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MY LOCKER'S NEXT TO YOURS

Indovinate un po'?

Come al solito i primi giorni dell'anno al McKinley per le Nuove Direzioni non erano stati il massimo.

Anzi!

L'essere arrivati dodicesimi alle Nazionali di New York ci aveva resi ancora più sfigati di quanto già non fossimo agli occhi degli altri studenti. Per loro eravamo dei perdenti, e nemmeno l'essersi qualificati per le Nazionali era servito a fargli cambiare idea. Per di più, come tutti gli anni, avevamo bisogno di membri: Lauren Zizes aveva deciso di lasciare il Glee Club perché non voleva essere ritenuta una sfigata, Sam aveva dovuto lasciare la città perché suo padre era stato trasferito per lavoro, e Quinn, beh, Quinn era semplicemente sparita. Nessuno sapeva che fine avesse fatto, nemmeno io. A metà estate aveva smesso di scrivermi, chiamarmi e chiedermi di uscire, non rispondeva più ai miei messaggi, alle mie chiamate e quando suonavo al suo campanello mi apriva sempre sua madre e mi diceva che Quinn non era in casa.

Come era possibile che fosse in giro a tutte le ore del giorno?!

Cosa aveva da fare 24 ore su 24?!

Ormai ero quasi rassegnata, anche se dentro di me la speranza di vederla per i corridoi del McKinley un po' mi confortava. Magari sarei riuscita a parlarle e a capire cosa le fosse successo.

Quindi, tornando alle Nuove Direzioni, avevamo bisogno di membri, e quale miglior modo se non mettere dei pianoforti viola in giro per la scuola, dandoci il compito di suonarli tutte le volte che ne vedevamo uno per attirare studenti?

Eh già, quello era il compito della settimana assegnatoci dal professor Schuester.

«Grazie ad Al Motta abbiamo recuperato dei pianoforti da case confiscate, sono degli scarti come tutti noi. Li ho fatti sistemare e dipingere di viola per dare via al progetto dei "Pianoforti Viola"!» ci spiegò il professore al nostro primo giorno di lezione «Per molti di voi questo sarà l'ultimo anno, rendiamolo speciale» aggiunse con una punta di tristezza nella voce.

Eh sì, quell'anno era l'ultimo anno di liceo per metà dei ragazzi del Glee Club, saremmo rimasti in pochi l'anno dopo, e se dovevamo avere un momento di gloria, quello era l'anno giusto.

«Ma, professore, il viola non porta sfortuna nello spettacolo?» chiesi io al professor Schuester, arricciando il naso poco convinta.

Non sono superstiziosa, ma eravamo già abbastanza sfigati, non potevamo permetterci di attirare anche la sfiga.

«Non possiamo essere più sfortunati di così» mi assicurò Tina divertita.

Risi anche io, ma in pochi giorni la mia idea non si rivelò affatto sbagliata. I pianoforti infatti non fecero una bella fine: il primo venne distrutto dalla coach Sylvester mentre Mike e Tina lo suonavano in corridoio, il secondo venne inondato di cibo e il terzo prese fuoco.

Ma andiamo con ordine.

Del primo ho già detto tutto quello che c'era da dire, del secondo invece no. Il professor Schuester lo aveva messo in mensa, dove eravamo seduti il nostro secondo giorno di scuola.

«Perché ignorate il compito del professor Schuester?» ci chiese Rachel con la sua solita saccenza e aria di rimprovero.

«Perché? C'è un pianoforte viola?» chiese Finn evidentemente ironico.

«Non ce ne eravamo accorti!» esclamò Mercedes con lo stesso tono.

Rachel sbuffò.

«Ragazzi, dobbiamo fare il numero» disse poi rimproverandoci.

«Sì, ma dobbiamo anche sopravvivere» la corresse Artie «Non è giusto che il pianoforte sia stato messo qui. Siamo troppo esposti!» aggiunse scuotendo la testa.

Io ero pienamente d'accordo con lui.

«Dopo quello che è successo al pianoforte che suonavano Mike e Tina, messo all'angolo di un corridoio poco frequentato, non immagino cosa possa succedere a questo così visibile a tutti» dissi infatti spaventata.

«Non immagino cosa possa succedere a noi!» mi diede man forte Puck con gli occhi spalancati.

Protestammo ancora per un po', ma poi ci facemmo convincere da Finn e Rachel, che, da veri leader, volevano a tutti i costi trovare nuovi membri per il Glee Club. Così ci alzammo e iniziammo a cantare "We Got The Beat" dei Go-Go, ballando sui tavoli e cercando di attirare l'attenzione degli altri studenti.

Non fu un grande successo, infatti finita la canzone iniziarono tutti a lanciarci il cibo che avevano nei vassoi, e in poco tempo sia noi che il pianoforte eravamo pieni di cibo in ogni dove.

Ho solo due parole per descrivere quel momento: che schifo!

«Mi lamentavo delle granite, ma il sugo negli occhi è decisamente peggio!» disse Artie con rabbia poco dopo, mentre in aula canto cercavamo di ripulirci da tutto il cibo ricevuto.

Non potevo dargli torto.

«Almeno la granita scivola via dai capelli con un po' di acqua. Tirerò fuori spaghetti da qui per il resto dei miei giorni» dissi io a Rachel, vedendola annuire con disgusto.

Ho i capelli ricci, ed è difficile far uscire qualsiasi cosa vi si incastri dentro, soprattutto resti di cibo.

«Se sta cercando di demolirci per ricostruirci, professore, ci sta riuscendo» disse Mike, pulendosi con un tovagliolo.

Io lo guardai annuendo, poi mi accorsi di un pezzo di insalata sul suo orecchio e glielo tolsi per buttarlo nel cestino della spazzatura.

«Io l'avevo detto che il viola porta sfortuna!» feci notare poi con aria ovvia, mentre toglieva l'ennesimo spaghetto dai miei capelli e lo buttavo nel cestino guardandolo con schifo, e vedendo Mike fare la stessa espressione seguendo i miei movimenti.

«La nostra performance in mensa non ha ispirato neanche un cane!» si lamentò Mercedes, guardando il professore con cattiveria.

Proprio in quel momento una voce sulla porta ci fece voltare verso l'entrata della sala, tutti con le sopracciglia alzate per lo stupore.

«Io so perché il vostro piano non ha funzionato!» disse una voce acuta.

Sulla porta c'era una ragazza vestita di rosa, con una borsetta bianca, il cerchietto e un'espressione un po' assente.

«Avete fatto schifo!» aggiunse alzando le spalle con innocenza e con aria ovvia.

Noi la guardammo sconvolti.

Ma come osava?!

Nemmeno io e Santana saremmo state così cattive, il che è tutto dire.

«Scusa, e tu sei?» le chiese Rachel indignata.

In effetti, chi si credeva di essere quella ragazza per dirci che avevamo fatto schifo nella nostra performance in mensa?!

«Sugar Motta, mi sono autodiagnosticata la sindrome di Asperger per poter dire ciò che mi pare, tipico dei figli dei diplomatici ricchi» ci spiegò lei con una leggera punta di saccenza, ma comunque mantenendo un'aria un po' assente.

Si era definita figlia di un diplomatico perché era la figlia del famoso Al Motta che ci aveva recapitato i pianoforti.

«Posso esserti di aiuto?» le chiese il professor Schuester, quasi sconvolto quanto noi per come si era presentata Sugar.

«Il fatto è che io sono pazzesca!» iniziò a dire Sugar «E diventerò una star un giorno. Quando vi ho visti cantare e ballare a mensa ho pensato di essere molto più brava di voi» aggiunse annuendo convinta.

Noi spalancammo ancora di più occhi e bocca se possibile.

Ma chi si credeva di essere?!

Neanche Rachel avrebbe mai osato dire una cosa così e tirarsela così tanto, e anche questo era tutto dire.

«Beh, visto, ragazzi? Avete ispirato un candidato!» esclamò il professor Schuester con entusiasmo.

Noi lo guardammo con dei sorrisi titubanti, e poi lui cedette il centro della sala a Sugar per permetterle di farci vedere cosa sapeva fare.

Non lo avesse mai fatto!

Sugar iniziò a cantare, se così si può chiamare quello che fece, perché era davvero terribile, e le nostre espressioni dicevano tutto. Eravamo più sconvolti di quando ci aveva detto che avevamo fatto schifo.

«Mi stanno sanguinando le orecchie» disse Artie con disgusto.

E non potevo dargli torto.

Sugar era davvero davvero pessima!

«Ti faremo sapere, Sugar» le disse Rachel alla fine della sua esibizione (se così si può chiamare), fingendo un sorriso e prendendo la parola, visto che il professore sembrava evidentemente sconcertato e non intenzionato a parlare.

Sembrava che avessimo trovato un membro per il Glee Club, e invece si era rivelato solo un buco nell'acqua. Un terribile buco nell'acqua.

«Credo di poter dire da parte di tutti: neanche per idea!» esclamò Rachel, mentre Mercedes scuoteva il capo indignata.

Il professor Schuester sospirò, poi si voltò a guardarci dispiaciuto.

«Ragazzi, è ovvio che Sugar sia un po' acerba, ma conoscete la nostra politica: chiunque faccia il provino, accede» ci disse poi convinto.

Noi lo guardammo straniti.

«Chiunque faccia un buon provino, professore!» lo corressi io «Non possiamo permetterci di prenderla nel gruppo!» aggiunsi scuotendo la testa.

«Abbiamo bisogno di membri, lo sappiamo, ma non possiamo rovinarci pur di raggiungere il numero adatto di concorrenti per le Provinciali» mi diede man forte Mercedes.

Il professore sembrava davvero dispiaciuto, ma noi eravamo risoluti, e gli toccò rifiutare Sugar, che la prese abbastanza bene, a parte per il fatto che diede del perdente anche al professor Schuester. Ma a noi non importava, non potevamo davvero permetterci di averla in squadra, avrebbe rovinato l'equilibrio tra di noi, e arrogante com'era, ero convinta che avrebbe fatto capricci per avere tutti gli assoli, mettendoci così in difficoltà.

Avevamo bisogno di membri forti, che sapessero ballare e cantare divinamente, e con una grande presenza scenica, un po' come il ragazzo che si presentò il giorno dopo al McKinley.

~~~

Ho già accennato che il terzo pianoforte viola prese fuoco, ma non ho raccontato come, e per farlo bisogna partire dal principio.

Quel giorno ero all'armadietto con Artie, stavamo parlando del più e del meno, non ricordo neanche bene l'argomento, quando una sua frase mi fece aggrottare le sopracciglia.

«Ma quello non è il tuo migliore amico Usignolo?» mi chiese guardando alle mie spalle.

«Blaine?» chiesi io senza nemmeno voltarmi e con tono scettico «Non credo proprio possa essere qui. Dovrebbe essere alla Dalton in questo momento, e lui non salta mai un giorno di scuola» dissi divertita e scuotendo la testa.

Ma Artie sembrava risoluto, e continuò a guardare alle mie spalle. Allora decisi di girarmi anche io per capire che cosa gli facesse credere che Blaine fosse lì al McKinley, e individuai subito il ragazzo che stava fissando Artie: portava un paio di pantaloni rossi decisamente attillati, una polo nera e un farfallino a righe bianche, rosse, grigie e nere. Nulla di anomalo...

Ah no, un attimo... un farfallino?

Quale ragazzo di 17 anni indosserebbe un farfallino?

Blaine!

«Blainey?! Cosa ci fai qui?!» gli chiesi avvicinandomi con gli occhi spalancati.

Lui mi stava guardando con un braccio appoggiato a un armadietto e un sorriso ammiccante.

Quanto era bello!

«Perché non sei alla Dalton?! E perché non indossi il tuo blazer?! Non dovresti essere a scuola?!...» iniziai a chiedergli senza sosta e senza respirare.

«Shug... Shug!» esclamò lui prendendomi per le spalle per fermarmi «Posso rispondere almeno a una di queste domande?» mi chiese poi con aria divertita.

Io feci una mezza risatina e annuii.

«Prima però vorrei che mi portassi al tuo armadietto» mi disse Blaine, riprendendo la posizione di prima e rifacendo quel sorrisetto ammiccante che mi faceva impazzire.

«Perché dovrei portarti al mio armadietto?» gli chiesi confusa.

Non poteva rispondermi alle domande lì?

Cosa cambiava al mio armadietto?

Blaine sospirò e mi guardò con aria complice.

«Perché vorrei conoscere la strada per arrivarci, considerando che il mio armadietto è accanto al tuo» mi spiegò alzando le spalle con noncuranza.

Ci misi un po' a realizzare, ma poi lo feci e spalancai occhi e bocca quasi senza fiato.

«Il tuo armadietto è accanto al mio?!» gli chiesi incredula «Ma... Ma questo vuol dire che...» iniziai a dire poi, quando lo vidi annuire.

«Sì, vuol dire che sono ufficialmente uno studente del McKinley» disse con aria fiera.

Io rimasi di nuovo senza fiato, poi feci un urletto eccitato e saltai al collo del mio migliore amico. Sentii le sue braccia stringersi intorno alla mia vita e sollevarmi da terra per qualche secondo.

«Ma come... insomma... come...» iniziai a dire quando mi mise giù, ma non avevo parole per esprimermi, ero troppo contenta e sorpresa.

Blaine capì al volo cosa gli stavo chiedendo e mi rispose ugualmente.

«È dall'inizio dell'anno che Kurt mi chiede di trasferirmi, e alla fine mi sono convinto. È stato difficile lasciare la Dalton, ma l'idea di vedere te e Kurt tutti i giorni nello stesso momento mi ha fatto troppa gola» mi spiegò con un sorriso.

Sorrisi anche io.

Blaine al McKinley?!

Un sogno!

«Oh, Blainey, sono così felice!» esclamai abbracciandolo di nuovo, perché non riuscivo a esprimere la mia felicità in altro modo.

Sentii di nuovo le sue braccia stringersi intorno a me, e mi ritrovai con il viso affondato nell'incavo del suo collo. Le mie narici si riempirono del suo buonissimo profumo, e vi assicuro che sarei rimasta così per sempre.

«Che ne dici? Mi porti al mio armadietto?» mi sussurrò Blaine nell'orecchio, facendomi venire i brividi.

«Devo proprio? Non possiamo stare così per sempre?«gli chiesi io con voce lamentosa da bambina.

Sentii Blaine fare una risatina.

«Mi piacerebbe molto, ma ho paura che non sia possibile» mi rispose poi divertito.

Io sospirai, poi mi staccai di malavoglia da Blaine e prendendolo per mano lo condussi al mio armadietto, anzi, ai nostri armadietti.

«Eccolo qui!» esclamai, mostrandogli il suo con un gesto teatrale.

«Non vedo l'ora di tappezzarlo di nostre foto, come quella che abbiamo fatto il giorno che siamo andati a vedere Harry Potter!» mi disse lui aprendo l'armadietto con un sorriso.

«Parli di questa?» gli chiesi io, aprendo il mio armadietto e indicandogli la foto di cui stava parlando, accanto a quella del ballo con Nick e quella del mio primo ballo con Blaine.

Più sotto c'erano un paio di foto con Quinn e anche una con Mike.

Poteva non essere più il mio ragazzo, ma lo era stato, era ancora mio amico e la foto che avevo appesa nell'armadietto era davvero bella.

«Sei pazzesca!» mi sussurrò Blaine lasciandomi poi un bacio rumoroso sulla guancia.

Io gli feci un sorriso a trentadue denti.

«Ho appena visto Kurt, vado a dargli la notizia» mi disse poi Blaine, guardando un punto alle mie spalle «Ti voglio tra cinque minuti in cortile, non fare tardi!» mi ordinò, iniziando ad allontanarsi.

Quando mi diede le spalle, prima che potessi controllarmi, i miei occhi caddero sul suo fondoschiena, messo ben in evidenza dai pantaloni rossi che indossava.

"Wow! Che fondoschiena!" pensai tra me e me.

Comunque, tornando alle cose serie (fidatevi, il sedere di Blaine è una cosa molto molto seria), cinque minuti dopo ero in cortile come mi aveva chiesto il mio migliore amico, e appena presi posto accanto a Santana partì "It's Not Unusual" di Tom Jones e Blaine apparve con Kurt in cima alla scalinata con addosso gli occhiali da sole gialli che gli avevo visto poco prima appesi ai pantaloni. Iniziò a cantare la canzone, e alcune cheerleader iniziarono a ballare con lui. In pochi secondi Santana mi aveva guardata con aria complice, presa per mano e trascinata accanto al mio migliore amico per ballare insieme.

Potevo oppormi?

Ovvio che no!

Così ballammo insieme a Blaine per tutto il pezzo, e mi divertii un mondo. Sarebbe stato tutto perfetto se alla fine della canzone le cheerleader non avessero cosparso il pianoforte di liquido infiammabile, e se una ragazza non ci avesse lanciato sopra il mozzicone della sua sigaretta facendogli prendere fuoco. In un attimo il pianoforte era in fiamme, e tutta la gioia che aveva portato Blaine svanì all'istante.

Voltandomi verso la ragazza che aveva lanciato il mozzicone di sigaretta mi resi conto che la conoscevo: era Quinn, ma non sembrava più lei. I suoi bellissimi capelli biondi erano di un rosa strano e legati in una pettinatura insolita per lei, i suoi bellissimi occhi verdi da cerbiatto, di solito accentuati solo da un po' di mascara, erano contornati da una spessa linea di eye-liner, e indossava dei pantaloni neri stracciati e una canottiera dello stesso colore. Mi mancò quasi il fiato.

Non poteva essere Quinn!

Non la Quinn che conoscevo io!

Che cosa le era successo?

Perché si era trasformata così?

Dovevo parlarle.

«Quinn» la chiamai allora, correndole dietro «Quinn, aspetta» dissi ancora, capendo che non aveva intenzione di fermarsi «Vorrei... Vorrei parlarti» aggiunsi, sperando che finalmente mi ascoltasse.

Lei si bloccò, e voltò leggermente la testa continuando a darmi le spalle.

«Qualsiasi cosa tu debba dirmi fai in fretta, ho da fare» mi disse poi con una voce più profonda di quella che aveva di solito.

Era davvero cambiata.

Io presi un bel respiro e poi parlai.

«Che cosa ti è successo, Quinn? Perché hai smesso di scrivermi? Di rispondermi al telefono? Ho fatto qualcosa?» le chiesi, sentendo il magone attanagliarmi la gola.

Lei si girò verso di me. Non potevo vedere i suoi occhi perché li aveva coperti con degli occhiali da sole, ma ero sicura che se li avessi visti mi sarei accorta che era la Quinn di sempre, la mia migliore amica.

«Non mi è successo nulla, ho semplicemente trovato finalmente la vera me» mi rispose lei.

Io la guardai confusa.

«Questa non sei tu, Quinn» dissi scuotendo il capo.

«E tu come fai a sapere come sono?» mi chiese Quinn quasi con cattiveria.

Ero ferita da quella domanda.

Che cosa intendeva?

Sapeva che le volevo bene, avevamo passato l'ultimo anno e mezzo della nostra vita a stretto contatto, e avevo imparato a conoscerla e ad amarla. Sapevo come era fatta, e sapevo che quella ragazza che avevo di fronte, con i capelli colorati e i vestiti dark, non era la Quinn di cui ero diventata la migliore amica. Non era la Quinn che mi aveva aiutata quel mio primo giorno di scuola al McKinley e che mi aveva stravolto la vita con il suo sorriso e le sue scelte, a volte sbagliate certo, ma molto spesso giuste, e che ci avevano reso persone diverse, ma sempre insieme.

«Quinn, sono la tua migliore amica» le risposi con aria ovvia.

Lei fece una risatina sarcastica.

«Nessuno ti ha mai dato questo titolo» mi disse poi, lasciandomi senza parole.

Come scusa?!

«Non credevo ci fosse bisogno di un'autorizzazione per esserlo» le dissi iniziando a scaldarmi.

La mia tristezza si stava trasformando in rabbia.

«Credevo che condividere ogni momento di ogni giorno per un anno e mezzo fosse abbastanza. Credevo che starci vicine anche quando abbiamo preso decisioni sbagliate fosse abbastanza» aggiunsi alzando leggermente la voce.

Lei fece un'altra risatina, poi mi diede le spalle e iniziò ad allontanarsi.

«Dove vai?» le chiesi bruscamente.

«Via, sono stanca di questa conversazione» mi disse senza voltarsi.

«Quinn, rispondimi almeno a quest'ultima domanda» le dissi io per fermarla «Ho fatto qualcosa per farti allontanare?» le chiesi quando smise di camminare.

Lei si voltò di nuovo a guardarmi, e finalmente si tolse gli occhiali da sole.

Sì, era la Quinn di sempre.

«No, ed è questo il problema. Non hai fatto nulla» mi rispose poi.

Io la guardai con le sopracciglia aggrottate.

«La nostra amicizia è troppo perfetta! Non abbiamo mai litigato, mai avuto una discussione. Sei troppo perfetta!» mi spiegò allora «Nessuna di quelle che chiamo amiche è così, con nessuna di quelle che chiamo amiche ho mai avuto un rapporto così» aggiunse scuotendo la testa.

«E questo non può voler dire che magari c'è qualcosa di speciale tra di noi? Che magari quelle che chiami amiche non lo sono veramente?» le feci notare io, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime.

Non potevo credere alle mie orecchie!

Non potevo credere che stesse mandando all'aria tutto quello che avevamo costruito perché era tutto troppo perfetto!

Ma che razza di scusa era?!

Guardando Quinn negli occhi la vidi titubante, e mi accorsi che quello che mi aveva detto non era quello che pensava veramente.

Ma perché mi stava mentendo?

Perché non dirmi la verità?

Sapeva che le sarei stata vicina, qualunque cosa le stesse succedendo.

«Non lo so, Roxie, non credo» si limitò a dire Quinn dopo qualche secondo di pausa.

Poi si rimise gli occhiali da sole, nascondendo di nuovo i suoi bellissimi occhi, e mi diede le spalle.

«Sarai sempre la mia migliore amica» le dissi cercando di trattenere le lacrime.

Lei si bloccò, e vidi le sue spalle irrigidirsi. Anche se non potevo vederla in faccia, sapevo che quelle parole l'avevano toccata, e che forse ancora uno spiraglio di speranza di riavere indietro la vecchia e fantastica Quinn c'era.

~~~

«Questa è più bella!» dissi a Blaine il giorno dopo, mentre lo aiutavo ad appendere le foto nel suo armadietto, indicandogli una foto con Kurt in cui erano entrambi bellissimi.

Sì, io e Kurt in quel momento eravamo rivali, ma era stato mio amico, ed ero sicura che lo sarebbe stato ancora, e sicuramente non potevo mostrare la mia ostilità verso di lui davanti al mio migliore amico.

E poi, se una foto era bella era bella!

«Beh, se ti piace allora la appendo» mi disse Blaine alzando le spalle e facendomi un sorriso tenero.

Gli sorrisi anche io.

«A proposito, ti ho portato una foto da aggiungere nel tuo armadietto» mi disse, tirando fuori una fotografia dalla sua borsa.

Era una foto di me, lui e Quinn, che ci eravamo fatti al nostro primo pigiama party insieme.

Era bellissima!

Ma guardandola mi venne solo malinconia.

«Non ti parla ancora vero?» mi chiese Blaine con voce triste.

Io alzai gli occhi su di lui e vidi che aveva il naso arricciato in un'espressione dispiaciuta. Mi limitai a scuotere il capo, cercando di trattenere le lacrime con scarsi successi. Infatti ne sentii una scivolare lungo la mia guancia sinistra, che Blaine prontamente asciugò con il pollice.

«Non piangere, Shug, tornerete ad avere quello che avevate» mi disse poi per consolarmi.

Proprio in quel momento due cheerleader si avvicinarono e si fermarono proprio davanti a noi. Erano Santana e Brittany.

«Ciao, Roxie! Ciao, gemello di Roxie!» ci disse Brittany salutandoci con la mano.

Io, Blaine e Santana la guardammo straniti.

Gemello di Roxie?!

Aveva appena chiamato Blaine "gemello di Roxie"?!

«Noi non... Noi non siamo gemelli» le disse Blaine guardandola con le sopracciglia aggrottate.

«Ma dai! Non pensare di darmela a bere!» esclamò Brittany ridendo.

Blaine stava per ribattere, ma io lo fermai prendendogli la mano e facendo no con la testa.

Non ne valeva la pena.

«Volevate dirci qualcosa?» chiesi poi a Santana, curiosa di sapere perché fossero lì.

«Veramente volevo parlare solo con te» mi disse Santana guardando male Blaine.

«Puoi parlare di quello che ti pare davanti a lui, gli dico tutto» le assicurai io alzando le spalle con noncuranza.

«È il suo gemello, Santana, non hanno neanche bisogno di parlare per trasmettersi le informazioni» disse Brittany con aria ovvia.

Noi la guardammo ancora spaesati, poi decidemmo di lasciar perdere.

«Ok, volevo chiederti se hai parlato con Quinn» mi disse allora Santana, dicendomi finalmente il motivo per cui si erano avvicinate.

Di nuovo Quinn, mi toccava cercare di trattenere le lacrime di nuovo.

Eh sì, questa volta le avrei dovute trattenere davvero, perché non ero più da sola con Blaine.

Annuii in risposta a Santana e poi presi un respiro per continuare con la mia risposta.

«Sì, ma non è durata molto la conversazione, non sembra volermi parlare» le dissi infatti abbassando gli occhi tristemente.

In quell'istante sentii una mano di Blaine scivolare nella mia, e poi si sporse per lasciarmi un bacio di consolazione sulla tempia.

«Guarda, Santana, si stanno trasmettendo le informazioni senza parlare» sussurrò Brittany nell'orecchio della sua amica, guardandoci con aria mistica.

«Siete disgustosi!» disse invece Santana guardandoci male «Ma poi, tu non stai con Lady Hummel?» chiese a Blaine.

Il mio migliore amico stava per rispondere, ma venne interrotto da un'altra frase di Brittany.

«La Lady Hummel di cui parla è Kurt, lo sai, Roxie?» mi chiese, coprendosi la bocca con una mano per non farsi sentire da Blaine «Credo che il tuo gemello sia gay» aggiunse a bassa voce.

Decisi di ignorarla di nuovo, come sempre d'altronde.

«Voi siete riuscite a parlarle?» chiesi allora a Santana, tornando all'argomento "Quinn".

«Sì, per chiederle di tornare nei Cheerios con noi, ma ha detto che non si sentiva a suo agio né nei Cheerios né nel Glee Club, e che ora ha cambiato vita e sta bene così» mi rispose Santana incrociando le braccia al petto.

Se neanche i Cheerios le avevano fatto cambiare idea, allora non c'era davvero più nulla da fare.

«Però stavamo pensando che potresti tornare tu nei Cheerios» mi propose poi Santana «So che non è il tuo ultimo anno, ma sarebbe bello essere di nuovo cheerleader insieme» aggiunse facendo un sorriso che azzarderei definire gentile.

Un sorriso gentile, Santana, a me?

Wow!

«Sai, essere cheerleader ti concede la possibilità di andare a letto con chi vuoi» aggiunse con aria ammiccante.

Io la guardai arricciando il naso.

«Non credo che la coach Sylvester mi riammetterebbe, e poi non ho bisogno di nessuno ora, sono felice con le persone che ho» le risposi puntando gli occhi su Blaine con un sorriso.

Sentii la sua mano stringere di più la mia con gratitudine.

Santana mi guardò scettica.

«Non dirmi che stai parlando del tuo ragazzo Usignolo e del tuo bff-gay dai capelli disgustosi?» mi disse poi guardandomi con il naso arricciato.

Io confermai la sua idea, e lei si allontanò con Brittany, dopo avermi detto «Pensavo che fossi diversa dalle altre ragazze del Glee Club» con aria di superiorità.

«Cosa c'è che non va con i miei capelli?» mi chiese Blaine passandosi una mano in testa, una volta lontane Santana e Brittany.

«Oh, lo sai che non sono la persona giusta a cui chiederlo» gli risposi io guardandolo divertita.

Poi lo presi per mano e lo portai in aula canto, dove il professor Schuester lo presentò come nuovo membro del Glee Club.

«Sono davvero emozionato di essere qui, e sono sicuro che sarà un anno fantastico. Arriveremo alle Nazionali!» disse Blaine con entusiasmo, facendo esultare tutti.

«Vorrei solo ricordare a Blaine, che noi non siamo gli Usignoli» disse Finn con serietà «Non ci piace chi non passa la palla» aggiunse con una punta di gelosia nella voce.

Io e gli altri lo guardammo con le sopracciglia aggrottate. Poi Finn spiegò che credeva fosse colpa di Blaine se il pianoforte in cortile aveva preso fuoco.

Davvero?

Davvero, davvero?

Per fortuna il professor Schuester non era della stessa idea, e infatti ordinò a Santana di andarsene, perché era stata lei ad architettare tutto sotto comando della coach Sylvester.

«Anche Roxie ha ballato con noi» protestò Santana indicandomi.

«Certo, mi hai letteralmente trascinata sui gradoni» mi difesi io con aria ovvia.

Santana sbuffò, e poi lasciò l'aula fingendo di non essere offesa, anche se lo era decisamente.

Proprio in quel momento Blaine andò a sedersi vicino a Kurt, che mi guardò con un sorrisetto soddisfatto. Avevo tenuto una sedia vuota accanto a me apposta per farci sedere Blaine, ma lui aveva scelto di sedersi accanto al suo ragazzo, cosa che mi aspettavo, ma che mi aveva comunque ferita. Ma Kurt aveva vinto solo una battaglia, non la guerra.

In quel momento Rachel ci annunciò che aveva un'idea per il musical.

«West Side Story!» annunciò entusiasta «Il ruolo di Maria, la protagonista, è perfetto per me» aggiunse con la sua solita saccenza.

Io e Mercedes alzammo gli occhi al cielo, e guardando la mia amica mi accorsi che non gliel'avrebbe data vinta così facilmente.

Poi Kurt annunciò che si candidava come presidente del consiglio degli studenti, e dopo essersi riseduto, Blaine allungò una mano per prendere la sua, fiero del suo ragazzo.

Kurt mi lanciò un'altra occhiata soddisfatta mentre io sentivo un'altra fitta al cuore. Era un'altra battaglia vinta per Kurt e un'altra sconfitta per me.

Comunque, per finire in bellezza la settimana, poco dopo cantammo tutti insieme "You Can't Stop The Beat" da Hairspray, vestiti tutti di viola per onorare il nostro progetto della settimana e concludere il compito. Quello fu il primo numero nelle Nuove Direzioni con il mio migliore amico, con il mio Blaine, e da quel giorno in poi avremmo affrontato ogni giornata insieme, fianco a fianco, mano nella mano, armadietto accanto ad armadietto.

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