.. speciale»
«Che vuol dire?»
«Che a Charlie piace il tuo carattere, e a me, in fondo, non mi dispiaci»
Fa per andarsene, con un sorriso furbo sulle labbra.
Allungo un braccio, quasi per afferralo «Ehi, ragazzino..!!!!»
Lui si volta «Solo.. Eiji.» mi sorride e corre via.

Strano, ma niente male. Capisco perché a Charlie interessano tanto i suoi racconti. È un personaggio alquanto curioso.

Torno nella stanza del bambino; non so davvero cos'altro fare. Voglio aspettare qui per vederlo, o tanto meno, per avere sue notizie.
Guardo il cellulare: quattro chiamate perse da Nash, diversi messaggi, sempre da lui.

«Scusami..» i sensi di colpa mi attanagliano lo stomaco, eppure cerco di convincermi che ho fatto la cosa giusta.
«Lara, giusto?»

Mi volto: È Clare Campbell.
Le sorrido e mi alzo dalla sedia accanto al lettino di Charlie.
«Salve»
«Tutto a posto? Sembri un po' pallida» mi domanda, premurosa; proprio come farebbe una madre.
Annuisco «Si, sto bene. Lei, a proposito, come sta?»
«Dammi del tu, cara. E grazie per l'interessamento, sto meglio»

Eppure dal suo viso stanco, gli occhi rossi e le occhiaie; non si direbbe.

«Ha.. notizie?» chiedo, non potendo resistere.
La donna fa per rispondermi, con espressione desolata, ma la rassicuro «No, no, scusi. Non avrei dovuto chiederglielo, so che riguarda la famiglia ed io...»
Ma lei sorride «Tranquilla, è a posto così. Charlie... non sta affatto bene, ormai è...» noto che guarda in alto, battendo le palpebre.

Fa come me. Io... mi dispiace così tanto...

«Credo che ormai stia sulla via..» singhiozza «...del non ritorno».
Sgrano gli occhi «Come...?» sussurro.
«Sono anni ormai che lottiamo, che lui lotta. Ma... é evidente, probabilmente tua madre lo sa anche. Ma com'è che si dice: la speranza è l'ultima a morire?!» cerca di sorridere.
Non sta piangendo, ma sta facendo uno sforzo immenso per non farlo, e si vede.
«Apprezzo il fatto che Rosaline ci provi e riprovi, e che ci creda in un successo ma... »

«Non si arrenda»
Sgrano gli occhi.

Chi..?

Mi volto: Nash è sullo stipite della porta, con espressione seria.

Mi rivolge uno sguardo fugace, poi continua a guardare assiduamente Clare «Non è detta l'ultima parola, non ancora. Ora come ora suo figlio ha un immenso bisogno di lei, e lei deve essere l'ultima persona al mondo a dubitare della sua guarigione»

Per quanto possa sembrare un rimprovero invece, quello di Nash, è un vero e proprio incoraggiamento.
«Vede, le cose non vanno quasi mai per il verso giusto; se la vita è ingiusta?» fa una risatina amara «Sì, certamente che lo è. Posso solo immaginare quante volte lei si sia chiesta:"perché proprio mio figlio?". Parecchie. Ma è andata così, e non si può incolpare nessuno. Le cose vanno affrontate, adesso; ora è il momento. È in questo istante che suo figlio è entrato in campo a giocarsi questa sua partita, è adesso che è in qualche stanza a combattere. Ma non è solo, perché ha lei, ha Lara, la dottoressa Clark, Skylynn e probabilmente moltissimi altri.» fa una pausa, Clare è in lacrime. Nash le fa un sorrisino d'incoraggiamento.

«Charlie ha appena cominciato a giocarsi la sua vita; e le posso assicurare che, nonostante io non lo conosca così bene, suo figlio è un guerriero fortissimo. Non dubiti di lui, mai, neanche un istante.»

Sposta lo sguardo su di me. Mi sono commossa, ho gli occhi velati di lacrime. Mi sorride, intenerito.
«Ricordi: l'amore delle persone che abbiamo accanto è l'arma migliore per tutte le nostre battaglie»

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