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Falling apart

Sembra un incubo: le luci e la musica che mi confondono, la gente che mi spintona, Nash che mi urla di andarmene.

«Vattene, cazzo! Non farmelo ripetere» minaccia, gli occhi scuri come le tenebre.
Mi faccio coraggio, alzo il mento «No, non me ne andró finché non verrai con me fuori da questo bordello» ribatto, decisa.

Nash ride, ride di gusto «E sentiamo, perché mai dovrei seguirti?»
«Dobbiamo parlare»

Nash ride ancor di più: È ubriaco fradicio «Parlare? E di cosa di grazia? Non dobbiamo proprio dirci un cavolo» inciampa e per poco non cade.
Lo sostengo ma lui mi spintona «Non. Toccarmi.»

Mi gelo sul posto: la voce era ferrea e decisa, minacciosa. Ritraggo la mano, lentamente.
Ingoio il groppo in gola «Vieni con me, ti prego, Nash»

Sbuffa «"Ti prego, Nash"» mi scimmiotta «Va' un po' dal tuo amichetto, vi divertirete molto insieme, ne sono sicuro.» si avvicina, un palmo dal mio viso. Ma questa volta non è piacevole, affatto; ho paura.

Mi prende una ciocca e vorrei ritrarmi, ma mi trattengo «Chissá che avete fatto di bello la scorsa cenetta»

Scuoto la testa, tirando su col naso «Abbiamo solo parlato» mi giustifico.
Ma lui ride, maligno, tirando la ciocca tanto da farmi male.

Ho le lacrime agli occhi, per il dolore al cuore, altro che quello del cuoio capelluto.

Voglio andarmene da qui, da lui.

«Dimmelo Lara, a me puoi dirle certe cose.» ride «Ti ha scopata?» sussurra malefico al mio orecchio.
Una lacrima mi riga la guancia e ringrazio le luci e il movimento continuo delle persone attorno a noi che fanno in modo che Nash non si accorga del pianto in arrivo.

Mi scanso, ma lui mi afferra un braccio «Cos'è? Hai paura? Vieni qui; vediamo chi è meglio in questo ambito: io, o Dalarious?» ride e mi mette le mani sui fianchi, per poi farle scorrere su ed alzarmi di poco la maglietta.
Sono pietrificata.

Chi è questo mostro? Perché mi fa questo?

Le lacrime scendono senza che io lo voglia, vorrei essere più determinata e decisa; ma sapere che Nash, il mio Nash, ha perso la ragione diventando un maniaco ubriaco...
Singhiozzo ma lui non lo sente.

Mette una mano nella tasca posteriore dei miei jeans .
«Non.. non è successo niente con Kyle.» singhiozzo nuovamente.
Ride, ma tutto d'un tratto si fa pericolosamente serio «Non dire cazzate»
«Abbiamo parlato! Solo questo!»
Nash stringe la mano sul mio braccio, facendomi male «BUGIARDA!» grida.
Mi prende a forza la nuca e scontra le sue labbra sulle mie, in un bacio a stampo al sapor di vodka. Un bacio feroce e non voluto.

Sta premendo tanto forte da farmi male, poi ad un certo punto, mi afferra la pelle vicino al labbro e la morde.
Sgrano gli occhi per il dolore.
In un altro momento avrei amato le sue labbra, ma ora come ora non mi fanno altro che ribrezzo.

Piango.

Ma dopotutto è ubriaco.
Sorride, ghignando malefico, il che mi fa singhiozzare di più «Allora? Chi chiamerai adesso? Il paparino?»

Sgrano gli occhi colmi di lacrime.

Non ci posso credere... no. Non questo.
Chi è questo mostro?

Faccio per allontanarmi, ormai piangendo a dirotto; ma Nash mi blocca «Dove vai, Bella Addormentata?» ride.
Cerco di scansarlo, ma non mi lascia.

Basta.. non ce la faccio. Non dopo questo su mio padre. No, ti prego, basta. Volevi ferirmi, Nash? Ce l'hai fatta. Volevi vedermi a pezzi?Ci sei riuscito. Ci sei... riuscito.

«Lasciami» dico, ma a causa della musica non mi ha sentita.
Si avvicina al mio orecchio, col suo puzzo di alcol «Lasciami» ripeto, ad alta voce.

Ride «Oh, no, no, bambolina» mi mette nuovamente le mani sotto la maglietta, sulla pancia.
«Dammi un voto poi, mi raccomando»

Chiudo gli occhi, non posso farcela.
Sento le mani salire sulle costole, sotto il reggiseno e, fortunatamente, fermarsi lì.

«Vediamo un po'..»
Poi sento un tonfo e la presa di Nash scompare. Apro gli occhi e vedo il ragazzo a terra e Cameron col fiatone e un pugno di fronte a lui.

Cosa..??

«Cam...» piango.
Lui mi guarda, protettivo, per poi lanciare un'occhiata gelida all'amico.
«Andiamo» mi prende per mano e mi trascina fuori dalla folla.

Sto quasi per chiedergli di Nash, se lo lasceremo lì. Ma se Cameron non lo ha preso dal principio vorrà dire che lasciarlo lì a riflettere e farsi passare la sbornia è la cosa migliore.
Mi fa salire in macchina e parte verso casa mia.

Perché...?

Non so neanche esattamente "perché" cosa. In generale, forse. Magari perché si è comportato così. Perché si è ubriacato. Perché voleva tanto ferirmi.

Non lo so. Non so niente.

Cameron spezza il silenzio, è teso per la rabbia «Ti ha... fatto qualcosa?»

Mi ha spezzato il cuore.

Scuoto la testa «Niente di che»
Il moro mi guarda poco convinto «Lara...»
«Tranquillo, nulla di che» ribatto, atona.

Si passa una mano fra i capelli «Non si ubriaca così da parecchio. Non ragiona, ovviamente. Dice la prima cosa che gli passa per la testa. L'avrai visto anche tu; è completamente un'altra persona»

Già..

Annuisco «Lo so»
«Ti ha detto qualcosa di brutto, vero?»

Perché negare?

Annuisco e vedo il moro irrigidirsi.
«Tipo?» chiede.
Abbasso lo sguardo.
«Se non te la senti..»
«Mi ha praticamente dato della puttana. Ha citato mio padre.»

Cameron si volta verso di me «Quel bastardo ubriacone...»
Sorrido tristemente «Tutto a posto, davvero»

Il moro parcheggia giusto davanti casa mia e, spegnendo il motore, mi carezza una guancia «Credo di avertelo già detto che non sei brava a mentire»

Faccio un sorrisino tirato.
Cameron sorride dolce «Mi dispiace»
«E di che?»

«Beh, sembrava la cosa migliore da dire ad una bella ragazza ferita»

Ridacchio, veramente.
«Grazie, di tutto» sorrido, sbilenca.

Cameron mi fa un occhiolino «Non so se vuoi perdonarlo o meno. Ma almeno.. ascoltalo. Prenditi il tuo tempo ma, non è una cattiva persona, ascoltalo. Un consiglio»

Annuisco, e scendo dall'auto, entrando in casa.

È presto e la mamma è ancora sveglia.
Mi guarda meravigliata «Lara, cosa è successo? Ti senti male? Sei tornata prima da scuola»
Scuoto la testa «Sì, ho un forte mal di testa» mento.
Lei mi accompagna in camera, comprensiva, lasciandomi una pillola di nurofen sul comodino con un bicchiere d'acqua.
Mi carezza la fronte e chiudo gli occhi «Riposa, okay?»

Sentire la dolcezza del suo tocco e della sua voce mi fa salire le lacrime agli occhi per la malinconia, ma mi trattengo.
«Certamente. 'notte, mamma. Ti voglio bene»
Mi lascia un bacio sulla fronte «Ti voglio bene anch'io. Buonanotte, tesoro»

Non appena chiude la porta, lasciandomi sola, lascio fuggire un singhiozzo e il pianto esce liberatorio e incontrollabile.
Mi giro su un fianco, coprendomi con la coperta fino alla testa e bagnando il cuscino di lacrime salate.

Questo era il prezzo da pagare? Il rischio vale sempre dolore? Che patto meschino con la vita è questo, eh...

Ricordo solo che ad un certo punto ho finito le lacrime e, sconsolata, mi sono addormentata.

Finire le lacrime è la cosa peggiore in assoluto della tristezza: si ha voglia di sfogarsi, ma non ci si riesce. Si rimane un involucro vuoto, senza forze, deboli. Vorresti piangere tutto il tuo dolore, la tua frustrazione... ma non hai lacrime: e così resti a fissare il vuoto di fronte a te.
Con un buco nel petto; incolmabile.

Il mattino dopo è peggio; consapevole di dovermi dare una sistemata e andare da Skylynn, dunque rivedere anche Nash.

Non ne ho voglia.

Accendo il cellulare: messaggi da Kyle, Clayton, Jessie e Cameron.
Non ho voglia di socialità, quindi passo direttamente a quelli del moro.

Cameron: 'giorno, piccola. Come va oggi?
Cameron: Non preoccuparti per Nash, ieri l'ho ripreso al pub e ora è a casa mia. Va' tranquilla dal mostriciattolo.

Cameron... sei il mio angelo custode.. grazie mille.

Me: Servirebbe dirti:"sto una favola" ? O non ci crederesti? Comunque grazie ancora, non credo di essere pronta per vederlo.
Cameron: Appena si sveglia gli dico di starti alla larga per un po'. Sarai tu a farti viva, ok?
Me: grazie
Cameron: Di nulla, stammi bene.

Sospiro e vado a prendere la pulce, per poi andare assieme all'ospedale per trovare Charlie.
Vedendo in lontananza il negozio di fiori dell'ultima volta, sorrido e carezzo la testolina della pulce «Va avanti e chiedi di mia mamma: la dottoressa Clark. Okay?»
La biondina annuisce e corre all'interno della struttura.

«Salve, c'è nessuno?» chiedo appena nel negozio.

Non è cambiato nulla.

«È tornata, vedo» commenta una voce acuta, ma non sgradevole.

Mi volto, sorridendo «Già»
Il vecchietto asiatico alza gli occhi al cielo, nonostante non sembri affatto dispiaciuto dalla mia presenza.

«Allora, è nuovamente in cerca di bei fiori senza saperne il significato?» chiede retorico.
Ridacchio, ma scuoto la testa «In realtà questa volta i miei piani sarebbero diversi. Può consigliarmi lei?»

Il vecchietto pota qualche foglia scarmigliata da un bonsai «Sempre per la stessa persona?» domanda e annuisco.
«Ma non gli stessi fiori, giustamente» dice, fra sé e sé. Annuisco, anche se, di spalle come si trova ora non può vedermi.

Il vecchietto continua imperterrito a potare il bonsai, come se non mi considerasse più nel suo negozio.
Sono quasi intenzionata a tossicchiare per farmi notare, ma d'un tratto l'ometto schiocca le dita, sussurrando qualcosa.

Così, senza rivolgermi una parola, prende e va nel retro, lasciandomi lì in mezzo a quel paradiso terrestre di colori e profumi di ogni tipo e varietà.

«Agrifoglio»
Mi giro, e per poco non sbatto contro il vaso che l'ometto mi ha messo sotto al naso.
«A-agrifoglio? La pianta.. natalizia?» chiedo, titubante.

Lui sembra sorpreso che io l'abbia riconosciuta, ma subito il suo volto torna imperturbabile come al solito. Fa un cenno col capo «Esattamente, ma il suo significato non riguarda solo la festività. C'è molto altro»

Afferro il vaso «E cos'altro?» chiedo, incuriosita.
Ho sempre amato la botanica, le piante e i fiori soprattutto; dunque conoscere una persona stramba ma acculturata come quel vecchietto asiatico è il massimo.

Da una prima espressione scioccata, l'ometto mi guarda seriamente «Ti interessa?»

Sorrido «Certamente»
«Fin dall'antichità si sono create svariate leggende, riguardanti l'Agrifoglio; soprattutto grazie al suo aspetto ad un primo sguardo sfuggente. È quasi un controsenso; eppure rappresenta Eternità, Aggressività e Portafortuna.» fa una pausa d'effetto, sto letteralmente pendendo dalle sue labbra.

«L'Agrifoglio rientra nei Sempreverdi, e proprio per questo motivo Eternità. Inoltre avendo foglie pungenti e spigolose rappresenta in tutto e per tutto l'aggressività e la combattività. Il senso di "mai arrendersi". Si riteneva fosse tanto aggressivo da combattere gli essere maligni, e dunque è anche un portafortuna, per un buon auspicio » conclude.

«Oh. Lei.. conosce davvero tante cose» commento.
L'ometto sbuffa anche se, sotto sotto, non gli spiace affatto il mio complimento.
«Le piante sono come le persone. Ce ne sono si moltissimi tipi, non tutte sono belle, non tutte sono buone alla salute, ma bisogna imparare a conoscerle. Una, ad una.»

Lascio i soldi sul bancone.
Faccio per uscire dal negozio, quando mi blocco «Senta.. potrei tornare ad imparare qualche pianta e caratteristiche?» chiedo.
L'ometto alza un sopracciglio «Perchè tanta curiosità?»

Sorrido «Perchè le piante sono come le persone; bisogna imparare a conoscerle, una ad una. Giusto?»
Lui sembra sconcertato, ma poi annuisce.

Sto per ri-uscire di nuovo, quando mi riblocco «Senta, come posso chiamarla? Io sono Lara; ma.. lei?»
Lui sembra pensarci «Verrai davvero qui ad imparare?»

Annuisco, convinta.
L'ometto alza il mento, in segno di sfida «Allora puoi chiamarmi Sensei»

Sorrido «Sensei... "Maestro" in giapponese, giusto?»
Annuisce.
Prendo il vaso e sventolo la mano «Dunque arrivederci; Sensei!»

E per la prima volta, le labbra del vecchietto si aprirono in un largo sorriso.

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